Opera Omnia Luigi Einaudi

Vi sono giudici a Napoli

Tipologia: Paragrafo/Articolo – Data pubblicazione: 26/10/1900

Vi sono giudici a Napoli

«La Stampa», 26 ottobre[1] e 1 novembre 1900

Cronache economiche e politiche di un trentennio (1893-1925), vol. I, Einaudi, Torino, 1959, pp. 247-254

 

 

I

 

Ancora una volta un giornale socialista ha dato occasione allo svolgimento di un processo il quale ecciterà certamente l’attenzione vivissima dell’opinione pubblica.

 

 

I fatti sono noti. La «Propaganda» di Napoli pubblicò un articolo nel quale l’on. Casale, deputato del collegio di Avvocata, credette di scorgere una diffamazione a suo carico. In seguito a querela dell’offeso, la «Propaganda» è ora tratta in giudizio, ed i giornali tutti riportano le interessanti deposizioni fatte in tribunale intorno alla vita pubblica e privata dell’onorevole di Avvocata.

 

 

Noi non vogliamo in questa occasione pregiudicare l’opera della giustizia. Come ci siamo astenuti da ogni commento tendenzioso intorno all’istruttoria del processo Palizzolo, ed a differenza di giornali anche conservatori non abbiamo creduto di dover rivolgere alcun monito alla magistratura inquirente, così nemmeno ora vogliamo esaminare i singoli capi di imputazioni ed arrogarci il compito non nostro di sentenziare sulla innocenza o sulla colpevolezza dell’onorevole Casale.

 

 

I nostri commenti mirano più in alto, e riguardano non la persona sola, ma il retto funzionamento delle istituzioni rappresentative, il quale viene offeso gravemente da denunzie, sospetti e deposizioni simili a quelle che conturbano oggidì l’ambiente politico napoletano.

 

 

Durante la sua carriera parlamentare, l’onorevole Casale non è certamente riuscito a conquistare la simpatia e la fiducia della grande maggioranza dei suoi colleghi. L’incidente venuto alla luce durante il processo odierno del rifiuto che si dice opposto dall’ammiraglio Corsi, con una motivazione poco lusinghiera, di lasciare salire nella sua vettura il collega deputato Casale, è significante a tale riguardo, benché l’ammiraglio Corsi abbia creduto bene di attenuarne l’importanza, giurando di non ricordare il fatto.

 

 

Ancor prima, nel 1891, il ministro Nicotera, così racconta il questore Sangiorgi, avea avuto in animo di infliggere al Casale l’ammonizione; e non è l’ammonizione precisamente la ricompensa la quale sembri più adatta ad un deputato che, a detta del Sangiorgi, ogni giorno ha l’abitudine di recarsi in questura a raccomandare vagabondi ed ammoniti.

 

 

Del pari è interessante rilevare quale stima avesse il prefetto Cavasola, la perla dei prefetti di Napoli, di un certo D’Amelio che dicesi segretario del Casale. In occasione di una contesa a colpi di bastone fra il D’Amelio ed il socialista avvocato Marrasi, il prefetto, venuto a conoscenza della cosa, immediatamente ordinò per telefono di rilasciare il permesso d’arme al Marrasi. Il permesso (non è difficile il commento) fu rilasciato perché il Marrasi potesse difendersi contro altre eventuali aggressioni, e non fu concesso al D’Amelio.

 

 

Né basta. Noi non vogliamo riferire i giudizi che l’opinione pubblica dà sul conto del Casale. Si tratta di materia posta sotto giudizio. Ma non possiamo non rilevare il contegno stranamente imbarazzato di taluni personaggi chiamati a testimoniare sulla moralità del Casale.

 

 

Il teste Petriccione loda il Casale, perché dietro sua richiesta egli sempre si è interessato a procurare favori ai contribuenti. Il teste Lista viene in giudizio, a pagare un debito di gratitudine al Casale, per avere avuto lavoro mentre stava disoccupato. Un medico, il Cotronei, ha buona opinione dell’onorevole querelante, perché spesso ne fu pregato di curare persone le quali non potevano pagare la visita medica.

 

 

L’avv. Sandulli, interrogato se ritenesse il Casale un galantuomo oppure no, dichiara questo essere un giudizio e si rifiuta a darlo. Così pure il consigliere Pacifico Ascarelli, alla medesima domanda, risponde di non avere mai avuto alcunché di attivo o di passivo con il Casale. Il parroco di San Liborio afferma di non avere mai ricorso invano al Casale per ottenere favori ai suoi parrocchiani e ne ha buona opinione per i suoi atti caritatevoli e per averne inteso parlare piuttosto bene da alcune persone.

 

 

L’avv. Sandulli, già citato, e l’ammiraglio Corsi, il quale pure è presidente di una banca che ha scontato grossi effetti cambiari al Casale, dichiarano di non sapere con quali proventi egli viva. Fin qui le dicerie, le reticenze, le quali, per chi conosca un po’ l’ambiente napoletano, sono molto significanti.

 

 

Ma vi è qualcosa di più grave.

