Opera Omnia Luigi Einaudi

Semplificare i servizi pubblici

Tipologia: Paragrafo/Articolo – Data pubblicazione: 08/09/1919

Semplificare i servizi pubblici

«Corriere della Sera», 8[1] e 23 settembre 1919,[2]

Cronache economiche e politiche di un trentennio (1893-1925), vol. V, Einaudi, Torino, 1961, pp. 416-423

 

 

 

I

 

Gerarchie centrali e servizi periferici

 

L’iniziativa presa dal governo per semplificare la burocrazia è lodevole. Non si sa in verità quale sia il numero d’ordine di queste nuove commissioni, venute dopo altre recentissime il cui scopo non sembra fosse straordinariamente diverso da quello oggi assegnato alle odierne. Ad ogni modo, i ministri hanno bisogno di essere consigliati 1) sulle riforme atte a conseguire la semplificazione dei pubblici servizi, e in particolare il loro rapido ed economico funzionamento; 2) sulle economie, che possono conseguirsi nelle spese di competenza del ministero; 3) sulle riduzioni cui dovrà procedersi nelle varie categorie e nei vari gradi del personale, compilando le nuove tabelle organiche del personale centrale e provinciale dipendente dal ministero, tenuto conto degli ordinamenti di ciascuna amministrazione, dei bisogni di essa e delle semplificazioni che possono introdursi.

 

 

E sta bene. Le commissioni consiglino i ministri, e questi deliberino. Auguriamoci che ai propositi ed ai consigli seguano i fatti e che davvero in un non lungo volger di tempo – il decreto fissa il 30 novembre 1919 alle commissioni speciali ministeriali ed il 31 dicembre alla commissione centrale come termine per presentare le loro proposte – si ottengano le desiderate economie.

 

 

Se non si trova però un qualche rimedio efficace, è lecito nutrire dubbi ragionevoli intorno alla probabilità che le proposte delle commissioni siano per riuscire veramente efficaci, seriamente utili a raggiungere la meta della semplificazione dei servizi.

 

 

Le commissioni speciali per ogni ministero – che sono quelle importanti, poiché la commissione centrale determina soltanto i criteri generali a cui debbono inspirarsi nel loro lavoro quelle speciali e ne coordina il lavoro – come invero sono composte? Dal ministro presidente, dal sottosegretario di stato vice-presidente, da un consigliere di stato, da un consigliere della Corte dei conti, da un direttore generale, da due direttori capi-divisione, da un ragioniere capo, da due capi-sezione, da due primi segretari, due primi ragionieri e due primi archivisti. I primi quattro non conteranno in realtà quasi nulla. I veramente competenti, quelli che conoscono il meccanismo dei servizi, sono gli ultimi dodici.

 

 

Tutti sono rappresentanti della gerarchia centrale. Come è possibile che i capi-sezione ed i capi-divisione si decidano a sacrificare se stessi ed il loro posto, proponendo la abolizione dei gradi di capo-divisione e di capo-sezione? Anche se questi gradi fossero inutili, come per lo più sono, noi non ci possiamo aspettare alcun atto di suicidio da parte degli interessati. Essi sono troppo legati dai vincoli della gerarchia. I primi segretari e primi ragionieri potranno manifestare una opinione diversa da quella dei loro immediati capi gerarchici, ma in tono sommesso e con molta deferenza.

 

 

Sovratutto, ed è questa l’obiezione fondamentale, tutti questi funzionari centrali hanno un interesse solidale, non alla semplificazione, ma alla complicazione dei servizi. I primi segretari aspirano a diventare capi-sezione, i capi-sezione desiderano passare al grado di capi-divisione e questi ultimi attendono il loro turno di direttore generale. Per ottenere l’intento, siccome le morti ed i collocamenti a riposo sono lunghi a venire, essi devono creare il lavoro, moltiplicare le pratiche, trasformare le sezioni in divisioni e le divisioni in direzioni generali. Per far ciò, occorre crescere le ingerenze del ministero negli uffici locali ed esecutivi, imporre per ogni minima determinazione il visto ministeriale, moltiplicare i passacarte, astenersi dall’attribuire ai funzionari inferiori responsabilità proprie, nette, precise, cosicché ogni carta continui a fare i soliti viaggi di andata e ritorno.

