Opera Omnia Luigi Einaudi

Teoria e pratica e di alcune storture intorno alla equazione degli scambi

Tipologia: Paragrafo/Articolo – Data pubblicazione: 01/01/1931

«La Riforma Sociale», settembre-ottobre 1931, pp. 510-522

Mario Mazzucchelli: Crisi e cause (in «Rivista bancaria» del 15 agosto 1931, pag. 659-668).

1. – La fama che Mario Mazzucchelli ha saputo guadagnarsi tra gli studiosi italiani di problemi economici concreti: economisti professionali, banchieri, industriali, uomini d’affari, e, suppongo parecchi funzionari delle finanze e uomini politici – è, immagino, – invidiata da molti. Gli ho sentito negare qualità di scrittore, perché adopera parole stravaganti, di sua privatissima fattura: «neofitici, teoretici (invece di teorici), farnientisti, sottopunti, influenzante, alcoolizzamento»; e cito solo dal fascicolo di agosto, con in più l’inimitabile «crisastico», aggettivo a cui M. è quasi riuscito, per la ostinatezza nell’adoperarlo, a dare diritto di cittadinanza nella lingua italiana. Sono lievemente comiche le filastrocche interminabili di: «S.E., Comm., Prof., Grand Uff., Cav. di Gran Croce, Dott., Avv.» e via dicendo, appiccicate da lui ai personaggi importanti che gli capita di citare[1] ; rasentano talvolta l’assurdo i suoi ditirambici elogi a relazioni stampate intorno a fatti di ordinaria amministrazione. Nonostante le quali inesperienze di scrittore, Mazzucchelli si è imposto per la forma e per la sostanza. Lo stile nervoso, originale, colorito, il buon senso tipicamente ambrosiano, le interpretazioni opportune e calzanti, l’attitudine sorniona a vedere, attraverso cifre apparentemente innocue, il fatto degno di essere chiarito; l’esperienza, che si sente viva ed affinata da lungo contatto con il mondo bancario, l’occhio clinico del conoscitore di bottegai e di contadini, di finanzieri e di massaie hanno fatto delle Considerazioni sul conto del tesoro, sul bilancio e sulla circolazione, pubblicate da M. ogni mese sulla Rivista Bancaria, la cronaca economica forse più letta d’Italia. La cronaca di M. ha il titolo più qualunque che si possa immaginare, il meno atto ad eccitare l’attenzione del pubblico; la materia trattata fu sempre ritenuta noiosissima; il documento ufficiale in cui quella materia si contiene suppongo in altri tempi non avesse più di tre lettori. Se oggi del conto del tesoro si vendono non so quante, ma certo parecchie copie, il merito è un po’ del conto medesimo compilato assai meglio di prima, un po’ dell’interesse con cui si seguono le vicende del tesoro e della banca d’emissione per trarne, in tempi duri, oroscopi di consigli per l’avvenire, ed un po’ di Mazzucchelli, il quale ogni mese spiega, combina, ricorda le cifre del mese e dell’anno precedente, borbotta e loda, loda assai per ottener venia di borbottare qualcosa; pesta e ripesta sul medesimo chiodo e qualcosa ogni tanto ottiene dal governatore della banca d’Italia, dal ragioniere generale dello Stato, dal direttore generale del tesoro, a cui tributa senza risparmio incenso di onorificenze, di illustrazione e di eminenza, ma da cui in cambio riesce a farsi leggere e anche ascoltare.

