Opera Omnia Luigi Einaudi

21 settembre 1920 – Aumento delle tasse sulle successioni e sulle donazioni

Tipologia: Paragrafo/Articolo – Data pubblicazione: 21/09/1920

21 settembre 1920 – Aumento delle tasse sulle successioni e sulle donazioni

Atti Parlamentari – Senato del Regno – Discussioni

Interventi e Relazioni parlamentari, a cura di Stefania Martinotti Dorigo, Vol. I, Senato del Regno (1919-1922), Fondazione Luigi Einaudi, Torino, 1980, pp. 655-663

 

 

 

Discussione sul disegno di legge Aumento delle tasse sulle successioni e sulle donazioni, con cui il governo propone di inasprire ulteriormente il regime fiscale stabilito dal precedente decreto 24 novembre 1919, n. 2.163, che conteneva disposizioni in materia di tasse di registro e sugli affari.

 

 

Dopo un intervento di apertura del sen. Del Giudice, prende la parola L. Einaudi:

 

 

Onorevoli colleghi, non tornerò sulle cose scritte nella penetrante relazione del senatore Polacco, né su quelle che sono state dette dal senatore Del Giudice; mi limiterò, a proporre un quesito al ministro del Tesoro.

 

 

Dico prima perché lo propongo a lui e non ad altri. Gli ordini costituzionali presenti sono trasformati di fatto, se non di diritto, per maniera tale che io non credo che esista più nel nostro paese altro istituto fuori che il ministro del Tesoro il quale possa adempiere funzioni che un tempo erano di spettanza delle rappresentanze popolari.

 

 

Queste rappresentanze sorsero un tempo come reazione al diritto del principe di mettere imposte in quantità illimitata; loro compito era quello di frenare la tendenza a spendere da parte del potere esecutivo e di ridurre le domande d’imposta che il potere esecutivo faceva. Da lunghi anni la rappresentanza popolare aveva perso, non solo da noi, ma anche altrove, ogni virtù di frenare le pubbliche spese: sicché nelle discussioni parlamentari si poteva osservare soltanto un susseguirsi di richieste di nuove spese. Da poco è avvenuta un’altra trasformazione. Mentre sinora le rappresentanze popolari: resistevano alle richieste d’imposte, questa resistenza ora è venuta meno e si osserva una gara tra il potere esecutivo e il legislativo per concedere sempre nuovi aumenti d’imposta; quando il potere esecutivo chiede aliquote accresciute, il potere legislativo le aumenta ancora, e nei grandi partiti che esistono, specialmente in quelli i quali ambiscono a rappresentare la massa popolare, si nota una gara, crescente nell’inasprire le aliquote delle imposte.

 

 

Dico perciò che negli ordinamenti costituzionali attuali l’unico istituto in cui ancora si possa fare qualche affidamento per tutelare gli interessi della collettività è il ministro del Tesoro, in quanto egli è il solo il quale abbia un interesse diretto e un interesse validissimo a salvaguardare le ragioni del pubblico erario. Egli ha un interesse diretto ad impedire che siano attuati tutti quei provvedimenti i quali possono alla lunga portare a una diminuzione delle pubbliche entrate il suo ufficio è precisamente quello di salvaguardare le entrate dell’erario e, se è possibile, anche di farle crescere.

 

 

Per questa ragione mi permetto di presentare al ministro del Tesoro questa semplice domanda: può egli assicurare il Senato che il provvedimento che oggi siamo chiamati a discutere, sia almeno, non chiedo nulla di più, tale da non portare a una diminuzione delle pubbliche entrate?

 

 

Mi contento che altro effetto non abbia, all’infuori di quello di non diminuire le entrate che al pubblico erario verranno negli anni futuri. Molte sono le ragioni che mi fan temere che questo possa essere l’effetto del provvedimento che oggi siamo chiamati a discutere; parecchie ne ha ricordate il senatore Del Giudice e io non le ripeterò; né ridirò le ragioni, che sono a tutti ben note, e che fanno ritenere che l’aumento di aliquota, quando passi un certo segno, è causa di diminuzione e non di aumento delle entrate. Non parlo a favore dei contribuenti; chiedo se il ministro del Tesoro si è preoccupato di dare a se stesso la dimostrazione che l’aumento di aliquota oggi proposto nell’imposta di successione non porterà a una scomparsa o riduzione della materia imponibile, non ridurrà la tendenza del risparmio, cosicché in un non lungo periodo di tempo si abbia ad osservare una diminuzione e non un aumento delle entrate. E chiedo a lui, se è possibile, non un’affermazione di sue opinioni in materia, in quanto che le opinioni in materia sono disputabili: io posso immaginare che gli inasprimenti odierni, i quali hanno caratteristiche di asprezza veramente singolare, conducano a risultati dannosi al pubblico erario: egli può avere una opinione contraria: sono due opinioni. La mia ha un semplice valore d’impressione, ma ritengo che la sua possa essere suffragata da una dimostrazione di fatto.

