Un libro sulla costituzione economica moderna
Tipologia: Paragrafo/Articolo – Data pubblicazione: 22/12/1898
Un libro sulla costituzione economica moderna
«La Stampa», 22 dicembre 1898
Non si può affermare che i libri degli economisti siano sempre aspettati con ansiosa gioia del grande pubblico colto, il quale non si interessa in modo speciale di cose economiche e sociali.
Negli ultimi anni, però, una trasformazione profonda è avvenuta nelle tendenze spirituali e nelle letture preferite da questo pubblico colto; ed i libri riflettenti le questioni sociali più agitate ed appassionanti hanno sostituito in parte i libri di amena lettura.
Fra gli economisti italiani, uno di quelli che seppe attirare a sé più fortemente l’attenzione pubblica, quantunque i suoi libri richiedano nel lettore un complesso non comune di cognizioni ed una tensione continua e sostenuta del pensiero, si fu Achille Loria. I lettori della Stampa non riterranno inopportuno che io presenti loro un cenno oggettivo o non troppo infedele, per quanto lo comporta brevità dello spazio, dell’ultimissimo libro che il Loria ha pubblicato sotto il titolo: La costituzione economica moderna[i].
Esso non è se non l’ultimo anello di una lunga catena, che attraverso all’Analisi della proprietà capitalista ed alle Basi economiche della costituzione politica, risale fino alla Elisione della rendita fondiaria, il libro giovanile che gettò le fondamenta della fama dell’A., ed è ispirato al medesimo pensiero fondamentale: l’importanza grandiosa ed eccezionale della terra nella costituzione economica delle società umane. La terra è l’ascoso motore di tutte le trasformazioni avvenute nei metodi di organizzazione del lavoro, il propulsore vero e profondo dei passaggi successivi da uno ad un altro stadio sempre più evoluto e perfetto della costituzione economica.
Si fu studiando la storia delle colonie e sovratutto delle colonie anglo- sassoni che alla mente del Loria balenò l’intuito primo di quello che per lui costituisce il segreto di tutti i fenomeni economici e sociali. Egli vide nei paesi nuovi la scarsa popolazione alle prese con un immenso territorio liberamente aperto alla occupazione di tutti ed osservò un fenomeno interessante e curioso: la impossibilità del sorgere del capitalismo e del salariato laddove ogni immigrante può occupare un tratto di terreno bastevole per soddisfare ai suoi bisogni.
Egli narra l’episodio di un sagace inglese, il quale aveva comprata e allestita una nave e vi aveva caricato sopra operai, macchine, strumenti, vettovaglie per andare a fondare una manifattura nelle colonie americane. Ma il suo disinganno fu acerbo quando, appena sceso a terra, i suoi uomini lo abbandonarono per occupare ciascuno un tratto di quella terra libera che colla sua forza magica invincibilmente li attirava ed egli rimase solo colle sue macchine, rese inutili dalla mancanza della forza-lavoro, e senza nemmeno un servitore
per andargli ad attingere acqua al fiume. Tale è, secondo il Loria, la sorte del capitale nei paesi nuovi: di rimanere senza profitto.
Non è meraviglia che il capitale, disgustato di questa perniciosa costumanza cerchi di reagire contro le influenze della terra libera ad emancipare il lavoratore ed a rendere impossibile ogni organizzazione economica basata sul profitto.
Ed in questa reazione il capitale ha fomentato il progresso della civiltà perché ha permesso di superare il primitivo periodo di dissociazione in cui il lavoro umano, disseminato sulle vergini terre libere, non poteva raggiungere tutti quegli scopi che solo colla associazione delle forze possono conseguirsi.
I metodi cui il capitale si appigliò per distruggere l’influenza, deleteria per lui e per le civiltà, della terra libera furono molteplici; ed il passaggio dall’uno all’altro metodo è stato sempre fatalmente determinato da cause risiedenti nel grado di limitazione e di fecondità della terra. Metodi primitivi e rozzi furono la schiavitù e la servitù della gleba, con cui il capitale otteneva di asservire il lavoratore ad un padrone ed alla terra ed, impedendogli di occupare per proprio conto una porzione di terra libera, lo costringeva ad abbandonare una quota dei frutti del proprio lavoro allo scopo di assicurare a sé stesso un profitto.
Quando l’aumento della popolazione e l’occupazione completa della terra resero impossibile all’operaio di stanziarsi a proprio conto sul territorio inoccupato, il capitale non ebbe più bisogno di ricorrere alla schiavitù ed alla servitù per assicurarsi un profitto.