2. – Anch’io sono tra gli assidui ed attenti lettori delle cronache di Mazzucchelli; e ripetutamente lamentai, per golosità di lettore non sazio, che per non si sa quale necessità tecnica di stampa la cronaca, uscisse ritardata di un mese: in luglio quella del conto del tesoro del maggio, in agosto quella del giugno, sicché il lettore, che ha già sott’occhio il conto del tesoro di luglio, deve in agosto contentarsi di leggere i commenti di Mazzucchelli sul conto di giugno, e per l’impazienza di doverli scorrere in ritardo si arrabbia. In qualità di lettore assiduo ed affezionato – quanti sono i pubblicisti italiani i quali in materia astrusa hanno lettori assidui ed affezionati – non sempre sono d’accordo con Mazzucchelli. Ed ho preso la penna in mano per dirgli di un vezzo che nelle sue cronache mi dà fastidio. Segno anche questo di affezione e di stima; perché le cose insipide che molti scrivono non danno fastidio a nessuno. Il vezzo è quel suo contrapporre, non abbastanza raro e non casuale, di pratica a teoria. È comunissimo quel contrapposto in bocca di tutti coloro che non hanno studiato od hanno studiato male; ma è vezzo volgare e stona in bocca a chi, come Mazzucchelli, ha la testa fatta per fare ed effettivamente fa, ragionamenti economici esatti. Quel contrapposto è falso perché “teoria” vuol dire unicamente rappresentazione abbreviata, schematica, parziale della realtà. Siccome è impossibile descrivere in un numero non sterminato di parole una realtà che, del resto, “tutta” non è conosciuta né conoscibile, fu, è e sarà giocoforza astrarre, semplificare, porre ipotesi. La teoria economica è “necessariamente” ipotetica perché ragiona che cosa accadrebbe se agissero, invece di mille, centomila, un milione di forze, alcune poche forze ben definite. È forse lamentabile che l’ingegno umano sia così corto da non poter ragionar diversamente; ma nemo ad impossibilia tenetur. Nessun teorico pretende che le sue conclusioni siano tali e quali verificabili nella realtà; ma, se egli ha ragionato bene, nessuno può negare siano vere nei limiti delle ipotesi fatte. Quando il cosidetto “pratico” si lagna dei teorici, quasi sempre egli altro non fa che sostituire una sua ipotesi diversa a quella posta dal teorico; ma, diversamente dal teorico, egli non sa di porre una ipotesi parzialissima, pretende che essa rappresenti tutta la realtà, ragiona erroneamente e conclude storto. Che davvero, per parecchie generazioni, studiosi ed osservatori si siano tutti sbagliati ed abbiano scelto ipotesi irrilevanti, poco importanti, trascurando quelle fondamentali? Non è credibile; e se fosse stato, la concorrenza fra economisti è tale che essi a volo avrebbero appreso ed utilizzato e fecondato le ipotesi prima trascurate. Il che è appunto quel che si fa. Ad ogni generazione la scienza progredisce; perché quel che era intuito di pratici diventa ipotesi feconda di teorici e rinnova la sostanza e la forma della dottrina. Non dunque contrasto fra teoria e pratica; ma collaborazione fra di esse, allo scopo di spazzar fuori dal tempio della scienza i facitori di false teorie, inette a rappresentare una qualsiasi porzione, piccola o grande, della realtà, perché fondate su ipotesi inconcludenti o sbagliate ed i profittatori della pratica, i quali vorrebbero che la teoria si rendesse mancipia dei loro privati interessi.

3. – Da qualche tempo Mazzucchelli ha un fatto personale contro i quantitativisti monetari, tipo Cassel, Fisher, Keynes ed altri che egli, ad esempio, accusa di attribuire «con dogmatismo assoluto, che non ammette neppure la minima deroga» la crisi mondiale presente a pure e sole cause monetarie; e dopo vario discorrere la dice invece dovuta:

 

a) alla grande guerra;

b) alla superinflazione monetaria, creditizia, di debiti statali e di enti locali, mobiliare, mentale ed insomma generale;

c) al progresso tecnico in tutti i rami della produzione;

d) alla inelasticità degli alti salari mondiali;

e) agli elevati ed ancor più inelastici sussidi di disoccupazione;

f) al permanere, a causa dei salari, di gravissima distanza fra prezzi industriali e prezzi agricoli, minerari e coloniali;

g) alla persistente o crescente vischiosità fra prezzi di grosso e prezzi al minuto;

h) all’importanza crescente dei sindacati intesi a mantenere alti i prezzi industriali in tempi di ribasso dei prezzi delle materie prime;

i) all’entrata rapidissima nell’agone produttivo di paesi industrialmente nuovi o quasi nuovi (Russia, Asia, America, Australia);

l) alle conseguenze antieconomiche della guerra: spezzettamento di Stati, alte barriere doganali, ostacoli alla emigrazione, spreco nella creazione di duploni, triploni, quadruploni produttivi, ecc. ecc.

4. – Io chiudo gli occhi e mi ripasso mentalmente le rappresentazioni schematiche degli economisti; a cominciare da quella più famosa di tutte, detta di Fisher (che Sensini rivendica al nostro dimenticato Piperno; ma si potrebbe forse, interpretando, come si deve, benignamente le vecchie notazioni, risalire a Verri e prima di lui a Hume e più in là):

dove P è il livello generale dei prezzi, M è la quantità di moneta, V la velocità di circolazione di essa e Q la massa dei beni e servigi da scambiare. E mi chiedo: che cosa v’è di fondamentalmente diverso, di contraddittorio fra la rappresentazione di Fisher e l’elenco di Mazzucchelli?

5. – Per non complicare l’argomentazione, non discutiamo se la equazione dimostri qualcosa; diciamo soltanto che essa è un tentativo di definire e rappresentare il meccanismo esistente degli scambi. Essa constata cioè semplicemente un fatto di osservazione comune: che il livello generale dei prezzi (P) varia col variare di altri dati. C’è forse qualcuno il quale sostenga che in generale, a parità di altre circostanze, se c’è più roba da vendere (Q) i prezzi salgono? No. Anzi scendono. Dunque sta bene scrivere Q come divisore nel secondo membro della equazione, per indicare la sua relazione inversa con P. C’è forse qualcuno il quale sostenga che, in generale, a parità di altre circostanze, se gli uomini hanno in tasca più moneta (M) disponibile non se ne servano per acquistar roba? Varierà il genere della roba comprata; gli uni comprando roba per consumo immediato, gli altri beni strumentali per consumo futuro (risparmio); ma, eccettuato il caso oggi praticamente trascurabile del tesoreggiamento vero e proprio, se gli uomini hanno moneta, comprano roba. Se la quantità di moneta disponibile cresce e la roba rimane invariata, per forza i prezzi crescono. Quindi fa d’uopo scrivere M come dividendo nella equazione degli scambi. Accanto ad M bisogna poi scrivere V (velocità della moneta), essendo evidente che se un disco monetario è usato una volta nell’unità di tempo, compra roba una volta sola; se è usato 2, 3 … n volte compra la stessa quantità di roba 2, 3, … n volte.