 

 

Perché gli uffici locali, perché gli organi esecutivi non hanno i loro rappresentanti nelle singole commissioni? I servizi sono conosciuti alla periferia e non al centro. Per sapere che cosa si può semplificare in una prefettura, in una intendenza, in una agenzia delle imposte, in un provveditorato agli studi, in un ufficio postale occorrono consiglieri di prefettura, segretari di intendenza, agenti delle imposte, provveditori agli studi, ufficiali postali e non direttori generali, capi – sezione e primi segretari del centro, i quali o ignorano quei servizi od hanno interesse a mantenere la propria ingerenza in essi anche quando è inutile.

 

 

Ed il pubblico? Certamente non si può dare una voce al pubblico in generale, ente mal definibile e di solito incompetente. Ma in certi rami, la voce dell’industria e del commercio potrebbe essere utilissima: per le ferrovie, le poste, i telegrafi, i telefoni, del cui disservizio tutti si lagnano e per cui certi capi di ditte commerciali sarebbero capaci di suggerire modificazioni utili.

 

 

Con ciò non si vuol dire che il numero dei componenti le commissioni debba essere aumentato. Sono già troppi i sedici membri attuali. Bastavano assai meno: tre o quattro persone, scelte anche fuori della gerarchia e dei grandi corpi consultivi, vogliose di lavorare, apprezzate personalmente dal ministro per la loro capacità e fermezza, le quali dovessero rapidamente interrogare i rappresentanti della gerarchia centrale e dei servizi locali ed esecutivi: rappresentanti ufficiali e chiunque credesse di avere un’idea da manifestare. Forse in tal modo si sarebbe potuto giungere a qualcosa di concreto e veramente utile. Così come sono composte, le commissioni hanno tutta l’aria di lasciare le cose come stanno, con qualche apparenza di riforma puramente formale.

 

 

II

 

Ridurre i gradi intermedi

 

Le idee intorno alla semplificazione dei servizi nelle pubbliche amministrazioni cominciano a concretarsi. Un disegno di legge presentato dagli on. Nitti e Schanzer propone di abolire una delle due contabilità che oggi separatamente ed in doppio si tengono presso le ragionerie dei singoli ministeri e presso gli uffici della Corte dei conti incaricata di eseguire il riscontro degli atti soggetti a controllo preventivo e la revisione delle contabilità amministrative. D’ora innanzi la Corte dei conti distaccherà un gruppo dei propri funzionari presso i singoli ministeri ed eserciterà il suo riscontro giovandosi delle scritture già esistenti presso i ministeri. Nel tempo stesso la direzione generale del tesoro è esonerata dall’obbligo di tenere una sua propria contabilità – che era la terza del genere e precisamente uguale alle altre due – per la contabilità dei mandati ammessi a pagamento.

 

 

In tal modo tre serie di scritture perfettamente identiche, nelle quali si registrano uno per uno, capitolo per capitolo, e separatamente nel conto della competenza e in quello dei residui, i 400.000 mandati che annualmente si emettono, si fanno chiusure mensili e annuali, si compilano situazioni e progetti, vengono ridotte ad una, con risparmio di tempo, di carta e di personale e con vantaggio dei cittadini, le cui pratiche potranno essere condotte a termine in modo più sollecito. Pare che una riforma di questo genere fosse stata proposta fin dal 1877 da Depretis. Auguriamoci che l’attuale ministro sappia e possa ottenerne l’approvazione rapida dal parlamento; e che la riforma non sia ritardata sino alla futura camera. Perché, anzi, non la si promulga per decreto reale, posto che dei 200 funzionari, che essa metterebbe in libertà, vi è urgente bisogno per liquidare le contabilità della guerra, le pensioni militari e per amministrare i buoni del tesoro?

