Opera Omnia Luigi Einaudi

Rilievi britannici sui debiti interalleati

Tipologia: Paragrafo/Articolo – Data pubblicazione: 15/09/1922

Rilievi britannici sui debiti interalleati

«Corriere della Sera», 15 settembre 1922

Cronache economiche e politiche di un trentennio (1893-1925), vol. VI, Einaudi, Torino, 1963, pp. 838-845

 

 

 

Da un nostro lettore inglese riceviamo la seguente lettera:

 

 

Signor direttore,

Alcune affermazioni che si leggono nell’articolo parola all’Inghilterra, pubblicato nel numero del 3 settembre del Suo giornale, richiedono un commento, che Ella vorrà consentirmi io faccia in modo oggettivo e sereno. L’articolista sostiene la tesi che non v’è un rapporto necessario tra i debiti che l’Inghilterra contrasse negli Stati uniti ed i crediti ch’essa aprì ai paesi alleati, Francia ed Italia. L’Inghilterra avrebbe mutuato a Francia ed Italia somme cospicue affinché questi due paesi potessero in dati momenti acquistare dai suoi produttori armi, munizioni, carbone, ferro, tessuti, ecc. Poi in altri momenti e in modo indipendente, l’Inghilterra ottenne a prestito 850 milioni di sterline dagli Stati uniti per potere acquistare dai produttori americani cotone, cereali, carni e per sostenere la politica del cambio favorevole della sterlina. L’Inghilterra non prese a mutuo negli Stati uniti per mutuare agli alleati. Essa fece debiti per ragioni sue e concesse crediti all’Italia ed alla Francia per altri scopi. Questa è la tesi del Suo giornale.

 

 

Certamente Lord Balfour non ha voluto affermare nella sua nota che le somme prese a mutuo dall’Inghilterra negli Stati uniti siano proprio quelle che l’Inghilterra a sua volta mutuò alla Francia ed all’Italia. Ma se formalmente Ella ha ragione, è indiscutibile che la Gran Bretagna prese a mutuo dal governo americano, dopo che gli Stati uniti entrarono in guerra 876 milioni di lire sterline (alla pari), e nello stesso periodo di tempo anticipò agli alleati 897 milioni di lire sterline. Questo soltanto voleva dire la nota Balfour. Il fatto che il denaro americano mutuato alla Gran Bretagna fu in realtà impiegato a far fronte alla spesa britannica negli Stati uniti, mentre il denaro inglese, mutuato nel tempo stesso agli alleati, fu usato a coprire spese alleate nella Gran Bretagna, si spiega agevolmente con ragioni di convenienza finanziaria. Sarebbe stato assurdo impiegare il denaro americano per coprire la spesa alleata in Inghilterra e quindi inviare il denaro inglese in America per pagare le spese britanniche negli Stati uniti. Sta di fatto dunque che l’Inghilterra, se non avesse dovuto dare a mutuo 850 milioni di lire sterline agli alleati, avrebbe potuto fare tutti gli acquisti necessari ad essa negli Stati uniti con i proprii mezzi senza bisogno di farsi imprestare nulla dal governo americano. Ad un certo punto, in principio del 1918, il governo inglese propose al governo americano che questo finanziasse direttamente gli alleati per tutti i loro bisogni, obbligandosi a non ricorrere più al credito per proprio conto. Se la proposta fosse stata accolta, oggi l’Inghilterra non dovrebbe nulla agli Stati uniti, tutti i debiti alleati verso l’Inghilterra sarebbero stati condonati; ma i debiti alleati verso gli Stati uniti sarebbero di 850 milioni di lire sterline più elevati di quanto oggi non siano.

