Una minaccia per l’Italia
Tipologia: Paragrafo/Articolo – Data pubblicazione: 22/07/1901
Una minaccia per l’Italia
«La Stampa», 22 luglio 1901
Tutti gli Stati europei stanno elaborando in segreto le variazioni che si intende di apportare ai trattati di commercio ora vigenti. Malgrado la vivissima curiosità dell’opinione pubblica, e sovratutto dei commercianti e degli industriali, poco o nulla si era finora riusciti a sapere sulle vere intenzioni dei varii Governi.
Giorni or sono, però, alcune rivelazioni d’un giornale di Stoccarda hanno mosso a rumore la Germania, perché vennero in luce propositi i quali, se tradotti in atto, avrebbero un’importanza straordinaria non solo per la Germania, ma per tutti i paesi che con essa hanno rapporti commerciali.
Quale sia la fonte delle rivelazioni fatte dal giornale di Stoccarda è facile argomentare, pensando che tra i diversi Stati confederati tedeschi esiste una profonda contraddizione di interessi. Gli Stati del sud sono invero propensi ad una politica libero-scambista, mentre nel nord, e specialmente nella Prussia, predominano gli agrari, propugnatori ferventi di una politica a base di lotta ad oltranza contro le importazioni estere.
Durante la elaborazione, fatta dal Bundesrath, dei punti direttivi che dovranno servire ai futuri negoziatori tedeschi, i Governi confederati si obbligarono al segreto più assoluto. Ma non dobbiamo per nulla maravigliarci se qualcuno fra i Governi – e si cita il Vurtemberg come il più indiziato – ostili alla politica protezionista prussiana, abbia di sottomano fornito notizie alla stampa sui propositi del Governo imperiale, allo scopo di provocare una violenta campagna nell’opinione pubblica e negli Stati stranieri contro il pericolo protezionista che minaccia di travolgere gli attuali trattati di commercio.
Nella realtà, se le cose stanno come afferma il giornale di Stoccarda, l’opinione pubblica tedesca od anche quella italiana hanno ben ragione di allarmarsi.
Il Governo tedesco avrebbe infatti intenzione di adottare il sistema della doppia tariffa, noto per l’applicazione rigidamente protettiva avuta in Francia. Se non nella apparenza, la doppia tariffa sarebbe adottata nella sostanza, poiché il progetto fissa per molti prodotti agricoli dei dazi minimi al disotto dei quali non si potrà mai discendere. Il male sarebbe poco grave se questi minimi fossero moderati. Ma invece essi rappresentano degli aumenti considerevolissimi sui diritti d’entrata attualmente esistenti.
Il progetto dà completa vittoria agli agrari. Il dazio sulla segala straniera è aumentato da 3 50 a 6 marchi al quintale; quello sul grano da 3 50 a 5 50; e si fissa un minimo di 7 marchi per l’orzo e di 5 marchi per le avene.
L’Italia, si dirà, non ha nulla da temere da codesti rialzi, poiché essa non è esportatrice di grano, segala, orzo ed avena. L’Austria-Ungheria e la Russia saranno le sole colpite.
Pur troppo gli agrari cerealicultori del nord della Prussia hanno pensato a procurarsi l’appoggio dei piccoli agricoltori dell’ovest, concedendo altri aumenti di dazi a costoro favorevoli e gravemente minacciosi per l’Italia. Basti notare che il dazio sui tori e le giovenche è portato da 9 a 25 marchi per capo; sul bestiame giovane da 9 a 15; sui suini da 5 a 10. Le oche, le quali erano esenti, pagheranno in pfennig e settanta per pezzo; il burro ed il formaggio, anziché sedici o venti marchi, pagheranno trenta; le uova sono aumentate da 2 marchi a 6.
Ed altri aumenti si annunciano per le verdure, le frutta fresche e secche, e per gli altri prodotti che l’Italia esporta in copia nell’impero germanico. Già la stampa industriale e commerciale tedesca ha elevato la sua voce contro il progetto, che inizierebbe una lotta di tariffe a coltello cogli altri paesi.
Secondo il Berliner Tageblatt, l’attuazione del progetto sarebbe una catastrofe tale per l’industria esportatrice tedesca da potersi paragonare soltanto a quella cagionata dalla guerra dei trent’anni! Invero nel 1900, il commercio della Germania coll’estero, non compresi i metalli preziosi, si elevò a 10 miliardi e 377 milioni di marchi, realizzando un aumento di 259 milioni nelle importazioni e di 384 milioni nelle esportazioni, rispetto all’entrata e all’uscita delle merci nell’anno precedente.
