Opera Omnia Luigi Einaudi

Paolo Baffi

Memoria sull’azione di Einaudi, 1945-1948
«Rivista del personale della Banca d’Italia», Anno X, n. 4, ottobre 1970, pp. 217-231

1. – Sotto il governo fascista, i due ministeri del tesoro e delle finanze erano stati unificati in un unico ministero delle finanze. Dopo la liberazione, la divisione in due ministeri venne ripristinata; ed in generale il ministero delle finanze, il cui compito principale è quello della imposizione tributaria, venne affidato ad uomini politicamente più a sinistra dei loro colleghi del tesoro, i quali, in un paese con un bilancio cronicamente squilibrato, hanno tra i loro compiti principali quello di fare affluire allo Stato il risparmio privato per la copertura del disavanzo, e quello di resistere alle richieste di spesa che provengono dai ministeri economici, preposti a singoli settori di attività: industria e commercio, agricoltura, lavori pubblici, trasporti, comunicazioni, marina mercantile, lavoro.

Secondo questa divisione delle parti, fatta con un criterio di “congenialità” tra il ministro ed il proprio lavoro e tra il ministro e il proprio pubblico, nel periodo compreso tra il ritorno di Einaudi in Italia (sulla fine del 1944) e la sua assunzione alla suprema magistratura (giugno 1948) il ministero del tesoro venne affidato prima a tre liberali (nell’ordine: Soleri, Ricci e Corbino), seguiti da due democristiani (Bertone, Campilli) e da un indipendente (Del Vecchio); il ministero delle finanze venne invece affidato ad esponenti del partito comunista (Pesenti, Scoccimarro); soltanto nel febbraio 1947 subentrarono ad essi i democristiani (Campilli, Pella).

Il periodo anzidetto si può distinguere in due tempi. Nel primo tempo, Einaudi occupò il posto di governatore della Banca d’Italia e ne svolse effettivamente le funzioni. Il secondo tempo ebbe inizio nel maggio 1947, quando nella formazione del quarto ministero De Gasperi, Einaudi venne elevato alla vice-presidenza del Consiglio e l’esercizio delle funzioni di governatore della Banca d’Italia passò all’allora direttore generale Menichella, che ricevette l’investitura ufficiale nell’agosto 1948, dopo l’assunzione di Einaudi alla presidenza della repubblica.

Nella formazione governativa del maggio 1947, insieme con la vice presidenza del Consiglio, Einaudi assunse il ministero del bilancio, creato appositamente per consentirgli di sovraintendere alla attività dei due ministeri, del tesoro e delle finanze, ed in ispecie di controllare la spesa, senza l’onere di dirette responsabilità amministrative. Come suoi collaboratori egli ebbe: al tesoro, Del Vecchio, un economista professionale; alle finanze, Pella, chiamato per la prima volta alla responsabilità di un portafoglio ministeriale. I comunisti, che già nel terzo ministero De Gasperi del febbraio 1947 erano stati esclusi dai dicasteri finanziari, vennero nel quarto esclusi del tutto, e per la prima volta, dal governo.

Cinque dei sei ministri che si succedettero al tesoro nel periodo in esame erano legati ad Einaudi da legami di antica data: i tre liberali, dalle comuni lotte politiche (ed il Soleri anche dalla comune origine piemontese); il Bertone, piemontese egli pure, da comunanza di ideali democratici e dall’amicizia nata negli studi insieme compiuti in giovinezza; il Del Vecchio, dai comuni interessi accademici di due economisti professionali. È indubitato che l’Einaudi esercitò sulla loro azione di governo una profonda influenza; tuttavia, alcuni dei più grossi problemi che allora si agitarono (imposta straordinaria patrimoniale, cambio della moneta) erano problemi di tassazione, nei quali aveva molto peso la linea politica degli uomini di sinistra che tennero il portafoglio delle finanze. Nelle relazioni della Banca d’Italia, della progettata operazione di cambio dei biglietti vengono trattati i problemi tecnici di attuazione, mentre l’aspetto fiscale viene ignorato. La posizione generale di Einaudi su tali problemi appare, tuttavia, dai suoi interventi all’assemblea costituente, prima e dopo l’assunzione della vice-presidenza del consiglio.

2. – La sua prima relazione governatoriale riguarda l’esercizio 1943, ma fu letta solo nell’aprile 1945.

