Opera Omnia Luigi Einaudi

Quel titolo terzo

Tipologia: Paragrafo/Articolo – Data pubblicazione: 27/05/1947

Quel titolo terzo

«Corriere della Sera», 27 maggio 1947

 

 

 

Si è chiuso con un’altra dichiarazione di sollecitudine per le vittime della tragedia monetaria dell’ultimo terzo di secolo:

 

 

«La Repubblica incoraggia e tutela in tutte le sue forme il risparmio e favorisce l’accesso del risparmio popolare alla proprietà dell’abitazione, alla proprietà diretta coltivatrice, al diretto ed indiretto investimento azionario nei grandi complessi produttivi del paese. La Repubblica disciplina, coordina e controlla l’esercizio del credito».

 

 

Ce n’è per tutti. La misericordia divina ha amplissime braccia: ma la misericordia costituzionale le allarga assai più. Incoraggia i risparmiatori in tutte le forme che il risparmio può assumere; ad investirsi nei titoli di Stato e nelle obbligazioni private, nella terra e nelle case, nelle industrie e nei commerci. Incoraggia il risparmio dei piccoli, dei medi e dei grandi risparmiatori. Dopo averlo incoraggiato, lo tutela, lo tiene su con le dande, perseguita i filibustieri sempre all’erta per portar via i danari altrui, li sgomina se si annidano nelle banche; e particolarmente veglia affinché la gente del popolo possa acquistar la casa, accedere alla terra, acquistare azioni delle grandi società industriali. Epperciò disciplina, coordina e controlla l’esercizio del credito. Mai non si vide alla costituente tanta concorde volontà di difendere coloro che rinunciano al godimento dei beni presenti a favore dei beni futuri, e consacrano i loro sforzi a produrre beni strumentali, quei beni cioè che non crescono oggi la capacità di godimento dei beni della terra, ma consentiranno all’uomo di ottenere domani maggior copia dei beni medesimi. Era bello, era commovente il quadro dello Stato, padre di tutte le misericordie terrene, intento ad incoraggiare, a tutelare, a disciplinare, a coordinare ed a controllare le maniere nelle quali il risparmio si forma e cresce e divenuto capitale, si investe e frutta e rende prospera la società umana.

 

 

Qualcuno ricordò che quasi cento anni or sono, nel 1848, lo scrittore dello statuto Albertino, con parole più sobrie, più lapidariamente scritte, senza rammentare allo Stato ciò che esso avrebbe dovuto fare a pro d’altri ed ammonendolo solo intorno a quello che lo Stato avrebbe dovuto fare per mantenere fede agli impegni da lui assunti verso i risparmiatori che in lui avessero fiducia, aveva promesso: «Ogni impegno dello Stato verso i suoi creditori è inviolabile».

 

 

Gli uomini del 1848 credevano in quel che dicevano e promettevano. Non possiamo essere altrettanto persuasi che gli uomini di oggi credano altrettanto fortemente in quel che oggi affermano. Fra i promettitori di incoraggiamento, di tutela, di coordinamento, di disciplina e di controllo a pro dei risparmiatori, vi ha chi queste promesse in cuor suo le fa ai piccoli e non ai grossi risparmiatori, le fa al risparmio il quale proviene dal lavoro e non a quello il quale proviene da qualche altra fonte; ossia vi ha chi fin dal bel principio non vuole affatto incoraggiare e tutelare il risparmio, ma lo vuole distruggere: perché una qualsiasi lira non si distingue da ogni altra lira; e quando si minaccia l’una, quella dei cosiddetti grossi capitalisti o cosiddetti speculatori, tutti si sentono minacciati: essendo il risparmiatore, per indole sua incoercibile, un animale timido, il quale corre via, fuggendo, ad ogni stormir di fronde; e la maniera più ordinaria del fuggire essendo quella del non venire al mondo del non fermarsi. Qualunque sia la forma che il risparmio prende trasformandosi in capitale, anche di terre o di case o di fabbriche o di canali o di ferrovie ed insomma delle cose più concrete e materiali, il capitale è invero destinato a ridursi in breve ora al nulla, peggio che in tempo di guerra, se esso non è mantenuto continuamente vivo da un perenne flusso di nuovo risparmio rivolto a ripararlo, a mantenerlo, a sostituirlo. Ohimè! Quegli stessi uomini od i loro figli emisero titoli di rendita pubblica ai quali promisero il pagamento delle cedole in lire sterline, in franchi, in fiorini ed altre monete allora pregiate: e quelle promesse ancora si leggono sui titoli della vecchia rendita 5 per cento, poi trasformata nella nuova 3.50 per cento 1906; ma ben presto si chiese che le cedole dovessero essere corredate da affidavit di domicilio estero; e poi l’affidavit fu esteso ai titoli medesimi e si finì che ora il diritto ad essere pagati in quelle valute pregiate è riservato ai possessori che anni fa erano tali all’estero ed avevano potuto dimostrare allora di trovarsi in condizioni peculiari rarissime a verificarsi. Ed accadde ancora che una cassazione romana, in assenza di una legge che ciò affermasse, giudicò nulla ed irrita, la clausola per cui un creditore, consenziente il debitore, aveva cercato di garantirsi contro i pericoli delle svalutazioni monetarie, stipulando che il debito dovesse essere pagato in moneta aurea. Ed accadde perciò, nonostante il solenne affidamento statutario che coloro i quali al 30 giugno 1914 avevano depositato nelle banche, casse di risparmio e casse postali 7.493 milioni di lire, se ancora conservassero oggi quei loro sacrosanti risparmi, possederebbero appena lo 0,7% in potenza d’acquisto del capitale originario e che coloro i quali dal primo luglio 1914 al 30 giugno 1922 depositarono 20.311 milioni nelle stesse banche e casse oggi possederebbero solo il 3,5% in potenza d’acquisto della somma primitiva; e continuando, che i 38.078 milioni risparmiati e depositati dal primo luglio 1922 al 31 dicembre 1938 conservano solo il 2,9% del valore primitivo; ed i 432.268 milioni risparmiati e depositati dal primo gennaio 1939 al 31 dicembre 1946 danno solo il 21,1% in capacità di acquisto di quel che avrebbero dato se fossero stati subito spesi. È altresì, assai dubbio, se tutti questi risparmiatori dal 1914 ad oggi non solo avessero risparmiato, ma avessero rinunciato del tutto al frutto dei risparmi, accumulando capitale ed interessi composti è dubbio se essi oggi possederebbero una capacità di acquisto maggiore del 16-17% di quella che avrebbero goduto se invece di risparmiare avessero dato fondo alla ricchezza posseduta.