 

 

Non è fuor di luogo notare come dia luogo a qualche sorpresa vedere il «Corriere della sera» il quale tanto insiste sulla correlazione fra riparazioni tedesche e debiti interalleati, negare poi la stessa correlazione verso la Gran Bretagna e quelli inglesi verso gli Stati uniti. Se correlazione c’è in un caso essa sicuramente esiste nell’altro. L’Inghilterra ha dato prova della sua buona volontà offrendo di rinunciare alla sua quota di riparazioni tedesche e di cancellare l’intiero ammontare dei prestiti fatti agli alleati con mezzi inglesi propriamente detti. Essa richiede soltanto che le siano rimborsate quelle somme per le quali essa dovette a sua volta cercare i mezzi con prestiti contratti negli Stati uniti. Tale richiesta è la minima che essa possa fare per riguardo ai suoi proprii contribuenti. I quali sono i più tassati del mondo, nel momento presente. Il maggior aggravio dei contribuenti inglesi spiccherebbe altamente se si facesse un confronto con la Francia. Ma anche un confronto con l’Italia, paese che nessuno oserà dire poco tassato, mette in chiaro quanto grande sia l’onere di imposte sopportato dal contribuente inglese. Le cifre che seguono si riferiscono all’anno 1920-21. Per l’Italia il provento dei monopoli (tabacco, sale, lotto, ecc.), è stato calcolato solo per i due terzi, presumendosi che il residuo terzo copra il costo dei prodotti venduti dalla regia e non possa quindi essere considerato come entrata tributaria. Non si tiene parimenti conto delle entrate delle poste, telegrafi, telefoni e degli altri servizi pubblici perché esse sono ricevute in cambio di un particolare vantaggio reso agli utenti e non costituiscono imposte.

 

 

Italia

Inghilterra

milioni di lire

milioni di lire sterline

Imposte dirette (sui redditi, sugli extraprofitti, sul patrimonio, ecc. ecc.)

3.968,3

616,5

Imposte sui trasferimenti (successioni, bollo, registro)

1.747,9

74,3

Imposte sui consumi (dogane, accise, monopoli, ecc.)

3.880,4

340,9

Imposte di stato

9.596,6

1.031,7

Imposte locali

2.350,5

166,1

Totale imposte

11.946,7

1.197,8

Reddito nazionale

60.000,0

3.500,0

Popolazione

40.000.000

42.787.530

Reddito medio per abitante

1.500

81.16.9

Imposta per abitante:

 

 

Imposte di stato

239,91

24.2.5

Imposte locali

58,73

3.17.8

Totale

298,64

28.0.1

Percentuale dell’imposta al reddito nazionale:

 

 

Imposte di stato

15,99%

29,47%

Imposte locali

3,91%

4,75%

Totale

19,90%

34,22%

 

 

Queste cifre non sono state addotte per dimostrare che gli italiani siano poco tassati, poiché non si può affermare che un carico tributario di 300 lire per abitante e del 20% del reddito sia agevole a sopportare; ma per chiarire come il peso sopportato dai contribuenti inglesi che è di lire sterline 28, equivalenti a 2.800 lire italiane al cambio attuale, e del 34% del reddito sia notevolmente più elevato. Col primo ottobre prossimo, il carico dovrà aumentare di 50 milioni di lire sterline all’anno, per pagare gli interessi dovuti all’America; ed è plausibile che il contribuente inglese pretenda che i suoi uomini di governo ottengano dagli alleati il rimborso, non di tutti i crediti, ma di quella minor parte di essi che corrisponde ai debiti che l’Inghilterra non avrebbe contratto in America se non avesse a sua volta dovuto fare prestiti agli alleati.

 

 

Un lettore inglese

 

 

La lettera che qui sopra pubblichiamo espone il pensiero di una larga sezione dell’opinione pubblica inglese. Da quel che si sa, lo stesso gabinetto britannico è diviso in proposito: il ministro della guerra, Sir Laming Worthington Evans, vuole limitare il condono dei debiti alleati alla somma eccedente, quella dovuta agli Stati uniti; il primo ministro Lloyd George sarebbe favorevole alla remissione totale. La nota Balfour accetta i principii del primo ministro; ma giunge alle conclusioni del ministro della guerra. La lettera del nostro corrispondente soffre anch’essa di questa contraddizione. Formalmente egli dà ragione alla nostra tesi, la quale del resto è stata riconosciuta esatta dai ministri inglesi in esplicite dichiarazioni alla camera dei comuni. L’Inghilterra si indebitò con gli Stati uniti per soddisfare ai bisogni suoi e non per passare le somme ricevute agli alleati. Sotto questo aspetto formale, noi abbiamo osservato che la nota Balfour aveva avuto torto di lasciar supporre una connessione inesistente. E lo stesso gabinetto britannico, dinanzi alle critiche americane, ha visto la necessità di spiegare chiaramente non essere mai stata sua intenzione di affermare una connessione che giuridicamente non può essere sostenuta.

