Opera Omnia Luigi Einaudi

Tentativi di salvataggio

Tipologia: Paragrafo/Articolo – Data pubblicazione: 28/08/1901

Tentativi di salvataggio

«La Stampa», 28 agosto 10 settembre[1] e 15 ottobre[2] 1901

Cronache economiche e politiche di un trentennio (1893-1925), Vol. I, Einaudi, Torino, 1959, pp. 422-430

 

 

I

 

Si annuncia imminente la pubblicazione dell’inchiesta sugli uffici municipali di Napoli. Grossi fatti sembra siano venuti alla luce e le accuse di irregolarità, corruzioni, favoritismi pare siano risultate in gran parte provate.

 

 

Mentre però la commissione d’inchiesta è prossima a rendere di pubblica ragione i fatti assodati durante le sue indagini a carico di talune fra le amministrazioni passate di Napoli, strane notizie vengono pubblicate su per i giornali.

 

 

Si dice, ad esempio, che Saredo si sia recato a Roma per manifestare al ministro degli interni tutto il suo disgusto per un tentativo di organizzare un movimento elettorale contrario affatto agli scopi della commissione d’inchiesta; e, quel che è peggio, di organizzare questo movimento millantando un aiuto da parte del governo che si ha ragione di credere non sia stato mai né dato e neppure promesso.

 

 

L’on. Rosano, che del movimento contro l’opera della commissione d’inchiesta era stato indicato come l’iniziatore, ha smentito l’accusa fattagli; ma l’ha fatto con tali restrizioni[3] da legittimare il dubbio che contro le risultanze dell’inchiesta – necessariamente in gran parte personali – si voglia condurre una campagna sconveniente.

 

 

Di questi giorni infatti sui giornali napoletani si leggono articoli di violenza strana contro il senatore Saredo ed i suoi colleghi. La commissione viene accusata di sobillare e di diffamare non solo, ma di rinviare ogni discolpa degli amministratori imputati. L’onorevole Saredo vien presentato sotto le spoglie di un Silla che non compie un’inchiesta spassionata ma compila liste di proscrizione.

 

 

Ci pare che basti. Noi siamo lontani da Napoli e non possediamo tutti quegli elementi di fatto che sarebbero necessari per formarci un giudizio sicuro. Ma dal succedersi di notizie e di violenti invettive rimaniamo dolorosamente impressionati.

 

 

Così dunque le classi dirigenti napoletane mostrano di comprendere il loro dovere nel momento in cui potrebbe aprirsi un’era nuova di vita economicamente rigogliosa e moralmente sana nella loro città! Non sono valse a nulla le campagne combattute da un gruppo di giovani socialisti, a cui certo non si può negare il vanto di un grande coraggio civile, nemmeno a dimostrare alle classi dirigenti essere loro strettissimo dovere separare nettamente la propria dalla causa dei prevaricatori se non volevano essere travolte nella medesima condanna?

 

 

A sentire le notizie riferite più sopra di agitazioni elettorali e di svisamenti partigiani dell’opera della commissione inquirente, un triste dubbio ci assale: che Napoli non sia ancor pronta a tornare a governarsi da se stessa e che la fine dei poteri della commissione d’inchiesta e del regio commissario voglia unicamente dire il ritorno agli antichi sistemi ed agli antichi uomini. Muterà forse la bandiera esteriore politica, ma la sostanza non muterà.

 

 

È duro confessarlo; ma il regime eccezionale non è ancora durato abbastanza. Non ancora le vecchie clientele si sono scomposte; non sono rotti i fili della rete affaristica che avvolgeva la nobile capitale del mezzogiorno; ancora vivono i circoli ed i circoletti di politicanti che dalle elezioni e dallo sfruttamento della vita pubblica traevano alimento. Per qualche mese essi si sono veduti costretti a digiunare; ma il digiuno non si è prolungato tanto da indurli a morire od a cambiar mestiere.

