Opera Omnia Luigi Einaudi

Uffici americani del lavoro

Tipologia: Paragrafo/Articolo – Data pubblicazione: 16/05/1897

Uffici americani del lavoro

«Critica Sociale», 16 maggio 1897, pp. 151-153

 

 

 

Chi non ricorda le descrizioni terribili che si leggono nel Capitale di Marx e l’analisi spietata a cui egli ha sottoposto il funzionamento della economia contemporanea? A molti le pagine, in cui Marx ha cercato di tracciare la traiettoria della evoluzione economica quale balzava fuori dalla osservazione paziente dei fatti, sembrano costituire la parte più vitale dell’opera sua. Anche coloro, i quali credono oramai venuto il tempo di sostituire alla sua altre teoriche del valore, devono riconoscere che la sua critica delle istituzioni economiche non si può con altrettanta sicurezza ricusare, perché riposa sulla base incrollabile della osservazione documentata ed ufficiale. La massa dei documenti spogliati dal Marx è davvero enorme. Tutte le inchieste, nelle quali l’Inghilterra durante il nostro secolo ha palesate con franchezza grande e sentimento profondo di giustizia le piaghe sanguinolenti che turbavano i meandri più riposti della sua vita economica, furono da lui lette, commentate e sfruttate.

 

 

Ma il libro di Marx ormai è diventato in talune parti un po’ vecchio. Dopo il 1867 la economia mondiale ha subito profondi mutamenti. Nuovi fenomeni sono venuti alla luce e richieggono uno studio ed una spiegazione attenta. Le organizzazioni operaie erano nella infanzia; ancora non erano comparse le nuove forme di contratti collettivi che, nella Inghilterra contemporanea, hanno per le maggiori industrie fatto scomparire le contrattazioni individuali: ancora non si erano viste le Unioni artigiane imporre agli industriali l’adozione delle nuove macchine, sfatando così l’antico pregiudizio che le società di resistenza si oppongano sempre e ciecamente ai perfezionamenti industriali per tema di acuire la disoccupazione ed il ribasso dei salari. La colonizzazione dei paesi nuovi e l’intensificarsi delle comunicazioni rapide non aveano ancora sostituito alle crisi ed alle rivulsioni periodiche la depressione lenta, continua, perdurante, nell’industria e nell’agricoltura; e non erano sorti in quel tempo i nuovi giganteschi organismi, per cui alla concorrenza si sostituiscono i sindacati, i Kartelle, i trusts e le grandi Cooperative.

 

 

Dopo il 1867 le inchieste ufficiali si sono succedute nell’Inghilterra con metro ognor più accelerato; non c’è angolo riposto della vita economica che non sia stato frugato e studiato con amore e con cura nei grandi volumi a carattere fitto, dove, con imparzialità suprema, si seguono le deposizioni di industriali e di operai, di proprietari e di fittaioli, di conservatori e di socialisti. Basti ricordare le grandi inchieste sui «vecchi poveri», sui «disoccupati», sul «sistema del sudore» e, massima fra tutte, la inchiesta sul lavoro, la quale in 60 volumi raccoglie le testimonianze delle condizioni delle classi operaie, non nella sola Inghilterra, ma in tutto il mondo.[1]

 

 

È chiaro come indagini di tal fatta, condotte con imparzialità scrupolosa e colla sola guida dell’amore del vero, possono riuscire veramente utili a chi si occupa di questioni sociali; le proposte di riforma solo per tal modo possono riuscire adatte all’ambiente nel quale debbono estrinsecare la loro efficacia. Chi non vede di quanta importanza sarebbe in Italia una inchiesta, liberamente fatta alla luce del sole, senza vani segretumi, sulle condizioni degli operai, della proprietà fondiaria, del sistema tributario! Le inchieste che si sono fatte in Italia danno solo un pallido e falso concetto di quello che potrebbero essere e che sono in altri paesi. Qui non la ricerca della verità ne è lo scopo, ma l’acquietamento di domande rinnovate ad alte grida coll’offa di riforme destinate a non venire mai.