 

 

Ma, replica il lettore, questa è la pura superficie legale delle cose. In sostanza, l’Inghilterra non si sarebbe indebitata verso gli Stati uniti, se essa non avesse dovuto fare prestiti agli alleati. Il che è verissimo. Ma, e che per ciò? Perché spingere la teoria della solidarietà solo fino ad un certo punto e poi lasciarla cadere? è vero che l’Inghilterra non si sarebbe indebitata, se gli alleati non avessero battuto alle sue casse; è vero che essa mutuò agli alleati tutto il ricevuto dagli Stati uniti e molto di più. Ma ciò fece, perché non poteva farne a meno; perché la vita del suo impero dipendeva da questi sacrifici; perché Francia ed Italia contribuivano alla comune battaglia col sacrificio di uomini, con la devastazione del territorio e non potevano inoltre contribuire abbastanza beni materiali. Ciò che mancava a noi, dovettero darlo in primo luogo l’Inghilterra ed in secondo luogo gli Stati uniti. Qualunque sia la fonte da cui ricavarono i mezzi per venirci in aiuto, sta di fatto che essi, aiutandoci, salvarono se stessi; che, se Francia ed Italia, abbandonate a sé, fossero state vinte, sarebbe stata sconfitta anche l’Inghilterra. La teoria, apertamente e generosamente ammessa da Lord Balfour nella sua nota, della comunità di lotta per uno scopo comune, non permette soluzione diversa dalla remissione integrale ed incondizionata dei debiti interalleati; ed è da credere che quella teoria sia stata espressa con tanta forza nella nota sovratutto per volontà del primo ministro, desideroso di porre la premessa dalla quale, col tempo, discenderà poi la confutazione della tesi dei suoi colleghi favorevoli al condono parziale.

 

 

Di fronte a questa insanabile e forse voluta contraddizione della nota, hanno scarso peso le considerazioni sulla incapacità del contribuente inglese di sostenere da solo tutto l’onere del debito americano. Le cifre esposte dal lettore dimostrano il suo scrupolo nel fare confronti; né vogliamo muovergli alcun appunto di inesattezza. I confronti statistici tra paesi diversi danno però sempre origine a dubbi; e per la necessaria esattezza dei confronti non è fuor di luogo esporre qualcuno di questi dubbi:

 

 

  • il peso gravante sugli italiani viene forse un po’ diminuito e quello inglese un po’ ingrossato, a causa dell’anno scelto. Nel 1920-21 la Gran Bretagna aveva forse toccato il massimo delle imposte, che oggi sono lassù notevolmente scemate. Mentre il contrario sta avvenendo in Italia;
  • la popolazione non è indicata esattamente per l’Italia, il censimento al primo dicembre 1921 dando, per l’Italia nuova, 38.835.184 abitanti; ossia, in cifra tonda, non più di 37.500.000 per il vecchio regno a cui si riferiscono le cifre delle imposte e del reddito nazionale;
  • le cifre della imposta pagata per abitante e della percentuale dell’imposta al reddito hanno bensì un significato. Ma questo deve essere corretto, tenendo conto della capacità rispettiva a pagare imposte. Ben può darsi che un carico di 300 lire ed una percentuale del 20% per chi ha appena 2.500 lire di reddito siano più gravose di un carico di 28 sterline (2.800 lire) e di una percentuale del 34% per chi ha 81 sterline (8.100 lire) di reddito. La teoria dell’imposta progressiva, a cui sono oramai propense le legislazioni di tutti i paesi, dice appunto che la capacità di pagare imposte cresce col crescere del reddito;
  • per giudicare del peso delle imposte, bisogna anche tener conto del reddito che rimane libero al contribuente, dopo averle pagate;
  • finalmente, non si possono confrontare le lire italiane con le lire sterline inglesi alla parità dei cambi, e neppure al cambio attuale. Il primo è teorico, il secondo risente troppo di circostanze puramente finanziarie. Piuttosto converrebbe tener conto della rispettiva potenza di acquisto della lira e della sterlina; al qual proposito, con molta titubanza e con tutte le riserve, azzardiamo l’ipotesi che una lira sterlina compri tante cose utili in Inghilterra, quante si possono comprare in Italia con 75 lire italiane. Qualche tempo fa il rapporto era forse di 1 a 50; ma, per il rialzo comparativo dei prezzi all’ingrosso in Italia, si può, ripetiamo, oggi, azzardare l’ipotesi che il rapporto sia di 1 a 75. Su questa base, ecco un nostro confronto tra i pesi tributari degli inglesi e degli italiani, relativo all’esercizio in corso 1922-23. Le cifre sono quelle dei preventivi, le quali scemano un po’ il carico italiano, essendo noto che la tesoreria britannica fa previsioni molto più vicine alla realtà dei consuntivi di quanto faccia il tesoro italiano, abituato a tenersi al disotto del vero. Le cifre della popolazione furono grossolanamente riportate alla metà dell’esercizio finanziario in corso. Rimasero invariate le cifre delle finanze locali e del reddito nazionale.