 

 

La quale dimostrazione di fatto dovette tener conto delle circostanze che l’aumento di aliquota, contenuto nel presente disegno, è in realtà maggiore di quello che appare, inquantoché la progressiva svalutazione della moneta fa in modo che qualunque aliquota mantenuta costante abbia di giorno in giorno un peso sempre maggiore sui patrimoni antichi conservati intatti. Un patrimonio di centomila lire poteva essere assoggettato ad un’aliquota, in un certo grado di parentela, del 5%; quel medesimo patrimonio, rimanendo invariata la tariffa e invariata la sua consistenza oggettiva o fisica, passa al valore di duecentomila lire. Senza bisogno di aumentare legalmente le tariffe, quel patrimonio rimane colpito da un’aliquota del 10 per cento. La svalutazione della lira aveva già portato ad un aumento di tariffa. Il nuovo aumento si aggiunge a quello che già si era verificato di fatto ed ha una portata assai più grande di quella che in apparenza gli si può attribuire.

 

 

Si accresce perciò il fondamento della domanda che rivolgo al ministro del Tesoro.

 

 

Desidererei sapere quali studi sono stati fatti per prevedere il probabile risultato dell’inasprimento odierno delle tariffe. L’imposta successoria è la sola, fra quelle che colpiscono il reddito e il patrimonio, che poteva consentire di dare una risposta a questa domanda. Ho avuto occasione di dire ieri che previsioni sul gettito di provvedimenti nuovi non si possono fare, ma si possono invece ben fare previsioni per provvedimenti relativi ad imposte vecchie che funzionano nel sistema attuale progressivo da ormai quasi vent’anni. Si sono verificate in passato parecchie mutazioni di aliquote nell’imposta successiva, e queste hanno prodotto un risultato. Quali sono questi risultati? Certamente il ministro del Tesoro prima di dare il suo consenso alla presentazione del disegno di legge avrà osservato i risultati degli aumenti passati. Io mi riprometto che egli ci dica che i risultati che si verificarono sono risultati favorevoli, in primo luogo, e dovuti, in secondo luogo, precisamente agli aumenti verificatisi in passato nelle tariffe e non ad altre cause. Vi è invero molta probabilità, se non assoluta certezza, che in passato gli aumenti di gettito verificatisi siano dovuti o in tutto o in parte ad altre cause e non a queste: e che forse gli aumenti ultimi delle tariffe abbiano ridotto gli aumenti che ci sarebbero stati per altre cause.

 

 

Il gettito dell’imposta successoria salì, se non erro, dai cinquanta milioni di prima della guerra a centocinquanta milioni nell’esercizio 1919-20: quindi si è triplicato. A me pare ci sia la probabilità, e attendo dal ministro una spiegazione in proposito, che l’aumento non sia dovuto all’inasprimento delle tariffe decretate negli ultimi anni, in quanto che di per sé la materia imponibile avrebbe dovuto avviarsi, se non per consistenza tecnica o fisica, per valutazione, a cifre molto più elevate di quelle antiche. Le valutazioni dei beni cadenti nelle successioni sono aumentate notevolmente; quindi, rimanendo invariata la tariffa, il gettito doveva di per sé aumentare. L’amministrazione finanziaria italiana ha il vanto di pubblicare uno dei migliori bollettini statistici noti in Europa sulle tasse successorie e degli affari. Io credo che dai dati precisi e preziosi che esistono in quel bollettino il ministro del Tesoro avrà ricavato un convincimento preciso intorno ai risultati avuti in passato dall’inasprimento delle aliquote e ci potrà dare l’affidamento che gli chiedo, che, cioè, almeno l’attuale provvedimento non possa portare ad una diminuzione del gettito fiscale.

 

 

Interviene successivamente l’on. Facta, subentrato il 10 agosto al Tedesco nella carica di ministro delle Finanze, poi l’on. Meda dichiara che, per quanto riguarda l’aumentato gettito delle imposte di successione nel dopoguerra, bisogna tenere conto che la cifra di centocinquanta milioni citata da L. Einaudi, si riferisce ad esercizi anteriori al 1919-1920, perciò: «… la media dell’aumento… non è in ragione da 50 a 150; forse neppure da 50 a 100… Vuol dire che – prescindendo dalle accidentalità – rimane un margine almeno di 50 nel quale si scontano tutte le altre cause indicate dal senatore Einaudi, fra le quali la maggiore valutazione delle attività cadute nelle successioni, specie per il cresciuto prezzo degli immobili. è pertanto lecito dedurne che fin qui gli inasprimenti hanno agito senza produrre danno, raggiungendo lo scopo che essi si proponevano».

 

 

L. Einaudi replica:

 

 

Coi migliori metodi di accertamento…

 

 

Il ministro nega che i migliori metodi di accertamento abbiano influito sensibilmente sul gettito complessivo dell’imposta e ribadisce l’urgenza di varare il progetto in esame. La discussione è quindi conclusa.

 

 

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