Nel bilancio della Banca d’Italia a fine 1943, alla circolazione dei biglietti, pari a circa 180 miliardi, facevano riscontro quasi 130 miliardi di crediti verso il tesoro dello Stato e 40 miliardi di risconti a favore del Consorzio per sovvenzioni su valori industriali. È questo un istituto controllato dalla Banca d’Italia creato poco avanti l’intervento dell’Italia nella prima guerra mondiale, per agevolare con l’aggiunta della propria firma il risconto di effetti cambiari presso la Banca d’Italia (in previsione delle necessità di un più largo credito della banca centrale cui l’entrata in guerra poteva dar luogo). I fascisti lo avevano utilizzato per gli scopi più svariati di finanziamento inflazionistico, non escluso lo sconto, a favore delle amministrazioni statali, di titoli rappresentativi di spese ordinarie, quali i sussidi ai richiamati, le sovvenzioni agli enti locali. Il Consorzio, per tali operazioni “speciali”, si finanziava esclusivamente col risconto presso la Banca d’Italia. Non fa meraviglia che Einaudi, il quale aveva assistito impotente, dalla sua posizione di studioso dei problemi monetari, all’instaurarsi di una pratica tanto ipocrita e malsana, punti contro di essa le sue artiglierie nella prima relazione, facendo merito alla Banca d’Italia di avere resistito, dopo la liberazione, a sollecitazioni ricevute perché il Consorzio da lei controllato riprendesse la “mala strada” delle operazioni speciali; ed esprimendo la preoccupazione che nuove operazioni “extra vaganti” (Relazione 1943, pag. 49) potessero essere state compiute, dopo l’armistizio, nelle regioni rimaste sotto occupazione germanica. Le amministrazioni Einaudi e Menichella hanno resistito a tali sollecitazioni, e hanno anzi mantenuto le stesse operazioni ordinarie del Consorzio entro limiti modesti, nonostante che anche per un allargamento di queste ultime si siano avute ripetute pressioni, soprattutto nei due periodi di “stretta creditizia” seguiti, il primo, alla introduzione del nuovo sistema di riserve obbligatorie per i depositi (settembre 1947), il secondo allo scoppio della guerra in Corea (giugno 1950).

Nella stessa relazione (pag. 59), Einaudi calcola che l’87 per cento dei depositi bancari è amministrato da banche di Stato od aventi carattere di enti pubblici controllati dallo Stato, oltreché da banche cooperative, e che solo il I3 per cento «è gerito con criteri privatistici, ed anche questi sottoposti alla vigilanza dell’Istituto di emissione»; addita questi dati «a coloro che invocano la nazionalizzazione delle banche», concludendo che «questa, nel nostro paese, è cosa latta». La sua posizione a tale riguardo è che «la scoverta del confine ottimo fra il campo privato e quello pubblico» sia «problema tutto empirico, adatto alle mutevoli circostanze di tempo e di luogo, che fa d’uopo ogni giorno nuovamente risolvere».

Mentre Einaudi leggeva la sua relazione, era in corso, nell’Italia liberata, la campagna di sottoscrizione dei buoni del tesoro quinquennali 5 per cento, che presero nome dal ministro Soleri, e la cui emissione venite estesa al Nord subito dopo la liberazione. Lo stato di liquidità in cui si trovava il sistema creditizio all’uscita dalla guerra favorì, sia al Sud che successivamente al Nord, la riuscita dell’operazione. Einaudi la saluta (pag. 81) come «il primo esperimento di voto libero che silenziosamente si va compiendo nelle città e nelle campagne».

La relazione sull’esercizio 1944 è una sobria illustrazione dei dati di bilancio e dell’adempimento da parte della banca centrale dei suoi compiti d’istituto. Invece, la relazione sull’esercizio 1945, letta nel marzo 1946, offre molte viste sulla filosofia economica del governatore.

Egli vi esamina anzitutto il problema, ancor oggi vivo, del cosiddetto «carteIlo bancario». Le banche, uscite dalla guerra con una massa di depositi decimata dall’inflazione, dovendo trarre, da una così ridotta base d’affari, i proventi per coprire le spese delle loro gestioni, pesanti di oneri di personale, avevano attuato, sul principio del 1945, con la sanzione del ministro del tesoro, una riduzione del tasso massimo d’interesse sui depositi ed un elevamento dei tassi minimi per le operazioni d’impiego. Lo “spread” tra tassi passivi ed attivi era allora assai largo. Negli anni successivi, e soprattutto dopo l’arresto dell’inflazione (settembre 1947), i depositi sono andati gradualmente aumentando; ciò ha facilitato alle banche il compito di coprire le spese d’esercizio, al punto che le banche hanno preso, una dopo l’altra, a corrispondere ai depositanti tassi superiori a quelli concordati. AI principio del corrente anno 1954, le banche hanno firmato un nuovo accordo, su basi più realistiche (cioè che prevede per i depositi tassi abbastanza alti), attraverso il quale esse sperano stabilire una tregua alla lotta per il deposito che si era andata generalizzando, a tutto vantaggio del risparmiatore.

Sulla legittimità di accordi del genere, e con riferimento alla situazione del 1945, Einaudi esprime seri dubbi (pag. 35 della Relazione sull’ esercizio 1945). «È conforme all’interesse generale che al risparmio vengano offerte rimunerazioni sempre più misere?». «Conviene al sistema bancario che si diffonda l’opinione che si dà poco o nulla perché ci si è messi d’accordo a tale uopo?». «Se fosse abolito il cartello, si manterrebbe lo scarto? E come può essere sanzionato d’autorità un suo inasprimento, se l’autorità competente – la quale, in regime di governo libero, è in ultima analisi l’opinione pubblica, resa manifesta attraverso gli uomini scelti dal corpo elettorale – non sia persuasa che l’allargamento dello scarto sia giustificato da ragioni di interesse generale? Tra queste ragioni di interesse generale va annoverata la necessità di far fronte alle spese crescenti del sistema bancario? Inquietante domanda, che io mi limito a sottoporre alla vostra attenzione».

