Opera Omnia Luigi Einaudi

6 marzo 1919 – Relazione sul Disegno di legge presentato dal ministro delle Finanze. Riforma generale delle imposte dirette sui redditi e nuovo ordinamento dei tributi locali

Tipologia: Paragrafo/Articolo – Data pubblicazione: 06/03/1919

6 marzo 1919 – Relazione sul Disegno di legge presentato dal ministro delle Finanze. Riforma generale delle imposte dirette sui redditi e nuovo ordinamento dei tributi locali[1]

Atti Parlamentari – Camera dei Deputati – Documenti

Interventi e Relazioni parlamentari, a cura di Stefania Martinotti Dorigo, Vol. I, Senato del Regno (1919-1922), Fondazione Luigi Einaudi, Torino, 1980, pp. 7-251

 

 

 

INTRODUZIONE

 

 

Capitolo I

 

I precedenti parlamentari italiani.

 

La riforma della imposizione diretta, che il governo propone nel presente disegno di legge, poggia su questi tre caposaldi:

 

 

  • 1) riordinamento delle tre imposte sui redditi attualmente in vigore;
  • 2) istituzione di una imposta complementare sul reddito e di una imposta integrativa sul patrimonio;
  • 3) modificazione alla imposizione diretta locale in rapporto col nuovo sistema di imposizione diretta di stato.

 

 

Precisato così l’ambito della riforma, giova subito avvertire che la innovazione più sostanziale consiste nella istituzione di una imposta complementare sul reddito, la quale, sotto forme svariate e con finalità diverse, ha formato oggetto di studi e di proposte numerose, di cui si ha traccia negli atti parlamentari e nella letteratura scientifica.

 

 

Occorre anzi soggiungere che ogni progetto di riforma della imposizione diretta, avente una certa ampiezza di contenuto, anche se rivolto al solo riordinamento delle finanze locali, ha sempre poggiato sul presunto gettito di una imposta sul reddito o sull’entrata, imposta la quale – giova subito rammentarlo – esiste già, come tributo locale, nella grande maggioranza dei comuni italiani.

 

 

È pertanto opportuno riassumere il risultato delle indagini di carattere storico compiute sui precedenti parlamentari della riforma, per mettere in rilievo le linee generali della imposta sul reddito, così come venne nei vari progetti concepita dai ministri proponenti.

 

 

Ragioni di misura avrebbero forse consigliato di esporre il contenuto di quei soli progetti che si susseguirono in tempi relativamente più recenti, senza risalire, perciò, ad epoca troppo remota, tanto più che alcuni dei vecchi progetti non contengono se non in germe idee e tendenze accolte di poi nei progetti successivi, con quella maggiore ampiezza e quel migliore ordinamento che gli studi e le discussioni susseguitesi consigliarono.

 

 

Tuttavia, sarà futile cosa il fermare, anzitutto, e, sia pur brevemente, l’attenzione sopra uno dei primi disegni di legge: quello presentato nel 1866 dal ministro delle finanze onorevole Antonio Scialoja, caratterizzato dalla originalità dei concetti a cui si ispirava, e recante in sé l’impronta dell’alto ingegno e della dottrina dell’uomo, che lo aveva concepito.

 

 

Progetto di legge Scialoja, 27 gennaio 1866 («Atti parlamentari», sessione 1865-66, stampato n. 48). È questo infatti uno dei più vasti progetti di riforma tributaria, con cui si tendeva ad apportare radicali innovazioni nell’ordinamento della imposizione diretta, oltre che a recar mutamenti nel regime delle altre imposte, e segnatamente in quelle sui consumi; progetto che abbraccia, nella sua vasta concezione, il riordinamento così della finanza dello stato come di quella locale.

 

 

Rivolto, anzitutto, il suo pensiero alle tre imposte dirette (terreni, fabbricati e ricchezza mobile), si riportava lo Scialoja alla teoria dell’avvenuta consolidazione dell’imposta fondiaria, secondo cui l’imposta stessa era venuta ormai a convertirsi in un canone fisso sulla proprietà terriera, dal prezzo della quale si operava, nelle contrattazioni, il diffalco del valore capitale corrispondente al canone stesso. Così ridotta, questa imposta, dicevasi, non può altrimenti considerarsi che «come un diritto reale sul fondo», non già una «imposta commisurata sull’agiatezza della persona».

 

 

Partendo da una tale concezione lo Scialoja accordava il diritto al riscatto del canone, mercé il pagamento allo stato di una corrispondente somma di rendita pubblica 5%, mentre il reddito del proprietario del fondo, depurato delle annualità passive e dell’imposta fondiaria, veniva assunto quale uno «degli elementi concorrenti a formare l’entrata» del contribuente, che intendevasi assoggettare ad una imposta generale sui redditi.

