Opera Omnia Luigi Einaudi

Un documento di sincerità

Tipologia: Paragrafo/Articolo – Data pubblicazione: 03/03/1910

Un documento di sincerità

«Corriere della sera», 3 marzo 1910

 

 

 

L’on. Salandra ha compiuto colla sua esposizione finanziaria un atto di sincerità. Ha detto chiaro e forte che l’epoca degli avanzi cospicui nel bilancio dello Stato era chiusa e ha additato talune delle incognite che possono far temere una caduta nel disavanzo.

 

 

Poiché l’alimentare illusioni è più facile e gradito compito che non il predicare prudenza, devesi dar lode al ministro che, senza tingere soverchiamente di scuro il quadro, ha messo in luce come il bilancio italiano possa essere mantenuto in equilibrio soltanto mercé l’astinenza degli appetiti e la resistenza ferma del ministro del tesoro, tutore degli interessi dei contribuenti.

 

 

Importa che gli ammonimenti del ministro siano compresi in tutta la loro portata. Un bilancio che presenta su un movimento di entrate e di uscite di 2400 milioni un avanzo di poche decine di milioni nel 1909-910 e di sei milioni o poco più nel 1910-911 non può considerarsi un bilancio grasso. E se si pensa che agli avanzi si riesce computando a una lunga serie di esercizi spese che dovrebbero essere, secondo le norme della buona finanza, caricate a quell’anno in cui esse si verificano, si dovrà concludere che davvero il pericolo di ricadere nel disavanzo è grave.

 

 

Forse è un bene. Diceva alcuni giorni fa Paolo Leroy-Beaulieu, discorrendo della finanza allegra e spendereccia del Governo e del Parlamento francese, che l’unico freno alle fantasie, alle storditaggini, alla spensieratezza dei governi parlamentari è l’esistenza constatata di una voragine spalancata, di un disavanzo enorme, il quale imponga di ricorrere ai prestiti. Il disavanzo e la necessità di fare debiti: ecco, secondo il Leroy-Beaulieu, l’unica ancora di salvezza del contribuente contro la mania di spendere e di sprecare dei governanti.

 

 

Per fortuna l’Italia è per ora ben lontana dalle orgie di spreco e di imposte cui si abbandonano in Francia gli attuali suoi governanti: ma quella che il Luzzatti ha chiamato virtù educatrice del disavanzo non può non essere anche da noi, come lo fu in passato, feconda di benefici risultati.

 

 

Il primo effetto salutare già lo avemmo nella schietta enumerazione di quelle che l’on. Salandra ha chiamato le incognite del bilancio: esercizio di Stato delle ferrovie, telefoni di Stato, navigazione di Stato. Le statizzazioni industriali cominciano presso di noi a fruttare acerbi disinganni. E siamo appena all’inizio. Tempo verrà, come è già avvenuto nei paesi dove l’esercizio di Stato delle ferrovie funziona da più lunghi anni, come la Prussia e il Belgio, in cui i redditi netti delle ferrovie soffriranno degli sbalzi di decine di milioni di lire da un anno all’altro.

 

 

In Prussia le ferrovie sono largamente attive; ma ciò importa poco quando l’erario si è abituato a incassare, e quindi a spendere, quel cospicuo reddito netto. Se viene un anno in cui il reddito netto diminuisce di 50 milioni di marchi, lo Stato non può dire, come direbbe un privato a cui i redditi diminuissero: spendiamo 50 milioni di marchi di meno. No, le spese sono impostate in bilancio per funzioni pubbliche che non si possono sopprimere; e quindi è necessario ricorrere al debito e mettere imposte nuove.

 

 

In Italia diminuisce, come in Prussia, il cosidetto reddito netto delle ferrovie; e la conseguenza è la medesima: debiti od imposte nuove.

 

 

Né minori, e bene a ragione, sono le preoccupazioni dell’on. Salandra per gli esercizi secondari di Stato: telefoni e navigazione. Coloro che hanno la responsabilità della navigazione di Stato e che si illusero di aver salvato il tesoro pubblico da chi sa quale pericolo, debbono oggi in cuor loro pensare cha la sicurezza delle comunicazioni fra l’Italia e le isole è stata comperata a un ben caro prezzo: invece dei 2.700.000 lire di disavanzo previsto, siamo già quasi a 3.700.000, e alla resa dei conti non ci fermeremo sicuramente lì.

 

 

L’ammonimento dell’on. Salandra è venuto in buon punto a ricordare agli amatori di novità che prima di iniziare nuove intraprese di Stato è d’uopo mettere in ordine e in tollerabile aspetto le intraprese già incominciate e che, per il loro disordinato crescere, minacciano da vicino la solidità del bilancio.

 

 

Ultima, o meglio unica, novità importante dell’esposizione finanziaria è stata l’annuncio del nuovo titolo redimibile 3% netto. Anche qui l’on. Salandra ha coraggiosamente dichiarato in Parlamento una verità che il Governo aveva finora con ostinazione negata: l’insuccesso dell’emissione del 3,50% netto ferroviario. Tutti sapevano che quel titolo, di cui in pubblico si erano emessi 85 milioni, era rimasto, in parte non indifferente, al sindacato emittente; e nessuno aveva creduto all’affermazione governativa che l’emissione fosse stata coperta al di là della somma offerta in sottoscrizione. Oggi l’on. Salandra confessa che il 3,50% non incontra il gusto del pubblico; e ha fatto bene, perché, dovendosi procedere a nuove emissioni, era inutile continuare a offrire una merce che ai risparmiatori non piace.

 

 

Gradiranno meglio i risparmiatori il nuovo titolo 3%? A primo aspetto parrebbe di si, perché i risparmiatori italiani oggi si gittano con rapida avidità sulle obbligazioni ferroviarie 3% lordo (che sono 2,40% netto) le quali rendono, sul prezzo di acquisto, dal 3 al 3,20%, poiché sperano di guadagnare la differenza tra il prezzo di acquisto che è al di sotto della pari (dal 75 all’80%) e il prezzo di rimborso alla pari. Le particolarità dell’emissione del nuovo titolo ci diranno se il 3% ammortizzabile sia destinato ad acquistare nel mondo dei capitalisti quelle medesime simpatie di cui godono gli attuali ferroviari 3%.

 

 

Un qualunque giudizio sarebbe per ora prematuro. Solo mercé uno studio accurato delle condizioni di emissione, sarà possibile giudicare se il 3 ammortizzabile sia destinato al limbo dei titoli che non fur mai vivi, o ad entrare trionfalmente nel novero dei valori preferiti per l’impiego del risparmio italiano, preparando da lungi la via a una sicura conversione, dopo il 1920, del 3,50 in 3%.

 

 

Auguriamo che all’ardito tentativo sorrida la fortuna.

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