Opera Omnia Luigi Einaudi

Volumi in onore di Ulisse Gobbi

Tipologia: Paragrafo/Articolo – Data pubblicazione: 01/12/1938

Volumi in onore di Ulisse Gobbi

«Rivista di storia economica», III, n. 4, dicembre 1938, pp. 342-348

 

 

 

Scritti varii di economia, pubblicati sotto gli auspici del sindacato interprovinciale fascista dei dottori in economia e commercio di Milano. A. Giuffrè, Milano, 1934. Ottavo pp. ottave – 353. Prezzo lire 55.

 

 

Problemi di finanza fascista, in onore di FEDERICO FLORA, Zanichelli, Bologna 1937, ottavo, 4 c. s. n. – pp. 347. Prezzo lire 30.

 

 

The lessons of monetary experience. Essays in honor of IRVING FISHER, edited by A. D. Gayer. Farrar and Rinehart, Inc. New Jork; 1937, ottavo pp. 12 – 450.

 

 

A. G. BAUMGARTEN. – Aesthetica, iterum edita ad exemplar prioris editionis annorum 1750 – 58 spatio impressae. Barii, apud Jos. Laterza et filios. 1936, ottavo. 4 c. s. n. – pp. 551. Prezzo lire 180.

 

 

1. – I volumi sopra elencati sono stati pubblicati in onore di insigni economisti nell’occasione del loro ritiro dall’insegnamento (Gobbi, Flora) o del compimento della piena età dei 70 anni (Fisher). Ho aggiunto l’indicazione dell’estetica di Baumgarten ristampata in occasione del settantesimo anno di età di Benedetto Croce (Benedicto Croce natali die anniversario quo septuagesimum complevit annum vitae suae in studiis consumptae amici atque aestimatores longaevam et vegetam et novam senectutem bono studiorum viro praestantissimo exoptantes A. D. V. Kal. Martias A. 1936 dice il lapidario invio dettato da Alessandro Casati) ad accrescere la notizia della varietà dei modi nei quali si può bene augurare ad uomini onorandi.

 

 

Di tutte le maniere forse quella scelta per Benedetto Croce è la più singolare: la ristampa di alcuni libri di estetica del Baumgarten, mai più venuti alla luce dopo le prime edizioni del 1735, 1750 e 1758, carissimi al Croce, il quale ne fece ripetuto oggetto di meditazione critica. Singolare omaggio è invero quello di ridare alla luce un’opera per la sua rarità divenuta di difficilissima consultazione, e che il Croce aveva dichiarato ripetutamente fondamentale per la scienza dell’estetica. Adornano il volume bibliografie del e sul Baumgarten ed un bel ritratto del Croce. A compire l’opera, gli editori Laterza ripubblicarono lo scritto di Giovanni Castellano: “Benedetto Croce, il filosofo, il critico, lo storico”. (Seconda ed. 1936, ottavo pp. 208, lire 12), del quale pregio principalissimo è l’appendice bio – bibliografica.

 

 

Perciò, anche, ho inserito il presente cenno nell’annuncio dei volumi in onore. La gran parte tenuta dal Croce nel chiarimento di taluni concetti essenziali relativi al principio economico, al materialismo storico, al liberismo, (e qui si ricordano, oltre “La Critica” alcuni principali numeri della bibliografia: 1895, n. 3; 1896, n. 3, 4; 1897, n. 2, 10; 1898, n. 2; 1899, n. 1, 2, 3, 4, 5, 6; 1900, n. 2; ,1901, n. 4, 5; 1907, n. 2, 3; 1926, n. 5; 1927, b n. 12, 13; 1934, b n. 11) fa noverare il volumetto del Castellano tra gli strumenti necessari della ricerca bibliografica economica.