 

 

A che pro dunque risparmiare? A che pro tanta sollecitudine di incoraggiamenti, tutele, discipline, coordinamenti e controlli, quando i risparmiatori, quando coloro che si sono assicurati sulla vita, quando coloro che via via dal 1848 ad oggi hanno sovvenuto lo Stato durante le guerre del risorgimento, durante la faticosa costruzione della macchina statale, delle ferrovie, dei porti, delle strade ed hanno perseverato nella rinuncia a favore dello Stato ad occasione delle due grandi guerre mondiali; a che pro tante promesse quando costoro hanno visto volatilizzare il frutto del loro risparmio?

 

 

Parve a qualche membro dell’assemblea costituente che almeno si dovesse consentire ai risparmiatori, diffidenti verso le nuove magniloquenti promesse, di guarantirsi contro il pericolo che la giurisprudenza mettesse nel nulla i loro sforzi; e fu proposto che, in aggiunta alle promesse di incoraggiamento, di tutela, di coordinamento e di controllo, i buoni uomini lodati universalmente con l’aggettivo di “risparmiatori” e vilipesi contemporaneamente come “capitalisti”, potessero stipulare con loro a cui essi intendevano dare a mutuo od altrimenti affidare i loro risparmi, una clausola la quale dicesse: «Io do a mutuo a te 100 lire oggi quando le 100 lire equivalgono a tanti milligrammi o decimilligrammi di oro fino e tu prometti di restituirmi fra un anno, fra due anni, fra trent’anni, tante lire quante allora equivarranno allo stesso numero di decimilligrammi d’oro ugualmente fino». È questa la celebre clausola-oro che oggi, se anche la si stipula, non val niente, perché una certa giurisprudenza l’ha dichiarata nulla ed irrita, affermando che la lira è sempre la lira, nello stesso modo che in Germania fu detto che il marco era sempre il marco, anche quando il marco-carta era scaduto ad un milionesimo di una milionesima parte del marco nel quale il mutuo originariamente era stato convenuto.

 

 

La clausola proposta non era obbligatoria, era permissiva. Dichiarava soltanto che se le due parti, debitore e creditore, imprenditore e risparmiatore, volontariamente convenivano di osservare siffatto accordo, l’accordo fosse valido ed il legislatore ordinario non lo potesse mettere nel nulla. La grande maggioranza dell’assemblea respinse la proposta; ed era logico la respingesse, perché il testo della costituzione, massimamente nel suo titolo terzo, è, inspirato all’idea che si debbano bensì porre principi, fare promesse, purché i principi posti siano espressi in modo così vago da potere essere interpretati nei sensi più diversi, purché le promesse siano formulate in modo da poter sempre affermare che esse sono state mantenute, sovrattutto quando esse siano in sostanza violate. Sarebbe ingiusto tacciare d’ipocrisia siffatto andazzo. Esso risponde ad una esigenza profonda della natura umana. Non solo non costa nulla promettere tutela ecc. ecc. al risparmio ma la promessa fa intravedere un orizzonte stupendo di ispettori, di controllori, di tutori, di disciplinatori, attraverso i quali ogni parte politica assapora sin d’ora il procacciamento di vaste clientele elettorali. L’esperienza dimostra che il vero modo, la maniera efficace di promuovere l’acquisto della abitazione a moltitudini di impiegati e di operai, di incoraggiare la moltiplicazione dei piccoli e medi proprietari è di abolire, di abbattere alla radice, senza che ne resti traccia alcuna, tutto l’incongruo sistema di imposte enormi sulla trasmissione a titolo oneroso della proprietà fondiaria, insieme con le connesse atroci imposte ipotecarie e quelle mobiliari sugli interessi dei mutui aventi una garanzia reale? Mai no: il rimedio è troppo semplice ed è offerto a tutti senza uopo di piatire favore da nessuno. Occorre continuare a non dare tributi alla finanza la quale si impoverisce quando, con imposte barbare, ostacola la formazione della ricchezza e concede invece mutui di favore, premi di favore a quella piccola minoranza la quale sa mimetizzarsi assumendo i colori dei governanti e costituendo se stessa in clientela politica dei favoreggiatori coordinatori controllori tutori. Epperciò è logico non consentire ai cittadini di difendersi da sé contro le svalutazioni monetarie e promettere invece difese e tutele ed incoraggiamenti ad opera di coloro medesimi i quali di fatto coll’opera concorde, pur deprecandola a gran voce, danno la spinta alla svalutazione.

 

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