 

 

Perciò un prolungamento – per un anno o due – dei poteri del regio commissario sarebbe provvidenziale. Le clientele, non potendo vivere a mezzo del denaro pubblico, si dovrebbero sfasciare; i politicanti, per mancanza di materia elettorale ed amministrativa da manipolare, alla lunga si stancherebbero di aspettare e dovrebbero mettersi a far altro, con maggiore utilità del paese.

 

 

Altrimenti, alle prossime elezioni gli onesti, come sempre, rimarranno soli e disorientati. Il potere verrebbe afferrato dai più abili a far sventolare la bandiera della moralità e dell’onore oltraggiato di Napoli. Forse i più colpiti dalle risultanze dell’inchiesta non oserebbero mettersi subito in prima fila. Ma che importa se i loro accoliti e compagni governeranno la cosa pubblica? Dopo un po’ di tempo tutto ritornerebbe nello stato di prima. Già si tenta, a facilitare la risurrezione di uomini politici compromessi, di indurre il governo a tenere segreto, in tutto od in parte, il rapporto della commissione d’inchiesta.

 

 

Noi speriamo che il governo sappia fare il suo dovere e che il desiderio di accattare alcuni voti nella deputazione napoletana non lo induca ad incertezze ed a compromissioni che sarebbero severamente condannate dall’opinione pubblica. La frase che si dice abbia l’on. Giolitti pronunciata: non voler egli nemmeno leggere il rapporto della commissione inquirente prima della stampa definitiva ci affida che nessun ostacolo verrà messo alla divulgazione completa dei risultati dell’inchiesta.

 

 

Ciò è necessario, se si vuole iniziare il risanamento dell’ambiente napoletano. Ma non basta. A mali estremi rimedi eccezionali. Non diciamo che il prolungamento dei poteri del regio commissario abbia la virtù di guarire i malanni della vita pubblica napoletana. Sradicando la mala erba delle clientele preparerà la via all’opera che dovrà risanare l’ambiente morale di Napoli.

 

 

Quest’opera non può essere che quella del risorgimento economico del mezzo milione di napoletani e sovratutto delle centomila e più persone di cui ora si ignorano i mezzi di esistenza e che non sanno al mattino come faranno a mangiare nella giornata.

 

 

Quando molti industriali del nord si saranno persuasi ad andare ad impiantare aziende in una città dove esiste una numerosa mano d’opera a buon mercato, intelligente, e se non abile, capace di diventarlo rapidamente; quando i guadagni della gente povera, pur lasciando un discreto margine al capitale, saranno cresciuti, tutti coloro che ora sono disoccupati e si affollano attorno alla greppia municipale sdegneranno di vendere il loro voto per un tozzo di pane a mestatori da trivio ed a volgari politicanti.

 

 

Noi ci auguriamo che gli industriali del nord sappiano vedere che ora a Napoli c’è modo di compiere una bella azione e di fare nel tempo stesso il proprio interesse. E il miglior augurio che si possa fare per l’avvenire di Napoli, non quello di essere liberata dalla pretesa vergogna del regio commissariato e della commissione d’inchiesta.

 

 

II

 

Un comunicato dell’Agenzia Stefani avvertiva ieri che, a togliere qualsiasi equivoco intorno all’ingerenza del ministero nell’inchiesta sul municipio di Napoli, per accordo intervenuto tra l’onorevole ministro dell’interno e la commissione d’inchiesta, la relazione viene stampata sotto l’esclusiva direzione del presidente della commissione. Il ministro – continuava il comunicato – prenderà notizia della relazione quando la medesima sarà stampata, ed egli ne ordinerà contemporaneamente la distribuzione ai senatori, ai deputati ed ai capi dei pubblici uffici affinché abbia la massima pubblicità.