Ora la più gran parte dell’esportazione tedesca è costituita dalle merci perfezionate delle fabbriche, e questo fenomeno, se pure altri elementi non vi fossero, basterebbe a dimostrare che la Germania è ormai divenuto un paese industriale il quale nella trasformazione dei prodotti grezzi del suolo trova la presente sua prosperità.
E uno Stato come la Germania, il quale fuori dei confini dell’impero deve trovare un utile collocamento per la più gran parte delle merci prodotte, non può adottare l’autonomia doganale, che tanto seduce l’ambizione del partito agrario, senza compromettere la fonte stessa della sua odierna ricchezza. Ma ciò non è tutto.
Grande è certo il cammino che la Germania ha percorso nel campo coloniale, i suoi possedimenti si sono rapidamente allargati, e accresciuti i mezzi di colonizzazione e di dominio.
Ma la base del traffico internazionale della Germania resta sempre in Europa. Sopra una esportazione complessiva di 4752 milioni di marchi, nel 1909, i paesi europei ne assorbirono 3699 milioni, mentre 698 le due Americhe, 230 l’Asia, 73 l’Africa e 50 l’Australia. In quanto alle importazioni, nelle quali maggiore è la partecipazione dei paesi extraeuropei, il vecchio continente conserva un primato, che nessun’altra regione potrà contendergli. Infatti, nell’importazione complessiva (6042 milioni di marchi) l’Europa vi concorse con 3797, l’America con 1598, l’Asia con 370, l’Africa con 147, e l’Australia con 125 milioni.
Questa condizione di cose indica che la Germania ha supremo interesse di coltivare, migliorandole, le sue relazioni di scambio coi mercati d’Europa, pur cercando di partecipare in maggior misura al traffico degli altri continenti.
Ora, come mai sarebbe possibile una più attiva partecipazione al commercio europeo se si abbandonasse quella politica dei trattati, che fu provvidamente iniziata dal Caprivi, e che portò tanta copia di bene all’economia germanica?
Perché gli agrari tedeschi, così esagerati nelle pretese loro e nei loro pregiudizi, potranno caldeggiare fin che vorranno l’autonomia doganale, che ritengono di rara efficacia a guarire le infermità profonde dell’agricoltura dell’impero, ma non potranno negare che i trattati conchiusi dal 1891 al 1894 riuscirono di particolare vantaggio alle produzioni manifatturiere del loro paese. L’esperienza dimostra che le esportazioni tedesche acquistarono raro vigore quando si avviarono verso i paesi che s’erano legati alla Germania da comprensivi trattati di commercio. E l’Austria-Ungheria, e la Russia, e l’Italia, e il Belgio e la Svizzera si videro inondati di merci di fabbricazione germanica dopo che le loro barriere doganali, in virtù dei trattati conchiusi, s’erano rese più accessibili ai prodotti dell’impero.
Quando il cadente principe di Hohenlohe cedette il posto alla giovanile gagliardia del conte Bulow, molti dissero che la scelta era caduta sull’antico ambasciatore di Roma perché egli s’era dimostrato singolarmente adatto a coadiuvare l’imperatore in quella politica mondiale che tanto sorride all’ambizione germanica.
Ebbene, una partecipazione più attiva alle questioni che, in Europa e fuori, si agitano nel presente periodo di espansione non sarebbe concepibile con una politica di gretto protezionismo esclusivista. La Germania, che ha tanto bisogno di espansione politica e di espansione economica, dovrà, per necessità di cose, spalancare le sue porte alle merci forestiere, se vorrà che altre frontiere si schiudano ai prodotti perfezionati delle fabbriche tedesche.
E di questa necessità, quasi senza accorgersene, se ne dimostra convinto lo stesso spirito pubblico dell’impero, il quale non è ostile alla Francia, all’Austria-Ungheria, alla Russia, all’Italia, che commercialmente non teme, ma alla Gran Bretagna, che si dimostra sempre forte nel campo economico, ed agli Stati Uniti d’America, che si appalesano concorrenti formidabili nel dominio del mercato internazionale.
Questo dicono gli industriali ed i commercianti tedeschi. Spetta ora all’Italia, la quale dall’adozione della politica agraria sarebbe gravemente danneggiata, far sentire la sua voce. Noi abbiamo in Germania degli alleati fedeli perché interessati. Importa sapercene servire.