Opera Omnia Luigi Einaudi

26 febbraio – Sistemazione della gestione statale dei cereali

Tipologia: Paragrafo/Articolo – Data pubblicazione: 26/02/1921

26 febbraio – Sistemazione della gestione statale dei cereali

Atti Parlamentari – Senato del Regno – Discussioni

Interventi e Relazioni parlamentari, a cura di Stefania Martinotti Dorigo, Vol. I, Senato del Regno (1919-1922), Fondazione Luigi Einaudi, Torino, 1980, pp. 901-911

 

 

 

È all’ordine del giorno il disegno di legge Disposizioni per la sistemazione della gestione statale dei cereali, il cui scopo è sanare il deficit causato dal prezzo politico delle granaglie destinate alla panificazione e alla confezione di paste alimentari, mediante l’inasprimento delle aliquote di alcune imposte, come la complementare sul reddito, la patrimoniale, l’imposta speciale a carico dei dirigenti delle società commerciali, la tassa di bollo sui gioielli e oggetti di lusso e l’imposta sul vino, nonché con l’aumento del prezzo dei tabacchi. Il provvedimento era stato presentato al Senato dal commissario generale per gli Approvvigionamenti e i consumi alimentari, on. Soleri nella tornata del 24 febbraio; quello stesso giorno, il presidente Tittoni aveva nominato una Commissione speciale, incaricata di riferire in proposito, della quale L. Einaudi era stato chiamato a far parte.

 

 

La discussione generale è aperta da Carlo Ferraris, relatore della Commissione speciale; seguono interventi di Leone Wollemborg e Giuseppe Frascara. Prende quindi la parola L. Einaudi:

 

 

Spero di riuscire brevissimo questa volta, perché ho intenzione di fare soltanto due raccomandazioni: una riguarda l’articolo 15, l’altra articolo 12 del disegno di legge. Ambedue questi articoli, se non vado errato, costituiscono, almeno per la maggior parte, una novità introdotta dall’altro ramo del Parlamento in questo disegno di legge. E quindi, poiché questi due articoli non costituiscono una novità grandemente lodevole – giàdiquesta opinione si è fatto eco il relatore della Commissione speciale per quanto riguarda l’articolo 15 – le raccomandazioni che io dovrò fare sono tali, che forse anche il governo potrà accoglierle tanto più facilmente in quanto si tratta di una materia di cui la responsabilità iniziale non rimonta ad esso.

 

 

L’articolo 15costituisce certamente, come già ha osservato l’onorevole Carlo Ferraris, una novità grandissima nei nostri ordinamenti, in quanto che nella sua sostanza dà al governo pieni poteri, quasi assoluti, in materia tributaria. Sebbene si possa, sotto un certo riguardo, dire che questi poteri sono limitati al fine della attuazione della presente legge, tuttavia, se non questo, un altro governo potrebbe magari dare un’altra interpretazione a questo articolo 15: onde è opportuno che parta anche dal Senato una raccomandazione, affinché questo articolo sia interpretato nella maniera la più restrittiva possibile.

 

 

Dopo aver fatta questa raccomandazione generica, debbo fare alcune osservazioni di indole subordinata riguardo all’uso che di questo articolo non lodevole si potrebbe fare. Anche degli articoli che meno meritano approvazione si può trarre qualche partito.

 

 

Una prima osservazione in merito all’articolo 15 è che forse il governo potrebbe trame argomento ad alleviare il peso del raddoppiamento dell’imposta patrimoniale, per quelli tra i contribuenti che si trovassero, a suo giudizio, in condizioni tali da esserne specialmente meritevoli voglio accennare a quei contribuenti che hanno un patrimonio che poco si discosta delle 50000 lire e che, per essere tutto o quasi tutto costituito di titoli a reddito fisso e specialmente di titoli pubblici, è tale da essere stato valutato per una cifra superiore a quello che è il suo valore reale. Io, ripetute volte, ho ricevuto lettere strazianti, che commuovevano fino alle lacrime, di vecchi, non pensionati, ma di vecchi professionisti e commercianti che avevano lavorato tutta la loro vita e che, a sessanta o a settant’anni, si erano ritirati con un piccolo peculio dalle 50 alle 100000 lire.

 

 

Con questa somma che un tempo dava mezzo a due vecchi di poter modestamente vivere, oggi più non si vive e il raddoppiamento dell’imposta patrimoniale in questa condizione potrebbe essere causa di sacrificio assolutamente insopportabile. Quale differenza vi è tra la pensione vera e propria, la quale è esente dalla imposta patrimoniale ed i piccoli patrimoni che per i non pensionati tengono precisamente luogo di pensione?