 

 

Il comunicato che ora abbiamo riferito è un atto di governo di cui vivamente ci compiaciamo. Le dicerie intorno all’inchiesta di Napoli ed ai tentativi di salvataggio che si meditavano da uomini politici meridionali erano giunte a tal segno da commuovere l’opinione pubblica. Rendendo conto di quelle voci, esprimevamo non solo l’augurio, ma la ferma fiducia che il governo sapesse resistere ad ogni pressione e fare sino in fondo il proprio dovere. Non basta che gli uomini politici ed i pochi i quali hanno agio di conoscere le intenzioni del governo abbiano fiducia nell’opera sua. Per dissipare i sospetti dell’opinione pubblica è spesso necessario che un atto, una parola esplicita venga a rassicurare e ad additare quale è la via che si intende percorrere.

 

 

Questa parola esplicita, che noi invocavamo giorni addietro, oggi è venuta; ed è venuta per mezzo di un’agenzia ufficiosa. L’esempio è degno di imitazione. Quando corrono voci le quali interessano vivamente il pubblico, e quando vi sono giornali come il «Roma» di Napoli, a proposito dell’inchiesta Saredo, che accusano il governo di prestar mano a salvataggi, è bene che quegli si serva di quei mezzi ufficiosi di pubblicità che sono a sua disposizione per tagliar corto alle dicerie e per indicare le sue reali intenzioni.

 

 

Oggidì il giornale è diventato una parte integrante della vita politica del paese. Tutto ivi si discute e di tutto si deve discorrere per soddisfare alle esigenze dei lettori, i quali mal sopportano il silenzio intorno alle più ardenti questioni del giorno. Anche il governo deve sottostare a codeste esigenze della vita moderna e deve servirsi dello strumento potente di pubblicità, che è il giornale, per comunicare notizie, sempre quando ciò sia necessario a dissipare dubbi che, a torto od a ragione, angustiano l’opinione pubblica.

 

 

Questo per quel che si riferisce alla forma con cui il governo ha ritenuto ragionevolmente opportuno di comunicare i suoi intendimenti rispetto all’inchiesta su Napoli. Per quel che si riferisce alla sostanza della questione, non è necessario ripetere quanto ripetutamente fu detto su queste colonne.

 

 

Un bisogno di rinnovamento agita in questi tempi il nostro paese. Ed è rinnovamento non solo economico, ma anche morale. Sono passati i giorni nei quali si poteva credere opportuno mettere tutto in tacere per evitare gli scandali. Oggi gli scandali devono lasciarsi scoppiare, perché l’opinione pubblica vuole, ed imperiosamente vuole che la luce della verità sia fatta intiera su ogni cosa. C’è da rallegrarsene. Persino nei luoghi dove era diffusa non la rilassatezza morale, ma una certa acquiescenza al male commesso da politicanti spudorati, corre un fremito di vita nuova. Generazioni giovani cominciano ad occuparsi delle cose pubbliche e si sdegnano contro le malversazioni e le brutture impunemente commesse sinora.

 

 

Quando si diffonde nel popolo la coscienza che non solo si deve, ma è utile osservare le leggi della moralità e della giustizia nella vita pubblica, il governo ha interesse grandissimo a secondare così gagliardo e benefico movimento di idee.

 

 

A poco a poco i malvagi si ritraggono dall’agone o devono, impotenti, assistere al trionfo della moralità; e bene spesso, se essi non erano malvagi, ma semplicemente deboli, posti in un ambiente purificato, si trasformano e possono diventare onesti. Cosicché gradatamente la corrente del bene si rafforza e si accresce di reclute sempre nuove, mentre si indebolisce la triste schiera dei prevaricatori. Il governo, appoggiando energicamente i buoni contro i malvagi, aiuta i primi a superare il periodo della indifferenza dei più, quando i timidi non sanno ancora decidersi per la paura di uscire dalla mischia colle ossa rotte. Forse, in sugli inizi, un governo favorevole alla causa della moralità corre il rischio di perdere i voti dei politicanti perversi che ancora conservano qualche potere; ma è pericolo di nessun conto. La grande maggioranza del paese segue sempre chi dà prova di volere prima lasciare libera la via alla scoperta della verità e di volere dappoi punire severamente i colpevoli. Nei tempi moderni di predominio del numero e di pubblicità larghissima è doveroso ed è utile difendere la causa dei molti, i quali sono onesti e non vogliono lasciarsi derubare, contro i pochi disonesti che vorrebbero spogliare altrui.

