Opera Omnia Luigi Einaudi

Pianificazioni. Piani privati e piani statali. L’operaio svizzero e la sua casetta. Come si comporta il governo sovietico. Risparmio volontario e risparmio coatto. Si paga 10 al contadino e si vende 60 al consumatore

Tipologia: Paragrafo/Articolo – Data pubblicazione: 21/05/1946

Pianificazioni. Piani privati e piani statali. L’operaio svizzero e la sua casetta. Come si comporta il governo sovietico. Risparmio volontario e risparmio coatto. Si paga 10 al contadino e si vende 60 al consumatore

«Il Subalpino», 21 maggio 1946

«Il Cittadino», 22 maggio 1946[1]

«La Verità», 25 maggio 1946[2]

«Corriere di Novara», 29 maggio 1946[3]

 

 

Tutti parlano di piani ed, a quanto pare, sembra trattarsi di gran novità. Non so se la parola sia davvero nuova, ma l’idea certo è antica. Sempre si fecero piani e sempre si faranno. Un industriale, il quale abbia la testa sul collo, non può non fare un piano, quando impianta od allarga la sua impresa; un piano tecnico inteso ad ottenere il massimo risultato dagli edifici, dall’area, dalle macchine, dagli strumenti impiegati; un piano economico per ottenere i costi entro i limiti dei ricavi; un piano commerciale per assicurare lo smercio dei prodotti; un piano finanziario per il procacciamento dei capitali necessari all’impresa. Fa piani l’agricoltore anche se li rumina in mente invece che metterli per iscritto. Fa piani il ministro del tesoro quando prepara il bilancio delle spese e delle entrate e pensa ai mezzi per colmare l’eventuale disavanzo provocato da spese straordinarie. Ogni bilancio preventivo, privato o pubblico, è un piano; ed i conti consuntivi sono la verificazione del successo o dell’insuccesso dei piani.

 

 

Da un ventennio circa si parla di piani quadriennali o quinquennali o decennali. Il contenuto di essi è vario; ma a guardare il succo, lo si potrebbe riassumere con un esempio. Un professionista o un impiegato od un operaio ambisce a possedere una casa o casetta propria? Per non imbrogliare l’argomentazione con cifre astronomiche in lire italiane, faccio i conti in franchi svizzeri. Nella Svizzera un operaio può acquistare o farsi costruire una casetta di 4 camere, cucina e bagno, con piccolo orto o giardino, sufficiente ai bisogni della sua famiglia, con 10.000 franchi. Un tempo, in Italia si costruivano e furono costruite a Torino da taluni cooperatori case siffatte con cifre minori in lire italiane. Ha già messo insieme 1000 franchi, per acquistare il terreno. Si reca ad una cassa ipotecaria cantonale o privata, che gli dà a mutuo, al 4 e talvolta al 3,50%, gli altri 9000 franchi a mano a mano che la costruzione procede. Pagando da 400 a 500 franchi all’anno alla Cassa, in trent’anni egli è padrone della sua casa. In Italia, le cose sarebbero un po’ più complicate, perché egli dovrebbe pagare un diluvio di tasse di registro, tasse ipotecarie, diritti notarili, rimborsi di imposta di ricchezza mobile, che, oltre ai fastidi e litigi e multe, aumenterebbero il costo annuo da 400-500 franchi all’anno, che dovrebbe pagare nella vicina Confederazione, a 550-700 franchi tra noi. Epperciò io affermo che un gravissimo ostacolo alla moltiplicazione del numero dei proprietari di case e di terre sono le infinite imposte le quali gravano sui trapassi della proprietà; e sostengo altro rimedio non esservi alla consecuzione dell’altissimo scopo sociale se non la abolizione radicale, ab imis fundamentis, di tutte quelle sciagurate imposte.

 

 

Sia come si voglia di ciò, l’operaio ha fatto un piano. Ha deciso in un primo momento di risparmiare 1000 franchi; ed ha deciso poi di destinare ogni anno per 30 anni da 400 a 500 franchi al servizio del debito contratto per l’acquisto della casa. In deduzione egli porterà, suppongasi, i 300 franchi che pagherebbe ugualmente per pagare il fitto di un piccolo appartamento di una stanza e cucina. Risparmia oggi la differenza, ossia rinuncia a qualche altro suo consumo, ad es., a qualche sigaro o sigaretta o bottiglia di vino, per la soddisfazione di stare subito in una casa più bella, indipendente, col piccolo orto e di diventare col tempo pieno padrone della sua casa.

