Opera Omnia Luigi Einaudi

Recensione – F.W. Pethick Lawrence, A Levy on Capital

Tipologia: Paragrafo/Articolo – Data pubblicazione: 01/09/1918

Recensione – F.W. Pethick Lawrence, A Levy on Capital

«La Riforma Sociale», settembre-ottobre 1918, pp. 492-495

 

 

 

F.W. Pethick Lawrence, A Levy on Capital, George Allen and Unwin, London, Ruskin House, 40 Museum Street, N. C. 1. Un vol. di pagg. 94, in-XVI. Prezzo 1 s. 6 d. net.

 

 

Il passaggio dal volontariato alla coscrizione obbligatoria ha in Inghilterra fatto sorgere il problema della coscrizione della ricchezza. Perché, se gli uomini sono obbligati a versare il loro sangue in difesa della patria, non dovrebbero essere costretti a dare la loro ricchezza? Così posto, il problema è quasi insolubile; perché lo Stato coscrive solo gli uomini di una certa età, ed in certe condizioni di salute che li rendono atti al servizio militare. Se, per analogia, dovesse requisire la ricchezza, ben poca parte di essa apparirebbe atta al servizio di guerra; sicché, non volendo usare disparità di trattamento, converrebbe indennizzare quella requisita, come si fa dappertutto, ripartendo l’onere della spesa su tutta la ricchezza esistente.

 

 

L’analisi conduce dunque alla conclusione che non di “coscrizione” ma di “imposta” sulla ricchezza si deve parlare. E poiché oramai la guerra si avvicina al suo termine, il problema è quello della possibilità di una imposta straordinaria sulla ricchezza, la quale valga a liquidare tutto o parte il gigantesco debito pubblico di cui gli Stati si troveranno gravati alla conclusione della pace.

 

 

Questo è il problema posto e discusso dal Pethick Lawrence, un distinto scolaro del Marshall, a cui il volumetto è dedicato, e collaboratore apprezzato dell’Economic Journal. Egli sostiene che l’imposta è giusta, è possibile, è necessaria. In una prima parte (capitali da I a VI) pone i dati del problema: che cosa voglia dire “spesa di guerra”, come si spenda, come si paghi la spesa; quale fosse la ripartizione della ricchezza nazionale, da cui si ricavano i mezzi di fare le spese pubbliche, prima delle guerra e quale sia ora; quale genere di bilancio dovrebbe essere applicato se non si liquidasse il debito pubblico con un’imposta straordinaria. In un capitolo intermedio (il VII) respinge l’idea del “ripudio” del debito pubblico, come quella che riuscirebbe disastrosa per il paese. Nella seconda parte (cap. da VII a XIII) espone i principii, il piano, la graduazione, la riscossione, i risultati dell’imposta, confuta le obiezioni e conclude con un eloquente appello alle classi ricche a non opporsi al necessario provvedimento. Il breve libretto è scritto in stile semplice, la dimostrazione segue limpida e serrata, i dati usati sono tratti da fonti reputate. Esso è veramente utile per chi voglia sapere in che cosa consista il problema, quali siano i suoi fondamenti teorici e le soluzioni pratiche che esso comporta.

 

 

Parmi utile – non potendo fare un riassunto compiuto – riassumere alcuni dati statistici essenziali, per far vedere come il problema si ponga in Inghilterra. Ecco un confronto fra la ricchezza nazionale nel 1914 e nel 1919, fatta l’ipotesi che nel 1919 sia finita la liquidazione della guerra

 

 

 

(in miliardi di lire sterline, alla pari di L. 25 per L. st. 1):

 

1914

1919

Patrimonio dello Stato

+ 2.50

– 125.00

Lordo

15

25

Debito pubblico

12.5

150

 

+ 2.5

– 125

 

Patrimonio degli Enti locali

+ 25.00

+ 25.00

Lordo

37.5

37.5

 

Debito locale

12.5

12.5

 

+ 25

+ 25

Patrimonio delle Fondazioni e Corporazioni

+ 47.50

+ 47.50

Patrimonio privato degli individui singoli

+ 312.50

+ 375.50

Ricchezza nazionale totale

+ 387.50

+ 322.50

 

 

La ricchezza privata degli individui è cresciuta, perché, nonostante la vendita di titoli esteri (25 miliardi), la perdita e la deteriorazioni per mancate riparazioni di varie partite della ricchezza interna (17.5 miliardi), il deprezzamento di alcuni capitoli (7.5 miliardi), il patrimonio privato crebbe di 112.50 miliardi di lire italiane di titoli del debito di guerra, che per i possessori costituiscono vera ricchezza. Per contro, il patrimonio dello Stato, pur essendo aumentato all’attivo per il valore residuo degli arsenali, delle fabbriche di armi, delle navi da guerra e mercantili, delle scorte, aumentò assai di più al passivo, per il debito pubblico contratto (175 miliardi – 25 miliardi di crediti sicuri verso gli alleati e le colonne). Se si dovesse provvedere al servizio del debito nelle forme solite di imposte sul reddito e sulle successioni, il bilancio della spesa dello Stato prenderebbe questa forma (in miliardi di lire sterline):

 

 

 

1913/14

1919/20

Interessi del Debito pubblico

0.5

8.75

Ammortamento

1.50

Pensioni di guerra

1.50

Spese civili e militari

4.5

7.00

 

5.0

18.75

 

 

Per poter avere a sua disposizione ogni anno miliardi 18 3/4 di lire italiane, il Governo britannico dovrebbe raddoppiare l’imposta di successione, che in principale va già, salvo aggiunte varie, dall’1 al 20% a seconda delle fortuna e portare al 37,50% del reddito l’aliquota generale dell’imposta sul reddito, il che vorrebbe dire che i contribuenti dovrebbero pagare, a seconda della loro condizione economica, ogni anno dal 10 al 60% del loro reddito netto a titolo d’imposta di Stato sul reddito, in aggiunta alle imposte sui consumi sulle successioni, locali, ecc. ecc. Carico quasi insopportabile, nota l’A., e grandemente nocivo alla produzione ed al ripristino.