Traspare abbastanza chiaramente da questi interrogativi la doppia limitazione che l’azione governativa nel campo economico dovrebbe osservare, nel pensiero di Einaudi. Anzitutto, nella divisione dei poteri, egli assegna al legislativo quello di intervento in materia economica, contro la tendenza prevalente a farlo rientrare tra le ordinarie attività amministrative. In secondo luogo, egli esclude che tali interventi possano giustificarsi con motivi di interesse di categoria, contro la tendenza della società moderna ad organizzarsi e chiudersi in forme corporative.

Egli obbedisce a questi suoi principi generali anche in un caso nel quale è molto dubbio che la concorrenza illimitata realizzi l’ottimo sociale, quello della apertura di sportelli bancari, che può considerarsi come un caso particolare del problema delle licenze nelle attività di distribuzione commerciali (negozi, pubblici esercizi, edicole di giornali. pompe di distribuzione della benzina). È noto come l’efficacia della concorrenza di operare una selezione tra i distributori, così da mantenerne il numero entro il limite socialmente ottimo, si indebolisca quando i margini da applicare nel commercio al minuto siano regolati, per accordi che intervengano tra i distributori medesimi o tra di essi ed i produttori (“resale price maintenance”). Quando vigano tali accordi, il numero degli esercizi tenderà a moltiplicarsi, fino a ripartire il profitto della distribuzione tra una miriade di persone sotto-occupate. Il caso delle banche è affine a questo, in ispecie ove viga il cartello; per cui il cartello chiama la limitazione degli sportelli. Einaudi è sostanzialmente per la libertà, ed infatti sotto il suo governatorato il blocco degli sportelli bancari venne revocato e molte autorizzazioni alla apertura di nuovi sportelli furono concesse. «Per le piazze già bancabili, giova tener conto del fatto che il pubblico richiede oggi di essere servito non solo nel centro cittadino degli affari, ma in tutti i rioni, anche suburbani. Poiché le banche sono fatte per servire il pubblico e non viceversa». «Le banche non sono fatte per pagare stipendi ai loro impiegati e per chiudere il proprio bilancio con un saldo utili; ma devono raggiungere questi giusti fini soltanto col servire nel miglior modo il pubblico» (Relazione 1945, pag. 48).

3. – I problemi inerenti al regime della circolazione dei biglietti, trattati sotto il governatorato Einaudi, furono sostanzialmente quattro: a) cessazione della emissione di lire militari e loro assunzione da parte dell’Italia; b) stampigliatura; c) fabbricazione di nuovi biglietti negli Stati Uniti; d) cambio dei biglietti.

Il problema della stampigliatura venne agitato prima della liberazione del Nord. Si intendeva, con la stampigliatura, parare la eventualità che i tedeschi, continuando la guerra anche dopo essersi ritirati dal Nord, facessero affluire in Italia biglietti asportati od addirittura fabbricati in Germania. La liberazione del Nord intervenne prima che le modalità della operazione fossero definite e poiché con la liberazione del Nord la guerra in Europa ebbe fine, venne a mancare la ragione dell’operazione, che non si fece più.

Le trattative per la fabbricazione dei nuovi biglietti negli Stati Uniti durarono oltre un anno e non ebbero un esito felice; esse vennero abbandonate nel giugno 1945. L’Italia, valendosi anche di fabbriche private, provvide essa stessa ad allestire, nella prima metà del 1946, 300 miliardi di nuovi biglietti destinati a servire per l’eventuale cambio. Ma, nella estate, venne scoperto che i clichés dei nuovi biglietti erano stati riprodotti fotograficamente da falsari; il governo rinunciò,in conseguenza, a porre in circolazione i nuovi biglietti. Solo nel marzo 1947 si arrivava a mettere in produzione un nuovo tipo di biglietto. Nel novembre 1946, il governo faceva luogo alla emissione di un «prestito della ricostruzione» ad un tasso d’interesse basso per il mercato italiano, il 3,50 per cento; il basso frutto doveva però essere compensato dalla esenzione concessa ai titoli del prestito dalla imposta straordinaria progressiva. Il provvedimento dell’imposta straordinaria era ancora da definire; il governo si proponeva di applicarla anche alla ricchezza liquida (biglietti, depositi, titoli) mediante accertamento diretto di questa.