 

 

Il comm. Nicola Miraglia viene a raccontare in giudizio che il Casale aveva fatto, nel 1887, un debito di settemila lire col Banco di Napoli, debito che rimase in sofferenza sino al 1893. Quindi il debitore cominciò a pagare a rate la cambiale; ma così lentamente che il Miraglia dovette muovere una lite al Casale per costringerlo a pagare più rapidamente.

 

 

L’on. De Martino si lagna che il Casale abbia prestato il suo appoggio ad una compagnia di navigazione del golfo di Napoli, la quale, pure avendo un pessimo materiale, del valore di non più di 300 mila lire, ha ottenuto un sussidio di 800 mila lire dal governo e dai corpi locali, col bel risultato che subito dopo la società entrò in trattative per la propria cessione ad un’altra società, pretendendo un diritto di buona uscita di un milione di lire. Tutti i tentativi di inchiesta riuscirono vani di fronte alle protezioni politiche di cui disponeva la società.

 

 

Il deputato Senise anch’esso si lamenta delle continue ingerenze del Casale nelle amministrazioni locali, ed il De Martino dichiara che l’intiera cittadinanza è persuasa della deleteria influenza dell’onorevole querelante.

 

 

La giustizia terrà il meritato conto delle affermazioni e delle accuse rivolte contro il Casale, e che noi abbiamo fedelmente trascritte.

 

 

Ciò che importa sovratutto è di far rilevare come sia dannoso al paese il fatto che simili accuse si ripetano e che continuino a prolungarsi fenomeni che speravamo fossero oramai scomparsi dal mondo politico italiano.

 

 

È necessario che finisca il periodo degli uomini politici intriganti, che si interessano di affari per conto dei loro elettori, che vivono con mezzi ignoti, spendono sessanta volte di più di quanto guadagnino con mezzi noti, si industriano a far condonare le contravvenzioni inflitte ai loro elettori con cui vivono in una intima familiarità e si servono dell’ascendente in tal modo guadagnato per scontare cambiali destinate a rimanere in sofferenza presso le banche di emissione.

 

 

Tutti hanno il dovere di far cessare uno stato di cose talmente pernicioso. Per i partiti costituzionali deve essere argomento di sprone il sapere che l’opera di rigenerazione è stata intrapresa dai socialisti. Per la salvezza del nostro paese è necessario che i partiti costituzionali ed il governo sappiano trovare il coraggio e l’abnegazione necessari per lottare contro le camarille di politicanti che si sono imposte alla nazione.

 

 

È un vero risanamento morale che è necessario iniziare, anche a costo di sollevare scandali dolorosi alle anime timide, e di svelare fatti turpi in cui abbiano avuto parte uomini importanti.

 

 

Noi dobbiamo figgerci bene in mente che non lo scandalo rovina le istituzioni, ma il fatto che si vuol tenere nascosto affinché lo scandalo non sorga.

 

 

I costumi politici e l’azione di governo debbono adattarsi alle esigenze della morale e non pretendere di assoggettare queste a sé.

 

 

Finché i deputati potranno scontare cambiali presso le banche di emissione e contemporaneamente votare alla camera su leggi le quali interessano le medesime banche, noi non potremo sperare nella risurrezione della moralità politica.

 

 

Ministri e prefetti devono avere l’autorità di imporsi alle ingerenze illecite dei parlamentari e negare i sussidi immeritati alle società di azionisti anche se queste sono appoggiate da deputati al parlamento.

 

 

I fatti tristi si collegano insieme. Se i questori osassero non tener conto delle raccomandazioni politiche per i vagabondi e gli ammoniti, se i prefetti mettessero alla porta le persone investite di pubbliche funzioni della cui moralità dubitano, non vi sarebbero deputati i quali traggono la loro forza unicamente dai servigi procurati agli elettori e dalla trama di interessi che hanno saputo creare intorno a sé.

 

 

All’impresa di giustizia e di moralità tutti dobbiamo contribuire, senza curarci dei clamori della gente scandalizzata, perché lo scandalo avrà servito alla purificazione politica e morale del paese.

 

 

Meglio un grande scandalo in una volta sola, che mille che si succedono a poco a poco avvelenando l’anima e la vita del paese.

II

 

La sentenza che ieri è stata pronunciata dal tribunale di Napoli sarà lungamente ricordata nel nostro paese.

 

 

Durante tutta una settimana il pubblico aveva assistito con angoscia crescente allo spettacolo triste di un processo, dove un deputato al parlamento, famoso per aspre battaglie vinte contro avversari di grande fama e per l’imperio incontrastatamente esercitato sulla città di Napoli, aveva dovuto chinare il capo orgoglioso dinanzi all’impeto della indignazione universale.

 

 

Sotto allo scalpello notomizzatore di un manipolo fiero di giovani coscienze, assetate di giustizia e di verità, è caduto, pezzo per pezzo, una parte – non sappiamo se la maggiore – dell’edificio di menzogna, di corruzione e di affarismo che ammorba la vita pubblica della capitale del mezzogiorno.

 

 

La sentenza intemerata dei giudici di Napoli segna la fine di un uomo e l’aperta condanna di un sistema.

