Opera Omnia Luigi Einaudi

Tariffe e costo d’esercizio nelle nuove convenzioni ferroviarie

Tipologia: Paragrafo/Articolo – Data pubblicazione: 16/10/1903

Tariffe e costo d’esercizio nelle nuove convenzioni ferroviarie

«Corriere della Sera», 16 ottobre 1903

Cronache economiche e politiche di un trentennio (1893-1925), vol. II, Einaudi, Torino, 1959, pp. 88-91

 

 

Lo schema di nuove convenzioni ferroviarie, ideato dal ministero dei lavori pubblici, malgrado il suo carattere incerto e quasi provvisorio, ha una tale importanza per la vita economica del paese da meritare la più viva attenzione da parte del pubblico. Contro le convenzioni, fu detto che esse erano atte a diminuire le iniziative delle società esercenti per ciò che riguarda le tariffe e l’esercizio. È questo in realtà uno dei punti principali delle convenzioni, senza una adatta risoluzione del quale è vano sperare che le ferrovie vadano bene. Ed è lecito criticare con qualche fondamento le proposte del governo, in quanto non è la prima volta che si espone da fonti autorevoli, quale sarebbe il succo delle idee dell’on. Balenzano: concedere l’esercizio delle ferrovie ad un prezzo fisso a società private, riservando allo stato la direzione dell’azienda ed ogni libertà di movimento rispetto alle tariffe, alla velocità ed al numero dei treni, ecc. Invece di due padroni, come si hanno adesso, dei quali l’uno stiracchia in un senso e l’altro tira in senso opposto, si avrebbe un solo padrone, lo stato, il quale darebbe in appalto l’esercizio ad un canone fisso. Invece della divisione attuale del prodotto lordo in due parti, divisione che impedisce, a detta di tutti i competenti, le riduzioni di tariffe, si darebbe tutto il prodotto lordo allo stato; il quale potrebbe così a piacimento ridurre le tariffe per accrescere il traffico, senza dover temere opposizione alcuna da parte delle società, limitate, per contratto, a ricevere una somma determinata, indipendente dall’altezza delle tariffe.

 

 

Precisando maggiormente e lasciando da parte i punti secondari, le società riceverebbero:

 

 

  • a) un interesse minimo garantito del 3,50% sul capitale sociale;
  • b) il rimborso delle spese d’esercizio, calcolate con una somma a corpo sulle spese dell’ultimo quinquennio delle attuali convenzioni;
  • c) un corrispettivo fisso per ogni tonnellata-chilometro di aumento del costo del servizio in confronto dell’attuale ordinamento.

 

 

Lo schema presta il fianco a molteplici dubbi. Non è presumibile che società industriali si contentino dell’interesse minimo del 3,50% garantito dallo stato. Il progetto medesimo suppone, come è naturale, che le società riescano ad aumentare l’utile e provvede a destinare il 50% degli utili al di sopra del 5% e l’80% degli utili al di sopra del 6,50% metà allo stato e metà al personale. Come faranno le società ad aumentare gli utili? L’unico mezzo possibile sarà di spendere meno della somma fissa assegnata dalle convenzioni come rimborso delle spese di esercizio. Le società che adesso spendono 100 e che riceverebbero una somma equivalente per rimborso delle spese di esercizio, dovrebbero cercare di spendere 95, o 90, od 85 per accrescere colla differenza i proprii utili al disopra del 3,50% di interesse minimo. Non si vede nessun altro mezzo con cui le società potrebbero accrescere i proprii utili, perché ad esse sarebbe negata qualsiasi partecipazione al prodotto lordo e qualsiasi ingerenza sulle tariffe. Esse di loro iniziativa non potrebbero ridurre le tariffe, quando la riduzione delle tariffe volesse dire aumento dei traffici e dei profitti netti; e non sarebbero nemmeno interessate a ridurle, perché la riduzione delle tariffe vorrebbe bensì dire aumento di traffico; ma non vorrebbe dire necessariamente aumento di profitti netti per le società, le quali verrebbero al più compensate, come più sopra in lettera c, dell’aumento di spese correlativo ad ogni espansione del traffico.

 

 

Rispetto alle società verrebbe adunque abolito uno dei due metodi che soli si conoscono per accrescere i profitti delle aziende industriali: le riduzioni nei prezzi di vendita per accrescere il consumo. Rimarrebbe l’altro, notevolissimo bensì, ma difficile ad essere maneggiato da solo: la riduzione dei costi. Diciamo difficile perché in verità dubitiamo che si possa parlare di riduzione dei costi in senso assoluto nelle ferrovie moderne. La riduzione dei costi è quasi sempre tutta relativa e consiste nello spendere un’ugual somma o di poco cresciuta per un traffico maggiore. Ma noi vedemmo che le società appaltatrici non avrebbero nessuna azione per aumentare il traffico riducendo le tariffe.

 

 

Questa azione dovrebbe spettare allo stato: il quale, padrone assoluto del prodotto lordo e delle tariffe, potrebbe benissimo ridurle per aumentare i trasporti e con ciò crescere i suoi guadagni. Senonché anche qui ci si affacciano imperiosi i dubbi. Ridurre le tariffe è sempre cosa aleatoria, incerto essendo l’aumento dei traffici, mentre certo sarebbe l’aumento della spesa. Ricordiamo ciò che ebbe a dire l’on. Giusso alla camera nello scorso giugno: essere sempre stato il governo il più fiero oppositore delle riduzioni di tariffe per la tema di veder scemata la propria quota del prodotto lordo. Ora, se ciò accadeva in passato, a fortiori accadrà in avvenire. Se ora lo stato teme di perdere parte della propria quota (circa il 30%) del prodotto lordo, quanto più grande non sarà in futuro il suo timore, quando sarà per lui in gioco tutto il prodotto lordo? e quando per giunta ogni diminuzione di tariffe, mentre gli rende incerto il reddito suo, accresce in modo certo le sue spese, per il corrispettivo fisso in più che dovrà pagare, per tonnellata-chilometro, alle società esercenti?

 

 

In conclusione, i dubbi sono forti di avere da un lato società ancora meno interessate all’aumento dei traffici di quanto non siano adesso e dall’altro lato uno stato ancora più timoroso di ridurre le tariffe di quanto già non sia. Dubbi che traggono origine da un errore fondamentale insito nelle convenzioni attuali e nel disegno di future convenzioni: quello di credere che un’azienda industriale possa essere scissa in due parti: entrate e spese e che sia possibile attribuire ad un ente l’onere delle spese senza dargli nel tempo stesso le entrate che sono il correlativo di quelle spese. Per quanto si faccia su questa via, non si riuscirà mai che a creazioni ibride senza vitalità e senza energia di progresso. Quando si voglia lasciare l’esercizio delle ferrovie a società private, non è possibile contemporaneamente togliere loro ogni iniziativa ed ogni responsabilità nella direzione dell’azienda. Se una via di mezzo è possibile per la proprietà delle ferrovie, non è facile immaginarne una soddisfacente per lo esercizio; ed il compromesso immaginato dall’on. Balenzano o dai suoi consiglieri ci pare incerto sovratutto dal punto di vista dell’interesse del pubblico che viaggia e trasporta.

 

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