 

 

Il sistema inglese delle inchieste sociali ha avuto altrove imitatori e perfezionatori. Negli Stati Uniti si è pensato che le inchieste intermittenti potevano riuscire bensì a svelare alcuno dei lati della vita sociale, ma doveano necessariamente lasciare da parte molti problemi interessanti, sia perché estranei al loro oggetto principale, sia perché l’esame avrebbe richiesto un tempo di gran lunga superiore a quello disponibile. Sorse così il sistema delle inchieste permanenti sui problemi del lavoro cogli Uffici del lavoro. Il primo sorse nel Massachusetts nel 1869, diretto dal Wright ed ora dal Wadlin. Seguirono l’esempio fortunato numerosi altri Stati, cosicché ora ben ventotto Uffici del lavoro esistono nella UnioneAmericana. Eccone le date di fondazione: 1872 Pennsylvania, 1877 Ohio, 1878 New Jersey, 1879 Indiana, Missouri ed Illinois; 1883 California, Wisconsin, New York, Michigan; 1884 Maryland e Jowa; 1885 Connecticut e Kansas; 1887 North Carolina, Maine, Minnesota, Colorado, Rhode Island, Nebraska; 1889 West Virginia e North Dakota; 1890 Utah; 1891 Tennessee; 1893 Montana e New Hampshire; 1895 Washington. Nel 1884 veniva creato, a coronamento finale dell’edificio, un Ufficio del lavoro nazionale, e nel 1888 veniva trasformato in un vero Ministero del lavoro (Department of Labor) sotto la direzione di Carroll D. Wright.

 

 

Quali sono le funzioni e gli scopi degli Uffici americani del lavoro? Prendiamo ad esempio il Dipartimento nazionale del lavoro, il quale vanta un corpo di 75 impiegati stabili, oltre a numerosi altri temporanei. Esso pubblica una serie di Rapporti annuali speciali ed un Bollettino bimestrale. Gli argomenti su cui le indagini devono farsi sono sempre del più alto interesse. I Rapporti annuali descrivono, ad esempio, le depressioni industriali, il lavoro dei carcerati, gli scioperi (3000 pagine in tutto e circa 15 mila scioperi dall’1 gennaio 1881 al 30 giugno 1894), il lavoro delle donne nelle grandi città, il lavoro dei ferrovieri, la educazione industriale, le associazioni di costruzioni e prestito. Giova ricordare in ispecial modo la inchiesta sul costo di produzione, per compiere la quale un vero corpo di statistici visitò numerose fabbriche americane ed europee, studiando, oltre ai bilanci industriali, anche i bilanci di operai e riuscendo ad interessantissime conclusioni sulle condizioni e la efficienza del lavoro nelle varie nazioni. I rapporti speciali, pubblicati senza una periodicità fissa, si occupano di argomenti non meno interessanti, come il divorzio, le leggi sul lavoro, la assicurazione obbligatoria, il traffico dei liquori, gli slums (quartieri poveri) delle grandi città, le case operaie.

 

 

Il Bollettino bimestrale raccoglie i risultati di indagini non ampie così da giustificare la pubblicazione di un volume: fra gli studi in esso pubblicati mi basti ricordare una serie di articoli del Willoughby sulle Comunità industriali. Tutti sanno dell’audace tentativo del Pullmann, il famoso costruttore di vetture ferroviarie di lusso, il quale volle che a lui non solo appartenesse la fabbrica, ma anche la intiera città dove abitavano i suoi operai. Il saggio gigantesco di patronato non impedì che nel 1893 scoppiasse uno sciopero terribile a Pullmann – City, il quale poco mancò non affamasse Chicago. Il Dipartimento del lavoro, per studiare le cause dell’insuccesso del Pullmann, mandò in Europa il Willoughby coll’incarico di riferire sui tentativi analoghi che ivi si fossero fatti; e nella relazione dell’inviato ci sfilano dinanzi agli occhi le descrizioni delle miniere di Anzin, di Blanzy, di Mariemont, della Vieille – Montagne, degli stabilimenti di Krupp, del familistero di Guise, delle ferriere e delle acciaierie del Creuzot, della fabbrica di cioccolatte del Menier. L’intento della inchiesta era di determinare quali istituzioni caratteristiche provochi il sorgere della grande industria; quali influenze sociali esso eserciti e come attorno alla fabbrica nasca naturalmente e necessariamente una nuova forma di consociazione, a ragione della «comunità industriale».

 

 

Il problema è del più alto interesse per tutti quelli che vogliono fondare le loro previsioni del futuro sulle tendenze attuali, e l’inchiesta compiuta dal Dipartimento americano del lavoro merita il plauso di tutti gli indagatori delle nuove forme che sbocciano dal seno della vita industriale moderna. A dimostrare come svariati siano gli oggetti a cui si rivolge l’indagine del Ministero del lavoro, noterò ancora come, nell’ultimo fascicolo del Bollettino, il signor Koren narra i risultati di una inchiesta intrapresa sulle condizioni degli italiani negli Stati Uniti. L’articolo, intitolato: The padrone system and padrone Banks, contiene rivelazioni che fanno raccapriccio sullo sfruttamento inumano a cui i nostri emigranti sono assoggettati da parte dei loro stessi connazionali.