6. – Scrivendo l’equazione, si rappresentano dunque i fatti come avvengono; non si dice perché avvengono, perché ci sia molta M o molta Q o perché V sia aumentata o diminuita. Mazzucchelli col suo elenco tenta di specificare, spezzettare i P, gli M, i Q ed i V e di spiegare, di dir le cause del loro variare.

7. – Lasciando invero stare il suo a, la grande guerra, che è concetto troppo generico per essere traducibile in quantità economiche ed è contenuto, in quanto sia tradotto, negli altri termini dell’elenco; che cosa è il suo b: superinflazione monetaria, creditizia, di debiti statali e di enti locali, mobiliare, mentale, ecc., se non una specificazione bell’e buona del solito scolastico M? Sempre si seppe e sempre si scrisse che M è un composito di parecchie specie di moneta; moneta metallica propriamente detta, in quanto circoli, M1 biglietti fiduciari ed a corso forzoso circolanti, M2 moneta bancaria (depositi in conto corrente ed assegni tratti su di esso). Mazzucchelli aggiungerebbe la inflazione di debiti statali e di enti locali, quella mobiliare, mentale ed insomma, generale. Intuizioni queste più che enunciazioni precise, che si possono discutere ed eventualmente tradurre in notazioni rigorose. Non direi che i titoli di debito statale e di enti locali, che le azioni e le obbligazioni fondiarie, industriali e bancarie (suppongo che per inflazione “mobiliare” ciò si intenda) siano in generale moneta ed agiscano nel senso di crescere i prezzi. Pare siano segni rappresentativi di cose o di diritti in cui si investe la moneta risparmiata; sono, nello scambio, la contropartita di M. Perciò li ficcheremo normalmente in Q, nei beni e servigi da scambiare; ed il loro crescere avrà per effetto, a parità di altre circostanze, di scemare i prezzi. Il che anche pare verità di osservazione comune. Talvolta titoli di debito pubblico, azioni ed obbligazioni possono diventar moneta o surrogato di moneta; buoni del tesoro, pagherò cambiari possono in determinate circostanze operare, invece che ed oltrecché come mezzi d’investimento, come mezzi di pagamento ed in tal caso ed entro tali limiti, noi diremo che esiste un M3, moneta titoli.

8. Rimane l’inflazione “mentale”, concetto aereo, di cui non si vuole negare l’influenza sui prezzi, essendoché la psicologia umana, capricciosa, mutevole, or paurosa e or temeraria, è fattore importantissimo di avvenimenti. Ma per agire sui prezzi, questa benedetta psicologia, intorno a cui si mena tanto baccano, deve pure manifestarsi attraverso a moneta od a roba. La donnetta la quale mangia cogli occhi il vezzo di perle nella vetrina del gioielliere, né fa né ficca nel determinare il prezzo delle perle. Bisogna che essa, signora vera o finta, persuada il marito o l’amante a cacciar fuori denaro (M, M1 od M2) od imbrogli il gioielliere e gli faccia accettare un suo pagherò (M3). Se M + M1 + M2 + M3 è tot, nel tempo T, ma dall’esperienza passata, dal timore del futuro gli uomini sono persuasi che diventerà M1+ M11+ M21+ M31 nel tempo T1; se cioè essi sentono, intuiscono o che i governi emetteranno altra moneta a corso forzoso o le banche, in tempi di allegria, allargheranno le aperture di credito, sicché cresceranno gli assegni tirati sui depositi bancari, la previsione dell’aumento delle quantità monetarie nel tempo T1 reagirà sull’operare degli uomini nel tempo T. Non nel senso di aumentare la quantità di moneta oggi (tempo T) esistente, ma nel senso di aumentare di questa la velocità (V). Gli uomini, se sanno, prevedono, intuiscono o sentono (sono queste, ed altre, le gradazioni della spinta ad operare) che la quantità di moneta aumenterà in avvenire e quindi scadrà di pregio, se ne disfano fin d’ora più volentieri; la danno via prima per sbarazzarsene ed acquistar roba. Ferma nel presente M, cresce, per l’influenza di una cresciuta M futura, la V presente; ed i prezzi crescono. Non si nega il fattore psicologico; si constata che per agire sui prezzi esso deve passare attraverso moneta e roba.