 

 

Rispetto all’imposta sui fabbricati, riconosceva lo Scialoja non potersi accogliere integralmente il concetto della «consolidazione» come per l’imposta terreni, ma doversi ammettere che una parte dell’imposta stessa veniva dal proprietario riversata, in fatto, sull’inquilino, con un aumento del canone di locazione. Quindi è che si lasciava sussistere l’imposta stessa, senza consentire per essa facoltà di riscatto, mentre si assoggettava il reddito del proprietario all’imposta generale sui redditi; con questa differenza però che, mentre il reddito netto dei proprietari di terreni veniva assunto, a base d’imposizione, pei 6-8 del rispettivo ammontare, il reddito dei proprietari di fabbricati si assumeva limitatamente a 5-3 soltanto.

 

 

L’imposta di ricchezza mobile rimaneva, quale era, nella sua essenza, imposta generale sull’entrata del contribuente, da integrarsi – l’entrata stessa – mercé l’aggiunta dei redditi dei terreni e dei fabbricati, secondo le modalità predette.

 

 

Tale imposta sulla entrata che l’onorevole Scialoja, concepiva e da cui egli contava di ritrarre, in base all’aliquota uniforme del 10%, un gettito di 120 milioni di lire.

 

 

Movendo poi dalla idea della netta separazione della finanza di stato da quella locale, l’onorevole Scialoja intendeva sottrarre tale imposta alla sovraimposizione degli enti locali,concedendo ai comuni la facoltà di applicare tributi sul valor locativo delle abitazioni, sugli esercizi e rivendite, sulle vetture e domestici, ed altre imposte minori, mentre la finanza delle provincie avrebbe dovuto alimentarsi mercé contributi dei comuni, con un sistema che rammentava quello dei ratizzi, già vigente nelle provincie meridionali.

 

 

Il progetto, ispirato precipuamente al proposito di aggiungere nuove fonti alle finanze dello stato, portava anche un aumento nel dazio sulle farine e sugli olii, da cui si attendeva un maggior provento di 35 milioni, ed una imposta sulla produzione del vino (imbottato) che lasciava prevedere un gettito di 40 milioni.

 

 

Una Commissione parlamentare – che fu detta dei quindici – esaminato il progetto Scialoja, respinse l’idea del consolidamento e del riscatto dell’impostafondiaria,togliendo in cotal guisa la base fondamentale alle proposte del ministro;cosicché,nelcampodellaimposizionediretta, l’ordinamento rimase quale era (e quale è,in sostanza, tutt’ora) salva la trasformazione della imposta sui redditi di ricchezza mobile daimpostadi contingentequaleerasecondo la legge del 14 luglio 1864,in imposta di quotità, quale divenne,nel 1866,in seguito a voto della Commissione dei quindici.

 

 

Nello stesso anno,una proposta dell’onorevole Romano («Atti parlamentari», legislatura VIII,prima sessione,Discussioni)tendevaasostituireal sistemadelleimpostemolteplici,un’impostaproporzionaleunica sull’insieme deiredditidelcontribuenteripartibilecolsistemadel contingente;eadue anni di distanza altri due progetti si susseguirono:

l’uno dell’onorevoleAlvisi(«Attiparlamentari»,legislaturaX,prima sessione,stampaton.174)concuisiproponeva la istituzione di una imposta di famigliasullaentrata,l’altrodelministrodelleFinanze Cambray-Digny(«Attiparlamentari»,legislaturaX,primasessione, stampato n.172-B) che, come lo Scialoja,tendeva a trasformare la imposta diricchezza mobile in una imposta generale sulla entrata,comprendente in sé anche le rendite fondiarie e da sovrapporsi ai tributi esistenti.

 

 

Più attenta disamina meritalaseriedeiprogetti,aventiabasela istituzione di una imposta sul reddito, susseguitisi in tempi, relativamente meno lontani.

 

 

Progetto Gagliardo, 23 novembre 1893(«Atti parlamentari»,legislatura XVIII, prima sessione 1892-93, stampato n. 285),

 

 

Unicocontenutodiquestoprogetto è laistituzionediuna imposta generale, moderatamente progressiva, sulla complessiva rendita netta di ogni cittadino,da aggiungersi agli altri tributi esistenti,con questo duplice fine:procurareall’erariounmaggior gettito tributario,ristabilire – secondo ilpensiero delministro proponente – un certo equilibriotralaimposizione diretta e la indiretta,turbato dallosproporzionatopesodi quest’ultima.

 

 

Eraunaimposta di carattere eminentemente personale,in quanto escludeva dalla sua applicazione le società, gli istituti di credito,i corpi morali e tutti gli altri enti che avessero carattere di collettività,ed assumeva quindi come soggetto le sole persone fisiche.

