Opera Omnia Luigi Einaudi

Vecchi progetti e vecchie dispute su bonifiche e mezzadria

Tipologia: Paragrafo/Articolo – Data pubblicazione: 01/06/1938

Vecchi progetti e vecchie dispute su bonifiche e mezzadria

«Rivista di storia economica», giugno 1938, pp. 164-168

 

 

 

La mezzadria negli scritti dei georgofili (1833 – 1872). Vol. primo della Biblioteca di cultura per i rurali. G. Barbera, Firenze, 1934. Ottavo pp. ottava – 306. Prezzo lire 20.

 

 

Luigi Bottini: La mezzadria nello stato corporativo, seconda ed. Poligrafica universitaria, Firenze. 1934. Ottavo pp. 218. Prezzo, lire 25.

 

 

G. Francesco M. Cacherano: De’ mezzi per introdurre ed assicurare stabilmente la coltivazione e la popolazione nell’agro romano , con alcune note introduttive di Cesare Grinovero. F.lli Lega, Faenza, 1936. Ottavo pp. 195. Prezzo, lire 20.

 

 

1. Fioriscono in ordine sparso le ristampe di scritti economici dei secoli scorsi; ed è bene non siano coordinate ché, invece di rispondere ad esigenze sentite da studiosi o da pratici, diventerebbero cosa freddamente burocratica. Ecco il prof. Cesare Grinovero, il quale avendo collaborato tecnicamente all’opera di bonifica intrapresa nella Maremma toscana dalla Società anonima aziende agricole maremmane costituita da membri di nobili famiglie piemontesi e toscane, i baroni Andreis, i Cacherano di Bricherasio, i Mori Ubaldini, i Passerin d’ Entreves, e di industriali, i Danesino ed i Pellegatti; ed avendo avuto occasione perciò di leggere un vecchio volume scritto da Monsignor Cacherano nel ‘700, lo ripubblica quasi fosse un libro d’attualità.

 

 

Ed in verità quel libro, nonostante sia stato dapprima pubblicato in Roma nel 1785, tratta problemi attuali. C’è il rimpinzamento di citazioni latine comune agli scrittori del tempo; ci sono i soliti greci e romani; ma Giuseppe Francesco Maria Cacherano dei conti di Bricherasio, figlio del vincitor dell’Assietta, non era un mero erudito. Successivamente governatore di Todi, della Sabina, di Fano, di Jesi, di Marittima e Campagna, aveva osservato molto; e perciò scrisse un libro di esperienza. Anche le sue citazioni latine, oggi cadute in disuso solo perché politici e pubblicisti non leggono i classici, sono calzanti.

 

 

2. Monsignor Cacherano espone un piano per la redenzione dell’agro romano: il principe esproprii le tenute, obbligandosi a pagare ai proprietari un canone fisso uguale alla rendita effettiva attuale; le spezzi in poderi di circa 30 ettari, le doti di strade, di case, di centri forniti di chiesa, di casa per il chirurgo e per gli affari comuni, provveda al bestiame; e conceda i poderi a contadini enfiteuti perpetui obbligati al pagamento al principe di un terzo dei prodotti principali. Quando le vigne e gli oliveti saranno a frutto, la corrisposta potrà ridursi ad un quarto. Le concessioni siano inalienabili, trapassino ai soli figli effettivi coltivatori delle terre, con esclusione dei figli, anche maschi, emigrati; non siano cedibili a manimorte e patrimoni sacri. Il Cacherano non ha paura della malaria; perché più di essa, uccidono gli stenti, il pessimo vitto, le fatiche al solleone, il malo dormire all’aperto od in capanne su nuda terra. Preferisce le case sparse alle ville riunite.

 

 

Hanno l’uno e l’altro modo i loro vantaggi, ed incomodi. Se sono più famiglie ristrette insieme, possono più facilmente soccorrersi. L’unione di molti li terrà più allegri; più fuochi riuniti possono rendere l’aria più salubre. Ma saranno altresì più facili le gelosie, le discordie, le risse, le querele delle donne, de’ ragazzi. Gli uomini uniti facilmente si danno al gioco, alla crapula. Se i terreni rimangono ad essi lontani, non saranno assidui al lavoro, meno diligenti: l’apparenza, il timore del tempo cattivo li tratterrà nelle ville; qualche ora di tempo contrario farà loro perdere la giornata intiera. Il tempo dell’andare al predio, del ritornare sarà scemato al lavoro della terra. Se sono all’incontro sparsi per la campagna rimangono abbandonati alla cura della sola famiglia, privi di ogni altro soccorso.