 

 

2. – I volumi in onore del Gobbi e del Fisher sono ambi adorni, oltreché di un ritratto dell’uomo che con essi si intese di onorare, di una bibliografia delle opere principali per il Fisher, e di tutte per il Gobbi. Gli allievi, i quali compilarono il volume in onore di Gobbi vollero raccogliere gli scritti minori, minori per mole e non per importanza intrinseca, da lui sparsi in atti accademici, riviste e giornali e divenuti perciò di non facile consultazione; laddove il Bompani, il quale curò il volume Flora, preferì invitare economisti e giuristi a scrivere intorno a problemi della disciplina finanziaria di cui il Flora è cultore insigne; ed il Gayer radunò, ad onorare il Fisher, scrittori di quattordici paesi diversi a discorrere di problemi, teorici e concreti, intorno alla moneta, che non fu certo il solo problema su cui il Fisher sparse viva luce, ma fu certamente quello “più vicino al suo cuore”.

 

 

3. – Non darò un rendiconto compiuto dei tre volumi nei quali si volle con metodi diversi onorare tre uomini l’uno dall’altro diversissimi. In una rivista dedicata alla storia, si deve guardare sovratutto al punto di vista storico.

 

 

4. – Nel volume pel Fisher si fa storia attuale di idee e di sperimenti monetari. Un saggio, dovuto a chi scrive, vuole essere una fantasia storica ed in realtà tenta di inventare un modo di discorrere atto a far capire a tutti che il valore (potenza d’acquisto in beni e servigi) dell’unità monetaria è sovratutto un problema interno nazionale e non internazionale. In sobrii saggi, M. S. Eccles, presidente del consiglio dei governatori del sistema federale di riserva, J. H. Williams vicepresidente della Banca federale di riserva di New Jork, J. W. Angell, A. H. Hansen, J. H. Rogers, professori a Columbia, Harvard e Yale, per gli Stati Uniti, S. R. Noble, vicedirettore generale della Royal Bank of Canada, R. G. Hawtrey, J. M. Keynes e Sir Henry Strakosch per l’Inghilterra; J. Pedersen, dell’università di Aarhus in Danimarca, H. Schumacher, dell’università di Berlino, G. M. Verrijn Stuart, di Utrecht, F. Mlynarski, già vice – governatore della Banca di Polonia, E. Lindahl e Bertil Ohlin, professori a Goteborg e Stoccolma, G. Findlay Shirras, dell’università di Bombay, T. V. Soong, governatore della Banca centrale della Cina, ed E. Kann, membro della commissione della zecca cinese, Eigo Fukai, già governatore della Banca del Giappone, D. B. Copland, dell’università di Melbourne, A. Loveday, direttore dell’Ufficio economico della Lega delle nazioni si pongono tutti la domanda: è possibile con mezzi monetari, recare un po’ d’ordine in questo mondo sconvolto? Gli uni fanno appello al ragionamento, gli altri all’esperienza dei paesi singoli che essi rappresentano. Raramente il tono è fiducioso. H. Schumacher conclude così una precisa analisi del processo storico attraverso cui la Germania giunse all’odierno suo governo della moneta:

 

 

“La Germania è stata oggi trasformata in uno stato commerciale chiuso con una perfezione la quale prima non era mai stata toccata. Il paese si è separato dai legami dell’economia mondiale in modo da essere in grado di mantenere, con i proprii mezzi, un saggio stabile dei cambi esteri e di organizzare liberamente la propria vita economica indipendentemente dalle perturbazioni della politica monetaria. Fu persino possibile, nonostante ogni difficoltà, di rifornire la Germania di materie prime forestiere e di derrate alimentari in modo da soddisfare almeno i suoi bisogni più urgenti. Questi risultati i quali, nell’attuale situazione delle cose, debbono essere considerati come vittoriosi, possono essere goduti dalla Germania solo perché essa è decisa a sopportare una pesante armatura economica, la cui pressione è sentita sempre e dappertutto e che limita rigidamente la sua libertà d’azione” (p. 225).

