Opera Omnia Luigi Einaudi

Una babele linguistica

Tipologia: Paragrafo/Articolo – Data pubblicazione: 24/12/1897

Una babele linguistica

«La Stampa», 24 dicembre 1897

 

 

 

Gli avvenimenti ultimi nell’impero austriaco hanno svelato la esistenza di una intensa lotta di razze quale non si sospettava esistesse in una nazione civile europea. L’Austria aveva già dato impulso alla formazione di una di quelle teorie geniali che attraversano periodicamente, come meteore, il campo scientifico.

 

 

Il Gamplowicz era stato spinto, infatti, dalla contemplazione di quanto accadeva sotto i suoi occhi a scrivere quel libro intitolato Rassenkampf, che è uno dei contributi più notevoli apportati nell’ultimo ventennio della filosofia della storia della umanità ed il quale ha dimostrato quale enorme importanza abbiano la coesistenza e la sovrapposizione di razze diverse nello spiegare lo stato politico, sociale e amministrativo delle varie nazioni.

 

 

Nell’ultimo fascicolo della inglese Review of Reviews uno scrittore austriaco, che si firma E. Segreb, dà delle notizie interessantissime sul grado al quale è giunta oramai la disgregazione dello storico impero sotto l’impulso delle lotte di razze che quotidianamente lo dilaniano. Il Segreb racconta di avere seguito una volta le grandi manovre dell’esercizio austriaco nella Boemia Occidentale. Un Corpo d’esercito doveva impedire che il nemico invasore raggiungesse Praga, e possibilmente doveva respingerlo alla frontiera bavarese. Nel secondo giorno delle manovre, lo scrittore si trovò vicino ad una batteria dell’esercito nazionale, comandata da un capitano con quindici anni di servizio, molto istruito, il quale parlava correntemente il francese, l’italiano e l’inglese.

 

 

Gli amichevoli conversari dello scrittore e del capitano furono interrotti dall’arrivo di una pattuglia di dragoni boemi, il cui sergente disse qualche cosa al capitano in czeco.

 

 

Il capitano lo interrogò in tedesco, ma non poté trarne altra risposta se non: Nerozumim (non capisco).

 

 

Mentre il capitano ordinava al luogotenente di fare una ricognizione con dodici uomini, arriva una seconda pattuglia di ussari. Il caporale con gran furia ed ansietà disse alcune rapide parole in magiaro. Ogni domanda del capitano ottenne anche qui una sola monotona risposta: Nemtudom (non capisco).

 

 

Il capitano, ansioso di sapere qualche cosa, monta a cavallo ed ordina alla batteria: «Pronti!» Mentre i soldati si apparecchiavano, sei o sette ulani giungono dalla destra correndo ventre à terra. Il sergente, sudato e coperto di polvere, parlò molto eccitato in polacco. Alla domanda del capitano: «Potete voi parlare in tedesco?» una sola risposta il sergente poté dare: Neznam (io non capisco).

 

 

Tutto d’uno tratto la cavalleria nemica sbocca dalla destra; e, malgrado i rapidi comandi del capitano, prima che un colpo potesse partire, essa si era impadronita delle batterie.

 

 

Se invece di manovra si fosse trattato di guerra vera, pochi sarebbero sopravvissuti. Sua Maestà l’imperatore Francesco Giuseppe, che aveva da lontano assistito al rapido succedersi degli avvenimenti, aggrottò le ciglia; il generale in capo andò in collera; il generale brigadiere diventò furioso; il colonnello adoperò parole molti vivaci contro il capitano; ed alcuni mesi dopo questi era messo in pensione. Ma era sua la colpa, osserva lo scrittore austriaco, o non invece dei nerozumim, nemtudom e neznam?

 

 

Questo aneddoto dipinge un modo caratteristico le condizioni dell’esercito austro ungherese, ed in grado perfetto spiega la causa della crisi in cui attualmente si dibatte l’Impero austriaco.

