Opera Omnia Luigi Einaudi

Sono in troppi?

Tipologia: Paragrafo/Articolo – Data pubblicazione: 07/03/1905

Sono in troppi?

«Corriere della Sera», 7 marzo[1] 1905

Cronache economiche e politiche di un trentennio (1893-1925), vol. II, Einaudi, Torino, 1959, pp. 199-202

 

 

Il comitato d’agitazione dei ferrovieri ha fatto, in un proclama in difesa dell’ostruzionismo, una scoperta assai interessante: che cioè l’ostruzionismo ha dimostrato a luce meridiana come solo l’abnegazione continua e lo spirito di sacrificio dei ferrovieri abbiano permesso il regolare funzionamento di un servizio tanto che, appena i regolamenti fossero applicati, richiederebbe un personale molto più numeroso di quello attuale. Le società ferroviarie, estorcendo un lavoro estenuante ai ferrovieri, avrebbero compiuto il miracolo di far andare innanzi le ferrovie con un numero di agenti di gran lunga inferiore a quello che sarebbe necessario per la regolarità e la sicurezza del servizio.

 

 

In verità, a sentir di queste cose, si rimane stupiti. A chi, viaggiando all’estero, si è abituato a vedere stazioni quasi deserte di quell’innumerevole stuolo di agenti, controllori, vicecontrollori, capi e sottocapi, ecc. ecc., che ingombrano le nostre stazioni, ed a non accorgersi quasi dell’esistenza del personale viaggiante, fa una curiosa impressione sentire che i ferrovieri in Italia sono troppo pochi ed, a voler far le cose per bene, dovrebbero essere aumentati. Non c’è dubbio che è giusta l’impressione del pubblico viaggiante e sono cervellotiche le affermazioni dei comitati ferroviari. Apriamo la relazione ministeriale sul disegno di legge per l’esercizio di stato e guardiamo all’ultima appendice, dove sono contenuti dati statistici di confronto fra le principali linee ferroviarie dell’Europa nel settennio 1896-1912. Su di essi abbiamo costruito, trascurando le frazioni troppo piccole, una tabellina suggestiva:

 

 

Ferrovie Coefficiente di esercizio, ossia rapporto percentuale fra le spese totali ed il prodotto lordo % della spesa del personale in confronto alla spesa totale di esercizio Spesa di personale per treno-chilometro
Rete Adriatica  

68

61

1,86

Rete Mediterranea  

71

63

2,03

Rete Sicula  

88

58

1,53

Ferr. austriache dello stato 

68

54

1,64

Ferr. bavaresi dello stato  

74

50

1,40

Ferr. sassoni dello stato  

71

53

1,97

Ferr. Wurtemberg dello stato

62

44

1,23

Ferr. badesi dello stato

70

55

1,73

Ferr. belghe dello stato

61

58

1,25

Ferr. francesi dello stato

71

43

0,93

Parigi – Lione – Mediterraneo

48

53

1,39

Compagnia francese dell’Est

54

60

1,37

Compagnia d’Orleans

47

45

1,03

Rete del Gottardo

55

45

1,53

 

 