 

 

Schumacher è sicuro che gli stranieri non lesineranno alla Germania ammirazione per tanta fatica; ma è evidente il desiderio che il suo paese possa sottrarsi all’incubo economico che ora lo soffoca. Se l’oro potesse essere redistribuito, se le merci potessero ricominciare a fluire liberamente da un paese all’altro! Forse i soli decisamente ottimisti sono gli svedesi, poggiati sulla loro meritamente fortunata esperienza di governo della moneta nel dopo guerra. Il prof. Lindhal ritiene impossibile il ritorno all’oro; ma vuole che la moneta sia governata (se osassi tradurrei managed in maneggiata, vecchia adattissima parola italiana) dalle banche allo scopo di attuare un programma fissato e noto. Lindhal sottintende che il programma sia d’ordine economico e razionale. La premessa sottintesa è invero necessaria. Gli economisti chiamati a raccolta dal Gayer ragionano per lo più bene e talvolta stupendamente entro i limiti nei quali suppongono che gli uomini agiscano in base a scopi noti e spiegabili in termini chiari. Ahime`! che la storia del recente passato smentisce la premessa tacita! Sir Henry Strakosch divide quella storia in tre periodi: 1) 1922 – 926: ritorno all’oro; 2) 1927 – 931: malgoverno dell’oro; 3) 1932 – 936: nuovi sforzi e nuovi sperimenti. Non avrebbe lo Strakosch dovuto aggiungere: ritorno prematuro all’oro per ragione di orgoglio nazionale e di tradizione accettata senza critica? Mal governo perché? In verità i dotti piani elaborati dagli economisti fanno astrazione dal proposito degli uomini: a) di creare una economia nazionale bastevole a sé stessa; b) di sopprimere la disoccupazione; c) di mantenere relativamente stabile il livello generale dei prezzi interni; d) di mantenere stabile il corso dei cambi esteri in confronto ad una moneta a peso invariato aureo; e) di mantenere stabile, subordinatamente all’avveramento di c, il livello nominale dei salari, anzi di spingerlo verso un graduale sollevamento; f) di mantenere fede ai creditori pubblici e privati, senza crescere l’onere dei produttori; l’insieme dei quali fini non è suscettivo di soluzione contemporanea per la contraddizione che nol consente.

 

 

Se il lettore va in cerca di ragionamenti sottili e di idee valide in un mondo di uomini capaci a ragionare; se egli vuole meditare sulle maniere, forse più complicate di quelle semplici antebelliche, atte a farci ritornare alla situazione di relativa facilità dei movimenti internazionali di merci, capitali e uomini dell’anteguerra, legga il volume in onore del Fisher. Se però accada gli traversi la mente il dubbio della impossibilità di persuadere gli uomini della necessità di volere solo quei fini i quali non facciano tra di loro a pugni, lasci cadere il libro e si abbandoni al fato di cui ragiona lo Schumacher a spiegare le ragioni per le quali l’archetipo fichtiano dello stato commerciale chiuso si è realizzato nella Germania moderna.

 

 

5. – Il volume in onore di Flora non pone problemi così assillanti. In verità, nonostante il titolo, i problemi della finanza “fascista” non tengono in esso un gran posto; ché non sono tali né la discussione su taluni punti giuridici dell’imposta patrimoniale immobiliare del Bompani, né le osservazioni del Mortara sulle ripercussioni finanziarie della politica economica autarcica; né quelle del Papi e del Pugliese sull’economia coloniale e sulla politica finanziaria dell’Africa orientale.

 

 

In verità non vi è materia più refrattaria alle qualifiche innovatrici di quella tributaria e finanziaria. Imposte, ordinarie e straordinarie, tasse, prestiti, dazi sono fatti antichi, sperimentati, i quali hanno una loro dura faccia, che non può agevolmente essere persuasa a mostrarsi sorridente. Arcigna essa è; ed arcigna rimane sotto qualunque regime.