 

 

Meglio liquidare l’onere dei 150 miliardi di debito pubblico con un prelievo eseguito una volta tanto sulla ricchezza dei privati. All’uopo sarebbe necessario stabilire un prelievo suppergiù di queste dimensioni:

 

 

  • Quota della fortuna non superiore a L. it. 5000 Esente
  • ” ” ” compresa fra L. 5.000 e 12.500 6%
  • ” ” ” ” ” ” 12.500 ” 25.000 12%
  • ” ” ” ” ” ” 25.000 ” 50.000 18%
  • ” ” ” ” ” ” 50.000 ” 125.000 24%
  • ” ” ” ” ” ” 125.000 ” 250.000 30%
  • ” ” ” ” ” ” 250.000 ” 500.000 36%
  • ” ” ” ” ” ” 500.000 ” 1.250.000 42%
  • ” ” ” ” ” ” 1.250.000 ” 2.500.000 48%
  • ” ” ” ” ” ” 2.500.000 ” 5.000.000 54%
  • ” ” ” ” ” ” 5.000.000 ” 12.500.000 60%
  • ” ” ” ” ” ” 12.500.000 ” 25.000.000 66%

e così via.

 

 

L’imposta sarebbe quella cosidetta a scaglioni, sulle quote successive di patrimonio, come correttamente s’usava in Italia per l’imposta di successione prima delle ultime riforme. Essa esenterebbe tutta la ricchezza posseduta dallo Stato, dagli Enti locali e da una metà circa delle corporazioni e fondazioni. Le società anonime e le altre specie di società commerciali naturalmente non sarebbero tassate, colpendosi invece gli azionisti e gli obbligazionisti per l’ammontare dei titoli sociali posseduti. Il gettito sarebbe di 150 miliardi di lire, partendo dall’ipotesi della distribuzione della fortuna privata inglese, la quale spetta pel 64% a 195.000 ricchi (con più di 250.000 lire it. di patrimonio), pel 24% a 860.000 agiati (con un patrimonio da 25.000 a 250.000 lire st.) e pel 12% a circa 8 milioni di quasi nullatenenti (con un patrimonio inferiore a 25.000 lire).

 

 

Il pagamento potrebbe farsi:

 

 

  • 1) in titoli di Stato, che l’erario annullerebbe;
  • 2) in titoli esteri, coloniali, locali, in titoli ferroviari, bancari, minerari, di armamento, di assicurazione, che lo Stato potrebbe conservare, anche per acquistare ingerenza in imprese aventi caratteri pubblici o semi pubblici; ed il cui reddito servirebbe a pagare l’interesse dei titoli di Stato rimasti in vita, sebbene oramai senz’onere per i contribuenti;
  • 3) in altri titoli privati, favorevolmente conosciuti, e che lo Stato a poco a poco potrebbe vendere, riscattando col ricavo altrettanto debito pubblico;
  • 4) in contanti, da pagarsi subito, ovvero, coll’interesse del 5% in un certo numero di rate annue. Quest’ultima maniera di pagamento sarebbe accolta da coloro, che non possedendo titoli, non volessero o non potessero disfarsi dei loro terreni o case o sottrarre capitale alle loro private aziende.

 

 

Il bilancio delle spese dello Stato pel 1919/20, in conseguenza del prelievo straordinario ora detto, invece di miliardi 18.75 si ridurrebbe a 9.75, quasi alla metà. Non sarebbe necessario raddoppiare l’imposta di successione, e l’imposta sul reddito potrebbe essere ridotta all’aliquota del 17.50% (invece del 37.50% a cui, come si vide, dovrebbe almeno essere spinta, in assenza del prelievo). Quasi tutte le categorie di contribuenti, fatto il paragone tra il sacrificio subitaneo dell’imposta grossa straordinaria, pagata una volta tanto, ed il beneficio delle minori imposte annue future, sarebbero avvantaggiate. Sarebbero danneggiati solo i contribuenti ricchi, con capitale superiore ad 1 milione di lire italiane, e viventi degli interessi del loro capitale, senza esercizio di professioni, industrie o commerci. In sostanza una redistribuzione dell’onere del debito a vantaggio dei lavoratori, dei professionisti, degli impiegati, degli industriali e commercianti e capitalisti piccoli e medi a danno dei grossi capitalisti “viventi di reddito”. Questo lo schema, esposto con la maggior brevità. Astenendomi da ogni osservazione critica, che mi porterebbe troppo per le lunghe e che potrà trovare altra sede più adatta, poiché il problema dovrà essere discusso anche da noi, basti dire che quello del Lawrence è senza dubbio la più chiara e stringata disamina che io conosca del concetto informatore, delle possibilità di applicazioni e dei risultati di uno schema che da tempo appassiona grandemente i paesi anglo sassoni.

 

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