Ogni nuovo venuto al banchetto della vita trovava già tutti i posti occupati, e se voleva vivere doveva forzatamente acconciarsi a lavorare per conto dei monopolisti della terra. In uno stadio sociale, come l’attuale, in cui la terra non sterilissima e non situata agli estremi confini del mondo incivilito, è tutta occupata, il regno del salariato e del capitalismo sembra un fenomeno naturale ed irrevocabile.
Sembra, ma non è; suppongasi infatti che l’operaio col risparmio assiduo metta insieme quel capitale che è indispensabile per acquistare l’unità fondiaria, ossia il terreno bastevole pei bisogni suoi e della famiglia, e d’un tratto tutto il maestoso edificio del profitto crolla; i capitalisti rimangono privi di lavoratori, occupanti ciascuno l’unità fondiaria guadagnata col sudore della fronte, e dal proprio capitale non possono ritrarre alcun profitto, ove non si adattino a lavorare essi stessi ed a fare partecipare i lavoratori in misura eguale ai guadagni derivanti dall’impiego del capitale.
È dunque mestieri che il capitale cerchi un metodo, il quale efficacemente impedisca ai lavoratori l’accesso alla terra; e questo metodo consiste nella sopravalutazione della terra.
Come l’Analisi della proprietà capitalista era stata consacrata e studiare le influenze della terra libera e degli altri mezzi violenti o palliati di soppressione della medesima, così la nuovissima Costituzione economica moderna è dedicata all’analisi del fenomeno della sopravalutazione della terra. I metodi coi quali il capitale attribuisce un valore fittiziamente elevato alla terra, superiore sempre al risparmio massimo dell’operaio, asservito così subdolamente alla servitù del salariato, sono dal Loria analizzati in tutte le loro forme più evidenti e più sorprendentemente nascoste all’occhio volgare degli economisti inneggianti alle armonie sociali.
Ma questa stessa sopravalutazione della terra, la cui vera funzione di tutrice del profitto capitalista non è stata avvertita, secondo il Loria, da alcuno dei sicofanti della borghesia, conduce, per un’intima forza di ritorsione, a conseguenze direttamente opposte a quelle che il capitale si era proposto.
L’alto valore della terra danneggia l’industria, abbassa i salari ed i profitti a beneficio degli speculatori fondiari e del capitale improduttivo, e, corrodendo le fonti stesse della produzione, adduce alla crisi perpetua ed alla depressione industriale, bancaria, agricola e commerciale, il cui ultimo risultato si è lo svilimento del valor della terra.
Allora, quando la sopravalutazione avrà cagionato la sottovalutazione della terra, la costituzione economica moderna sarà giunta al suo punto critico. Il lavoratore il cui salario, per la forza di resistenza insita oggidì nella classe operaia, sarà diminuito meno di quanto sia scemato il valore della terra, riacquisterà l’accesso alla terra; e da questo contatto del lavoratore colla terra, dalla risurrezione dell’antico diritto alla terra nascerà una nuova società economica, più bella e più fulgida della passata.
E questa società, il cui avvento può essere affrettato colla istituzione del salario territoriale, o salario in terra ai lavoratori, direttamente ammessi all’occupazione della terra, sarà basata sul diritto alla terra concesso a tutti gli umani.
Essa, superiore di gran lunga alla costituzione economica moderna, sarà superiore di gran lunga del pari al sogno collettivista, il quale, per adoperare le parole del Loria «affida la proprietà della terra e degli strumenti di produzione all’ente sociale ed ha d’uopo, a persistere, di una coazione incessante, esercitata dalla collettività sui singoli consociati.»
La costituzione economica limite, delineata dal Loria sulla base del diritto alla terra, si regge invece sulla proprietà privata e si svolge mercé la libera esplicazione dell’interesse individuale.
Il diritto alla terra, lungi dal costituire una violazione della libertà, la redime per sempre dai vincoli che l’economia capitalista attuale le infligge e che sarebbero ribaditi dall’economia collettivista preconizzata dai socialisti, e perviene felicemente ad assicurare un armonico e pieno elaterio.
Queste, in breve e scarno sunto, le idee svolte da Achille Loria nel suo ultimo volume; e senza volere qui dare su di esso un giudizio, che sarebbe frettoloso ed imponderato, è certo però che offrirà materia a vive discussioni non solo fra i professionisti dell’economia politica, ma anche fra tutti coloro che si interessano delle più importanti questioni sociali contemporanee.