9. Che cosa sono i c, progresso tecnico, gli i, entrata rapidissima di paesi nuovi nell’agone produttivo se non faccie di Q, fattori che spingono all’insù, più o meno rapidamente, la produzione di beni e di servigi economici e perciò, sempre a parità di altre circostanze, spingono all’ingiù i prezzi? Ed h, i sindacati di produttori di merci industriali; ed l, barriere doganali, spezzettamenti di Stati, duploni, ecc., ecc., che cosa sono se non parimenti fattori che agiscono variamente su Q, gli uni nel senso di restringere temporaneamente certe date produzioni e crescerle alla lunga (sindacati), gli altri nel senso di crescere le produzioni di merci protette e limitare quella delle merci non protette? Se i fattori enunciati debbono esercitare un’azione sui prezzi, ciò può accadere soltanto attraverso variazioni di Q, della sua massa complessiva e delle sue parti componenti.

10. – Rimangono: d – inelasticità degli alti salari, e – elevati ed inelastici sussidi di disoccupazione, f – distanza fra i prezzi industriali ed i prezzi agricoli, e g – diversa vischiosità dei prezzi di grosso e di quelli al minuto. Che sono tutte osservazioni importanti, ma non pertinenti al punto controverso che pare sia: se la variazione della quantità monetaria (M) eserciti influenza sul livello generale dei prezzi (P). La confusione delle lingue è su questo punto veramente incredibile. O non accade talvolta di dover leggere, con gli occhi sbarrati, in pagine per altri rispetti degne che la teoria quantitativa della moneta è sbagliata perché questi o quei prezzi singoli invece di diminuire, sono aumentati o sono rimasti stazionari? Se fosse vera la teoria, si ha l’aria di dire, perché non scemano anche i prezzi al minuto, perché non certi prezzi industriali, perché non i salari, perché non gli interessi dei mutui lunghi? La teoria quantitativa sarà sbagliata; non certo però per tal motivo strano. Quando mai fu scritto che, scemando M, tutti i prezzi dovessero calare? È evidente invece che, pur essendo P1 del tempo T1 > P del tempo T, taluni prezzi singoli Pa1 salari, Pb1 (sussidi di disoccupazione), Pc1 (prezzi industriali), Pd1 (prezzi al minuto), Pe1 (imposte), possono, per ragioni particolari di vischiosità o di politica (prezzi politici, salari fissati per arbitrato determinato da ragion politica di ossequio al numero degli elettori operai, ecc. ecc.), essersi mantenuti costanti o persino essere cresciuti in confronto a Pa, Pb, Pc, Pd, Pe del tempo T. Poiché P1, somma dei singoli prezzi pagati per tutti i beni e servigi nagoziati nella unità di tempo data, è quello che è disceso, per mantenersi in equilibrio con l’altro membro della equazione, è giocoforza che gli altri prezzi singoli i quali entrano a comporre il livello generale dei prezzi P1 del tempo T1: Pf1 (profitti o interessi o rendite), Pg1 (prezzi agricoli o minerari o coloniali), Ph1 (prezzi all’ingrosso), scemino, in confronto ai prezzi singoli Pf, Pg, Ph del tempo T, in misura maggiore dello scemare di P1 in confronto a P. È intuitivo che la diminuzione del secondo membro dell’equazione da

deve essere accompagnata da una riduzione dell’altro membro da P a P1[2]; ma da ciò non discende affatto che tutti i componenti di P debbano scemare. Se io ho meno denari in tasca per riduzione di stipendio del 12% debbo scemare del 12% il totale delle spese; ma non sono obbligato affatto a scemarle tutte uniformemente del 12 per cento. Anzi potrà darsi che io abbia convenienza ad aumentarne qualcuna, per esempio la spesa del pane e di altri alimenti indispensabili, scemando od abbandonando addirittura qualche altra spesa (vino, carne, bagni estivi). Qualcuno parlerà di vischiosità dei prezzi del pane e di crisi ingiusta del vino, laddove si tratta di una volgarissima applicazione dei più risaputi teoremi elementari economici. Se una somma di dieci addendi scema da 100 a 70 e se cinque di questi addendi restano fermi a 12, 8, 15, 6 e 11, totale 52, e giuocoforza che gli altri cinque addendi, i quali prima erano 17, 7, 4, 13 e 7, totale 48, si contraggano a 18 in totale e singolarmente, ad esempio, a 5, 1, 3, 5 e 4. Il che può accadere – senza danno e permanentemente per quelle merci o per quei servigi il cui costo di produzione si è ridotto in quelle proporzioni. In questo caso i produttori si lamentano, per abitudine verbale, di crisi, ma è crisi benefica, temporanea, di adattamento a nuove condizioni produttive, riduzione progressiva di quelle che gli economisti chiamano rendita di produttore da invenzioni tecniche o commerciali. Crisi vera esiste per quei produttori di beni e servigi che, non avendo saputo e potuto costruire attorno a sé trincee di sindacati, di leghe, di protezioni doganali, di commesse governative a prezzi politici, si trovano a subire la pressione combinata della diminuzione del livello generale dei prezzi da P a P1 e della costanza dei prezzi singoli Pa, Pb, Pc, Pd, Pe. Costoro rimangono stritolati e soffrono vera crisi, perdendo patrimonio o essendo costretti ad emigrare, o a cadere a carico della pubblica carità. Il precipitar dei prezzi non significa per sé crisi. Vi dà luogo, se ed appunto perché alcuni o molti dei prezzi singoli sono vischiosi, ancorati e rifiutano di muoversi.