 

 

Potranno contrarre della malinconia; saranno più rozzi; all’incontro saranno più costumati, più laboriosi, più diligenti. Vedono il loro terreno sempre avanti gli occhi, mettono a profitto ogni ora, ogni momento. Se piove, preparano, visitano gli attrezzi, custodiscono il bestiame. Non dissiperanno, saranno più affezionati alle loro famiglie, più sobri. Non parmi peraltro impossibile di dare riparo agl’inconvenienti, cui possono essere soggetti i coloni sparsi nella campagna, se si avrà l’avvertenza nel dividere, ed assegnare le porzioni di terreno, e nel fissare il sito delle case, che siano disposte in maniera che un numero di quattro, o sei, o anche più siano a tale distanza una dall’altra, che riesca agevole la comunicazione, e giunga la voce degli abitanti dall’una all’altra.

 

 

Non è tenero della scuola perché teme che: «… se il figlio del contadino comincia avvezzarsi alla scuola, profitta ordinariamente poco nelle scienze; ma sicuramente non si adatta poi all’aratro, e diviene soggetto a carico della famiglia rustica, talvolta della società intera»(pp. 153-4).

 

 

Non chiede fiere e mercati per i centri rurali che egli vagheggia: «La molteplicità delle fiere distoglie dalla coltivazione e fa perdere le migliori giornate per il lavoro ai contadini nell’andare in giro a codeste fiere. La frequenza dei contratti con ogni sorta di persone li addestra alla sorpresa, all’inganno, alla mala fede. Contraggono de’ vizi, fanno alle crapule, alle osterie, all’ubriachezza ed al disordine; abbandonano ogni altra cosa per l’avidità del poco guadagno, che potranno avere sopra una bestia, e si faranno sistema, che sia lecito ogni mezzo per conseguirla. Mature a rectis in vitia, a vitiis in prava, a pravia in praecipitia pervenitur» (p. 154).

 

 

3. Codesto Cacherano, sebbene uscito dal Piemonte sui 25 anni, conosceva, si vede, a fondo il suo paese natio; ed avrebbe voluto che in campagna si imitasse il sistema, già allora invalso in Piemonte, dei contadini proprietari sparsi in case per la campagna, ed accaniti alla conquista, a punta di denari, delle terre dei nobili. Si illudeva di potere, con norme di inalienabilità, di bando alle fiere perditempo, combattere vizi innati alla natura umana, sole cause, nel Piemonte d’allora e d’oggi, per cui i contadini non sono tutti, come potrebbero, proprietari di poderetti – giardino, produttivi d’ogni ben di dio; vizi i quali hanno gli eterni nomi di furberia e di invidia, fanno preferire il guadagno di cento lire ottenuto con l’inganno a spese e beffe altrui all’onorato lucro di mille lire conseguito con fatica intelligente; e poi di gioco, di crapula e di rissa dalle quali son dissipati i disonesti e talora anche i sudati guadagni.

 

 

4. Il Grinovero, il quale al libro del Cacherano, da lui amorevolmente curato, ha premesso una istruttiva introduzione sulla attualità di esso, è autore anche di un libro: Aspetti tecnico – economici del lavoro manuale in alcune comparazioni collettive di Maccarese S. Giorgio (edito dalla Confederazione fascista dei lavoratori dell’industria, Roma, 1937. Ottavo pp. 172) di cui qui ci si restringe a far menzione perché estraneo alla materia della rivista.

 

 

L’analisi accuratissima che egli fa di due compartecipazioni (terreno, famiglie, unità lavorative, forze di lavoro, coefficenti di utilizzazione, distribuzione mensile del lavoro e grado di attività, numero di giorni festivi e di maltempo, assenze dal lavoro, coefficiente di prestazione di recupero e di operosità, divisione del lavoro, lavoro extra – aziendale; lavoro animale, suo coefficente di servizio, intensità di impiego, destinazione; lavoro dei trattori) in Maccarese, se sarà continuato fornirà agli storici futuri dell’economia un materiale di prim’ordine per la conoscenza dell’economia agraria italiana dai punti di vista tecnico, economico e sociale.

 

 

5. Il marchese Luigi Bottini, segretario agli atti dell’Accademia dei georgofili è benemerito della storia economica italiana. Nel secondo dei volumi sopra elencati, oltre ad un’analisi della questione della mezzeria nel momento presente, si legge una preziosa bibliografia cronologica dei principali scritti comparsi in Italia dal 1758 al 1932 sul problema della mezzeria. Sono 62 pagine nelle quali si dà il titolo e un breve sunto dello scritto; un po’ sul modello dei quattro volumi che il Re pubblicò sul principio del secolo scorso (Venezia 1808 – 9) col titolo di Dizionario ragionato di libri di agricoltura, veterinaria, e di altri rami di economia campestre. Gli economisti agrari italiani sono più fortunati dei loro colleghi economisti generici. All’unico Cossa essi possono contrapporre il Lastri, il Re, il Niccoli ed ora il Bottini. Nessuno di essi forse perfetto come il Cossa, ma nel tutt’insieme largamente informativi.