Era questo intendimento che giustificava la forma scelta per il prestito. Nel febbraio 1947, si formava il terzo ministero De Gasperi, in cui il portafoglio delle finanze veniva per la prima volta sottratto ai comunisti ed affidato ad un democristiano, il Campilli, il quale presentava un progetto di imposta straordinaria nel quale era previsto, per la ricchezza liquida, l’accertamento presuntivo, in luogo di quello diretto; l’intento di cambiare i biglietti a scopi fiscali poteva, con ciò, dirsi abbandonato. Della successione degli avvenimenti sembra lecito trarre tre conclusioni:

a) la riduzione della influenza comunista nel governo portava di per sé verso l’abbandono della operazione;

b) è possibile che il furto dei clichés abbia concorso a dare, alla tendenza di cui si è ora detto, il tempo necessario perché essa producesse il suo effetto; cioè perchè si addivenisse alla formazione del quarto e del quinto ministero De Gasperi;

c) nella forma che si diede al prestito della ricostruzione giocò forse l’inerzia delle cose avviate, e la presunzione dei governi di saper mantenere ed attuare le direttive del momento. Infatti il furto dei cliché avrebbe forse dovuto, da solo, portare a svincolare il prestito dal cambio; ed il cambiamento di direttive successivamente intervenuto a riguardo di questo prova l’opportunità che i governi non fissino una operazione di oggi sui cardini di un provvedimento di domani (dopo la rinuncia alla tassazione diretta della ricchezza liquida, il governo offerse ai sottoscrittori al prestito della ricostruzione la conversione gratuita in un titolo al 5 per cento).

Quale sia stata la posizione di Einaudi nei riguardi del cambio appare dal discorso che egli pronunciò, conte ministro, il 18 giugno 1947 alla assemblea costituente. Egli dichiarò di essere stato contrario al cambio perchè: a) ove il prelevamento sui biglietti fosse stato attuato come parte della imposta personale progressiva sul patrimonio, sarebbe stato facile frazionare la presentazione in modo da far rientrare l’intera circolazione entro il limite esente concesso ad ogni presentatore; b) ove esso fosse stato attuato in forma di imposta proporzionale, trattenendo una aliquota fissa dell’importo presentato al cambio, esso avrebbe costituito nella sostanza una imposta regressiva, perché i biglietti rappresentano una frazione del patrimonio complessivo più alta per i poveri che per i ricchi.

4. – Il problema della inflazione in Italia, come in altri paesi, si pone generalmente sotto i due aspetti: a) della creazione di moneta derivante dal disavanzo delle pubbliche finanze; b) di quella derivante dalla espansione dei crediti delle banche commerciali. (Accanto a essi opera talora un fattore assai più gradito di espansione: l’accumulo di valuta estera). Nei primi diciassette mesi del governatorato Einaudi, cioè dal gennaio 1945 fino al maggio 1946, nessuno dei due aspetti presentò carattere di gravità.

Il bilancio statale dell’Italia usciva dalla guerra alleggerito in quattro dei maggiori capitoli di spesa: il debito pubblico, la difesa, le colonie, il personale. AI momento della liberazione del Nord, il livello dei prezzi era di circa 25 volte quello dell’anteguerra; l’onere del servizio di interessi sul debito pubblico era dunque divenuto trascurabile. Negli ultimi esercizi d’anteguerra esso assorbiva circa un quinto della spesa; un carico anche maggiore era costituito dalla difesa; gli oneri per le colonie erano diventati pesanti dopo l’annessione dell’Etiopia. Infine, gli stipendi dei funzionari erano, alla liberazione, molto inferiori, in valore reale, a quelli d’anteguerra. La stessa disorganizzazione amministrativa e la scarsità dei materiali da costruzione ponevano dei limiti extrafinanziari alle spese in opere pubbliche. Già nel periodo compreso tra l’armistizio e la liberazione del Nord, l’espansione della circolazione era stata dovuta nella quasi totalità all’emissione nelle regioni occupate dai tedeschi ed a quella di lire militari nelle regioni liberate. Einaudi, nella sua relazione sull’esercizio 1945, come nel discorso all’assemblea costituente del 24 settembre 1946, calcola che la complessiva emissione di biglietti tra fine agosto 1943 e fine aprile 1945 avvenne per il 59,7 per cento nel territorio occupato dai tedeschi, per il 37,8 per cento ad opera delle autorità alleate e per il 2,5 per cento soltanto ad opera della Banca d’Italia nel territorio liberato.

Il moderato fabbisogno di fondi per la copertura del disavanzo del governo legittimo, nel primo anno successivo alla liberazione, fu coperto con l’emissione del prestito Soleri e con i normali debiti di tesoreria (buoni del tesoro, risparmio postale, depositi presso il tesoro). Nel discorso ora richiamato, Einaudi poteva comunicare che dopo il marzo 1945 non vi erano state nuove anticipazioni dell’istituto di emissione al tesoro.