 

 

Italia

Gran Bretagna

milioni di lire

Imposte dirette

3.352,5

28.466,2

Imposte sui trasferimenti

1.646,0

4.968,8

Imposte sui consumi

4.802,5

21.270,0

Imposte di stato

9.801,0

54.705,0

Imposte locali

2.350,1

12.457,5

Totale imposte

12.151,1

67.162,5

Reddito nazionale

60.000,0

262.500,0

Popolazione

38.000.000

43.000.000

Reddito medio per abitante

1.578

6.337

Imposte pagate per abitante:
Imposte di stato

257,8

1.272,2

Imposte locali

61,9

289,7

Totale

319,7

1.561,9

Reddito medio residuo per abitante, dopo pagate le imposte

1.258,3

4.775,1

Percentuale delle imposte al reddito:
Imposte di stato

16,34%

20,07%

Imposte locali

3,92%

4,57%

Totale

20,26%

24,64%

 

 

Il calcolo da noi istituito parte dalle premesse fatte: che il reddito nazionale italiano e quello inglese siano di 60 miliardi di lire italiane e di 3,5 miliardi di lire sterline rispettivamente, così come suppone, fondandosi sulle migliori autorità statistiche, il nostro corrispondente; che la lira sterlina inglese sia giustamente convertita sulla base di 75 lire italiane. Ciò equivale anche a dire che il sacrificio del contribuente italiano pagando 75 lire italiane d’imposte sia equivalente a quello del contribuente inglese quando paga 1 lira sterlina. Se queste premesse sono approssimativamente esatte – e nulla si può pretendere più dell’approssimativo in questa materia opinabile e difficilissima – bisogna concludere che il contribuente italiano nell’esercizio in corso soffre un maggior onere tributario relativo del contribuente britannico. È vero che egli paga solo 319,7 lire, mentre l’inglese paga l’equivalente di L. 1.561,9 ossia cinque volte tanto; ed è vero che la percentuale dell’imposta al reddito è solo del 20,26% contro il 24,64% per il suo compagno. Ma è certamente più duro pagare il 20,26% di 1.578 lire che il 24,64% di 6.337 lire. Dopo pagata l’imposta, al contribuente italiano medio rimangono solo 1.258,3 lire di reddito disponibile per i suoi bisogni privati; mentre al contribuente britannico residua ancora l’equivalente, in sterline, di 4.775,1 lire italiane. La massa di beni privati (cibi, vestiti, casa, bevande, servizi vari) che il medio cittadino britannico può ancora procurarsi è quasi quadrupla di quella che risulta disponibile per il medio cittadino italiano. Il confronto non pretende ad una esattezza assoluta; dicemmo e ripetiamo che si tratta di un puro assaggio in un terreno sconosciuto. Ma le cifre ottenute autorizzano a concludere che, nella impresa comune, in cui il motto regolatore deve essere: il forte aiuta il debole, non certo il contribuente italiano deve essere assoggettato ad un onere nuovo per il pagamento dei debiti americani. Noi siamo sicuri che l’opinione la quale autorevolmente si dice essere quella del primo ministro britannico trionferà tra breve e nulla sarà preteso dall’Inghilterra che ricordi spiacevolmente ai francesi ed agli italiani le lotte combattute per la difesa comune insieme ai nostri gloriosi alleati britannici.

 

 

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