 

 

6. Il Bottini ripubblica anche una silloge dei principali articoli, note, lettere, relazioni e discorsi che gli accademici georgofili vennero, a parecchie riprese, scrivendo e pronunciando sulla mezzeria. Poiché l’accademia si occupò del problema dal 1833 al 1842 e poi di nuovo dal 1851 al 1859 e dai 1871 al 1872 il Bottini raggruppa i contributi degli antichi colleghi in tre parti, premettendo ad ognuna un cenno storico illustrativo. Grandi nomi compaiono lungo i dibattiti: di Gino Capponi, Raffaello Lambruschini, Vincenzo Salvagnoli, Cosimo e Luigi Ridolfi, Pietro Cuppari, Guglielmo Cambray – Digny.

 

 

7. Leggendo, si ha la sensazione di un avanzamento oggi conseguito nel modo di ragionare, nella sobrietà del discorrere, nell’abbandono degli aggeggi retorici. Nessuno di quei vecchi, alcuni dei quali pur famosi nella storia delle lettere, giunge alla precisa eleganza scheletrica con la quale nell’ultimo quaderno (ottobre – dicembre 1937) degli atti dei georgofili Arrigo Serpieri illustra il problema, che aveva già affaticato i suoi predecessori, dei calcolo dell’utile dei bestiame nella mezzadria toscana. È noto che nei tempi di inflazione monetaria, quando il bestiame appartiene al proprietario e le perdite e gli utili sono divisi a metà esatta fra il proprietario ed il colono, i proprietari veggono i loro buoi ridursi, a poco a poco, a poco più della coda.

 

 

Se nell’anno primo, il paio di buoi passa dal valore 1.000 a 2.000, alla fine dell’anno salta fuori un utile di 1.000 lire repartibili. Al principio dell’anno secondo il proprietario con 1.500 lire compra tre quarti di paio di buoi; e se nell’anno il paio cresce da 2.000 a 3.000 lire, alla fine i tre quarti salgono da 1.500 a 2.250, con un utile repartibile di 750 lire. Ai principio dell’anno terzo il proprietario con le 1.875 lire residuategli acquista 77 / 120 di un paio di buoi. Per po’ che duri lo scherzo, alla fine al proprietario, il quale ha guadagnato, sempre sulla carta, fior di quattrini, rimangono, se non proprio la sola, coda, poco più delle quattro gambe. Il contrario accade in tempi di deflazione: i mezzadri si indebitano sui libri per perdite sulle vendite successive e tuttavia la stalla si popola di ruminanti. Essi si salvano, col non pagare i debiti.

 

 

Lo sconcio dura, nota il Serpieri, perché ambe le categorie giocano a volta a volta di furberia nel giovarsi del favore della sorte salvo a lamentarsi poi. Dei due metodi proposti dal Serpieri ambi razionali preferisco al primo, che è di rettificare le stime in modo da escludere le diminuzioni o gli aumenti di valore dovuti alle variazioni monetarie, il secondo, più semplice e perciò meglio accettabile al mezzadro: far partecipare questi alla comproprietà del bestiame, in esatta metà col proprietario. Alla lunga, non so se il metodo durerà. In certe zone dei Piemonte, i mezzadri non l’hanno tollerato ed hanno voluto essere esclusivi proprietari del bestiame, pronti a pagare un fitto per i prati.

 

 

8. Nelle pagine dei vecchi georgofili il tema che più torna è quello della attitudine della mezzadria a seguire e favorire i perfezionamenti tecnici ed economici delle culture. Le due tesi in contrasto furono sostenute, meglio che da altri, da Cosimo Ridolfi e da Guglielmo Cambray-Digny; meglio perché essi parlavano sulla base di esperienze vissute. Cosimo Ridolfi a Meleto preferì «sospendere» la mezzadria durante l’opera di trasformazione. Pro tempore, i mezzadri, pur rimanendo nella casa, conservando l’orto, la bassa corte, la legna e simili vantaggi, divenivano braccianti ed erano impiegati dal proprietario nelle opere di trasformazione della tenuta; salvo a ritornar poi mezzadri sui poderi ricostruiti e migliorati.

 

 

Il Cambray – Digny preferiva metodo più lento, e compiva le migliorie a poco a poco, in guisa da non turbare l’economia generale del podere, e tuttavia crescere la produzione ed interessare il mezzadro alla collaborazione miglioratrice con fargliene toccar con mano i vantaggi. Ambi i metodi sono buoni, se i proprietari si occupano sul serio delle migliorie con criterio tecnico studiato, adatto ai luoghi ed alle culture, ma il secondo è forse intollerabilmente lento; sicché una combinazione dei due metodi è forse la ottima: stralciare da ogni podere la superficie che, secondo un piano d’insieme, deve anno per anno essere migliorata e, per non ridurre anzi crescere, i guadagni della famiglia contadina, occupare questa di preferenza, nelle giornate libere, ai salari correnti, nei lavori di miglioria.

 

 

Leggendo le memorie e le discussioni dei georgofili d’un tempo vengono in mente quesiti ed ansie dell’oggi. Perciò i volumi curati dal Grinovero e dal Bottini sono contributi notabili, nonché alla storia economica del nostro paese, alla discussione di problemi vivi.

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