Opera Omnia Luigi Einaudi

Questioni di principio e soluzioni concrete

Tipologia: Paragrafo/Articolo – Data pubblicazione: 13/01/1925

Questioni di principio e soluzioni concrete

«Corriere della Sera», 13 gennaio 1925

Cronache economiche e politiche di un trentennio (1893-1925), vol. VIII, Einaudi, Torino, 1965, pp. 31-33

 

 

 

L’articolo, pubblicato su queste colonne, del Keynes è la riprova da parte britannica della tesi che andiamo sostenendo da anni. Non bisogna dimenticare che il valoroso economista inglese parla coll’autorità che gli deriva dall’essere stato addetto, negli anni più fortunosi della guerra, alla tesoreria britannica. Quando egli afferma che i debiti non sono debiti; che gli inglesi e gli americani erano convintissimi, al par degli italiani e dei francesi, che non una lira sarebbe stata od avrebbe dovuto essere rimborsata, egli non deduce soltanto una conclusione esatta da una premessa giusta. Il Keynes afferma ciò che egli sa per ragione dell’ufficio coperto; ciò che potrebbero ripetere, se volessero ricordare, tutti i funzionari e tutti i ministri del tesoro che si succedettero al governo dei paesi creditori negli anni in cui i prestiti si contrattavano.

 

 

Non bisogna mai stancarci di ripetere che quelli interalleati sono pseudo debiti, che nessuno immaginò mai a quell’epoca che si trattasse di prestiti veri e proprii. Francesi e italiani ricevevano danaro a titolo di sussidi a fondo perduto; inglesi e americani davano danaro sotto questa forma per incitare i riceventi ad usarlo con parsimonia. Era un puro mezzo di esercitare un controllo contabile sulla spesa che sarebbe stato incompatibile con la sovranità degli stati debitori.

 

 

La dimostrazione che il Keynes dà dell’assurdità di distinguere tra il colpo di cannone sparato dall’artigliere americano sul fronte della Lorena o del Carso – il quale rimase a carico del tesoro americano – e il colpo di cannone provveduto dall’America e sparato sullo stesso fronte dall’artigliere francese od italiano – il quale dovrebbe rimanere a carico della Francia e dell’Italia, solo perché i morti ed i feriti erano francesi od italiani – è definitiva.

 

 

Converrà forse ripeterla, e lo facciamo da ormai cinque anni, altre volte; poiché la memoria degli uomini è corta ed ama applicare ai fatti del passato i ragionamenti e le idee del momento presente.

 

 

Lo stesso Keynes, il quale argutamente rimprovera la mancanza di memoria ai colleghi americani, cade pur egli in un simigliante errore quando ragiona dei debiti inglesi. Egli ancora adesso considera i debiti interalleati come roba dubbia od insussistente; afferma che non sono debiti veri, ma aggiustamenti contabili. Ma, giunto alla conclusione, osserva che l’Inghilterra non può fare il bel gesto di cancellare le cifre scritte sulla lavagna che sarebbe stato suo dovere compiere all’indomani dell’armistizio. E perché oggi deve essa mancare all’obbligo suo morale? Perché, risponde il Keynes, l’Inghilterra ha promesso di pagare mezzo milione di dollari ogni giorno dell’anno per 60 anni all’America. Ed egli enumera le mirabili cose – risanamento dei vecchi quartieri delle città, ricostruzione delle case per tutta la popolazione operaia, diffusione dell’istruzione, ecc., ecc. – che con quel danaro si potrebbero fare se non si fosse malamente deciso di pagarlo all’America.

 

 

Caso tipico, questo del Keynes, di memoria corta. Non ha egli poco prima affermato che i debiti non esistevano? In qual maniera l’essersi l’Inghilterra decisa a pagare ciò che non doveva, può creare un corrispondente obbligo di pagare a carico di terzi, i quali non intervennero nella transazione fra essa e gli Stati uniti? Perché il Keynes dimentica le buone ragioni che l’Inghilterra aveva l’anno scorso per decidersi a pagare per 60 anni il mezzo milione di dollari al giorno? La lira sterlina a dollari 3,80 e più giù; la supremazia monetaria di Londra minacciata.

 

 

Parve buon consiglio assoggettarsi al tributo, pur che i cugini americani non potessero continuare a diffamare la sterlina a favore del dollaro in tutte le piazze del mondo. Il ragionamento sarà stato buono o cattivo; ma fu quello e non altro. Gli inglesi, i quali firmarono l’accordo con gli americani, avevano l’occhio a quel punto e si ripromettevano, pel loro paese, grandi vantaggi dalla presa decisione di pagare. E quei vantaggi furono ottenuti: la sterlina è oramai alla pari pratica con il dollaro, la posizione creditizia di Londra sul mercato mondiale è solidissima.

 

 

Sul più bello, però, gli inglesi si seccano di pagare. Vorrebbero avere la sterlina a 4,86, la piazza di Londra accreditata e nel tempo stesso usare il mezzo milione di dollari quotidiani – che fu il prezzo pagato per ottenere quei risultati – per abbattere tuguri, fabbricare case sane e areate e istruire bene le nuove generazioni destinate ad abitarle. È una disgrazia non avere tutto ciò; ma con lo stesso danaro non si possono fare contemporaneamente due cose.

 

 

La questione è di principio e su di essa importa essere irremovibili. Il Keynes dice essere intollerabile che l’America ottenga, con le brutte, pagamenti più vistosi dalla Francia e dall’Italia di quelli che noi faremmo all’Inghilterra, la quale si comporta più cavallerescamente. Sarebbe intollerabile ancora più che gli Stati uniti si dimostrassero irremovibili con la Francia e con l’Italia solo perché essi temessero di perdere alcunché del già convenuto con l’Inghilterra. Questa oggi può bene pentirsi dell’obbligo incontrato ad occhi aperti; ma deve pentirsi per conto proprio. È affar suo giudicare se le convenga oppur no seguitare a pagare.

 

 

Tutto ciò è detto per non essere trascinati ad ammissioni di principio, che sarebbero illogiche e potrebbero condurre a risultati dannosi. Quanto alle conclusioni concrete, quelle del Keynes sono così caute che, se fossero condivise dal governo inglese, potrebbero essere il punto di partenza di discussioni e di accomodamenti di modesta portata di cui il nostro ministro delle finanze ed i periti che lo assistono saprebbero all’occorrenza trovare le linee e fissare i limiti.

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