 

 

Non tutti i saggi son di finanza: Riccardo Bachi discorre del valore dei beni a fecondità ripetuta, Costantino Bresciani della curva dei redditi, Attilio Cabiati dei fondi di eguagliamento dei cambi esteri, Augusto Graziani delle note critiche della Robinson e dell’Harrod al principio del laissez faire. Quando si disputa con i cambridgiani si sta sempre col cuor sospeso: quali premesse, nascoste in un angolo perduto del ragionamento o implicite in una parola innocente o addirittura non espresse ma, a parere degli adepti, ovvie, fa d’uopo aver presenti? La signora Robinson di qual tipo di concorrenza voleva parlare e a qual tipo di monopolio voleva riferirsi? Se la concorrenza fosse definita come quella in cui i produttori ed i richiedenti fossero tanti, che l’entrata o l’uscita di ciascheduno di essi fosse priva di influenza apprezzabile sul mercato, e il monopolio si intendesse rispetto alla produzione e vendita della merce e monopolista fosse lo stato, non potrebbero immaginarsi ipotesi nelle quali la produzione possa essere cresciuta ed, a prezzi diversificati e ricavo totale uguale al costo totale, il prodotto possa essere reso accessibile a più larghe e meno provvedute schiere di consumatori? Achille Loria acutamente discute il problema storico grandioso dell’aumento del numero dei rivenditori ed in genere degli intermediari. Da Lexis, il quale osserva, dopo la legge francese del 1863 abolitrice del numerus clausus per i fornai, aumentati questi a Parigi da 930 nel 1860 a 1.450 nel 1872; da Tiburtius, il quale dice aumentati in Germania i piccoli commercianti da 1 su 83 nel 1861 a 1 su 20 abitanti nel 1933, all’Economist che vede cresciute le rivendite del 6,4 per cento dal 1924 al 1933 in Inghilterra ed alla Douglas la quale constata nel 1935 l’esistenza nello stesso paese di un proprietario o direttore di aziende intermediarie su 70 abitanti è un succedersi di indagini sull’interessante problema. La tendenza secolare recente è verso la diminuzione relativa – accentuatissima nell’agricoltura, segnalata nelle industrie estrattive, notabile in quelle manufatturiere – degli addetti alle occupazioni che un tempo si dicevano produttive e l’incremento relativo negli addetti al commercio, all’intermediazione ed ai servizi personali. I ficcanaso, tipo Cole, negli affari altrui dichiarano che “una economia a piani non tollererebbe l’enorme sciupio implicito nell’esistenza di un numero al tutto superfluo di persone addette alla rivendita”. Alcuni analisti, come Cairnes e Loria, attribuiscono al numero eccessivo dei rivenditori il divario eccessivo fra i prezzi al minuto e quelli all’ingrosso. Altri, come lo scrivente, osservò essere incredibile che basti a taluni uomini decidersi – od essere costretti o indotti, che fa lo stesso – a lavorare a costi alti, perché i consumatori debbano pagare prezzi alti. Per quanto pecore, gli uomini consumatori non essere ancora giunti a siffatto grado di ossequio ai desideri degli spogliatori. Il problema meriterebbe un’analisi accurata, con inchieste locali compiute da un osservatore dotato di un occhio penetrante – dico uno, perché le inchieste per schede su territori vasti a mezzo di commessi statistici non contano niente – su un breve territorio da lui conosciuto a fondo, anche storicamente, su documenti e ricordi personali. L’osservatore dovrebbe essere un economista capace di valutare criticamente le risposte ricevute, e di risottoporle agli interessati fino al compiuto chiarimento.

 

 

6. – Con vivo piacere si rimandano, nel volume in onore di Gobbi, documenti relativi alle discussioni che in Italia ebbero luogo tra il 1883 ed il 1934 intorno a problemi concreti di assicurazione sociale, di assicurazioni in generale e sulla vita, sul sovraprezzo delle azioni, sulla carestia degli affitti, sulle azioni al portatore, sul corso forzoso, sull’imposta sulle aree fabbricabili ed intorno a questioni di teoria pura: rendita del consumatore, definizione del reddito, imposta progressiva, prezzo corrispondente al costo ecc. Poiché il concetto di scritto “minore” non è equivalente – per usare un aggettivo caro al Gobbi – a quello di “meno importante” e poiché la memoria presentata all’Istituto lombardo nel 1900 “sul principio della convenienza economica” è qui richiamata (a pag. 303 – 5 nel riassunto di una polemica di cui sarebbe stato bene offrire tutti gli elementi) ed è ricercatissima dagli studiosi italiani e forestieri, si rimpiange di non vederla inclusa nel presente volume. Gobbi è uno scrittore sobrio, fino, il quale va diritto al cuore del problema discusso.

