Sulla liquidazione del fondo industrie meccaniche (F.I.M.)
Tipologia: Paragrafo/Articolo – Data pubblicazione: 01/01/1956
Sulla liquidazione del fondo industrie meccaniche (F.I.M.)
Lo scrittoio del Presidente (1948-1955), Einaudi, Torino, 1956, pp. 350-352
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Il fatto che una legge dichiari che un ente è messo in liquidazione, non vuol dire affatto che quell’ente sia destinato ad essere liquidato. Quasi sempre invece l’atto legislativo, che mette in liquidazione qualche cosa, significa la persistenza a tempo indefinito di quel qualche cosa. L’ente sarà o non sarà liquidato, a seconda della persona o gruppo di persone incaricate della liquidazione.
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Trattasi di una psicologia, quella del liquidatore, assai difficile ad acquistare. Sembra l’avesse Stringher, il quale a dritto o a torto, a vendendo o svendendo, liquidò mezze le case nuove di Roma, correndo il rischio di critiche da parte di chi non arrivava in tempo ad arricchirsi acquistando a buon mercato le case liquidate, ma risanando la circolazione, che era l’effetto sostanziale a cui lo Stringher intendeva.
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Chi liquida ha sempre dietro di sé la cagnara urlante di coloro i quali gridano che si è svenduto a prezzi rotti, che si è malversato la cosa pubblica, che si è danneggiato l’erario dello stato. Non è meraviglia che, dal 1945 in qua, l’I.R.I. non abbia venduto quasi nulla, neanche le attività più lontane da qualsiasi fine pubblico, e non è meraviglia che i trecento, o quattrocento o cinquecento enti o società dipendenti dallo stato siano sempre lì a mangiare a ufo i denari dei contribuenti. Ci vuole molto coraggio morale a liquidare ed è questa una specie di coraggio che, se non lo si ha, nessuno se lo può dare.
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La soluzione che pare sia stata adottata per il F.I.M. non offre nessuna garanzia di liquidazione; anzi con la premessa di due delegati dei lavoratori offre la sicurezza massima che la liquidazione non avrà luogo mai.
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Non vale dire che i miliardi, dieci o venti che siano, dovranno servire per l’ammodernamento degli impianti. Ci penseranno funzionari, impiegati e maestranze a dimostrare che tutte le aziende, e certamente quelle più grosse, meritano di essere ammodernate, ossia di seguitare a pompare denari dello stato. Quando una baracca è mal montata, dare degli altri denari perché si metta in sesto è una brutta farsa. L’unico rimedio per costringere gli incapaci a sgombrare il terreno e lasciare il posto ad altri, è quello di far mancare loro il denaro. La condizione essenziale per i cosidetti ammodernamenti, riconversioni, ricostruzioni è il rischio del fallimento: tutto il resto sono chiacchiere.
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Vi è certamente il punto di vista politico dal quale gli uomini politici non possono fare astrazione. Qui la domanda si presenta molto semplice: il soccorso a fondo perduto di dieci miliardi oggi, ed inevitabilmente di altri miliardi in avvenire, dato ad aziende dissestate, giova a mantenere una certa tranquillità e ad impiegare un dato numero di operai che altrimenti costituirebbero focolai di inquietudine sociale?
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La risposta è affermativa per un breve periodo: l’elemosina sarà , come in passato, destinata a pagare una certa massa operaia che altrimenti sarebbe disoccupata.
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La risposta però è altrettanto sicuramente negativa per un periodo lungo: far fare del lavoro inutile, produrre beni a costi alti, ha un significato preciso, e cioè quello di produr poco. S’intende poco in confronto di quel di più che il capitale sprecato avrebbe potuto produrre se fosse stato impiegato in maniera economica. Ma produrre poco vuol dire creare miseria e disoccupazione. Che altro è la miseria fuorché avere poco da mangiare, poco da vestire, poco da calzare?
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Il lasso di tempo che intercorre tra il giugno 1950 e le elezioni generali politiche le quali, al più tardi, dovranno aver luogo nella primavera del 1953, si deve definire breve o lungo?
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Se si definisce breve, allora l’elemosina può essere politicamente giustificata.
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Se si definisce lungo, ciò vuol dire che prima della primavera del 1953 si saranno manifestati i risultati di miseria e di disoccupazione indicati sopra, ed in tal caso manifesti sono i pericoli politici del provvedimento.
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28 giugno 1950.