 

 

Poiché l’art. 15 dà al governo facoltà di coordinare, integrare, modificare od abrogare disposizioni legislative vigenti, faccio viva raccomandazione al governo stesso affinché veda se in date particolari circostanze specialmente pietose, possa concedersi qualche mora al raddoppiamento di tributo.

 

 

Un altro punto sempre in merito all’art. 15 è degno di essere rilevato: l’uso che il governo potrà fare della facoltà di coordinamento in rapporto a talune altre imposte che sono disciplinate in questo disegno di legge. Voglio accennare a quella contenuta nell’art. 7 ed alle altre degli articoli 10 e 11; imposte speciali a Carico di dirigenti, imposte di bollo e imposte sulle gemme, sui gioielli e sugli oggetti di lusso. Di tutte queste imposte io non chiedo menomamente che sia diminuita l’incidenza, anzi presumo che essa sia mantenuta integra. Chiedo però che il governo tragga partito dall’art. 15 per aumentare le sue entrate finanziarie, pur cercando di fare in modo che i contribuenti non siano inutilmente tassati. Ad esempio, a proposito dell’art. 15, mantenendo invariata la incidenza e il reddito, e il raddoppiamento dell’imposta che dall’art. 7 è portata, desidero richiamare l’attenzione del governo sopra l’opportunità di evitare che si applichi una disposizione che durante la legislazione di guerra fu introdotta e che rende assolutamente obbligatoria la rivalsa da parte degli enti che pagano stipendi e interessenze ai dirigenti. Gli amministratori ed i dirigenti di società i quali in sostanza non sono altro che lavoratori, i quali qualche volta impiegano tutta la loro giornata nel lavoro; perché debbono, quanto alla rivalsa, essere trattati diversamente da tutti gli altri lavoratori?

 

 

A questi la finanza concede di venire a patti coi loro datori di lavoro, cosicché i due si ripartiscono tra di loro l’imposta come meglio credono. Invece per i dirigenti no. Essi devono subire necessariamente la rivalsa dell’imposta ed è ad essi proibito di farsi aumentare l’interessenza in modo da essere indennizzati, almeno in parte, dell’imposta pagata.

 

 

Ciò produce l’effetto che essi spesso ricevono uno stipendio netto inferiore a quello che essi pagano all’ultimo dei loro commessi.

 

 

Io non chiedo che l’imposta debba essere variata; chiedo soltanto al governo se non creda sia conveniente consentire che sia tolto l’obbligo assoluto della rivalsa. Che la rivalsa si faccia o meno, non interessa direttamente la finanza.

 

 

L’obbligo di far pagare assolutamente l’imposta ai dirigenti ed il divieto alla società di accollarsela danneggia il Tesoro, in quanto se le società potessero accollarsi l’imposta dei loro dirigenti, sarebbe più facile il pagamento della imposta medesima e si renderebbero meno facili gli accorgimenti per eludere l’imposta stessa. Ove non sia esercitata la rivalsa il gettito finanziario dell’imposta contemplata dall’art. 7 invece di essere quello soltanto dei 20 milioni, potrebbe anche essere di 30 e più milioni. Con questo intendimento, di fare cosa vantaggiosa alla finanza, di evitare un inutile danno a qualcuno di coloro che realmente faticano a dirigere un’azienda, raccomando di studiare l’argomento della rivalsa, cosicché quella speciale disposizione, la quale non trova neppure riscontro per altri contribuenti, possa essere opportunamente temperata.

 

 

Dell’articolo 15, il governo potrà valersi per applicare le imposte stabilite cogli articoli 10 e 11: queste sono imposte destinate a un grande avvenire. Io ritengo che tanto l’imposta sul gioielli, quanto quella sugli oggetti di ornamento, ecc., siano destinate a dare col tempo assai di più di quello che si prevede nella stessa relazione governativa. Sono imposte il cui gettito, in non lungo volgere di tempo, potrà dare qualche cosa intorno al miliardo di lire. A questo riguardo forse sarà opportuno vedere se non convenga mutare i metodi di accertamento, in quanto oggi, il metodo di tassazione vigente, e cioè all’atto singolo di vendita incontra gravi difficoltà. Con esso si facilita, anzi si spinge il venditore ed il compratore alla frode fiscale, e cioè a far figurare il valore degli oggetti venduti inferiore al limite minimo.

 

 

Altri metodi potrebbero essere escogitati: fra cui quello adottato in Francia, e basato sulla cifra globale di affari. Comeè disciplinata in Francia tale disposizione, non potrà certamente rendere quanto i suoi autori si ripromettevano; essi speravano di ottenere 5 miliardi e non ne otterranno che due e mezzo o tre. In ogni modo però il rendimento è sempre tale, e tale da meritare che anche in Italia si studi l’opportunità di adottare la tassazione basata sulla cifra globale d’affari.