11. È curiosissimo veder Mazzucchelli affermare da un lato che gli economisti «non hanno mai dato la ragione … della giustezza, della naturalezza e del fondamento economico» della tesi la quale dice conveniente la costanza di P (leggasi bene P, ossia livello generale dei prezzi e non di Pa, Pb, … Pn ossia dei prezzi singoli: tesi, questa seconda, che non è mai stata affermata da nessuno) e nel tempo stesso dilungarsi tanto sulla ripugnanza di certi prezzi a discendere. Agli economisti non importa nulla che i prezzi siano P o nP o P/n. Quel che soltanto essi ritengono desiderabile è che i prezzi non ballino per cause insulse, come sarebbe la scoperta di miniere d’oro più o meno feconde, o pericolose, come sarebbe il lavoro del torchio da biglietti[3] . Non è desiderabile ballino per tali motivi, perché si sa anche che taluni prezzi sono vischiosi (prezzi al minuto), che taluni altri sono fatti vischiosi da gente potente (sindacati industriali e leghe operaie) od abile (dazi e favori politici); e quindi altri prezzi sono costretti a ballare in senso inverso, con rovina immeritata di innocenti. Ieri, quando i prezzi rialzavano, rovinavano le classi medie, oggi, che i prezzi ribassano, i detentori di titoli di debito pubblico, di valori a reddito fisso, i beneficiari di imposta arricchiscono; vanno in malora industriali e commercianti ed aumentano i disoccupati. Perché gridar raca agli economisti i quali cercano, ben sapendo che si tratta di ricerche difficilissime e di rimedi incerti, non agevolmente maneggiabili ed a lunga scadenza, di trovar le cause ed i rimedi della tragica alterna rovina, la quale partorisce malcontento sociale, rivolte, esperimenti comunisti, e minaccia la esistenza medesima delle società civili? Cercando di eliminare le variazioni infeconde e socialmente pericolose di P, gli economisti non intendono eliminare le variazioni utili dei singoli prezzi (P). È utile che ribassino i prezzi delle merci e dei servizi, rispetto a cui i desideri degli uomini sono venuti meno o di cui sono ribassati i costi di produzione. Come, altrimenti, senza la guida dei prezzi sarebbe governata l’attività, umana? La tesi è: le variazioni dei singoli “p” è conveniente avvengano in un quadro di P costante. Entro quel quadro, affermano molti economisti, le variazioni dei “p” sono efficaci ad indirizzare la produzione; ma perdono quelle punte in su e in giù che sono determinate da un irrazionale comportamento di M. Il quantum della massa monetaria o è abbandonato a sé ed è in balia del caso od è governato da qualche volontà. In un’epoca in cui la scienza tenta di scoprire e volgere a profitto degli uomini i segreti della natura pare inconcepibile si abbandoni al caso. Se dunque esso deve essere, se esso anzi è stato durante tutto il secolo XIX ed è ora governato da qualche volontà, pare ragionevole sia questa una volontà illuminata e non indotta, lungimirante e ferma e non impressionabile e volubile.

12. Contro la tesi di questi economisti si possono elevare serie obbiezioni. Di quelle valide in teoria pura non discorrerò; ma, in concreto, si può dire essere impossibile misurare le variazioni di “P”, distintamente da quelle dei “p”, scindere i danni dei mutamenti del livello generale dei prezzi dai vantaggi dei mutamenti dei prezzi singoli; si può essere scettici sui lumi della volontà addottrinata e unificata, e preferire praticamente la concorrenza di molte volontà contrastanti, temperate dai capricci inaspettati del caso. Sono pienamente d’accordo con Mazzucchelli nel credere che «di fatto, oggi, in qualche paese», ad es. l’Inghilterra, dalle tesi degli economisti traggano astutamente od ingenuamente lor pro’ gli industriali poltroni, che non si decidono a far lo sforzo necessario per rammodernarsi e ridurre i costi; i capi lega, i quali vogliono tenere alto artificiosamente il livello dei salari; i partiti politici, i quali non vogliono correre il rischio di perdere il voto dei disoccupati, con riduzioni di sussidi; o quello dei maestri o dei marinai o degli impiegati, a carico dei quali si debbono fare economie di bilancio. Ma … c’è un residuo di sconvolgimento di prezzi che non è dovuto a poltronaggine, ad egoismo di posizioni acquisite, a trincee di favori politici; e che non si riesce a spiegare fuor del campo monetario. Bisogna analizzare, approfondire, scindere causa da causa, variazione accidentale da variazione stagionale e questa da ciclica e la ciclica dalla secolare monetaria; assegnare, nel quadro generale, ad ogni fattore il suo proprio luogo e peso.