L’espansione dei crediti delle banche commerciali fu anch’essa moderata, fino alla metà del 1946; di ciò si possono dare due ragioni. La prima consiste nella già richiamata scarsità di combustibili e di materie prime, che ritardò la ripresa dell’attività economica. La seconda si ravvisa nella attesa, diffusa nei consumatori, che l’arrivo degli alleati dovesse comportare un ritorno di abbondanza, e che quindi i prezzi vigenti all’epoca della liberazione fossero destinati a cadere. Questo atteggiamento si generalizzò durante la permanenza al tesoro di Corbino, ministro dichiaratamente contrario al cambio dei biglietti ed alla tassazione della ricchezza liquida.

Alla metà del 1946, si affacciava, nel bilancio dello Stato, un pericolo al quale, in ragione della sua esperienza dell’altro dopo-guerra, Einaudi reagì vivacemente. Si trattava del prezzo politico del pane. Nella prima metà del 1945, il ministro Soleri, certo confortato dal consiglio di Einaudi, era riuscito ad eliminare lo squilibrio tra il prezzo di cessione del grano ammassato ai mulini, ed il prezzo pagato dallo Stato agli agricoltori conferenti il grano agli ammassi. (Era stato lo stesso Soleri, come commissario all’alimentazione sotto il governo Giolitti, ad abolire nel 1920 il prezzo politico del grano). Soleri morì nell’estate del 1945, e col raccolto del 1946 ricomparve una torte differenza tra il costo del grano per lo Stato ed il prezzo di cessione ai mulini.

Einaudi avvertì il pericolo nel discorso alla Costituente del settembre; e quando, finito l’anno, si trovò ad analizzare le ragioni del forte aumento nella circolazione dei biglietti che aveva preso l’avvio nel mese di maggio, trovò che per circa tre decimi esso era dovuto al risconto delle cambiali degli enti ammassatori, i quali ricuperavano dalla vendita del grano un terzo soltanto del prezzo pagato ai conferenti, cioè 900 lire su 2.700, cosicché rimanevano esposti verso le banche finanziatrici (e in definitiva verso la Banca d’Italia per le cambiali riscontate) per le residue 1.800 lire, in attesa di riceverne il rimborso dallo Stato. Per gli altri sette decimi, l’aumento della circolazione apparve dovuto ad acquisto netto di valute estere, a prelevamenti effettuati dalle banche sui loro depositi presso la Banca d’Italia, a somministrazioni di biglietti agli alleati. Considerando queste somministrazioni ed i risconti di cambiali d’ammasso come crediti a favore dello Stato, se ne conclude che questi furono, in quei primi otto mesi di sviluppo inflazionistico, il principale fattore di espansione nella massa monetaria; di importanza poco minore fu l’espansione del credito commerciale, che dava luogo ai prelevamenti delle banche dai loro depositi presso l’istituto di emissione; e rilevante fu anche l’azione del terzo e più gradito fattore, l’accumulo di valuta.

Si può quindi affermare che, verso la metà del 1946, i tre principali fattori di variazione della massa monetaria entrarono simultaneamente in azione, e tutti esercitarono inizialmente il loro effetto in senso espansivo: il bilancio dello Stato, per lo squilibrio in esso creato dall’aggiungersi, alle altre spese, di quella costituita dalle perdite sulla gestione del grano ammassato; il credito commerciale, per una più intensa domanda di credito, nata dalla incipiente ripresa della attività economica e dal risveglio dei mercati di consumo; la bilancia dei pagamenti, per l’incentivo alle esportazioni derivato dalla introduzione: a) nel gennaio, della quota addizionale (con cui il cambio effettivo di cessione del dollaro veniva portato da 100 a 225, e quelli delle altre valute venivano variati in proporzione); b) nel maggio, del sistema dei conti valutari, per cui la cessione obbligatoria a 225 veniva limitata ad una metà della valuta, mentre l’altra metà poteva essere negoziata dall’esportatore sul mercato dei cambi, dove il dollaro raggiunse, nel resto dell’anno, quotazioni superiori alle 500 lire.

Delle tre cause di espansione della circolazione, l’utilizzo, da parte delle banche, della liquidità eccedente da esse accumulata negli anni di guerra, appare ad Einaudi come un fatto che deve essere subito; non sembra che egli abbia mai pensato a blocchi dei depositi, in ispecie di quelli delle banche. Lo turba invece fortemente l’uscita dovuta alla gestione dell’ammasso grano, come quella che una più energica politica di bilancio poteva evitare; ad essa soprattutto dedica l’appassionato capitolo finale della relazione sull’esercizio 1946 (pagine 222-257). «Urge che il proposito manifestato dal governo di porre fine al prezzo politico del pane e di porvi fine in modo radicale, senza alcuna possibilità di ritorno e senza eccezioni per questa o quella classe sociale, eccezioni le quali ridurrebbero ben presto la regola, abbia pronta attuazione. Periculum est in mora.

Urge che al fato, il quale costringe la Banca d’Italia ad emettere ognora nuovi biglietti, sia tolta una delle armi più potenti le quali ci costringono, volenti o nolenti, a malfare» (pag. 237).

