Opera Omnia Luigi Einaudi

Un’esperienza ferroviaria

Tipologia: Paragrafo/Articolo – Data pubblicazione: 10/03/1903

Un’esperienza ferroviaria

«Corriere della sera», 10 marzo 1903

 

 

 

Il problema ferroviario batte alle porte in Italia senza che vi siano gli indizi di una preparazione cosciente nel Parlamento e nel Governo. Malgrado che il ministro dei lavori pubblici abbia dichiarato alla Camera che il Governo è pronto ad ogni eventualità, la Commissione di inchiesta è ancora ben lungi dal presentare la sua relazione; e notizie recenti da Roma smentiscono che si sieno iniziate trattative fra Stato e Società per il rinnovamento delle concessioni. Viviamo in una tale incertezza che nulla potrebbe essere peggiore; sicché persino degli uomini equilibrati e competentissimi, come l’on. Carmine e l’on. Brunicardi, antichi fautori dell’esercizio privato, non esitano a riconoscere, sebbene a malincuore, che forse l’esercizio di Stato è una necessità, brutta se vuolsi, ma che si imporrà fatalmente. E si imporrà fatalmente non perché si sia convinti della convenienza economica della statizzazione; ma perché si avrà paura di sembrare ligi ai banchieri rinnovando le concessioni ai patti apparentemente più onerosi, senza cui la rinnovazione è difficile; e perché le masse operaie, per mezzo dei loro rappresentanti, eserciteranno ogni loro influenza a fare approvare l’esercizio di Stato, dal quale i ferrovieri sperano vantaggi grandi.

 

 

In queste circostanze sarebbe opportuno ricordare gli argomenti – che non hanno perso nulla della loro importanza – i quali sconsigliano dall’esercizio diretto; ma poiché gli argomenti tecnici fanno sul pubblico poca presa, è ancora più opportuno ricordare l’esperienza, e sovratutto l’esperienza contemporanea degli altri. Oggi vogliamo discorrere dell’esperienza svizzera, sulla quale ha gittato molta luce un volumetto recentissimo di Henry Hagnet su Le Rachat des chemins de fer Suisses et ses consequences (Paris, Beranger, 1903). Come è noto, il popolo svizzero approvava, col referendum del 20 febbraio 1898, la proposta del Consiglio federale di riscatto delle ferrovie di interesse nazionale con 384.272 si, contro 176.002 no. Grandi erano le speranze concepite da questa operazione: sostituire alle Società private ed ai banchieri israeliti di Francoforte, di null’altro preoccupati che del dividendo, un’amministrazione governativa gerita nell’interesse esclusivo del pubblico e del commercio; unificare tutta la rete ferroviaria e fare così dei grossi risparmi (600 mila lire) sull’alto personale, risparmi da destinarsi a migliorare il servizio e le sorti del personale basso; ridurre uniformemente le tariffe pei viaggiatori e per le merci al livello adottato dalla Compagnia avente le tariffe più basse, con un risparmio di 4.700.000 lire per il traffico; consacrare l’eccedenza netta del bilancio ferroviario (tenuto accuratamente separato da quello generale della Confederazione e sottratto così alle ingerenze politiche), eccedenza valutata all’incirca a 6 milioni e mezzo all’anno, a ridurre le tariffe, ampliare la rete ed ammortizzare il capitale di riscatto.

 

 

Due anni non sono ancora passati e già il disinganno è acerbo. Benché sinora la Confederazione abbia soltanto assunto l’esercizio di tre delle cinque reti ferroviarie (Central Suisse, Nord – Est Suisse ed Union Suisse), essa ha già pagato i 1.396 chilometri riscattati al prezzo di 197.200.000 lire, ossia 86 milioni e 300 mila lire di più di quanto si fosse preveduto nel famoso Messaggio del Consiglio federale che poneva la questione del riscatto. Forse, se gli elettori svizzeri avessero saputo prevedere una cosa simile, non avrebbero votato a cuor leggero il riscatto.