 

 

L’articolo 15 del disegno di legge dà appunto al governo la facoltà di variare la forma di applicazione dell’imposta; sicché confido che il governo dovrà tener conto della mia raccomandazione.

 

 

E passo ad un’altra raccomandazione la quale riguarda l’art. 12. Questo articolo è stato introdotto, direi quasi, come un bolide in una delle più improvvisatorie sedute della Camera dei deputati per opera di un egregio parlamentare, degno di stima anche per la sua conoscenza pratica dei mercati finanziari. Ma in questa occasione la proposta che egli ha fatto non è stata delle più felici; ed io confido che il governo l’avrà accettata soltanto per facilitare la discussione. Si tratta della proposta di prendere i provvedimenti necessari perché«il prezzo dei consumi di persone appartenenti a paesi stranieri di moneta a corso elevato, sia avvicinato al cambio della moneta stessa in lire italiane».

 

 

Ciò non corrisponde a quei principi i quali dovrebbero essere osservati per cortesia internazionale. Il nostro paese, il quale non vive certo sull’industria dei forestieri, ma non deve neppure questa industria respingere, dovrebbe vedere con un certo timore l’applicazione di un concetto, che potrebbe attrarre verso altri paesi correnti di cittadini stranieri e correnti monetarie, le quali potrebbero invece riuscire utili al ristabilimento della nostra situazione finanziaria. ciò da un punto di vista generale; dal punto di vista dell’applicazione ritengo l’articolo 12 pressoché inapplicabile, a meno che non lo riduciamo ad una di quelle tasse di soggiorno, ché già esistono nella nostra legislazione e che potrebbero essere alquanto aggravate, sugli stranieri che soggiornano nelle varie stazioni balnearie e climatiche nel nostro paese. Ma all’infuori di questa applicazione, no so capire in qual altro modo possa essere lo scopo dell’articolo 12 aggiunto, inquantoché la sua applicazione precisa richiederebbe che i venditori di oggetti di consumo (abiti, scarpe, ecc.) debbano fare calcolo che neppure gli studiosi più accurati, dopo indagini complesse e difficilissime, possono fare; dovrebbero cioè fare il calcolo di quanto aumenti il cambio in rapporto ai singoli oggetti venduti od alla nazionalità del compratore. Quando poi lo studio fosse fatto, sarebbe sempre studio erroneo, il quale condurrebbe a risultati sbagliati, inquantoché non è sempre certo che quando aumentiamo del cambio il prezzo della merce italiana, otteniamo un prezzo uguale a quello che la stessa merce ha all’estero. Infatti i prezzi d’Italia si equilibrano già alla lunga con quelli esteri. Un vestito che a Londra è venduto per tre sterline, in Italia costa sempre tre o quattro cento lire. Già si compra cioè in Italia ad un prezzo che comprende il cambio sulla valuta estera. Perciò lo straniero che paga merci in Italia, in moltissimi casi, se non sempre, soffre già tutti gli oneri derivanti dal cambio.

 

 

L’articolo 12 presenta poi un altro pericolo del quale credo forse che il suo proponente non si sia sufficientemente preoccupato.

 

 

Dice infatti l’articolo 12 che il governo è autorizzato a prendere tutti i provvedimenti necessari perché il prezzo dei consumi da parte di persone appartenenti a paesi stranieri di moneta a corso elevato sia avvicinato al cambio della moneta stessa in lire italiane. Se lo si volesse applicare noi fomenteremmo ritorsioni da parte di legislatori esteri a tutto nostro danno. Potrebbe infatti trovarsi in ciò da parte degli xenofobi, i quali abbondano anche nei paesi esteri, argomento per respingere la esportazione italiana in paesi di moneta a corso elevato. Già noi siamo accusati di far una specie di dumping dalle nostre merci valutate in lire calanti sui mercati aventi una moneta a corso elevato. Perché dare a quei paesi con l’applicazione di questa disposizione (che spero non si farà) il pretesto di avvalorare le tendenze xenofobe che esistono anche altrove, e di aumentare il dazio protettivo contro le nostre esportazioni?

 

 

Queste le due raccomandazioni che desideravo di fare in occasione della discussione del presente disegno di legge.

