Opera Omnia Luigi Einaudi

Sacrificio fecondo

Tipologia: Paragrafo/Articolo – Data pubblicazione: 31/08/1924

Sacrificio fecondo

«Corriere della Sera», 31 agosto 1924

Cronache economiche e politiche di un trentennio (1893-1925), vol.VII, Einaudi, Torino, 1963, pp. 823-826

 

 

 

La scissione dei tedesco-nazionali ha consentito al Reichstag di approvare con la necessaria maggioranza dei due terzi il trapasso delle ferrovie di stato alla società internazionale incaricata di amministrarle. Bisogna riconoscere che solo un alto sentimento di dovere civico era in grado di far superare ad un partito fondato su un programma nazionalistico la repugnanza a votare i disegni di legge indispensabili per l’attuazione del piano Dawes. Noi dell’intesa non abbiamo forse abbastanza tenuto presente una circostanza capitale: che, se il piano Dawes è un temperamento ragionevole delle norme draconiane del trattato di Versaglia, se esso restituisce alla Germania la sua unità economica, se esso prelude alla prossima evacuazione della Ruhr e, rendendo attuabile la politica di adempimento, consentirà fra qualche anno lo sgombro della Renania e quindi la piena ricostituzione politica del territorio tedesco, tuttavia esso è qualche cosa di più grave, per l’idea di sovranità tedesca, dell’odiatissimo trattato di Versaglia. Questo toglieva territori, assoggettava qualche non rilevante nucleo di tedeschi dell’antico impero alla dominazione straniera, decretava la temporanea occupazione della Renania, obbligava la Germania a riconoscere la propria esclusiva responsabilità nell’origine della guerra, ed a pagare riparazioni per somme indeterminate e spaventose. Ma un principio era salvo: la Germania rimaneva, entro i nuovi confini, sovrana. Doveva adempiere ad obbligazioni penose, era soggetta a pericoli di sanzioni economiche e militari; ma era sempre dessa, la Germania, con i governanti che essa eleggeva, arbitra delle proprie sorti, arbitra di correre fortunose strade. Il piano Dawes addolcisce gli obblighi economici; spiana le vie dell’adempimento. Ma raggiunge il risultato ad un prezzo che moralmente può a molti tedeschi essere sembrato grave: la rinuncia parziale alla piena sovranità dello stato tedesco. D’or innanzi le ferrovie, questo strumento potentissimo, essenziale di vita economica e di difesa militare, non obbediranno più al comando del legislatore tedesco. Esse passano in possesso di una società internazionale, ad amministrare la quale i tedeschi non saranno soli. Gli stranieri vi avranno gran parte, talora preponderante, per bocca di un commissario straniero, qualora si tratti di assicurare il pagamento degli interessi e l’ammortamento degli 11 miliardi di obbligazioni consegnate agli stati creditori. La Banca d’emissione, quest’altro pernio dell’economia e della finanza degli stati moderni, sarà parimenti sottratta all’ingerenza dello stato tedesco. Anche qui amministratori in parte stranieri, commissario straniero. Alcune entrate fiscali, alcool, tabacco, birra, zucchero, dogane sono sottratte alla disponibilità diretta del tesoro tedesco. Questo riceverà solo le eccedenze oltre il fabbisogno per le riparazioni. Sovra tutti, un agente dei pagamenti, straniero, eserciterà una influenza che potrebbesi dir sovrana, sui cambi esteri, sul commercio internazionale, e cioè sulla vita intiera della Germania.