 

 

E questo non è soltanto il doveroso programma dei governi moderni, ma è sovratutto il compito della stampa: elevare ognora la voce contro i malvagi, anche se costoro non vivono a noi vicini e non ci vogliono danneggiare direttamente. Napoli, è vero, è lontana molto dalle nostre regioni; ma noi abbiamo vivo interesse a che il mezzo milione di onesti, buoni e laboriosi napoletani sia liberato dalla padronanza dei politicanti che impoverivano quella nobile città.

 

 

Perché se i meridionali, non più aduggiati dalle camorre amministrative locali, arricchiranno e diverranno prosperi, una più vivace corrente di traffici si svolgerà tra il nord ed il sud con vantaggio di amendue le regioni interessate.

 

 

Né vogliamo parere predicatori di moralità agli altri. Difficilmente le crociate morali che vengono dal di fuori riescono molto efficaci. Vogliamo soltanto incoraggiare colla parola nostra quei coraggiosi che in Napoli stessa iniziarono la campagna per la moralità e la giustizia.

 

 

Il governo seguiti a dare incoraggiamento e sostegno a codest’opera purificatrice che si compie nel mezzogiorno ed avrà il nostro sincero plauso.

 

 

III

 

Un giornale di Napoli ha creduto opportuno pubblicare il testo di un accordo segreto che sarebbe intervenuto tra il senatore Saredo e l’impresario Musella a proposito della concessione dell’impresa del teatro San Carlo. La pubblicazione è intesa a dimostrare che il senatore Saredo colluse coll’impresario Musella, avversario del municipio da lui amministrato e per un atto da lui compiuto come regio commissario.

 

 

Noi non vogliamo entrare nella sostanza dell’accusa che il giornale napoletano ha mosso al presidente della commissione d’inchiesta. Finora abbiamo sentito soltanto una narrazione di parte; né è azzardato dubitare che la narrazione sia in tutto corrispondente a verità, poiché si afferma con fondamento da altri che il senatore Saredo sia quegli che ha denunciato l’esistenza del plico depositato presso il notaio Baldanza, plico in cui erano contenuti i documenti relativi all’impresa del teatro San Carlo.

 

 

Qualunque possa essere il giudizio nostro intorno all’operato del senatore Saredo, non possiamo nascondere la impressione cattiva provata a cagione del modo con cui fu iniziata la novissima campagna contro il presidente della commissione d’inchiesta sul comune di Napoli.

 

 

Il giornale che questa campagna ha iniziato avrebbe meritato bene della cosa pubblica qualora, essendo convinto della incapacità morale del Saredo a condurre a termine l’altissima missione che gli era stata affidata, avesse fin dal principio rilevato il fatto ed invocato il verdetto sereno della pubblica opinione.

 

 

Qualunque giudizio si fosse dato sul movente che poteva spingere l’accusatore all’opera sua, tutti avrebbero riconosciuto il diritto nel giornale di sindacare la vita trascorsa della persona a cui veniva dato il delicatissimo incarico di scrutare le magagne della classe politica napoletana, salvo ai giudici di condannare il giornale qualora le sue accuse fossero state considerate diffamatorie.

 

Oggi la campagna assume un aspetto ben diverso. Oggi l’inchiesta Saredo ha condotto a termine i suoi lavori, e si sa che furono assodati fatti gravi a carico di uomini appartenenti all’amministrazione municipale passata, fatti tanto gravi che contro codesti amministratori si spiccarono mandati di comparizione.