13. – L’analisi e l’approfondimento non si fa con degli elenchi, tipo Mazzucchelli. Gli elenchi, lo vedemmo or ora, sono disordinati, mettono tutto sullo stesso piano, non fanno vedere la coordinazione ed il rapporto di un fattore cogli altri, la reciproca interdipendenza ed influenza. Cogli elenchi si è condotti – quante esperienze non ne facemmo! – ad azioni contraddittorie ed elidentisi. Ad ogni malanno elencato si appiccica un rimedio empirico; sicché la somma dei rimedi cresce il malanno. È necessario, fatti gli elenchi, sistemare i fattori in un quadro che dia una visione d’insieme. La formula detta di Fisher non è altro che uno dei tanti tentativi compiuti per dare questa visione di insieme. È semplicemente rappresentativa. Rappresenta solo un istante nel tempo; non il passaggio dinamico da un istante all’altro. È quasi soltanto una definizione. Ma comincia ad orientare. A poco a poco si progredirà. Tanti begli ingegni si travagliano attorno al problema, che non v’ha dubbio si dovrà perfezionare lo strumento imperfetto di visione ora posseduto.

14. – La mia rabbia non è tanto contro gli scrittori pratici come Mazzucchelli i quali, impazienti di venire al sodo, preferiscono gli elenchi dei fattori oggi ai loro occhi più importanti e non si attardano a studiare se ciascuno di quei loro fattori non trovi luogo acconcio in qualcuna delle note rappresentazioni astratte del mondo economico. Gioviamoci del loro fiuto e della loro esperienza per dar corpo ai “P”, agli “M”, ai “V” ed ai “Q”, che finora avevano veduto più sotto la specie di quantità astratte che di fattori concreti e palpabili. Con i Mazzucchelli si litiga per incomprensione reciproca di linguaggio, ma in fondo si resta buoni amici ed alla fine si giunge a conclusioni concordi.

15. – La rabbia vera mia è contro quei ritardatari, i quali invece di analizzare la formula di Fisher o qualunque altra, e progredire oltre di esse verso rappresentazioni più perfette, si divertono ancora oggi a battere in breccia la teoria quantitativa della moneta, assumendola secondo la formula:

dove P è un qualunque indice generale dei prezzi, M è la quantità di oro monetato esistente nel mondo e Q un qualunque indice del traffico; e montano in cattedra a sentenziare che quel P non è determinato dal rapporto di quell’M con quel Q; che quel P non raffigura il vero livello generale dei prezzi, né quell’intiera massa monetaria e neppure quel Q l’intiera massa dei beni economici permutabili; e si compiacciono a tirar fuori, al luogo di quella quantitativa, teorie psicologiche o teorie di sottoproduzione o sovraproduzione, o di credito, ecc. ecc., a spiegare le cadute di P, ossia le crisi.

16. – Come se non fosse risaputissimo e non avesse la barba lunga al par di quella di Noé che:

– P, ossia il livello generale dei prezzi, è rappresentato solo in modo larghissimamente approssimativo dai conosciuti indici dei prezzi. Per quanto ponderati e scelti accuratamente, gli indici dei prezzi segnalano le variazioni di una parte soltanto dei prezzi all’ingrosso, trascurando i prezzi al minuto, i prezzi del lavoro (salari, onorari, stipendi), dell’uso del capitale (interesse), dei fattori limitati di produzione (rendite), i prezzi capitali dei terreni, delle case, delle imprese industriali, dei titoli pubblici e privati. Un indice compiuto del livello generale dei prezzi dovrebbe risultare dal confronto fra la somma dei prezzi pagati nel lasso di tempo T(1) per tutti i beni economici, di qualunque specie, negoziati in quel lasso di tempo con la somma dei prezzi che si sarebbero pagati per gli stessi beni economici nel lasso di tempo d’origine. Ad un indice siffattamente perfetto non giungeremo probabilmente mai, per la imperfezione degli strumenti di indagine, per la difficoltà insormontabile di conoscere tutto ciò che accade nel mondo economico ad opera di ogni massaia, in ogni bottega, nelle grosse come nelle piccole contrattazioni. Bisogna contentarsi di approssimazioni, le quali col tempo si sono già avvicinate e si avvicineranno sempre meglio alla realtà; e trarne quel più largo pro’ che sia possibile;