5. – Ma nei primi nove mesi del successivo anno 1947 l’espansione del credito commerciale, alimentata sempre dai prelevamenti sui depositi delle banche presso l’istituto di emissione, diventava la causa preminente di inflazione.

Esisteva bensì una norma del 1926, che era stata aggiornata nel febbraio 1946, secondo la quale ogni banca avrebbe dovuto mantenere depositata presso l’istituto di emissione, in contanti o in titoli, ogni eventuale eccedenza dei depositi da essa raccolti rispetto ad un importo pari a 30 volte il suo capitale. Ma con la guerra e l’inflazione il volume dei depositi in essere presso le banche commerciali si era andato moltiplicando, mentre i loro capitali erano rimasti pressoché fermi, cosicché l’applicazione rigorosa della norma avrebbe comportato il vincolo, presso l’istituto di emissione, di una parte troppo grande dei depositi raccolti dalle banche. Queste avendo fatto resistenza all’osservanza dell’obbligo, il processo inflazionistico poté svilupparsi, nel corso dei primi nove mesi del 1947, senza incontrare in tale obbligo un limite efficace. La Banca d’Italia sottoponeva al governo, nei primi mesi del 1947, proposte per una disciplina delle riserve che riuscisse applicabile nella situazione che si era maturata. Nelle more del loro esame da parte del governo, si addiveniva, con una decisione adottata dal Consiglio dei ministri nel marzo e tradotta in un provvedimento legislativo del luglio alla costituzione di un Comitato interministeriale per il credito ed il risparmio non dissimile dal Comitato dei ministri previsto dalla legge bancaria del 1936, e si trasferivano alla Banca d’Italia le funzioni che tale legge assegnava al cessato Ispettorato del credito. Intanto, nel giugno, Einaudi era diventato ministro del bilancio. Il Comitato interministeriale teneva la sua prima riunione il giorno 4 agosto, ed in essa decideva l’introduzione di un nuovo sistema di riserva obbligatoria, con applicazione dal 30 settembre. La misura della riserva fu determinata in modo che, per le banche prese nel loro complesso, essa comportasse il vincolo di una somma non superiore a quella dl cui il sistema bancario ancora disponeva in deposito presso l’istituto di emissione. Una precisazione del nuovo meccanismo adottato e della posizione statistica si può trovare nella relazione della Banca d’Italia per il 1947 (pagg. 152-162) e una illustrazione esauriente dei suoi concetti ispiratori si trova nel discorso di Einaudi alla Costituente del 4 ottobre 1947.

L’introduzione della riserva obbligatoria costituì il risolvente di una situazione speculativa ormai pesante, caratterizzata cioè da una forte accumulazione di scorte, finanziata col credito, e da un livello di prezzi troppo elevato rispetto al livello dei redditi di lavoro, nel senso che il livello dei redditi non era sufficiente ad assorbire, ai prezzi correnti, l’intera produzione corrispondente ai livelli di attività dell’estate 1947. La pesantezza della situazione si era rivelata sul mercato dei valori mobiliari e delle valute, i cui corsi, dopo una spettacolosa ascesa tra il maggio 1946 ed il maggio 1947, crollarono paurosamente già prima della introduzione della riserva, cioè tra il maggio ed il settembre.

Indice dei corsi dei valori azionari (1938 = 100) Cambio del dollaro esportazione
1946 – Maggio 474 364
– Dicembre 1.313 568
1947 – Maggio 3.023 906
– Luglio 2.I58 775
– Settembre 2.095 667
– Dicembre 1.146 575

La liquidità residua delle banche, alla vigilia della introduzione del nuovo obbligo di riserva, era ormai ricondotta vicino ai livelli che le banche sogliono liberamente osservare; anche senza quell’obbligo, dunque, la crisi di liquidità sarebbe probabilmente sopravvenuta qualche mese più tardi, sempre che l’istituto di emissione avesse saputo resistere (come resistette allora e poi sempre) alla richiesta di larghi risconti. Ma l’Italia si era tanto impoverita di riserve valutarie nel corso dei precedenti sviluppi inflazionistici, che anche pochi altri mesi di emigrazione di capitali (questa aveva luogo, principalmente, nella forma del mancato rientro dei ricavi delle esportazioni) e di intensa domanda speculativa di importazioni, potevano provocare il completo esaurimento delle magre riserve residuate. È probabile che questa allarmante situazione, che poteva preludere ad una crisi di approvvigionamenti, sia stata esposta da Einaudi, nella sua qualità di governatore per l’Italia del Fondo monetario internazionale, ai suoi colleghi americani, nella riunione che il Fondo tenne a Londra nel settembre.

