Opera Omnia Luigi Einaudi

15 luglio 1922 – Variazioni al testo unico sull’Istruzione Superiore

Tipologia: Paragrafo/Articolo – Data pubblicazione: 15/07/1922

15 luglio 1922 – Variazioni al testo unico sull’Istruzione Superiore

Atti Parlamentari – Senato del Regno – Discussioni

Interventi e Relazioni parlamentari, a cura di Stefania Martinotti Dorigo, Vol. I, Senato del Regno (1919-1922), Fondazione Luigi Einaudi, Torino, 1980, pp. 927-934

 

 

 

Dibattito sul disegno di legge n. 488, contenente modifiche al testo unico delle leggi sull’istruzione superiore; il provvedimento, approvato alla Camera il 24 giugno e presentato in Senato il 30 dello stesso mese, è messo in discussione nella stesura ministeriale, non avendo subito alcuna modifica da parte dell’Ufficio centrale.

 

 

La discussione generale ha inizio con interventi degli on. Ruffini, Maragliano, Vitelli e Corbino, relatore dell’Ufficio centrale. Prende quindi la parola L. Einaudi:

 

 

Ho chiesto la parola non per discutere il disegno di legge in generale, ma per chiedere alcuni affidamenti d’indole finanziaria al ministro della Pubblica istruzione e al relatore del disegno di legge.

 

 

Io non mi so spogliare dell’abito finanziario, e sebbene io voglia dare pieno credito alle affermazioni contenute nella relazione Corbino, secondo cui l’approvazione del presente disegno di legge non vorrebbe dire nessun sacrificio per l’erario, ma anzi un qualche guadagno per l’erario stesso, non posso tacere alcuni dubbi e chiedo su questi qualchespiegazione.

 

 

Un primo dubbio si riferisce al contenuto dell’articolo 28 bis il quale dà una certa facoltà ai professori ordinari e straordinari di preferire agli incarichi, di cui oggi siano rivestiti, un insegnamento per esercitazioni; ossia un nuovo insegnamento pagato con una remunerazione speciale.

 

 

Da fonte autorevole mi è stato riferito che esistono oggi circa 345 incarichi interni, dati cioè a professori ufficiali dell’Università o della scuola ove essi insegnano nella duplice qualità di titolari e di incaricati. Questi incarichi interni oggi sono desiderati dai professori in quanto ne ricavano un aumento alle loro retribuzioni, che realmente sono inferiori ai loro meriti. Mentre essi hanno oggi interesse ad avere queste rimunerazioni suppletive, coll’organismo del disegno di legge avrebbero invece tutto l’interesse a declinare l’incarico, che già essi avessero, preferendo le esercitazioni. In questo modo diventerebbero disponibili incarichi di materie obbligatorie e complementari per i quali sarebbe necessario trovare altrettanti incaricati estranei al corpo dei professori ufficiali.Èvero che l’articolo 29 ter dà qualche presidio al riguardo, in quanto sembra che faccia dipendere dal rettore e dalla Facoltà e dal Consiglio superiore l’assegnazione, ai professori ufficiali del corso, di esercitazioni o degli incarichi: ma io mi chiedo quanto possono valere questi presidi contro il moltiplicarsi degli incarichi ad estranei, quando vi osti l’interesse diretto degli stessi insegnanti, quando l’insegnante ufficiale abbia interesse a non coprire più un incarico e non riceverne più il compenso relativo per ottenere invece il corso di esercitazione più comodo, meno impegnante e più consono agli studi specifici dell’insegnante.

 

 

Dubito che i presidi escogitati nell’articolo 29 ter siano sufficienti, e per conseguenza chiedo al relatore e al ministro quali avvedimenti abbiano già escogitati, da inserire non nel disegno di legge ma nel regolamento, allo scopo di stringere, quanto più possibile, i freni al moltiplicarsi degli incarichi affidati ad estranei e fare in modo che i professori, adesso investiti di un incarico, siano, per così dire, costretti a tenerlo.

 

 

Notisi che dal tenerlo essi non ricaverebbero alcun danno finanziario, perché da esso, tenuto anche a malincuore per ragioni didattiche, avrebbero quella stessa somma delle sei mila lire che riceverebbero per mezzo del corso di esercitazione.

 

 

Un secondo chiarimento si riferisce all’articolo 28 ter, il quale ha affermato, come lo aveva già rilevato il senatore Ruffini, il principio che coloro i quali dalla professione ricavano un reddito superiore alle sei mila lire, non possano più ricevere cotesta rimunerazione straordinaria delle sei mila lire. Questa è una conseguenza logica del criterio adottato che la rimunerazione supplementare debba esser data solo a chi ne ha bisogno, e chi ricava di più dalla professione, non debba aver le sei mila lire. E sta bene. Non discuto il principio e lo ammetto come un dato di partenza, ma, se sta bene il principio, non vedo come stia bene anche l’interpretazione rigida che potrebbe darsi del comma terzo dello stesso articolo 28 ter, il quale nega il diritto dell’esercitazione – lo ha rilevato già il senatore Ruffini – a coloro i quali coprono fuori del proprio istituto un qualsiasi incarico comunque retribuito; di modo che se un’interpretazione rigida prevalesse, si verificherebbe l’inconveniente che un professionista possa ricevere le sei mila lire, mentre il professore che si dedica esclusivamente alla scienza, solo perché ha integrato la propria rimunerazione con incarichi fuori della propria scuola, con una rimunerazione anche inferiore alle sei mila lire, non potrebbe avere il corso delle esercitazioni.

