Opera Omnia Luigi Einaudi

Una nuova edizione dei discorsi del conte di Cavour

Tipologia: Paragrafo/Articolo – Data pubblicazione: 01/03/1934

Una nuova edizione dei discorsi del conte di Cavour

«La Riforma Sociale», marzo-aprile 1934, pp. 227-229

Nuovi saggi, Einaudi, Torino, 1937, pp. 351-353

 

 

 

C. Benso Di Cavour – Discorsi parlamentari. Vol. I, 1848-1850, a cura di Adolfo Omodeo. Un vol. di pag. CXV-473 e 2 csn. – Vol. II, 1850-1851, a cura di A. O. Un vol. di pag. 475 e 1 csn. (La Nuova Italia editrice, Firenze, 1932, 2 vol. in-8°, legati in tutta tela L. 35 e 30).

 

 

Gli editori ed i curatori hanno intrapreso la pubblicazione dei discorsi parlamentari del conte di Cavour, allo scopo di provvedere ad una esigenza largamente sentita dagli studiosi dopoché l’edizione curata dal Massari in 11 volumi, più quelli d’indici e di ricordi bibliografici, erasi esaurita. Gli odierni curatori, A. Omodeo e L. Russo, arricchiscono il testo massariano dei discorsi del conte con frasi e battute polemiche, anche minime, di lui, per lo più trascurate dal Massari; e, a chiarimento, richiamano ed, occorrendo, sunteggiano il dibattito; aggiungendo commentari e note, non a scopo di giudizio, ma di ricordo dei fatti e di illustrazione dei problemi i quali avevano dato origine al dibattito. Il testo non è quello che il Massari talvolta ingentilì, sibbene l’originale “più barbaro” degli Atti ufficiali.

 

 

Il curatore di questi due primi volumi, che è l’Omodeo, assolse egregiamente l’ufficio suo, sicché si può fin d’ora presagire che la nuova collezione soddisferà pienamente alle esigenze degli studiosi e troverà luogo non solo nelle biblioteche pubbliche ma anche in quelle private di tutti coloro i quali, amando la storia d’Italia, desiderano conoscere il pensiero e l’opera pratica del maggior statista del risorgimento italiano. Una lunga introduzione dell’Omodeo illustra «gli inizi della politica cavouriana» in un bel saggio ricostruttivo, che si legge con vivo compiacimento e sul quale duole di non potere intrattenerci a lungo, per l’indole economica della rivista. L’Omodeo insiste soprattutto e bene sopra i nessi tra le idee economiche e quelle politiche e generali. L’economista volentieri segue i suoi richiami e ne trae argomento per sentire dalla bocca del conte argomentazioni di teoria economica classica, quali soltanto il lettore assiduo di Adamo Smith, di Say, di Ricardo e l’amico di Senior poteva, dopo averle nitidamente esposte, rafforzare con illustrazioni vive fresche tratte dalla esperienza sua e dallo studio diretto dei bisogni del Piemonte, del Nizzardo, della Savoia e della Sardegna. Il Pescatore, pur espositore finissimo di teorie tributarie, si opponeva per spirito democratico alla estensione alla Sardegna delle regie patenti del 1845 abolitrici di talun privilegio tributario? Il Cavour afferma la necessità di abolire il privilegio; e nega che in ogni caso questo giovi:

 

 

«Dove è meno abbondante la produzione, come purtroppo accade alla Sardegna, la popolazione si accresce lentissimamente… Se volete far cosa utile per la Sardegna, fate buone strade e buone leggi, sopprimete tutte le leggi che ingombrano il progresso agricolo, togliete le decime, fate che la giustizia sia rispettata, e voi vedrete la popolazione in Sardegna moltiplicarsi ed aumentare se non in proporzione rapida come in America, certamente in una proporzione maggiore che non in qualunque altra contrada d’Europa» (I, 345, 14 gennaio 1850).