Sappiamo benissimo che le statistiche ferroviarie sono assai difficili da maneggiare; e che occorrerebbe tener conto di molti fattori prima di pronunciare un giudizio esauriente. Ci limiteremo perciò ad affermare che in Italia il coefficiente di esercizio, ossia le spese in rapporto ai prodotti, non è uno dei meno elevati d’Europa. Vi contribuiscono molte circostanze: la infelice conformazione geografica della penisola, il caro prezzo dei carboni, le molte linee passive, ecc. Vi ha la sua parte anche la spesa del personale; poiché noi siamo, fra quelli citati, sicuramente il paese dove in media è più alta la spesa del personale in confronto alle spese totali; e dove in media è più elevata la spesa di personale per treno-chilometro. Il fatto incontrastato che in Italia si spende molto per il personale non dimostra che di personale ve n’è troppo poco ed importa ancora crescerne la spesa. Se la logica non mente, vuol dire invece che di ferrovieri ce ne sono troppi ed è possibile scemarne il numero. Né sarebbe opportuno scemarlo soltanto nell’interesse dello stato esercente le ferrovie, quantunque questo sarebbe già un vantaggio non ispregevole, dato che stato e contribuenti sono tutt’uno. Tutti – ferrovieri, pubblico e stato – debbono avere la loro parte nei benefici della diminuzione del numero degli agenti. Il comitato d’agitazione ed i socialisti non hanno pensato che il progetto Tedesco conteneva altri punti meritevoli di una assai attenta considerazione: fra i quali sono da ricordare gli articoli 58 e 59 sulla cointeressenza nelle economie e sulla partecipazione agli utili. A noi sembra che in essi sia sancito un principio altamente moderno; garantita la posizione del ferroviere, data a lui la sicurezza di una carriera progressiva – sicurezza che nessun operaio dell’industria privata ha -, assicurata la sua vecchiaia e la sorte della sua famiglia, esclusi i licenziamenti del personale esistente, sia lasciato a questo personale stesso il compito di migliorare la sua posizione.

 

 

Oggi sono 100 agenti destinati ad un servizio; domani quei 100 agenti si riducono, non per licenziamenti, ma per morti, promozioni o giubilazioni, a 95. Se questi 95 si sentono di compiere con eguale efficacia il servizio, perché ad essi non verrebbe data una parte del beneficio che l’amministrazione risentirà per il diminuito numero del personale? La tendenza dell’industria moderna è nel senso di impiegare un numero sempre più piccolo di persone a fornire quantità crescenti di servizi. Pur troppo il principio del minimo mezzo di rado si applica nelle amministrazioni dello stato, nelle quali invece ogni giorno cresce la burocrazia e questa moltiplica un lavoro inutile, fastidioso e seccante per il pubblico, allo scopo di trovare un pretesto alla propria esistenza. Anche nell’esercizio di stato delle ferrovie uno dei pericoli massimi è che ben presto le ferrovie diventino, malgrado ogni autonomia, il ricovero di un personale sovrabbondante ognora più numeroso per le raccomandazioni di deputati, di senatori e di grandi elettori. Se ben si guarda, il pericolo non esiste solo per il contribuente; esiste pure per i ferrovieri, e forse ancor più grave. Un’industria passiva per le eccessive spese di personale non può dare ad esso larghi guadagni. Saranno molti cani affamati attorno ad un osso. Perciò a noi sembra che i ferrovieri, – invece di lamentarsi con alte strida di essere in troppo pochi, facendo ridere il pubblico, – dovrebbero apparecchiarsi a trarre loro pro dalla cointeressenza nelle economie e dalla partecipazione ai profitti. Dalla cointeressenza nelle economie che l’art. 58 assegna agli agenti che riescono, senza eccedere i limiti delle ore di lavoro fissate dai regolamenti, a disimpegnare il servizio con risparmio nelle spese. Dai premi speciali conferiti al personale che con la sua opera diretta abbia contribuito a migliorare i risultati dell’esercizio, specialmente sulle ferrovie a servizio economico. Dalla partecipazione agli utili che l’art. 59 stabilisce nella misura di un terzo della differenza fra il coefficiente di esercizio previsto e il coefficiente effettivamente verificatosi, tenuto conto della spesa del carbone.

 

 

Certo, le cointeressenze ed i premi e le partecipazioni sono stabiliti con criteri alquanto complicati ed in parte incerti. D’altro canto è difficilissimo in una industria complicatissima applicare formulette semplici da contentare anche quelli che non conoscono nulla della contabilità ferroviaria. I ferrovieri potranno sempre mandare nei consigli del personale, eletti esclusivamente da essi e nella corte di arbitrato, i migliori e più colti del loro corpo a rappresentarne gli interessi. In quale stato una massa così considerevole di operai è stata chiamata a lavorare al proprio elevamento economico con altrettanta indipendenza e con fiducia così larga?

 

 



[1] Con il titolo Sono in troppi. [ndr]

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