Opera Omnia Luigi Einaudi

Tema per gli storici dell’economia

Tipologia: Paragrafo/Articolo – Data pubblicazione: 01/12/1936

Tema per gli storici dell’economia

«Rivista di storia economica», dicembre 1936, pp. 338-340

 

 

 

«Il suggerimento di temi di cui si ritenga più proficua e più urgente la trattazione», fu nel quaderno ultimo segnalato da Gino Luzzatto tra gli uffici più utili della nostra rivista.

 

 

Seguo senz’altro il consiglio suggerendo il seguente tema: È variata nel dopo guerra la struttura della bilancia del dare e dell’avere internazionale?

 

 

1. Leggo in una dotta rassegna dello Spinedi, ricca, come le altre del medesimo autore, di lampeggiamenti suggestivi: La compensazione [fra il dare e l’avere nei conti internazionali] si iniziava [nell’anteguerra] sul mercato delle merci, dei prodotti, delle derrate e si chiudeva in esso: era un circuito che si realizzava prevalentemente se non esclusivamente nel movimento mercantile. Lo scambio di titoli rappresentativi di quote parti di proprietà di aziende societarie, o di crediti più o meno ipotecari e con una regolazione giuridica tipicizzata, entrava in queste compensazioni prebelliche per una parte trascurabile e non decisiva.

 

 

E la ragione ci sembra chiara: mancavano i titoli di credito o circolazione; e non esistevano che in piccolo numero le quotazioni plurime, contemporanee in diverse borse nazionali (Parigi, Londra, Berlino, Roma, Bruxelles, Amsterdam, allora non poteva ancora annoverarsi New York) di titoli sui quali si potesse effettuare l’arbitraggio d’investimento fra paese e paese. Le cronache finanziarie del tempo (ricordiamo: Le marché financier di Arthur Raffalovich dal 1891 al 1914; Le Rentier di Neymarch; le cronache dello Economist di Londra; le cronache dei Conrad’s Iahrbucher ecc.) confortano, come tutti sanno, questa affermazione (Francesco Spinedi, Traguardi, in Rassegna Monetaria, ottobre – novembre 1936, pag. 512 – 513).

 

 

2. La citazione avrebbe potuto cominciare prima e finire dopo; ma poiché io non voglio entrare nel vivo dell’argomento, ma solo proporre un tema di studio, rinvio al testo citato e dico: troppe volte, leggendo, mi tocca di sbalordire apprendendo che un tempo – ed il tempo è, a seconda dei paesi, l’ante 1914, o l’ante 1917, o l’ante 1922, o l’ante 1934 ecc. ecc. -accadeva o non accadeva questo o quest’altro fatto. Forse, invecchiando, comincio a confondere le date; ma ad ogni volta provo l’istinto di ribattere: se si tratta di fatti vecchi come Abacucco!

 

 

Per fortuna l’altro istinto del fuori le prove! trattiene quello del ribattere d’impeto; e perciò mi ristringo a constatare che Spinedi ha posto un magnifico tema di studio: le variazioni degli elementi del dare e dell’avere negli scambi internazionali. Quale, allora, e cioè prima della data scelta ed oggi, l’importanza rispettiva delle merci e dei titoli? quale il volume dei titoli di credito a circolazione mondiale? quale la frequenza delle quotazioni plurime e degli arbitraggi su titoli? Spinedi dice che si tratta di cose che tutti sanno. Confesso di non saperne niente, almeno niente di preciso, di dimostrato, con pienezza di dati, per i singoli paesi, europei ed americani, metropolitani e coloniali, vecchi e giovani per una serie di anni sufficientemente lunga; e dubito di avere molti, sia pure silenziosamente vergognosi, consorti in ignoranza.

 

 

3. Se assai importa conoscere il passato e connetterlo col presente per avere guida sicura all’operare, importa assaissimo spiegarlo. C’è, ad esempio, novità massima il capitale bancario apolide, che il collega Federico Ricci assai efficacemente paragonò in un discorso al senato a quei grossi cannoni del romanzo di Victor Hugo, i quali, rotti i canapi, paurosamente ad ogni ondata si sbandano sulla tolda e schiacciano uomini, guastano or degni ed alberi e minacciano di far affondare la nave. Così gli odierni capitali privi di cittadinanza ad ogni stormir di fronde fuggono dalla Francia in Inghilterra, dall’Inghilterra negli Stati Uniti e poi ritornano in Francia e di lì si salvano nella Svizzera e poi nell’Olanda e di nuovo negli Stati Uniti e ad ogni fuga cagionano disastri nelle borse, guastano i corsi delle monete, fanno sussultar prezzi e redditi, provocano malcontenti e sommosse e rivoluzioni politiche. Fatto gigante e nuovo; per cui si invocano disciplina e freni internazionali ad evitare che la nave del mondo coli a fondo.

 

 

Anche qui, lasciando stare il gigante e tenendomi al nuovo, mi chiedo gli ebrei non sono mai fuggiti, con l’oro e le gemme cuciti nelle zimarre, da paese a paese in cerca di ospitalità? ed i cittadini romani delle Gallie e dell’Italia non sono mai disperatamente fuggiti dinnanzi ai barbari e Don Abbondio non ha cercato, invano protestando Perpetua, di nascondere il suo tesoretto sotto il fico per salvarlo dai lanzichenecchi? Cercar rimedi di disciplina internazionale contro i capitali apolidi non è come, per spazzare il pavimento, prendere la scopa dalla parte opposta al manico? Fugge chi ha paura; e per toglier la voglia di fuggire, innanzitutto bisogna togliere le cause della paura.

 

 

Lo storico, che invoco, dovrà ricercare le cagioni della pazza paura, la quale induce tanti risparmiatori a percorrere senza tregua, come l’ebreo errante, le vie del mondo, ed il rimedio apparirà ovvio. Forse la ricerca storica dimostrerà che non i fatti economici sono mutati dopo il momento da che in ogni paese si fa incominciare la nuova epoca economica; ma invece mutati altri fattori politici religiosi sentimentali. I fatti economici, poveri untorelli, cercano alla meglio di adattarsi, di farsi piccoli, di passare inosservati framezzo all’urto di forze tanto più potenti e prepotenti.

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