 

 

Quando queste cose sono entrate nel dominio pubblico, quando si aspetta di giorno in giorno la pubblica divulgazione per le stampe dell’inchiesta Saredo, il giornale amico e sostenitore degli uomini dell’amministrazione passata esce fuori inaspettatamente con la campagna contro il presidente della commissione d’inchiesta! Quando il pubblico ansiosamente aspetta di leggere, documentate nei volumi della commissione, le constatazioni di fatti gravi a danno di uomini politici napoletani, vien fuori il giornale di codesti uomini a dire che anche il senatore Saredo è immeritevole della fiducia in lui riposta perché capace di colludere dolosamente cogli avversari del comune! Mentre si attende la dimostrazione dei motivi per cui i contratti stretti dal comune di Napoli con imprese appaltatrici di servizi pubblici di vario ordine furono annullati, si crede opportuno di pubblicare che anche il senatore Saredo stipulò accordi non perfettamente corretti con uno di questi appaltatori!

 

 

Vi è bisogno di dire che la campagna ci sembra inopportuna e biasimevole per il tempo e per il modo con cui viene condotta? Vi è bisogno di dire essere doloroso vedere una parte della stampa napoletana ridotta a compiere un atto che dovremmo definire con una parola troppo acerba e cruda se a darne una definizione fossimo costretti? Poiché leggendo le frasi del Don Marzio con cui si invocano altre ricerche sulla «moralità, sulla giustizia e l’equità dell’uomo, che non ci sembra probabile possa rimanere a lungo alla presidenza del tribunale supremo di giustizia amministrativa del regno», non c’è nessuna persona spassionata la quale non provi l’impressione che quei giornali napoletani hanno voluto minacciare. Forse alcuni fra gli amministratori più indiziati come colpevoli dalle risultanze dell’inchiesta hanno avuto una speranza: che accusando di azione non corretta il Saredo fosse possibile incutere timore a chi era incaricato di inquirere sul loro conto e fosse possibile stornare da sé la minacciosa tempesta imminente.

 

 

Tentativo ultimo questo e disperato. Sia che si provi – ciò che assolutamente non crediamo – la verità delle accuse mosse contro l’on. Saredo, o queste vengano del tutto sfatate, le risultanze dell’inchiesta dovranno essere esaminate nel loro intrinseco valore; e nessuna discolpa potranno le «reputazioni meridionali più adamantine» trovare nel fatto che altri ha commesso altresì un’azione esorbitante dalle sue facoltà. Anzi il modo con cui essi tentano di ottenere il silenzio da chi ha il dovere di dire tutta la verità aggrava la loro condizione di fronte all’opinione pubblica. Questa vede con dolore gli accusati difendersi non colla dimostrazione della propria vita illibata, ma con la pubblicità data a pretesi errori altrui. Con dolore l’opinione pubblica vede parte del giornalismo politico di Napoli continuare su una via che non è compresa da nessuno e non può condurre ad alcuna meta.

 

 

Si vada dunque in fondo all’accusa mossa contro il Saredo, accusa che risulterà del tutto infondata; ma non vi sia alcuno che fondatamente possa sperare di sminuire la propria colpa accusando altrui.

 

 



[1] Col titolo Nessun salvataggio [ndr]

[2] Col titolo Caso doloroso [ndr]

[3] In una intervista col «Pungolo parlamentare», l’on. Rosano avrebbe dichiarato che «non essendo noti i risultati dell’inchiesta, è impossibile giudicare l’operato della commissione. Pure il Rosano crede che questa abbia un peccato d’origine, poiché non si comprende una commissione censoria senza confini. Ciò malgrado, se l’inchiesta concluderà obiettivamente mirando alle cose e non alle persone, produrrà del bene; se l’azione sarà inspirata a criteri personali, sarà nociva».

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