 

 

Al deputato Farina, il quale, a proposito della fusione dei due banchi di Genova e Torino, paventava inflazioni ed invocava rigidi limiti legali alle emissioni, il Cavour replicava secco:

 

 

«L’editto d’Inghilterra del 1844, citato dal signor Farina (nel quale) si stabilì, per riguardo all’emissione della carta, che era illimitata prima, che non potrebbe superare la somma esistente in cassa di più di 14 milioni di lire sterline, incontrò l’approvazione generale. Ora, nel 1847 l’emissione della carta della banca essendo giunta a questo limite, essa ha promesso che avrebbe cessato di scontare; questo produsse un timore panico nella borsa di Londra… che diede luogo a molti fallimenti, dei quali non avevamo esempio neanche nel tempo della guerra, onde il ministero d’allora credette dover autorizzare la banca a violare l’atto di pagamento e ad aumentare la circolazione, imponendogli l’obbligo di accrescere lo sconto; quest’aumento permise alla banca di continuare le sue operazioni» (I, 435, 8 febbraio 1850).

 

 

A coloro i quali imputavano alla riduzione del dazio da 6 a 3 lire per quintale l’avvilimento del prezzo del frumento a 17 lire l’ettolitro (circa 80 lire italiane attuali al quintale) egli oppone:

 

 

«L’avvilimento del prezzo attuale dei cereali ha la sua ragione nell’eccessivo prezzo dei cereali negli anni andati. Esso, facendo sperare immodici guadagni, ha sopra-eccitata la produzione dei cereali, sicché molti prati furono ridotti per la coltivazione dei cereali, e molti terreni furono esclusivamente consacrati a queste colture, il che fece aumentare la produzione sproporzionatamente ai bisogni della consumazione… Che se questo prezzo fosse prodotto da una causa costante, se, cioè, invece di essere cagionato da una produzione anormale, fosse l’effetto di un miglioramento della coltivazione, io farei plauso e lo considererei come uno dei maggiori vantaggi recati dal progresso dei tempi, e qualora la legge attuale (di soppressione dei diritti differenziali sulle merci importate con la bandiera estera) avesse per effetto di rendere più facile il commercio estero e di mantenere in un limite discreto il prezzo dei cereali, vedrei in ciò stesso un motivo di più per votare in favore di essa. Ho atteso pur io all’agricoltura e so che anche al prezzo attuale si può con lucro coltivare il terreno» (II, 103, 4 aprile 1850).

 

 

Par di vederlo, il gran conte, con la sua voce tagliente (anzi stridula, mi diceva nel 1913 il venerando prevosto di Cardè nel saluzzese, sac. Virginio Marchese, che dal 1848 al 1863 fu stenografo al senato subalpino e di quei discorsi cavouriani serbava, in tarda età, viva impressione) distruggere l’oratoria gonfia dei democratici, dei difensori dei privilegi regionali e dei protezionisti. Con parole non adorne, senza inutili aggettivi, egli va subito al fondo dell’argomento. Il suo caval di battaglia è l’economia politica e son gli economisti inglesi, da lui spesso citati, con gran fastidio degli avversari, ai quali quegli scritti legavano i denti e per ritorsione affettavano di chiamarlo «milord Camillo»; ma del suo sapere, appunto perché divenuto una cosa sola con il suo pensiero, egli non fa sfoggio, servendosene solo per cogliere il punto debole delle argomentazioni avversarie.

 

 

Questi due volumi dei discorsi del Cavour sono davvero una grande scuola: di buona oratoria, di arte di stato e di governo, di applicazione sapiente dei principi scientifici alla condotta pratica della cosa pubblica. Poiché il pensiero va spontaneo dal pubblico colto già formato e dagli studiosi già periti nelle ricerche storiche alle nuove generazioni le quali dovranno costituire la classe politica di domani, dico che i discorsi del Cavour dovrebbero essere fatti servire come testo di lettura e di esercitazione ai giovani studenti delle facoltà politiche. Mutano i problemi; ma l’arte dell’analizzarli criticamente con spirito non preoccupato da miti e da formule verbali, non muta. Giova dunque sperare che la collezione, iniziata così bene dalla benemerita casa editrice, sia rapidamente condotta a compimento.

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