 

 

Alberto Casale oggi non può continuare ad essere deputato di Napoli. Le sue dimissioni sono imperiosamente e prontamente richieste da ragioni altissime di moralità, e di dignità della rappresentanza nazionale. Il parlamento non potrebbe senza onta ospitare ancora per un giorno solo un uomo che una sentenza riconosce colpevole dei fatti esposti dal giornale «La Propaganda» e confermati dalle testimonianze di cui il triste ricordo permane ancora in tutti; un uomo del quale il rappresentante della legge ha detto in piena udienza: «Dopo il processo l’on. Casale non è più un uomo onesto!».

 

 

Sia lode sincera ed incondizionata alla magistratura napoletana: essa ha voluto sanzionare coll’alta autorità della legge l’opera di purificazione iniziata da coscienze giovani. Da molto tempo da tutti si sussurrava che l’on. Casale era quello che era. Quando alla camera si alzava per parlare, dai banchi della stampa – è sempre essa che inizia le battaglie più generose – partivano grida di: «Abbasso il capo della camorra di Napoli!».

 

 

Sventuratamente tutti sapevano ciò: lo sapeva l’autorità giudiziaria che ha fatto ieri il suo dovere. E perché non procedere prima, perché lasciare ad altri la gloria e il merito di aver abbattuto chi trionfava non pel bene e col bene?

 

 

È dolorosa in Italia questa complicità per inerzia dei galantuomini; per non aver fastidii, per non essere disturbati, si tace, quando si sa tutto, e si lascia che l’acqua corra al mare, come musulmani fatalisti.

 

 

Un risveglio di senso morale e di vita pubblica si nota in Italia: battaglie, combattute non in nome di un partito, ma in nome dell’onestà, dimostrano che nelle giovani coscienze è entrato un soffio di ideale. Soltanto là, dove nell’anima del popolo spira questo soffio, le nazioni progrediscono.

 

 

Bisogna che le classi dirigenti lo comprendano: i fatti parlano chiaro: l’opinione pubblica nella sua enorme maggioranza è tutta per i galantuomini, contro i disonesti.

 

 

Basta avere un po’ di coraggio e di fede. Certi colossi che paiono potenti, sono debolissimi. L’on. Casale, il padrone di Napoli, è caduto innanzi alle giovani coscienze di un giornale settimanale.

 

 

L’opera di epurazione non è finita col processo di ieri. Dietro ai Casale vi sono altri che bisogna abbattere ugualmente, che bisogna smascherare. A che servirebbe la caduta del capo, quando tutti i gregari rimangono nella pubblica vita, armati più che mai per la lotta?

 

 

Molte cose sono risultate dal processo: molte altre si sono intravedute: è su queste che occorre ritornare. L’opera di purificazione è appena incominciata.

 

 

Giuridicamente il processo di Napoli è finito; politicamente, socialmente è cominciato.

 

 

L’ardua impresa di risanamento morale non si fermerà qui. Le parole sdegnose del pubblico ministero ci affidano che l’on. Casale verrà tratto in giudizio in base alle imputazioni specifiche, costituenti reato, che sono venute alla luce durante il processo finito ieri. È giunta finalmente l’ora che un deputato colpevole di azioni condannate dalla morale e punite dal codice penale non sarà più soltanto deplorato in una voluminosa relazione parlamentare, e non sarà più punito col semplice compatimento benevolo dei colleghi della camera; ma sarà invece, se colpevole, condannato colle norme comuni sancite dalle leggi penali. Il processo, ieri giuridicamente condotto a termine, deve essere l’inizio di una vera riscossa delle coscienze contro le inframmettenze parlamentari, le camorre organizzate per la spogliazione e la oppressione dei cittadini indifesi, contro i compiacenti silenzi dei governi e delle autorità, ai quali incombe il carico di sostenere le ragioni della giustizia. Perché il popolo d’Italia ha sovratutto bisogno di giustizia.

 

 

Nell’anima nostra non è spento ancora quello spirito sublime di sacrificio che agli avi ed ai padri nostri faceva sembrare tenue la confisca dei beni o la perdita della vita se incontrate per la conquista della indipendenza patria e la cacciata dello straniero.

 

 

Oggi non gli stranieri bisogna cacciare dal suolo d’Italia; ma è la mala pianta dell’immoralità e dell’affarismo pubblico che urge svellere e sradicare se pur non vuolsi che essa metta radici profonde ed isterilisca tutta la nostra terra.

 

 

L’odiosità dei balzelli pesanti è poca cosa in confronto della offesa arrecata alla giustizia colla impunità troppo a lungo concessa a coloro che hanno saputo crearsi intorno una fitta rete di interessi politici.

 

 

Il governo ha l’obbligo di sentire e di interpretare questo bisogno vivissimo di giustizia che erompe dal sentimento universale. Ogni altro sforzo è vano se prima non si comincia dall’instaurare giustizia per tutti.

 

 

Lo ricordino i governanti: l’Italia per vivere ha bisogno di giustizia.

 

 


[1] Con il titolo Un processo che farà rumore [ndr]

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