 

 

Né meno importanti sono le indagini condotte a termine dagli Uffici del lavoro dei vari Stati. L’Ufficio del Massachusetts ha acquistato una fama grandissima per la importanza dei lavori condotti a termine, per l’ampiezza e la imparzialità delle ricerche compiute. Dall’abbandono delle campagne all’affollamento nelle grandi città, dalle variazioni dei salari agli scioperi, dal saggio dei profitti alla distribuzione della ricchezza, dai fitti cittadini all’ubriachezza ed all’alcoolismo, non c’è argomento importante per la vita sociale moderna su cui l’Ufficio del lavoro di Massachusetts non abbia rivolta la sua attenzione. E i risultati delle indagini, raccolte in forma compatta, elegante ed accessibile mediante copiosi riassunti, formano la base su cui si è andato erigendo un complesso di leggi sociali profondamente pensate e maturate.

 

 

La importanza degli Uffici del lavoro americani è appunto questa: di localizzare i mali ed additare i rimedi più efficaci e pronti per combatterli. Ciò è stato compreso molto bene dalle organizzazioni operaie: i Knights of Labor provocarono infatti, con una agitazione potente, la fondazione del Ministero nazionale del lavoro; ed i giornali operai commentano e discutono con ardore i Rapporti annuali, servendosene come di un’arme potente nella lotta pel miglioramento delle condizioni delle classi lavoratrici.

 

 

Gli Uffici del lavoro hanno fatto ancora qualcosa di più. È nota anche in Italia la propaganda vivissima condotta nei paesi anglosassoni dal George a favore della nazionalizzazione del suolo; nella Critica Sociale del 15 aprile G. Solari descriveva le applicazioni tentate nella Nuova Zelanda delle teoriche georgeane. Nei rapporti degli Uffici del lavoro americani si trovano profonde le tracce di tale movimento, la cui importanza è sul continente europeo scarsamente valutata. L’Ufficio del Michigan, ad esempio, ha studiato l’ampiezza delle rendite affluenti nelle casse dei proprietari di miniere e di foreste; la distribuzione della terra fra le varie classi sociali; la relativa quota spettante ai salariati, ai capitalisti ed ai proprietari sul prodotto totale; e le sue indagini, se fossero più ampiamente conosciute, fornirebbero vasto campo di meditazioni a coloro che vogliono compiuta la apologia o la critica delle istituzioni attuali su una base reale, non disperdendosi in astrazioni troppo vaporose e troppo poco adatte a collegare l’azione riformatrice col pensiero critico e ricostruttore.

 

 

Splendida prova finalmente della utilità degli Uffici del lavoro ci è data dall’ottavo Rapporto dell’Ufficio dell’Illinois sul sistema tributario. Ecco quale è lo scopo propostosi dall’Ufficio: «Nel descrivere l’attuale sistema tributario, l’Ufficio del lavoro ha voluto dimostrare come la concentrazione delle fortune sia facilitata, come si impongano gravami sull’industria e si impoverisca il lavoro per mezzo di un sistema fiscale vizioso. Il Rapporto però non ha solo uno scopo fiscale, e vuol provare che ogni privilegio concesso dalla legge a singoli individui, per mezzo dei quali essi siano in grado di sfruttare i loro simili, costituisce una vera tassa. L’argomento svolto nel Rapporto acquista perciò una importanza grandissima per tutti coloro, i quali vogliono progredire verso una vita industriale più armonica, dove l’equità sia il fondamento dell’organismo economico e la legge dell’eguale libertà sia la legge della vita sociale». Le parole comprese fra le virgolette si leggono in un documento ufficiale, il quale è forse l’atto di accusa più spietato che sia mai comparso, per bocca di governanti, contro la appropriazione privata della rendita dei terreni edilizi e contro la legislazione tributaria di classe. In pochi giorni la prima edizione fu esaurita, e una seconda di ventimila copie soddisfece a mala pena alle moltiplicate richieste; la English Land Restoration League lo vende in Inghilterra a scopo di propaganda, quantunque si tratti di un volume di 400 pagine, irto di tabelle statistiche.

 

 

Il breve a scarno cenno da me dato lo invoglierà, spero, molti a leggere i Rapporti degli Uffici del lavoro americano e da riconoscerne la importanza, non solo scientifica, ma anche pratica.

 

 



[1] Chi voglia formarsi un concetto della grandiosità di questa inchiesta ufficiale può leggere le Monografie sulla questione operaia di Francia, Inghilterra, Belgio, Germania, Italia, Russia, Stati Uniti, Colonie inglesi, pubblicate e tradotte nel volume quinto della Quarta serie della Biblioteca dell’Economista. Gli apprezzamenti individuali e partigiani scompaiono; e dall’ampia messe di fatti, ignoti forse alla maggior parte degli studiosi dei paesi a cui le monografie si riferiscono, si possono trarre deduzioni sicure ed osservazioni interessantissime.

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