 

 

Tutto ciò era necessario e riuscirà da ultimo benefico alla Germania. La ostinazione di questa a non pagare volontariamente, nonostante i grandi progressi economici, verificatisi dopo la guerra, i quali vengono a poco a poco alla luce, la costringeva a consumare le sue energie in tentativi disastrosi per mascherare la propria ricchezza e la propria potenza di lavoro. Alla lunga, questo mascheramento, questa lotta per impoverire, riusciva ad un impoverimento effettivo, ad una distruzione reale. Vi è grandissima probabilità che l’attuazione leale e piena del piano Dawes metterà in grado la Germania di soddisfare ai suoi obblighi assai più rapidamente di quanto oggi i tedeschi medesimi non credano; e la libererà quindi dai controlli e dalle ingerenze straniere più presto di quanto non sarebbe accaduto colla politica di resistenza e di orgogliosa affermazione della propria sovranità.

 

 

Tuttavia, la ferita all’orgoglio nazionale è profonda; e tanto maggiormente è apprezzabile perciò il voto favorevole alla riforma della costituzione dato da un partito sorto in nome della difesa ad oltranza della sovranità tedesca.

 

 

La Germania può d’altro canto consolarsi della abdicazione sofferta non solo col riflettere alla necessità ed alla utilità di essa; ma col meditare sulle limitazioni e sui vincoli che il principio di sovranità assoluta va oggi universalmente subendo.

 

 

Mentre si firma a Londra il protocollo della nuova pace, si aduna a Ginevra la assemblea della Società delle nazioni. Francia ed Inghilterra si apprestano a mandarvi i loro primi ministri; la Francia vi spedisce inoltre una delegazione imponente per autorità. Tutte le nazioni vi partecipano per mezzo di statisti di prim’ordine. Orbene: gli argomenti discussi dinanzi alla Società delle nazioni implicano rinunce da parte dei singoli stati ai proprii diritti alla sovranità assoluta; sia che si ventilino progetti per vietare agli stati di stabilire imposte con modalità implicanti duplici tassazioni, sia che si tratti, come accadrà stavolta, di limitazioni di armamenti e di mutue garanzie, ossia si vieti agli stati sovrani di armarsi come ritengono più opportuno o si faccia ad essi obbligo di intervenire in determinati casi di violazione della pace.

 

 

La speranza di far regnare un po’ di vera pace dopo gli odii della guerra mondiale riposa tutta sulla possibilità di dare forza sempre maggiore a questi vincoli internazionali, a queste rinunce alla sovranità assoluta degli stati singoli. Sinora, la Germania ha reagito contro il trattato di Versaglia con la resistenza passiva o con l’astuzia. Il piano Dawes sostituisce alla lotta di offesa e di resistenza in materia di riparazioni un sistema di collaborazione internazionale. La Società delle nazioni sarà capace di sostituire agli ordinamenti palesi od occulti, alle cagioni perenni di inquietudine le quali fanno traballare di continuo il suolo della vecchia Europa, qualche piano di collaborazione internazionale? Auguriamoci che, oggi o dimani, il risultato si ottenga; ché solo a questo prezzo la civiltà potrà essere salva. Le nazioni europee non debbono cercare salvezza e grandigia nella esaltazione spasmodica della propria sovrana indipendenza. Il principio della sovranità assoluta porta all’insofferenza delle altre sovranità, al tentativo di impero universale, alla rovina di tutti. Le nazionalità europee tanto più prospereranno e moralmente grandeggeranno quanto più sapranno trovare le vie della coesistenza e della tolleranza reciproca.

 

 

I limiti posti dal riconoscimento dell’esistenza di altre nazioni sono le garanzie migliori della propria sicurezza. Dopo gli anni della crisi postbellica, di esaltazione della vittoria e di preparazione della rivincita, i popoli europei vanno a poco a poco educandosi alla politica dei limiti. Primi i paesi vincitori, Francia ed Inghilterra, assaporarono le amarezze della vittoria. Adesso, la Germania, pur in tanto strepito di generali vinti negatori della sconfitta, di dinastie anelanti al ritorno e di statisti male ammaestrati dall’esperienza, dimostra di avere una maggioranza parlamentare di uomini riflessivi ed amanti più della patria che delle fortune proprie. Sono germi fecondi, che importa non disperdere al vento.

 

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