 

 

Per ciò che si riferisce al complesso del disegno di legge non posso che associarmi completamente a quanto si dice nella bellissima relazione scritta dall’onorevole senatore Carlo Ferraris, a nome della Commissione speciale della quale mi onoro di essere stato chiamato a far parte. Il governo attuale ha acquistato certamente (e sono ben lieto di poterlo dire io che sono un semplice studioso e non ho mai avuto alcuna affezione speciale per nessun uomo politico) ha acquistato una grande benemerenza, una benemerenza veramente segnalata, per essere riuscito a far approvar dalla Camera dei deputati un disegno di legge, il quale segna il principio della nostra ricostituzione finanziaria. Fino a questo momento si poteva essere in dubbio sulla possibilità della ricostituzione; il presente disegno di legge segna il primo, decisivo, meditato atto di volontà perché finalmente le sorti del nostro bilancio vengano ad equilibrarsi. Esso dirà al mondo intero che ci avviciniamo al pareggio, che mettiamo le condizioni dello stato italiano alla pari di quelle che sono le condizioni della nazione italiana. Ed invero, se per un momento si può distinguere fra stato e nazione italiana, si può ben dire che la nazione italiana, all’infuori dello stato, è già risorta; che per essa il periodo della ricostituzione è già cominciato. Infatti io non ritengo che i movimenti sociali, che i dissidi anche se gravi, siano un indizio di rovina, di ristagno o di crisi. Essi sono invece l’indizio di un periodo di crescenza.

 

 

Sono i paesi i quali non crescono, sono i paesi i quali non vogliono progredire, dove si sta tranquilli. I paesi nei quali invece gli sono agitati… (rumori, commenti)… i paesi nei quali gli animi sono agitati, i paesi nei quali ci si lamenta della nostra sorte, sono i paesi i quali vogliono progredire.

 

 

Io sono persuaso – fatte tutte le riserve doverose in un argomento così difficile che non è vero assolutamente, nonèrispondente alla evidenza che nel complesso d’Italia meno si produca di quanto si producesse nell’anteguerra. Questa è una affermazione la quale è fatta spessissimo ma che ritengo non corrisponda nelle grandi linee alla verità. E che essa non risponda alla verità lo dimostra un’altra osservazione che con poca logica viene sempre contrapposta a questa, l’osservazione che troppo si consuma, che troppo si distrugge, troppo si gode nel nostro paese.

 

 

Orbene: ciò può essere un fatto lamentevole (ed io l’ho lamentato moltissime volte) ma il fatto che molto si consuma non è un fatto il quale possa essere immaginato se prima quel molto che si consuma non è stato prodotto; ed è perciò che una maggior produzione è stato il necessario antecedente del fenomeno di maggiore consumo che oggi si verifica.

 

 

È vero che vi sono delle classi numerose, le quali meno producono oggi di quel che producessero prima; è vero che le ore di lavoro sono state ridotte; è vero che la volontà di lavoro è diminuita in alcune classi, ma è vero altresì che classi molto più numerose hanno cominciato a lavorare, che prima non lavoravano; è vero che la classe media, la quale prima era un po’ torpida e inerte, si è risvegliata e partecipa sempre più intensamente alla produzione.

 

 

Ora, questo fatto può facilmente spiegare, almeno in parte, quel maggiore consumo e quella maggiore produzione che ho l’impressione che si sia verificata.

 

 

Orbene, mentre le condizioni del paese e della nazione così stanno risorgendo, non risorgevano invece le condizioni della finanza dello stato; anzi il disavanzo dello stato, la necessità per lo stato di seguitare a stampare a getto continuo nuovi biglietti, era la causa principale che ancora rimaneva di quella irritazione che aveva carattere distruttivo, la causa principale dello stato di sconvolgimento che esisteva nel nostro paese.

 

 

Oggi che per virtù di questo disegno di legge dobbiamo fermamente credere che questa causa di perturbazione debba cessare, che lo stato cesserà di agire come un fermento nocivo nel corpo della nazione, oggi stato e nazione insieme potranno concordemente collaborare al risorgimento economico finanziario del nostro paese.

 

 

La via che sta dinanzi a noi, e che ancora deve esser percorsa, è ancor lunga ed irta di difficoltà che si potrebbero chiamare spaventevoli, in quanto che noi avremo ancora dinanzi, dal punto di vista finanziario, due pericoli: il pericolo di un continuo incremento delle pubbliche spese; ed un secondo pericolo, che ci si affaccia soltanto adesso, ed è ancora inavvertito dai più, quello per cui, diminuendo i prezzi o diminuendo per conseguenza e necessariamente i redditi di coloro che partecipano ai prezzi più elevati, diminuisca altresì il provento delle imposte.

 

 

Con l’odierno provvedimento governativo certamente non cesserà perciò quella che può esser chiamata «l’ambascia dei ministri del Tesoro e delle Finanze». Ma un passo così grande è stato fatto che, ripeto, noi dovremo essere tutti concordi nel dire che oggi il governo e il Parlamento avranno acquistata una grande benemerenza dinanzi al paese con l’approvazione di questo disegno di legge, che segna una pietra miliare nella nostra risurrezione finanziaria. (Benissimo, viviapplausi).

 

 

La legge viene approvata.

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