Opera Omnia Luigi Einaudi

Recensioni – Jannaccone e Ruffini

Tipologia: Paragrafo/Articolo – Data pubblicazione: 01/10/1904

Recensioni – Jannaccone e Ruffini

«La Riforma Sociale», ottobre-novembre 1904, pp. 923-925

 

 

 

Pasquale Jannaccone: I tributi speciali nella scienza delle finanze e nel diritto finanziario italiano. Vol. XLVII della Biblioteca di Scienze Sociali. – (Torino, F.lli Bocca, Editori, 1905. Un volume di p. 125). Prezzo L. 3,50.

 

 

Francesco Ruffini: La quota di Concorso. Studio di diritto finanziario ecclesiastico. – (Milano, Società Editrice Libraria. Un volume di pag. 63).

 

 

Questi due studi, apparentemente assai dissimili, debbono essere in realtà accoppiati per parecchie ragioni. Innanzitutto la quota di concorso, di cui si occupa il Ruffini, è una delle imposte speciali che formano oggetto della trattazione del Jannaccone. Inoltre è stata precisamente la discussione sorta nella giurisprudenza intorno alla natura economica e giuridica della quota di concorso che ha dato il primo impulso da un lato a precisarla scientificamente e dall’altro a costruire una dottrina più lata, che abbracciasse, oltre alla quota di concorso, anche altre molte imposte le quali con essa hanno una certa affinità.

 

 

Noi non possiamo in una breve recensione approfondire il punto speciale su cui il Ruffini si ferma. È noto che una legge del 1866 stabiliva, a favore del Fondo pel Culto e per certi scopi speciali, la cosidetta quota di concorso che sugli enti e corpi morali ecclesiastici conservati grava in misura marcatamente progressiva, sino al 20 per cento per i benefizi parrocchiali, al 15 per cento per i seminari e le fabbricerie e al 100 per cento sugli arcivescovadi e vescovadi.

 

 

Per molto tempo non sorsero dispute intorno al carattere tributario della quota di concorso. Un bel giorno alla Corte di cassazione di Roma salta in mente di negare che essa sia un’imposta o una tassa, e la chiama una porzione del patrimonio degli enti ecclesiastici che va a favore del Fondo pel Culto, qualcosa di simile ad una sua entrata patrimoniale.

 

 

Inutile dire le profonde differenze giuridiche derivanti da questa nuova concezione della quota di concorso. Il Ruffini, il quale è il maestro di diritto ecclesiastico che tutti sanno, dovendosi occupare dell’argomento, si mette a sfogliare i trattati ed i libri di scienza delle finanze, supponendo – e non a torto – che ivi avrebbe trovato risolto il dubbio. Invece si accorge con stupore che i finanzieri aveano adottato un altro partito: di non parlarne affatto. La cosa è dubbia, quindi acqua in bocca e non se ne parli più! I più benevoli verso la quota di concorso accennavano alla sua enorme progressività, di cui forse non vi ha esempio al mondo. Altri dicevano che era un’imposta sui generis, ma senza dimostrare in cosa consistesse il genere. Scandolezzato, il Ruffini si mette a fare, lui canonista, quello che non aveano saputo fare i finanzieri e ci regala questa superba monografia, letta la quale ci è giuocoforza concludere che a noi non rimane più nulla a dire. La storia legislativa e parlamentare della quota di concorso italiana, la storia di un istituto austriaco eguale al nostro (il Religions Fonds Beitrag), l’analisi critica degli errori della Cassazione romana, la ricostruzione sistematica della quota di concorso come imposta speciale, ecco le partizioni del discorso dell’A., il quale non è una semplice scorribanda, come egli si compiace a dire, nel campo finanziario, ma una completissima monografia alla quale dovranno ricorrere d’ora in poi tutti i trattatisti per mettere al suo vero posto la dimenticata quota di concorso.

 

 

Intanto la scorribanda del Ruffini ha già prodotto un buon frutto: vogliamo accennare alla monografia del prof. Jannaccone sulle Imposte speciali. Certo il Ruffini non poteva augurarsi un risultato migliore al desiderio da lui manifestato che qualcuno si interessasse a definire con precisione la natura delle numerose imposte speciali che abbondano nel nostro diritto finanziario e che finora formavano una materia vagante e trascurata. Anche questo è un esempio curioso di dimenticanza dei trattatisti. Come e dove collocare in una sistemazione generale tributaria i contributi che si pagano al Fondo pel Culto, al Commissariato dell’emigrazione, le tasse di rivendicazione e di svincolo, l’imposta sui membri delle Università israelitiche, i tributi dovuti alle Camere di commercio, ai Collegi dell’ordine degli avvocati, al Consorzio del porto di Genova, le prestazioni dovute per la previdenza obbligatoria, ecc. ecc.?