 

 

Queste prime difficoltà resero prudente l’amministrazione ferroviaria; cosicché dichiarazioni formali appresero al pubblico ed ai Cantoni – i quali avevano favorito il riscatto nella speranza di ottenere linee nuove – che non solo non si poteva estendere la rete federale, ma che non si sarebbe permessa la costruzione di linee private, atte in qualsiasi modo a far concorrenza alla rete dello Stato. Le domande locali per aumento di coppie di treni e miglioramenti d’orario – uno dei capisaldi precedenti d’accusa contro le antiche renitenti Società private – sono dichiarate tout-court puerili e brutalmente si afferma essere necessario respingere subito queste domande stravaganti, affinché le ferrovie federali non sieno minacciate nella loro situazione finanziaria. La situazione finanziaria: ecco l’unica preoccupazione dei funzionari governativi. Ed è in nome di essa che si vogliono fare esperienze di trazione elettrica che riuscirebbero troppo costose; è in nome di essa che – dopo avere unificate le tariffe (e perciò diminuite per due delle tre reti) dei biglietti di andata e ritorno per i viaggiatori – ci si rifiuta energicamente di procedere innanzi sulla via delle riduzioni di tariffe e si prega il pubblico commerciante ed industriale di non dimenticare «che non si può fare tutto in un giorno e che i miglioramenti potranno essere introdotti solo a poco a poco, quando tuttavia l’equilibrio finanziario sia scosso». Ed al personale che avanzava, come ora si dice, delle rivendicazioni, il direttore generale rispondeva brutalmente che il personale non ha alcun diritto; e che se lo tenesse per detto una volta per sempre. Cosicché i ferrovieri, esasperati, in un solenne Comizio affermano che le promesse loro fatte per ottenerne il voto favorevole alla nazionalizzazione non furono mantenute; e che il riscatto fu un inganno, il quale ha peggiorato la loro situazione.

 

 

Malgrado tutte queste preoccupazioni amorose per l’equilibrio finanziario, questo non è perciò meno terribilmente minacciato. Già nel 1902 l’eccedenza di entrate prevista per il Central accusava un ammanco di 1.305.430 lire sulle cifre del 1900 e di quasi 600.000 lire su quelle del 1901. Per il Nord-Est l’aumento di spese era di 1.400.000 lire sui risultati del 1901 e di più di 2 milioni e mezzo sul 1900. Per il 1903 le previsioni sono ancora più lugubri; il bilancio delle ferrovie federali si chiuse con un deficit di 1.714.970 lire; e se vi si aggiungono le maggiori spese calcolate in circa 2 milioni, causate dalla diminuzione delle ore di lavoro, si vede che il deficit supererà i 3 milioni e mezzo: malgrado che si siano rinviate agli esercizi futuri 4 milioni di lire di spese dichiarate urgenti per nuovi lavori d’impianto e di ampliamento. La causa di questi disastrosi risultati sta nell’aumento delle spese. Queste sono valutate a 52.345.280 lire nel 1903: un aumento di 1.307.350 sulla cifra del 1902; e di 5.088.821 lire sulla cifra del 1901. L’aumento delle paghe minime dalle 1.200 alle 1.500 lire ha già portati i suoi effetti e maggiori ne porterà in avvenire, quando scadranno gli aumenti triennali di 500 e di 300 lire all’anno promessi a tutti gli agenti ferroviari.

 

 

Le prospettive sono così allarmanti che il Consiglio federale (potere esecutivo) ha cercato con tutti i mezzi di togliere all’Assemblea federale (potere legislativo) il diritto di discutere il bilancio delle ferrovie; ma senza riuscirvi, ché i legislatori svizzeri ben sanno quale potente mezzo di accaparrarsi gli elettori sia la distribuzione di sempre nuovi e ben remunerati posti nell’amministrazione ferroviaria. Intanto il bilancio della Confederazione che nel 1897 presentava un avanzo di 4.239.179 lire e che ancora nel 1900 (anno precedente al riscatto) poteva contare su un sovrappiù di 1.724.123 lire; presentò in seguito disavanzi continui: 3.608.407 lire nel 1901, 5.880.000 lire nel 1902 e 4.115.000 lire nel 1903.

 

 

La gestione delle ferrovie non è la sola causa di questi disavanzi; ma vi ha sicuramente contribuito.

 

 

Gli italiani farebbero bene a meditare i fatti che ora si sono ricordati: tariffe immutate per le merci; niente nuove costruzioni; niente ammortamento del debito; niente linee nuove; ostacolata la concorrenza di linee private; ferrovieri malcontenti; spese cresciute; deficit nel bilancio speciale delle ferrovie e ripercussione perniciosa sul bilancio generale dello Stato. La Svizzera saprà – grazie alle mirabili qualità del suo popolo – trarsi dai mali passi in cui si trova. Ma non è questa una ragione perché noi ci dobbiamo cacciare in una avventura che sarebbe molto più pericolosa ed incerta.

 

 

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