 

 

C’è del buono anche nel disegno presentato dagli stessi ministri sullo stato economico e giuridico degli impiegati. Le idee migliori contenute, a parer mio, nel decreto sono la riduzione a tre dei gradi delle carriere amministrative: segretario, capo-divisione e direttore generale, il sistema dei ruoli aperti e il sistema delle cointeressenze. Coi ruoli aperti, il segretario, assunto in servizio a 4.000 lire di stipendio oltre il caro-viveri, può giungere, anche se non gode di promozioni, a 9.600 lire al 34esimo anno di servizio. Il capo-divisione, dopo 15 anni di grado, arriva a 12.200 lire. Il direttore generale percepisce 13.200 lire, oltre l’indennità di carica ed oltre il caro-viveri. Questo è il merito del ruolo aperto: di far giungere il funzionario ad uno stipendio sufficiente, anche se non esce dal suo grado. Il metodo della cointeressenza sta nel costituire un fondo colle economie conseguite per assenze non retribuite e per vacanze di posti a cui non siasi in nessun modo provveduto con altro personale, e con metà delle economie conseguibili per riduzioni di posti organici. Il fondo viene ripartito fra i funzionari di ogni riparto in ragione del rendimento effettivo di essi, escludendone quelli che dessero rendimento insufficiente o si rifiutassero di prestare servizio straordinario.

 

 

Io credo che su questa via si possa procedere ancora più innanzi.

 

 

Il tipo della pubblica amministrazione dovrebbe essere questo: alla testa di ogni grande gruppo di servizi un direttore o direttore generale, il quale riparte i servizi tra i segretari o referendari o consiglieri, tutti uguali di nome, e, se diversi di attitudini, incaricati di servizi più o meno importanti. Ognuno dei segretari dovrebbe personalmente sbrigare tutte le pratiche del suo ufficio, sotto la sua responsabilità, senza revisione altrui, salvo casi gravissimi riservati al direttore, senza firme, controfirme, minute. Ogni segretario sia munito di telefono, stenografo, dattilografo, macchine da copiare, di tutto l’apparato necessario a rendere minima la fatica materiale dello scrivere, del redigere. Adunanze collegiali tra i segretari per prendere accordi intorno alle materie comuni. Al direttore stipendio minimo di lire 25.000; ai segretari stipendi progressivi da 8.000 a 25.000 lire. Stenografi, dattilografi e personale dipendente scelti dai segretari tra persone di loro fiducia, avventizi e licenziabili se oziosi o di scarso rendimento. Gli esami da segretari difficili, paragonabili a quelli dei referendari al Consiglio di stato. Concorsi aperti a tutti, con speciale riguardo ai funzionari provinciali, ai quali dovrebbe essere conservato lo stipendio maggiore di 8.000 lire di cui fossero provveduti.

 

 

La riforma proposta è una approssimazione all’ideale, la quale lascia sussistere il grave difetto degli stipendi pubblici italiani, di essere troppo bassi per attirare uomini di vero talento e di grande energia e troppo elevati per la media degli aspiranti. Le agitazioni continue dei pubblici funzionari porterebbero a concludere che gli stipendi attualmente pagati dallo stato siano insufficienti. Chi è costretto a bazzicare per i ministeri sente però di cifre sbalorditive intorno al numero dei concorrenti: per pochi posti decine di concorrenti; quando i posti sono decine i concorrenti sono centinaia e migliaia. Fatto notevole, ritornano a comparire i concorrenti dell’alta Italia anche ai posti della pubblica sicurezza, che sino a poco tempo fa sembravano abbandonati ai meridionali. Posso ingannarmi, ma il fatto sembra l’indice di attrattive insospettate degli impieghi e degli stipendi pubblici per la media dei giovani appartenenti alla borghesia italiana. Fra qualche anno assisteremo ad una nuova pressione dei giovani impiegati per trovare sfogo all’insù nella carriera, con nuove moltiplicazioni di posti direttivi.