Nell’agosto-settembre, il movimento di ribasso si estese, seguendo uno schema classico di successione, dal mercato dei valori a quello delle merci. La crisi di stabilizzazione occupò l’ultimo trimestre del 1947 ed il primo semestre del 1948, determinando, nell’indice della produzione industriale, una flessione alquanto superiore a quella stagionale. Nei nove mesi, si ebbe un forte incremento della circolazione e, al tempo stesso, dei depositi a risparmio, per il ritorno della fiducia nella moneta. Della facilità di finanziarsi si valse il tesoro, il quale allargò le proprie spese e, paradossalmente, ricorse all’istituto di emissione, in questa fase, più largamente di quanto avesse fatto durante la precedente fase di inflazione. Nonostante l’aumento della circolazione e del volume dei depositi, i prezzi all’ingrosso, tra il settembre 1947 ed il giugno 1948, scesero di un 17 per cento.

I movimenti discendenti della produzione e dei prezzi da un lato e quelli ascendenti della circolazione e dei depositi dall’altro, offrirono ai critici della politica Einaudi qualche apparenza di giustificazione nell’asserire che essa cumulava i danni dell’inflazione e della deflazione. In realtà, l’aumento della circolazione era compensato dalla diminuzione della sua velocità e non assunse proporzioni anormali;

infatti, con la ripresa della espansione produttiva, a partire dalla metà del 1948, anche la circolazione continuò ad aumentare fuor di ogni influenza di condizioni eccezionali. Le ripercussioni che la crisi di stabilizzazione ebbe sui livelli produttivi non appaiono gravi, in ispecie ove si considerino la velocità raggiunta dal processo inflazionistico che occorreva fermare, e le tensioni e sproporzioni da esso create: nei rapporti dei prezzi coi redditi; delle scorte accumulate e dell’indebitamento delle aziende rispetto ai normali capitali d’esercizio; degli investimenti in valute e valori mobiliari da parte dei privati e delle aziende, rispetto alla loro capacità di risparmio, e così via. (Una serena ed informata valutazione di tali ripercussioni si trova specialmente in due studi: uno di A.O. Hirschman, pubblicato nella American Economic Review del settembre 1948, e uno di E.S. Simpson, pubblicato nella Review of economic studies, n. 44).

Anche in tale occasione, nella critica furono concordi le due estreme; quella di sinistra, specialmente, la svolse in funzione elettorale; si avvicinava, intatti, il 18 aprile. Il comunista Scoccimarro scrisse sul giornale l’Unità del 14 febbraio: «Considerazioni gravi si devono fare sulla circolazione monetaria. Mai se ne è avuto un aumento cosi forte come nel periodo dell’attuale governo; l’inflazione è continuata senza interruzione». All’altro estremo, il monarchico Enzo Selvaggi, sul giornale Italia Nuova (13 gennaio 1948) esprimeva il dubbio che la «drastica politica deflazionistica» di Einaudi aprisse «la porta ad una più forte e più rapida inflazione».

6. – Come non arrestarono lo sviluppo della massa monetaria, che anzi si accelerò nei primi mesi dopo il settembre 1947, i provvedimenti di quel mese non arrestarono lo sviluppo del volume del credito, che si muove necessariamente con la prima.

Taluni schemi di ragionamento consueti in Italia, ed usati anche da uomini vicini ad Einaudi, la stessa insistenza di Einaudi sulla importanza del risparmio personale nel finanziamento degli investimenti, possono dare l’impressione che egli condivida l’idea volgare che i depositi precedono gli impieghi; per cui il volume del credito sarebbe limitato da un volume di depositi che si determinerebbe indipendentemente dal primo; e che la sua politica monetaria si sia ispirata ad una idea del genere.

Impressione più errata di questa non potrebbe darsi. È stato Einaudi a raccogliere le lettere di Pennington, l’amico di Ricardo, il quale aveva osservato che i depositi nascono dagli impieghi bancari; per cui, osserva Einaudi (discorso alla Costituente del 24 settembre 1946) «il deposito nato nella maniera normale tradizionale», cioè da un atto di risparmio «rappresenta la minima parte dei depositi». La parte maggiore è generata dagli «atti di fede» dei banchieri nella loro clientela. «Gli atti di fede si debbono compiere, perché, se aspettassimo la rinascita nazionale soltanto dagli atti di risparmio faticosamente accumulato � il rifiorimento, la ricostruzione, sarebbero troppo lenti».

7. – Gli effetti della politica del credito sulla bilancia dei pagamenti vennero rafforzati dalla politica valutaria del ministro Merzagora. Con l’istituzione delle importazioni franco-valuta, egli attuò il suo proposito di «fare la guerra coi disertori» (Corriere della Sera, 11 gennaio 1948). La stabilizzazione dei prezzi realizzata da Einaudi sollecitava i capitali a rientrare, per lo spiraglio aperto da Merzagora nella muraglia dei controlli valutari.

Le due politiche si integrarono anche in altro senso. Mentre, infatti, con la flessione dei prezzi, la lira si rivalutava sul mercato interno, con l’adozione del nuovo cambio di 575 per il dollaro, avvenuta a fine novembre 1947, essa veniva svalutata rispetto alle monete estere. Il flusso delle esportazioni veniva quindi doppiamente sollecitato; cosicché nei due anni che seguirono, grazie all’equilibrio monetario interno ed al piano Marshall, l’ItaIia poté far luogo ad una notevole accumulazione di valuta estera; questa trovò contropartita in un progressivo allargamento della circolazione, che poté realizzarsi a prezzi costanti, grazie all’aumento della produzione.