 

 

Fermo il pensiero del ministro proponente di far gravare ilnuovotributo, conaliquoteprogressive,sullasola agiatezza,si fissava.il minimum d’imposizionenellecifrediredditosuperioriallelire5.000;da determinarsi col riunire in cifra unica tutti i redditi pei quali uno stesso contribuente trovavasi già inscritto agli effetti delle tre imposte dirette esistenti.

 

 

I vari redditi venivano assunti – nel procedimento di valutazione -peril loroammontare imponibile depurato delle imposte e sovrimposte e non per il loro ammontare netto; con che, fatta implicitamente differenziazione tra le varie fontideiredditi,eammesselerelativeriduzioni,venivadi conseguenzaadapplicarsi,ancheinseded’impostacomplementaresul reddito,il principio della discriminazione dei redditi singoli,che altri progetti trascuravano, in quanto assumevano, senza alcun altro temperamento, l’ammontare netto dei redditi.

 

 

La misura dell’aliquota,fissata in ragione dell’1%,pei redditicompresi fralire 5.000 e lire 10.000,cresceva progressivamente fino ad un massimo del 5% pei redditi superiori a lire 100.000,con una previsione digettito di circa 20 milioni di lire.

 

 

Fermato l’obbligo della soggezione all’imposta ogni reddito, compresi quelli provenientidaititolidistato,ilprogettoconteneva,nellaparte concernente le norme di carattereprocedurale,unanotevoledisposizione relativa a questi titoli,a quelli emessi da enti morali e società di ogni specie e agli interessi di depositi a risparmio ed in conto corrente.

 

 

Sutalpuntoleseriedifficoltà chesisarebberoincontrateper identificareipossessorideititolialportatore,avrebberodovuto superarsi,secondoilpensierodelministro, mercé l’obbligo fatto ai presentatorideititolistessi,dirilasciare,(all’attoincuili esibissero per le riscossioni degli interessi o dividendi) una dichiarazione giurata-veroeproprioaffidavitall’interno- con cui doveva farsi designazione del relativo proprietario.Notevole,questa disposizione,la quale importava nei casi di dichiarazioni fatte in frode, oltre che una pena pecuniaria, anche quella del carcere.

 

 

La procedura contenziosa,diversa da quella tracciata per le altre imposte, avrebbedovuto svolgersi,in prima istanza,con ricorso all’intendente di finanza,insecondaedultimaistanzaamministrativadinanziaduna Commissioneda istituirsi in ogni capoluogo di agenzia delle imposte,e di cui avrebbero fatto parte, di diritto,il pretore,il giudice conciliatore edilricevitoredelregistro,salvol’ulteriore ricorso all’autorità giudiziaria per le sole questioni di diritto.

 

 

Progetto Sidney Sonnino, 21 febbraio 1894 («Atti parlamentari» legislatura XVIII,prima sessione,1892-94,stampato n.298).Anche questo progetto muoveva dal concetto di una imposta sulla entrata, da aggiungersi ai tributi direttidistatoelocali,nonsoltantoperrafforzare il bilancio e soddisfare alle crescenti esigenzedell’erario,maancheperché questa impostacomplementare servisse da istrumento compensatore di disuguaglianze nella distribuzione delle pubbliche gravezze.

 

 

Mase il concetto informatore di questo disegno coincideva in tal senso con quello a cui si era ispirato il ministro Gagliardo,diversa erainvecela basediassettochel’onorevoleSonnino intendeva dare alla imposta sul l’entrata.

 

 

Assunta la famiglia come soggetto dell’imposta,doveva tenersiconto,per misurarneilgrado di capacità contributiva,di tutti i redditi dei suoi componenti.Il minimo d’imposizione veniva fissato in una cifra assaipiù bassadiquella risultante dal progetto Gagliardo,e precisamente in lire 2.000 nette,col diritto adunadetrazionefissadilire1.500nella riduzione del reddito dal netto all’imponibile.

 

 

Imposta di carattere proporzionale,essa colpiva i redditisuperiorialle lire4.000 imponibili con l’aliquota dell’1,50%,e diventava degressiva di fronte ai redditi compresi tra le 1.500 ele4.000lireimponibili,che erano colpiti con l’aliquota dell’1 per cento.

 

 

Ma ciò che di più caratteristico nel progettodell’onorevoleSonninosi notava,erailprocedimentodivalutazionedei redditi,che si voleva essenzialmente indiziario.

 

 

Anziché cogliere l’entrata nellesorgentidisuaproduzione,sivolle presumerlaindirettamente,guardandoallemanifestazioniesternedella spesa.E fu scelto, come indice di commisurazione del reddito,l’ammontare della spesa per l’abitazione,che meglio di ogni altra si presta a valutare il grado di agiatezza del contribuente;in quanto-comefugiustamente rilevato – ha in sé questi caratteri essenziali:universalità del bisogno a cuicorrisponde,presumibilerapportoconlafacoltà dispendere, facilità di constatazione.