 

 

Il movimento comincia fin d’ora. La soppressione dei posti di capi-sezione e di vice-direttore generale è stata accolta con abbastanza filosofia dagli interessati, in primo luogo perché oggi temporaneamente conservano, se non il nome, le funzioni di cui erano incaricati – circostanza la quale toglie alla riforma quasi tutto il suo valore morale e pratico – ed in secondo luogo perché ognuno di essi spera di diventare presto capo-divisione o direttore generale. In ogni ministero si stanno cercando i motivi per cui le divisioni e le direzioni generali possano sdoppiarsi o frazionarsi in tre o quattro, allo scopo di promuovere al grado superiore i capi-sezione ed i capi-divisione destinati a scomparire.

 

 

Il movimento è pericoloso. Ogni servizio ha una sua unità logica, organica, la quale non si rompe senza danno gravissimo per l’amministrazione. Creare due direzioni generali solo per poter promuovere a direttore generale il vice-direttore generale soppresso, quando il servizio è unico è danno grave per l’amministrazione e per il pubblico. Oggi ogni direzione generale è una specie di governo, la quale corrisponde diplomaticamente con le altre direzioni generali. È più difficile far passare una carta dall’una all’altra direzione generale dello stesso ministero che spedire una lettera alla Nuova Zelanda ed ottenere la risposta. L’interessato, che oggi, bene o male, deve fare una pratica sola, dovrebbe subire domani due vie crucis solo perché è parso comodo sdoppiare un servizio unico per promuovere un funzionario.

 

 

Importa correre ai ripari subito. La commissione centrale per la semplificazione dei servizi, che deve di questi giorni fissare al ministero del tesoro le norme fondamentali le quali dovranno servire di guida alle commissioni ministeriali, dovrebbe, tra gli altri, porre questi principii:

 

 

  • Ogni direttore generale ed ogni capo-divisione, il quale proponga o non dia parere contrario allo sdoppiamento della sua direzione generale o della sua divisione sia senz’altro compreso tra il novero di quelli che, a mente dell’articolo 60 del disegno di legge sullo stato economico e giuridico, meno rispondono alle esigenze dell’amministrazione e sia collocato d’uscio a riposo o dispensato dal servizio. È la più mite delle sanzioni a cui deve essere sottoposto un alto funzionario, il quale si dichiara da sé impari al suo grado e vuole cagionare una notevole spesa ed un grave danno allo stato.

 

 

  • Ogni funzionario facente parte delle commissioni di semplificazione o ad esso aggregato o chiamato a testimoniare, il quale non sia in grado di proporre una efficace, anche piccola, semplificazione di servizio o riduzione di organico, sia contrassegnato con una nota di demerito e subisca un ritardo nelle promozioni. Per i gradi più elevati, da capo-divisione in su, si può giungere sino a negare la gratificazione di fine d’anno, alla multa, ed eventualmente, nei casi più gravi, al collocamento a riposo. Non è possibile ammettere che si sia percorsa, con gli occhi aperti, tutta una carriera e non si sia scoperta la maniera di semplificare o far rendere di più i servizi.

 

 

Ho visto con dispiacere che alcune categorie od ordini di funzionari romani si sono rifiutati di apportare il loro concorso all’opera di semplificazione che il ministero attuale vorrebbe compiere. Ho criticato il modo con cui le commissioni di semplificazione sono state composte; e mi auguro vivamente che si trovi il modo di farvi entrare i funzionari provinciali ed esecutivi. Ma i funzionari tutti debbono profittare dell’occasione fornita dai ministri. Essi che sanno hanno il dovere morale di indicare i mezzi di semplificazione, di ridurre i costi. È questa la sola via per ottenere reali economie e per consentire ragguardevoli aumenti di stipendio. Se poi i ministri non vorranno ascoltare le voci ragionate dei competenti, peggio per essi. I funzionari avranno conquistato il diritto di portare dinanzi all’opinione pubblica il loro problema, che è problema di tutti, in modo così chiaro e convincente come non fu mai. Ed un governo si troverà, il quale farà sul serio.

 



[1] Con il titolo Semplificare sul serio [ndr].

[2] Con il titolo Tentativi e contrasti per la semplificazione dei servizi pubblici [ndr].

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