– M è quel composito che sopra si disse di M1, M2, M3, ecc. Che sugo c’è a ripetere ancora che la teoria quantitativa della moneta è sbagliata, perché l’oro non è la sola moneta usata, anzi l’oro non corre più affatto come moneta ed al suo luogo corrono biglietti, assegni bancari, giro conti, pagherò, compensazioni alla stanza e via dicendo? Tutto ciò è noto, arcinoto; non c’è più un cane il quale riduca M ad oro. Perché perdere tempo in queste polemiche senza senso, quando il vero oggetto della ricerca scientifica è misurare le diverse specie di moneta: per M quale sia la massa di moneta d’oro effettivamente circolante, per M1, quanti siano i biglietti effettivamente circolanti, quanti i perduti, i tesaurizzati, quanti in serbo nelle riserve delle banche ordinarie, quante le monete di argento, di nickel e di rame (biglietti coniati nel duro per ragioni pratiche) coniate, disperse, fuse, emigrate, ecc.; per M2, come eliminare i doppi tra banche di emissione e banche ordinarie, tra banca e banca, tra depositi ed assegni, come distinguere fra depositi che sono mezzo di pagamento e depositi che sono mezzo di investimenti; come indurre le banche a pubblicare situazioni da cui sia possibile ricavare i dati bisognevoli agli studiosi, per M3, quali e quanti siano i titoli di credito, i pagherò, le cambiali, i buoni del tesoro che talvolta possono servire come mezzi di pagamento? Queste sono le ricerche veramente feconde intorno ad M; non l’andare ripetendo che M non è più l’antico M aureo; come se per essere di carta, biglietto od assegno o pagherò, la moneta cessasse di essere tale e di avere influenza sui prezzi. E gioverebbe sommamente si intraprendessero ricerche precise e si approfondissero e rinnovassero talune ottime già condotte intorno ai rapporti fra M, M1, M2, M3, ed Mn. Se si appurasse che la relazione fra M (moneta d’oro) e le altre specie di moneta è costante, si potrebbe nella equazione dello scambio fare astrazione da queste altre specie; ché, noto essendo M, sarebbe noto il multiplo costante di essa (M + M1 + M2 + M3, …+ Mn). La relazione pare invece non sia costante né nel tempo né nei luoghi, tendendosi probabilmente ad un lento avvicinamento tra luogo e luogo (l’uso degli assegni bancari progredisce, proporzionatamente al montante d’origine, più in Francia e in Italia che in Inghilterra e negli Stati Uniti) e variando da tempo a tempo, nel senso che M1 ed M2 siano un multiplo a valore crescente nella fase ascendente ed a valore decrescente nella fase calante del ciclo economico e che, per il perfezionamento tecnico nell’uso dei mezzi di pagamento, fra l’altro per la concentrazione dell’oro nelle sagrestie delle banche di emmissione [sic], M1 ed M2 tendono ad acquistare attraverso a molte oscillazioni cicliche ed accidentali ed a diversità locali, un valore crescente rispetto ad M. Sarebbe assai utile che gli studiosi, accesi dal sacro fuoco antiquantitativistico, applicassero i loro meritori sforzi ad accertare con precisione se esistano relazioni di questa specie o diverse ed a misurarle;

– V è anch’esso un composito delle velocità diverse di circolazione V, V1, V2, V3 … Vn delle differenti specie di moneta M, M1, M2, M3 … Mn; e per la misurazione di esse si ripetono analoghe incertezze. Già fu osservato dianzi che V, V1, V2 ecc., tendono ad assumere valori diversi a seconda delle variabili previsioni che di volta in volta gli uomini fanno intorno alle quantità future di M, M1, M2, ecc.: avvento di corso forzoso, di moratoria, ritorno alla convertibilità dei biglietti ed alla sanità bancaria. L’esperienza dell’inflazione bellica e particolarmente di quella tedesca fornì dati ragguardevolissimi in proposito e indusse i soliti pappagalli a cantar l’esequie della teoria quantitativa invece che dar loro lo spunto a perfezionarne la formulazione;

– Q è un valore di altrettanto ardua constatazione quanto P e quasi per le stesse ragioni. I valori, in masse fisiche, di taluni beni prodotti all’ingrosso, di taluni servizi importanti (trasporti ferroviari) sono noti: ma poco si sa dei valori aggiunti per trasformazione di beni all’ingrosso in beni al minuto, dei servigi personali, dei beni capitali negoziati[4].