 

 

Si rivede il saggio luminoso del 1907 sull’imposta sulle aree fabbricabili, allora stabilita con modalità che parvero incongrue e furono criticate acerbamente anche da chi scrive. Ma non erano più incongrue di altre che poi furono accolte senza eccitare l’attenzione di nessuno. Come è luminoso il diagramma disegnato (a carte 268) a chiarire i rapporti fra variazioni della quantità prodotta ed offerta di risparmio e della quantità di capitali richiesta a prestito in funzione del saggio di interesse! Il diagramma è chiuso tra due piani limiti: in basso la quantità di risparmio prodotta è zero quando il montante, non il saggio di interesse, previsto in un momento futuro dall’impiego di un dato risparmio è zero; in alto la quantità di risparmio prodotto è un massimo quando è uguale a tutta l’eccedenza della ricchezza disponibile in un dato momento oltre la quantità assorbita dai più assoluti bisogni immediati. Il punto d’incontro delle due curve della offerta e della domanda del risparmio determina il saggio d’interesse corrente sul mercato; e poiché quel punto è uno solo, è chiaro che il saggio dell’interesse è uguale in quel solo punto – e quindi per una quota forse piccolissima del risparmio prodotto – al costo del risparmio. Se il saggio positivo di interesse è 5 per cento, tutti coloro i quali avrebbero risparmiato anche se il saggio fosse stato inferiore o negativo ottengono un guadagno; tutti coloro i quali risparmierebbero solo se il saggio fosse superiore al 5 per cento non risparmiano. Quindi l’interesse non si spiega come compenso del costo del risparmio. Il Gobbi aggiunge: “L’interesse non si spiega se non ammessa una disuguaglianza di condizioni economiche per cui alcuni siano in grado di ritrarre dall’uso di un capitale che non posseggono qualche cosa di più di quello che sanno ritrarne altri che lo posseggono (pag. 269)”. Che cosa è questa “disuguaglianza di condizioni economiche?” Se Tizio, professionista risparmia in un dato intervallo di tempo 100.000 lire e le dà a mutuo ad un affittavolo, e la fortuna di essi è supposta uguale, la diversità di condizioni economiche non è unicamente quella delle attitudini professionali? Non è un duplicato cercare la spiegazione dell’interesse quando si è già spiegato perché il punto di intersezione delle due curve è tale che il saggio risultante è 5 per cento ovvero 3 per cento ovvero 1 per cento? Se davvero si è data la spiegazione di “quel” saggio, sono state evidentemente ricordate tutte le ragioni le quali hanno influito a sollevare o ad abbassare le due curve o modificarne l’andamento; e tra quelle ragioni potrà entrare, con tante altre, la diversità delle condizioni economiche. Se la ripartizione della ricchezza fosse tale che ogni operaio possedesse una quota del capitale sociale corrispondente alla quantità di lavoro dall’operaio impiegata (ipotesi formulata a pag. 270) evidentemente l’offerta e la richiesta del risparmio sul mercato sarebbero diverse da quelle che sarebbero in assenza di tale condizione. Diventerebbe il saggio dell’interesse zero o negativo? Se sì, la tesi della dipendenza dell’interesse dalla disuguaglianza delle condizioni economiche otterrebbe un inizio di prova. All’uopo sarebbe necessario che una variazione nelle relative condizioni economiche degli uomini provocasse una variazione nella offerta di risparmio nello stesso senso o in senso diverso dalla variazione, parimenti conseguente alla stessa causa, nella richiesta del risparmio tale da produrre il risultato voluto: spostamento del saggio di interesse verso lo zero. Siccome la richiesta di capitale, sia pure per la produzione di beni desiderati dalle moltitudini invece che dai pochi, probabilmente crescerebbe – si parla, ben s’intende, delle sole variazioni seguenti alla variazione supposta nella distribuzione della ricchezza – dovrebbe grosso modo verificarsi un incremento relativamente assai più cospicuo nella offerta di risparmio. Che cosa dice l’esperienza storica in proposito? Cresce la quantità del risparmio prodotto quando le fortune tendono a diventare meno disuguali? Affermano parecchi che quella quantità diminuisce.