 

 

Credo però che l’interpretazione rigida non sia necessaria, perché sembra a me che il comma terzo di questo articolo 28 ter dipenda logicamente dal comma primo, che espone il principio generale quale è quello che coloro i quali guadagnano di più, sia con la professione sia con altre occupazioni, delle 6000 lire, non possano poi incassare queste 6000 lire. Se questo è il principio generale, pare a me che in via interpretativa e in sede di regolamento, se l’onorevole ministro e il relatore consentono, si possa applicare ai professori, che non esercitano altra professione ma hanno incarichi fuori del proprio istituto, quello stesso trattamento che si fa a coloro che l’esercitano.

 

 

Ed avrei finito; ma debbo dare una spiegazione sulla ragione di indole finanziaria che è stata quella che mi ha mosso a parlare. Qual è la ragione per cui credo che sia necessario di evitare che si moltiplichino oltre misura questi incarichi? Se non si stringessero i freni col regolamento per ciò che si riferisce all’articolo 29 ter e non prevalesse l’interpretazione che ho dato dell’articolo 28 ter, accadrebbe che si dovrebbero moltiplicare questi incarichi. Ho già detto che sono 345 gli incarichi interni e che ve ne sono altri, non so quanti, forse qualche centinaio, dati fuori della scuola: e voglio accennare a tutti gli incarichi che gl’insegnanti ufficiali hanno nelle Scuole superiori di commercio, nelle Scuole superiori di agricoltura, nei Politecnici, nelle Scuole di farmacia e veterinaria ed in altre per insegnamenti i quali, per evidente affinità di materia, sono affidati ai professori ufficiali delle Università.

 

 

Tutti questi incarichi dovrebbero essere dati a persone estranee, ciò che ritengo sarebbe una vera sciagura per la scienza. In nessuna affermazione dell’onorevole relatore mi sono trovato così concorde come in quella in cui egli sostiene che il numero di 945 professori ufficiali è il più alto a cui si dovrebbe arrivare. L’Italia non è un paese che possa fornire un numero maggiore di professori. Le Università non debbono assorbire tutti i valori superiori che esistono nel nostro paese: una parte deve anche andare nelle altre carriere pubbliche, nell’industria e nel commercio; e questo numero di un migliaio circa è, ripeto, il numero massimo di persone valorose che possono degnamente coprire il posto di professori universitari.

 

 

Io non faccio questioni di materie e di specializzazioni, ma abbiamo avuto purtroppo casi di persone mediocri che sono arrivate al posto di professori universitari solo perché conoscevano bene un piccolo ramo di una materia. Io credo che ciò sia una grande sciagura e convengo quindi perfettamente nell’affermazione del relatore che il numero dei professori universitari non debba superare la cifra che ho citata. Orbene, questi due articoli, se nel regolamento non si rimedierà, aprono la via al pericolo di dovere fra qualche anno trovarsi nella necessità assoluta di fare entrare nel ruolo dei professori ufficiali semplici incaricati nominati oggi in gran furia per sopperire a questi posti vacanti, persone che attraverso parecchi concorsi non sono ancora maturi, valori puramente locali che possono anche dare un ottimo contributo, come liberi docenti, al progresso didattico nelle loro discipline, ma non al progresso scientifico.

 

 

Se li introdurremo oggi tutti e 500, a titolo di incaricati nel corpo dei professori ufficiali, fra 4 o 5 anni ci troveremo di fronte a persone che avranno il possesso di stato, che giustamente si lamenteranno di avere solo le 6000 lire più il caroviveri, di non potere vivere con questa somma, ed avremo preparato le basi sulle quali il governo e il Parlamento si troveranno costretti ad aumentare il numero dei posti di ruolo. E ciò senza tener conto del danno finanziario immediato, che sarebbe più grave, perché si dovrebbero sostituire a modeste rimunerazioni, che in media si aggirano sulle 2 o 3000 lire date oggi ai professori ufficiali, altre rimunerazioni intorno alla media, tenuto conto del caroviveri, di una diecina di mila lire. Si passi pure sopra a questo danno finanziario immediato che risentirebbero lo stato ed i bilanci dei singoli istituti superiori; ciò che mi preoccupa gravemente è la possibilità che fra qualche tempo accada, con non piccola iattura dell’erario, un’invasione di elementi meno degni nel corpo universitario.

 

 

E questo avverrebbe sicuramente qualora nel regolamento non si fosse meno rigidi nell’applicazione dell’articolo 29 ter e non prevalesse l’interpretazione che ho dato dell’articolo 28 ter. (Approvazioni).

 

 

La discussione continua, senza ulteriori interventi di L. Einaudi, e viene poi aggiornata alla seduta del 17 luglio, a cui L. Einaudi non partecipa e nel corso della quale la legge è approvata.

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