Prima dell’aumento del cambio del dollaro a 575, l’importatore pagava per tutta la valuta acquistata il cosiddetto «cambio esportazione», cioè il cambio di mercato per quella parte (una metà) della valuta ricavata dalle esportazioni che la disciplina valutaria lasciava alla libera disponibilità dell’esportatore. Questo realizzava 225 lire (350 nell’agosto 1947) sulla metà ceduta all’Ufficio dei Cambi ed il cambio esportazione sulla metà negoziata. Un sistema di cambi siffatto metteva in difficoltà le industrie esportatrici di prodotti aventi un largo contenuto di importazioni, ad esempio le esportazioni di manufatti tessili e quelle di navi. Queste industrie, infatti, dovevano pagare tutta la materia importata al cambio esportazione, che poi realizzavano su una metà soltanto della materia incorporata nel prodotto esportato. Per correggere tali sperequazioni, le quote del ricavo valutario lasciate alla libera disponibilità dell’esportatore erano state fissate, per alcune categorie di prodotti, in misura superiore al 50 per cento.

Una siffatta varietà urtava la filosofia economica, e politica, di Einaudi (che troviamo esposta nel suo discorso del 2 dicembre 1947 al Congresso del Partito liberale). Einaudi vuole che lo Stato fissi norme e vincoli di applicazione generale, entro i quali l’azione degli uomini possa svolgersi liberamente. Egli combatte i vincoli che attenuano il metabolismo sociale: le limitazioni alla circolazione dei mezzadri e degli affittuari da un fondo all’altro, che, dirette contro i proprietari, si ritorcono contro i conduttori; le limitazioni alla circolazione delle persone tra campagna e città; quelle e questo rinnovanti la servitù della gleba. Ed osteggia anche i provvedimenti discriminatori, che comportano la valutazione e l’incasellamento dei casi individuali da parte degli organi amministrativi; tale è il controllo qualitativo del credito, che comporta la valutazione della singola operazione da parte della banca centrale; tale il sistema delle licenze d’importazione, al quale preferisce i dazi; tali i sistemi di cambi multipli come quello descritto, che aprono la via a pressioni e favoritismi nella fissazione dei limiti di applicazione dei vari cambi.

Dopo l’elevazione a 575, il cambio applicato alla metà ceduta all’Ufficio dei cambi, pur restando formalmente distinto da quello della quota libera, veniva di fatto unificato con questo; attraverso gli interventi dell’Ufficio dei cambi sul mercato, i due cambi infatti sono poi stati mantenuti sempre uguali (a 575 prima ed a 625 dopo la svalutazione della sterlina).

Einaudi salutò l’innovazione con un articolo sul Corriere della Sera (22 febbraio 1948), nel quale la sua insofferenza del regime precedente appare sia dal titolo (Questi fastidiosi cambi) come dal testo, dove si parla di «guazzabuglio», di «imbroglio», di «faccenda sgangherata».

8. – La convinzione che i meccanismi del mercato, e quelli tradizionali e più semplici di intervento dello Stato, abbiano in se la virtù di attuarne i fini e servire nel miglior modo l’interesse generale, appare ugualmente nelle posizioni da lui prese in materia tributaria.

Nel discorso all’Assemblea costituente del 24 settembre 1946, richiamandosi a Ricardo e a De Viti De Marco, sostenne che la differenza tra imposta straordinaria ed imposta ordinaria, cioè tra imposta straordinaria e debito pubblico, è puramente tecnica, e che «si possono ottenere i medesimi risultati, quanto a gettito per lo Stato ed a distribuzione tra le diverse classi sociali, sia con l’un sistema che con l’altro». Il rifiorire dell’entrata doveva attendersi, piuttosto che da provvedimenti straordinari, dal funzionamento della macchina della imposizione ordinaria sul reddito e sui consumi.

Nel discorso del 23 luglio 1947, discutendosi il disegno di legge sull’imposta straordinaria, Einaudi prese posizione contro l’imposta proporzionale sugli enti collettivi considerando la tassazione sugli enti collettivi come una duplicazione d’imposta, sia perchè la legge tassava il valore delle azioni e delle carature come parte dei patrimoni individuali, sia perché, nel sistema italiano di tassazione del reddito, si colpisce |’intero reddito prodotto dagli enti collettivi e non la sola parte distribuita. L’opposizione di Einaudi nulla poté contro il volere della maggioranza.

Maggior fortuna egli ebbe nel far accogliere nella nuova carta costituzionale dello Stato italiano, il principio, sancito dall’articolo 81, che con la legge di approvazione del bilancio non si possono stabilire nuovi tributi e nuove spese, e che ogni altra legge la quale importi nuove o maggiori spese deve indicare l mezzi per farvi fronte.

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