 

 

Le variazioni nella quantità del risparmio hanno del resto qualcosa da fare con le variazioni nel saggio dell’interesse? A sentir taluno, risparmio ed investimento sono sempre quantitativamente uguali, dimodoché la variazione dell’uno compensa quella dell’altra; e rimangono, a determinare il saggio dell’interesse, da un lato l’offerta di moneta e dall’altra la domanda di essa a scopo di tesaurizzazione. Dalla quale proposizione si traggono assai numerose illazioni di sapore paradossale sulle cause della disoccupazione, delle crisi e sui rimedi relativi. Le verificazioni empiriche dei vecchi e nuovi schemi addotti a spiegazione delle variazioni dei saggi di interesse sono tuttavia scarse e poco probanti. Ecco un campo in cui l’indagine storico – statistica può venire in aiuto dell’indagine teorica; od almeno può suggerire premesse di ragionamento conformi all’esperienza e quindi feconde. Certo è inutile che lo storico e lo statistico consumino tempo e fatica nello studiare le vicende del saggio d’interesse se qualche ipotesi teorica non li illumini nella ricerca dei fatti veramente rilevanti da accertare.

 

 

Non finiremo tanto presto di discutere sul contenuto del concetto di interesse e saggio di interesse. Il Gobbi apporta un utile contributo alla discussione (qui a pp. 282 e segg. e di nuovo in “Osservazioni sul confronto dei valori nel tempo” in fasc. 3 del 1938 della “Rivista italiana di scienze commerciali”) quando osserva essere il concetto di uguaglianza diverso da quello di equivalenza, con cui si afferma che 100 lire oggi e 105 lire fra un anno, senza essere uguali, si equivalgono. Mi duole di non avere accolto per tempo (voglio dire nello scrivere certe pagine dei “Miti e paradossi della giustizia tributaria”) la terminologia proposta dal Gobbi; sebbene non veda in che avrei, perciò, dovuto mutare la tesi che il modo contabilistico di calcolare il reddito tassabile (105 lire esistenti alla fine dell’anno meno 100 esistenti al principio dell’anno = 5 reddito) è per lo meno altrettanto indimostrabile razionalmente come altri modi (105 lire esistenti alla fine dell’anno meno 100 esistenti al principio dell’anno e riportate in 103 alla fine dell’anno con l’applicazione del saggio corrente di interesse del 3 per cento = 2 sovrappiù, ovvero, senza preoccuparsi di inventari iniziale e terminale, 3 frutto ordinario dei capitali investiti in terre, case, industrie e conservati secondo le usanze correnti nel paese fra i buoni padri di famiglia), i quali paiono, poste certe premesse che il legislatore è liberissimo di accogliere non essendo esse più incomprensibili di certe altre, soddisfare alle esigenze della logica, il che vuol dire del corretto ragionare sulla base delle premesse poste. Naturalmente, le premesse variano a seconda che si tratta di far quadrare un bilancio o di pagare dividendi agli azionisti od imposte allo stato o di provvedere alla conservazione di un patrimonio per i figli ecc. ecc. Importa sovratutto porre chiare le premesse e da quelle, dirittamente ragionando, trarre corrette deduzioni. Tutti abbiamo, sotto questo rispetto, qualcosa da imparare da un tanto padrone del ragionare come è Gobbi.

 

 

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