 

 

L’esercito è diventato un complesso disorganico di unità combattenti poliglotte. Malgrado che gli ordini si diano in generale in tedesco, la Honwed ungarica (seconda riserva) è comandata in magiaro, e molti dei suoi stessi ufficiali non comprendono il tedesco. In tutti i reggimenti i bassi ufficiali, ad eccezione di quelli provenienti dalle provincie tedesche, sanno a mala pena leggere e quasi mai parlare tedesco, e la proporzione di ufficiali della riserva che comprendono questa lingua diventa ogni anno più tenue.

 

 

Quantunque vi siano molti ufficiali che conoscono due o tre delle lingue dell’Impero, ve ne sono pochissimi che riescono a comprendere tutte le favelle diverse usate dai soldati: magiaro, polacco, czeco, ruteno, rumeno, slavonico, croato, slovacco, serbo, bosniaco ed italiano.

 

 

Ogni giorno nella pratica della vita militare austriaca la terribile parola non capisco si sente sempre più espressa in undici differenti linguaggi; e può essere foriera di disastrose conseguenze in caso di guerra. Non solo nella vita militare, ma anche nella vita politica e civile la Babele linguistica minaccia di soffocare l’unità nazionale. Nella Camera austriaca alcune dozzine di deputati non sanno parlare tedesco, alcuni non lo capiscono nemmeno e frequentissimi discorsi vengono tenuti in lingue non comprese dalla maggioranza dei deputati.

 

 

Migliaia di liti, la maggioranza anzi delle liti discusse davanti ai Tribunali delle provincie miste devono essere condotte innanzi in due o tre lingue differenti; i discorsi, le memorie, le sentenze debbono essere ripetutamente tradotti e si deve sprecare un tempo prezioso e molto denaro negli interpreti. Il sistema dei giurati è diventato una farsa ed una vergogna a causa dei pregiudizi nazionali e della incapacità di molti giurati a comprendere una lingua diversa dalla loro propria. I servizi postali, telegrafici e ferroviari, la esazione delle imposte, la esecuzione degli affari legali, commerciali, industriali, la educazione del popolo soffrono immensamente da questo variopinto poliglottismo e dalla mancanza di un linguaggio di Stato.

 

 

Io non capisco è il segno caratteristico delle tendenze, scopi ed intenti del popolo; le nazioni dell’Austria non si comprendono a vicenda; manca tutto ciò che potrebbe costituire uno Stato forte ed una organica unità: le relazioni fra i varii paesi della Monarchia, lo scambio delle idee, la lotta fra idee opposte, il loro compromesso, i matrimoni misti, l’assimilazione, l’amalgamazione lenta e secolare delle varie razze.

 

 

Un altro paese si trova in condizioni non dissimili da quelle in cui la Monarchia austro-ungarica si dibatte senza veder per ora una via di uscita: gli Stati Uniti dell’America del Nord. Accanto agli inglesi preponderanti, numerosissimi sono colà gli irlandesi, forse più numerosi che nella verde Erinni; forti i tedeschi ed in alcuni Stati del Nord preponderanti; dilaganti negli Stati del Sud i neri.

 

 

Vi si aggiungano colonie in alcuni distretti notevolissime di italiani, polacchi, russi, scandinavi, spagnuoli, cinesi e si avrà un’idea dell’amalgama strano di popoli e di lingue che esiste sotto la protezione della bandiera stella dell’Unione Americana. Eppure dopo la crisi suprema della guerra di secessione, la unità degli Stati Uniti non fu mai messa in forse ed è oggi incrollabile. Eppure in quel vasto ed immenso ricettacolo di popoli nemici ed irreconciliabili una volta fra di loro, le lotte di razza si attenuano a poco a poco fino a scomparire; e tutti popoli diversi perdono una parte dei loro antichi caratteri differenziali e contribuiscono insieme a formare una nuova razza che non è inglese, tedesca, irlandese, polacca, russa, italiana o mora, ma è la risultante della convergenza di tutte queste razze in una nuova grande razza americana.

 

 

Il contrasto fra la Monarchia austro-ungarica e gli Stati Uniti d’America è dei più significanti, e la sua spiegazione è forse uno dei problemi più difficili della storia contemporanea.

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