Scettici e ritardatari della complementare
Tipologia: Paragrafo/Articolo – Data pubblicazione: 02/06/1925
Scettici e ritardatari della complementare
«Corriere della Sera», 2 giugno 1925
Cronache economiche e politiche di un trentennio (1893-1925), vol. VIII, Einaudi, Torino, 1965, pp. 302-305
La proroga di dieci giorni concessa per le denunce dei redditi per l’imposta complementare dà agio ad accennare ad alcuni punti, i quali meritano di essere meditati da ritardatari e da scettici.
I più interessanti fra questi ultimi sono gli amministratori dei comuni, i quali negano che l’addizionale del 20% sull’imposta di stato consentita a partire dal 1926 ai comuni possa indennizzare questi ultimi della perdita dell’imposta di famiglia. A Milano l’imposta di famiglia rende 32 milioni di lire all’anno. Perché il 20% sulla complementare possa dare altrettanto, occorrerebbe che gittasse allo stato ben 160 milioni. Ne siamo ben lontani.
L’argomento non prova nulla. Innanzi tutto, sarebbe assurdo lasciar sussistere due imposte, una di stato e l’altra locale, sullo stesso oggetto, reddito della famiglia, con le stesse regole di progressività, di detrazione di carichi familiari, di passività e di tributi. Due accertamenti diversi, ad opera di uffici diversi, per accertare la medesima verità, sono un non senso. È ragionevole che i comuni chiedano altri compensi transitori; e ragionevolissima fra tutte è la richiesta di venire esonerati da spese di stato, ad essi a torto accollate e di non essere costretti a spendere danari con leggi e decreti d’impero. Ma non sarebbe affatto ragionevole che lo stesso reddito fosse tassato con due imposte diverse. Lo stato ha ragione di fissare un limite alla potestà di sovraimposizione dei comuni, perché la condizione principalissima, assoluta, di buon funzionamento della complementare è la sua tollerabilità. Se i comuni potessero sovrimporre, come parrebbe dalle loro richieste, al 50, al 100%, addio complementare! Morirebbe della stessa sorte che atterrò in passato l’imponibile delle tre vecchie dirette, prima che fosse posto un freno all’imperversare delle sovrimposte. Gli amministratori comunali debbono persuadersi che la salvezza dei bilanci si ha non nell’aumento delle aliquote, ma nella elasticità dell’imponibile. E nessun imponibile è elastico, se le aliquote sono alte.
Il gettito del primo triennio 1925-27 della complementare non darà, del resto, un indizio vero del futuro rendimento dell’imposta. Dovranno passare due o tre triennii prima che l’imposta possa assestarsi e dare un reddito ragionevole. Così accadde di tutte le imposte. O che l’imposta di ricchezza mobile non fruttò il primo anno 30 milioni e non ne frutta oggi 2.500? Se la complementare darà subito 300 milioni, come si calcola, è probabilissimo che alla terza revisione ne dia 1.500 previsti dall’on. De Stefani. E poiché Milano paga una grossa quota delle entrate tributarie italiane, ecco che il 20% finirà per gettare quei 32 milioni circa che si teme di perdere per sempre.
Frattanto, in questi tre primi anni la complementare frutterà forse poco per una causa che deve essere reputata assai vantaggiosa allo stato. È grandissimo infatti il numero dei riscatti dell’imposta patrimoniale eseguiti di questi giorni per usufruire della detrazione del 2% sulla cifra del patrimonio riscattato concessa, in sede di complementare, a chi riscatti entro il 1925. E il numero crescerà, a mano a mano si diffonda la persuasione che il riscatto della patrimoniale, in se stesso convenientissimo per molti perché fruttifero del 6% composto, è ancor più conveniente perché dà diritto a detrarre dal reddito, per tre anni, il 2% del patrimonio, oltre, ben s’intende, l’imposta patrimoniale che si sarebbe pagata, se non si fosse fatto il riscatto. Ci sono dei contribuenti, il cui reddito è in prevalenza di capitale, i quali, grazie al riscatto, per tre anni pagheranno poco o nulla a titolo di complementare.
Così facendo, lo stato ha agito assai saviamente. Ha reso agevoli i primi passi della complementare, rendendo le denunce quasi utilitarie per chi intende fare il riscatto. Incassa enormi somme a causa del riscatto. Sgombra il terreno di una imposta, che l’attuale ministro definì «stupidissima», e che certo soffre di molteplici difetti, ed è ormai antiquata. E si prepara, fra tre anni, un incremento automatico di imponibile per la complementare.
Ai ritardatari, giova consacrare una ovvia riflessione. Trascorso l’ultimo termine delle denunce, a quale lavoro dovranno consacrarsi gli uffici finanziari? L’esperienza della patrimoniale dovrà giovare e gioverà. Nulla indispettì tanto i denuncianti quanto il sapere o forse il solo sospettare che la finanza si preoccupasse a preferenza di rivedere le bucce alle denunce fatte, lasciando in pace coloro che fatte non le avevano. Ho già dimostrato altra volta come l’impressione del pubblico non sia conforme a verità, ché la finanza seppe mietere larga messe tra i non denuncianti. Questa volta, però, converrà evitare di ciò persino le apparenze. Una gran mobilitazione di funzionari si è fatta nei giorni scorsi e continuerà fino al 10 giugno, per raccogliere le denunce. Sarà tecnicamente necessario di adoperarli ancora, per qualche settimana, in un lavoro intensivo di smistamento, primo esame, correzione degli errori evidenti, liquidazione dell’imposta, compilazione dei primi ruoli. I contribuenti denuncianti non si lagnino di questa attenzione particolare; ché le denunce vanno, almeno per la forma, rivedute, per togliere di mezzo gli errori provenienti da imperizia od ignoranza della legge. Ma l’amministrazione delle imposte dirette ci ha avvezzato a tali miracoli di rapidità, che io spero che entro il 30 giugno il grosso del lavoro di revisione e di iscrizione a ruolo sarà finito. In quel momento, le denunce fatte dovrebbero essere, per un po’, dimenticate. Tutto il lavoro dei funzionari dovrebbe concentrarsi sui renitenti. A Milano ci sono 165.000 contribuenti alla tassa di famiglia e solo 50.000 persone avranno fatta entro il 10 giugno la denuncia per la complementare? Si lascino in pace i 50.000 bravi o discreti cittadini; e si vada in cerca dei 115.000 mancanti all’appello. Questo è ciò che l’opinione pubblica attende; questa è una delle condizioni essenziali di successo della complementare in avvenire. Molti, io direi moltissimi dei 115.000 mancanti hanno diritto di non fare alcuna dichiarazione, o sia perché il loro reddito netto continuativo non giunge a 6.000 lire, o sia perché hanno carichi di famiglia o passività che li rendono esenti. Per costoro l’amministrazione sia corriva; tanto più che non val la pena di correre con insistenza dietro alle piccole quote. Ma le indagini non saranno mai troppo diligenti per coloro che, superando ragionevolmente il minimo e non avendo motivi particolari di esenzione da far valere, non si sono fatti vivi. Soltanto dopo avere fatto tutto il possibile per scoprire le terre incognite, sarà conveniente tornare ad esplorare meglio i territori già conosciuti e rivedere le dichiarazioni fatte. Parmi dunque sia interesse dei contribuenti di porsi, nei giorni ancora aperti alla dichiarazione, nel novero dei cittadini ossequenti alla legge.