17. – Negare il valore degli sforzi intesi a rappresentare schematicamente l’infinita complicazione del meccanismo degli scambi è dunque futile denigrazione. Giova invece perfezionare i primi tentativi imperfetti sia col costruire rappresentazioni più complesse e compiute, sia col dare ad esse sapore mercé la sostituzione di valori numerici alle lettere dell’alfabeto, tanto belle finché si resta sulle generali, ma tanto irritanti allorché si vorrebbe, come nel caso presente, trovare una risposta concreta a problemi concreti. È certo che il tracollo presente dei prezzi non può essere dovuto esclusivamente al più lento incremento comparativo dell’oro monetato (M) in confronto al più veloce incremento dei beni e servigi economici negoziati (Q); ma pare anche certo che la variazione ciclica attuale sia stata complicata da fattori monetari e, quel che importa, sembra temibile un suo prolungamento oltre il termine ordinario dei cicli a causa della incapacità o impossibilità dei dirigenti di padroneggiare lo strumento monetario delle variazioni secolari. Altro è trovarsi sulla sezione discendente della curva del ciclo economico se la curva stessa è inserita in una più ampia curva secolare monetaria ascendente od in una curva secolare monetaria discendente. La fase di crisi acuta del ciclo breve è nel primo caso breve, nel secondo caso può essere lunghissima. La influenza delle variazioni di M per essere indiretta non è meno importante; colorando esse in nero od in rosa il mondo economico nel quale si muovono gli altri fattori. Quale importanza scientifica mai può avere la svalutazione del rapporto di M con Q per esaltare a volta a volta i fattori contingenti che in ogni successivo momento possono aver avuto più importanza nel determinare una variazione di P? Quale importanza mai può avere l’osservare che i prezzi sono precipitati di più in questo o quel paese, per questa o quella causa, quando è ovvio che le variazioni di M possono avere influenza in un senso dato solo sul livello generale dei prezzi (P) e logicamente debbono influire più accentuatamente in quello stesso senso su taluni prezzi singoli (C), perché gli altri prezzi non si muovono o si muovono poco? Cosiffatte critiche partoriscono per lo più disperazione. Non nego che anche l’esaltazione nevrotica dei fattori i quali di momento in momento appaiono occasionalmente od eccezionalmente, importanti non possa essere scientificamente vantaggiosa. Come molti uomini in altri campi della vita, così taluni studiosi non vedono cose nuove non si eccitano e non combattono contro mulini a vento. Si ammira Jevons, anche quando si esalta per avere riscoperto cose che si sapevano, perché quel suo esaltarsi, quel suo persuadersi di avere scoperto tutto un continente scientifico nuovo, era condizione necessaria affinché egli veramente ritrovasse qualche nuova cima in terra nota. Ma il ronzio dei ripetitori, i quali affettano di disprezzare le vecchie rappresentazioni e non sanno sostituire ad esse nuove, più coerenti e piene ipotesi, è solo fastidioso. Si vorrebbe ignorarli, ché essi non esistono nel mondo delle idee, e si chiede venia se, per farli tacere, si è talvolta costretti a ripetere verità notorie.

 


[1] L’uso diverso degli studiosi è determinato dalla loro indole aristocratica, epperciò ugualitaria. Chi scrive e stampa è “pari” a chiunque altro sia affetto dalla medesima malattia. Epperciò nelle riviste scientifiche si cita per puro cognome; ed al più si aggiunge il nome di battesimo quando si voglia rendere a taluno particolare testimonianza di onore.

[2] Dicesi “deve” essere accompagnata, per chiarire due verità: la prima delle quali si è che P deve necessariamente essere uguale a

e

poiché una disuguaglianza è impensabile.

[3] Adopero qui la parola “causa” perché non mi vanno giù coloro i quali «osservando le situazioni di equilibrio

Ovvero

affermano che i membri di esse sono legati tra di loro da rapporti di interdipendenza» e sputano disprezzo sulla gente antiquata la quale parla ancora di cause. Sì, tutto si tiene a questo mondo; ma c’è modo e modo di tenersi. La grande guerra fu causa ed effetto nel tempo stesso di tante altre cose; ma, posta contro alle nostre piccole faccende di prezzi, di salari, di moneta, fu tal cosa grossa, praticamente indipendente dalle nostre minuzie che ben la possiamo considerare “causa”; causa di messa in moto di torchi, di inondazione di carta moneta, di ingrossamento di M, con tutta la sequela che ne derivò. Da qualche punto bisogna pur dar origine alla narrazione dei mutamenti delle cose umane; e se quel punto d’origine è vistoso, ingombrante, massiccio, ben lo potremo chiamar causa. Sì, è vero che la produzione delle miniere d’oro è causa ed insieme effetto di alti prezzi; causa perché origina incremento di M; effetto perché se P è basso, ciò significa che sono bassi i salari dei minatori, i prezzi di esplosivi, di reagenti o di macchine perforatrici e quindi conviene lavorare miniere che altrimenti sarebbero abbandonate, sicché la produzione dell’oro aumenta. Ma perché aumenti, direbbe il signor De La Palisse, occorre esistano le miniere d’oro. E se non ci sono e non si scoprono? Tutta la buona volontà dei cercatori d’oro non basta a scoprire miniere. Occorre la fortuna, l’intervento di S.M. il caso. Dunque il caso è fattore indipendente, capriccioso delle variazioni di M. Ed io lo chiamo “causa”. Si potrebbe seguitare in questa elencazione di “cause” che gli equilibristi si sono lusingati troppo a buon mercato di aver bandito dal vocabolario economico. Finché esisteranno concetti diversi, occorrerà indicarli con parole diverse. Talvolta è propria la parola “rapporto di interdipendenza”; tal altra quella di “causa”. Perché abbaruffarci intorno questioni di parole?

[4] Per una assai lucida esposizione del contenuto del concetto di livello generale dei prezzi, dei vari indici usati di fatto e dei metodi di misurazione dei fattori della equazione dello scambio vedi le Lezioni di statistica economica (per ora incompiute) di P. Jannaccone, Torino, Giappichelli, 1931.

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