 

 

Anche qui buio pesto nei trattati. Schaeffle, Neumann, Sax, Ferraris, Nitti, avevano scritto qualche pagina luminosa; ma erano sprazzi di luce che facevano ancora più sentire la mancanza di una trattazione sistematica.

 

 

Trattazione che sarebbe stata importante sotto due aspetti, l’uno scientifico e l’altro pratico. Scientificamente non v’ha dubbio che era deplorevole la lacuna nella sistemazione di un gruppo numeroso di imposte o tasse, relegate, non si sa perché, in una specie di limbo.

 

 

Praticamente è certo che accanto allo Stato ed ai Comuni, c’è la tendenza a crescere il numero di Enti speciali, più o meno indipendenti dallo Stato, che hanno anch’essi una certa potestà tributaria; sì che i danni, già evidenti nel caso della quota di concorso, di una deficiente trattazione a loro riguardo, sarebbe stato da temere si sarebbero fatti sempre più sentire.

 

 

Il volume del Jannaccone è insieme un tentativo di penetrazione in una terra incognita ed il compimento di questo tentativo nel modo più brillante che si potesse desiderare. In una prima parte l’A. riassume le poche pagine luminose di cui s’è detto sopra, sottoponendole ad una critica stringente; in una seconda fa una sua costruzione delle imposte speciali, graduandole a seconda che più o meno chiare si palesano le specialità dell’ente che le leva e la specialità del fine per cui sono levate; mentre in una terza parte la sistemazione teorica dianzi compiuta viene applicata al diritto finanziario vigente in Italia.

 

 

E qui il recensore avrebbe finito il suo compito, essendogli impossibile di riesporre, neppure ne’ suoi tratti principali, la sistemazione dell’A., tanto più che la recensione ha per iscopo sovratutto di indicare qual è [sic] l’intento che l’autore di un libro buono si è prefisso. I lettori che si interessano di finanza avranno capito senz’altro che a loro non sarà possibile di far a meno di leggere e consultare i volumi del Ruffini e del Jannaccone.

 

 

Ma, prima di chiudere, mi piace fare una osservazione. In Italia è impossibile per un mondo di ragioni, parlar male quanto si vorrebbe dei libri cattivi che vengono ad ingombrare gli scaffali dei cultori di scienze economiche, finanziarie e statistiche. Ma è un fatto certo che nove volte su dieci dai libri nuovi che vengono alla luce non si impara niente.

 

 

Rarissime volte succede, come oggi per fortuna coi due volumi recensiti, di poter dire: ecco un volume che parla bene di un argomento prima ignorato o male svolto od appena accennato. Per lo più si tratta di rifritture intorno ai soliti argomenti, che hanno la barba lunga come quella di Noè: della riforma delle imposte dirette od indirette, della progressività delle imposte, dell’abolizione del dazio consumo, dell’income tax e così via, passando ai primi principii della pubblica finanza, alla ripercussione delle imposte in genere, ecc. ecc. Tutte cose certo degnissime di studio, ma su cui sarebbe bene non scrivere una parola, se non si fosse sicuri di fare meglio o più dettagliatamente dei nostri predecessori.

 

 

Invece ci sono vastissimi campi di studio ancora vergine e su cui si possono raccogliere allori. Il guaio si è che per raccogliere allori trattando della quota di concorso o delle imposte speciali, come fanno i nostri due autori, ci vogliono ricerche faticose, dottrinali e legislative; mentre per scombiccherare un saggio sopra la finanza pubblica in genere o sull’avvenire delle classi operaie, basta mettersi dinanzi tre o quattro libri e scriverne un altro, che meriterà di essere buttato dalla finestra come i precedenti.

 

 

Purtroppo di questo peccato di voler fare in fretta dei titoli i maggiori colpevoli sono i giovani. I quali pure avrebbero tante belle cose da fare, quando volessero lavorare sul serio. Leggasi soltanto ciò che il Ruffini in principio del suo saggio dice della possibilità di scoprire delle vere terre incognite nel campo del diritto finanziario ecclesiastico. O si pensi solo al caos del nostro diritto finanziario italiano positivo, dove tanti e tanti istituti aspettano chi sappia fondere con la dottrina finanziaria la conoscenza e la critica dell’enorme materiale giurisprudenziale fin qui lasciato in balia dei pratici commentatori. O si abbia riguardo al materiale enorme di studio sulle classi operaie che si va accumulando per opera degli Uffici del Lavoro, fra cui ultimo per data, ma tra i primissimi per bontà d’impianto, l’Ufficio italiano.

 

 

Ma per indurre i giovani a mettersi su questa via, una condizione sarebbe necessaria, che forse in Italia non si potrà mai attuare: che i giudici dei concorsi economici e finanziari bocciassero spietatamente tutti coloro che presentano delle compilazioni a guisa di titoli!

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