 

 

Il governo sovietico, quando compitò i suoi piani, non fece cosa diversa dal nostro operaio risparmiatore. Il grande sbarramento idroelettrico sul Don, gli impianti di Magnitogorsk, le città industriali fatte sorgere oltre gli Urali, le centrali di traffici per l’aratura meccanica dei terreni tolti ai contadini singoli e dati alle cooperative dette Kolcosz, che cosa sono se non un piano di risparmio o di investimento? Il prodotto lordo d’oggi del paese, quantità equivalente al totale reddito nazionale è scarso ed è uguale a 100? Su quel reddito i cittadini a mala pena riuscivano in regime privatistico a risparmiare in media 10, consumando le 90 unità restanti, il che vuol dire producevano 90 unità di derrate o merci di consumo diretto, e solo 10 unità di macchine, strumenti, strade, dighe di sbarramento, case ed altri beni strumentali, ossia utili alla produzione futura? Ed il governo sovietico decise di mutare d’autorità, coattivamente, le proporzioni e costrinse i russi per cinque anni a produrre solo 50 unità di beni strumentali (macchine, dighe, trattrici, ecc.). Ciò significa stringimento di cintola, rinuncia a godimenti attuali, allo scopo di aumentare la produttività futura. La differenza fra le società dette spropositamente capitalistiche e che si dovrebbero dire ad iniziativa prevalentemente privata e le società collettivistiche è che nelle società ad imprese libere, il piano è volontario; nessuno può costringere il risparmiatore a risparmiare e questi rinuncia ai consumi attuali a pro del futuro solo nella misura dei suoi desideri, delle sue inclinazioni, delle sue necessità famigliari. È difficile che nei paesi ad imprese prevalentemente private, il risparmio, ossia la produzione per usi futuri superi il 20 per cento della produzione o reddito nazionale totale; laddove nella Russia sembra che la proporzione sia giunta anche al 50%. Ma vi giunse perché il risparmio è il risultato non di una propensione volontaria, ma dell’obbligo imposto dallo Stato.

 

 

La differenza fra i piani occidentali ed il piano orientale è sostanzialmente lì; nei paesi di civiltà occidentale si risparmia e si pianifica volontariamente; nei paesi di civiltà sovietica si risparmia e si pianifica coattivamente. Va da sé che nei tempi di guerra, tutti i paesi diventano collettivisti; e che anche in Inghilterra e negli Stati Uniti si ricorse durante la guerra a metodi coattivi di risparmio, di rinuncia al consumo attuale a pro della cosa pubblica. Ma ciò accadde soprattutto per mezzo di imposte ripartite progressivamente, da un 5% sul reddito dei piccoli al 97% sul reddito dei ricchissimi; laddove nei paesi orientali il prelievo coattivo avvenne soprattutto con il metodo là usato già in pace, della imposta che da noi si direbbe sulla entrata, ossia sul prezzo delle merci vendute ai consumatori e della differenza tra il prezzo pagato ai contadini dalle cooperative per le derrate agrarie requisite ed il prezzo di rivendita al consumo, differenza che in taluni anni pare sia stata come di 1 a 6, per cui di fatto il contadino ricevette per le merci requisite appena un sesto del loro prezzo finale del consumatore.

 

 

Qualunque sia il giudizio che si deve dare sui sistemi usati nei diversi paesi per forzare in tempo di guerra il risparmio, sta che nei tempi di pace, i piani consistono in sostanza nel provvedere, volontariamente qua e coattivamente la ad indurre gli uomini a rinunciare a consumi presenti per crescere la produzione futura. Il quesito è: giova più il 20 per cento volontario od il 50 per cento coattivo? Giova più un minore stringimento di cintola volontario od un maggior stringimento coattivo? Troppo poco tempo è trascorso dall’inizio dello esperimento russo per poter dare una risposta recisa. Sembra si possa solo affermare che gli incrementi nella produzione nord-americana e britannica a tipo volontario non siano stati inferiori nello stesso periodo di tempo a quelli russi; e che frattanto le sorti delle classi lavoratrici abbiano conservato l’alto grado di superiorità nel tenor di vita a cui erano giunti in confronto a quello esistente nei paesi di civiltà orientale. La meraviglia dei soldati russi di fronte alla relativa abbondanza di cose di consumo osservata nei paesi da essi conquistati o visitati starebbe a dimostrare che le loro ingenue credenze intorno alla superiorità della civiltà sovietica in confronto alla civiltà occidentale era frutto del sapiente imbottimento di crani consueto in tutti i regimi totalitari.

 

 

Le considerazioni ora fatte non vogliono essere una critica dei piani; affermano soltanto che di piani ve ne possono essere di molte specie: gli uni volontari, opera degli individui forniti di iniziativa e gli altri coattivi, opera dello stato; e puntano alla sola conclusione sensata: che ambe le specie possono essere vantaggiose. Purché ciascuno dei due tipi sia adoperato nel campo suo proprio; i piani privati nel territorio privato ed i piani pubblici nel territorio pubblico. Ambi i quali territori sono vastissimi; e non si ampliano gli uni a spese degli altri, ma a vicenda si fortificano e si danno incremento reciproco.

 

 



[1] Con il titolo Pianificazioni [Ndr.].

[2] Con il titolo Pianificazione [Ndr.].

[3] Con il titolo Piani [Ndr.].

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