 

 

Nulla disponeva il progetto in rapporto alla procedura di accertamento ed al contenzioso, le cui norme venivano rimandate al regolamento.

 

 

Progetto Wollemborg(1901:nonacquisitoagli «Atti parlamentari»).Un progetto di vasta mole,che tendeva a riformare radicalmente la imposizione distatoelalocale,e che,in alcune delle sue linee,rammentava il progetto Scialoja del1866,fuquellocheilministrodelleFinanze, onorevoleWollemborg,presentavanel1901alConsigliodeiministri, presieduto dall’onorevole Zanardelli; progetto non giunto però neppure alla Camera e che l’onorevole Wollemborg illustrava nel suo studio:Un disegno di riforma tributaria (fascicolo 16 novembre 1901 della «Nuova antologia»).

 

 

Proponeva, tra l’altro, l’onorevole Wollemborg, alcune innovazioni nel campo del dazio consumo,che egli avrebbe voluto ridotto ad alcune voci soltanto, con la contemporanea istituzione di una impostageneralesulconsumodel vino (imbottato).

 

 

Ma più radicali mutamenti venivano propostinelcampodellaimposizione diretta. Le imposte sui terreni e sui fabbricati e quelle gravanti i redditi diricchezzamobilenonappartenentia società o ad enti tassabili per bilancio o non costituenti redditi di categoriaA2 (interessidimutui) sarebbero passati ai comuni, andando a costituire un sistema d’imposte reali comunali,senza che perciò ne derivasse alcun aumento nel carico relativo, il quale avrebbe dovuto, anzi, subire una riduzione.

 

 

La finanza dello stato,che perdeva – in causa del passaggio ai comuni – il gettito dei tributi reali, si sarebbe alimentata, oltre che col ricavo della impostageneralesulconsumodelvino,anche con la istituzione di una imposta personale sulredditodelcittadinoconl’aliquotaprogressiva variantedalmezzoal4%.Più precisamente il progetto Wollemborg che lasciava prevedere un gettito di 48 milioni,applicava l’aliquota del 0,50% sulleprime1.000lire,dell’1% sulle seconde 1.000,del 2% sulle 2.000 successive, del 3% sulle altre 2.000 comprese fra 4.000 e 6.000 e del 4% sul reddito eccedente le lire 6.000.

 

 

Campeggiava in questoprogetto,comesivede,oltrechel’ideadella istituzionediunaimposta sulla produzione del vino,anche quella della netta separazione tra le finanze statale e locale,a cuisieraispirato ancheilprogettoScialoja;mafu dell’onorevole Wollemborg la proposta radicalmente innovatrice,che avrebbe voluto il passaggio aicomunidelle imposte dirette reali attualmente di pertinenza dello stato.

 

 

L’impostapersonalesull’entrata,qualeerapropostadall’onorevole Wollemborg,avrebbe dovuto portar seco lacontemporaneaabolizionedelle imposte locali di famiglia o focatico e sul valore locativo,per evitare la coesistenza di uno stesso tributo nella finanza statale e in quellalocale.Essapoidoveva trarre partito,nell’assetto della sua applicazione,non soltanto dal procedimento diretto, ma anche da quello indiziario,l’uno con l’altro integrantisi per la miglior valutazione del reddito.

 

 

Progetto Majorana,14 dicembre 1905 («Atti parlamentari», legislatura XXII, sessione 1905-906,stampato n.339).Partendo dalconcettoche,quanto all’urgenza, l’ordinamento tributario locale presentasse «maggior bisogno di cure,siccome più difettoso, più pesante, meno armonico e meno perequato» dell’ordinamento tributario di stato, l’onorevole Majorana Angelo,ministro delleFinanze,concretavaunalargariforma nel campo della imposizione locale,epiù precisamenteinquellacomunale,riformadiretta, specialmente,amegliodisciplinarel’applicazione – oltreché del dazio consumo,e delle sovrimposte – delle due imposte personali sul reddito(di famiglia o focatico e valor locativo).

 

 

Migliorato il regime di applicazione dei dazi e consolidato il gettito delle sovrimposte,col divieto di ulteriori eccedenze oltre il limite legale,si proponeval’istituzionediunaimpostageneralesull’entrata,conla contemporanea abolizione delle forme d’imposta sul reddito,già esistenti, dicuiessaavrebbedovutocolmare,anzitutto,ilmancatoprovento, destinando, successivamente, le eventuali eccedenze:

 

 

  • alla graduale riduzione della sovraimposta sui tributi diretti erariali, finché fosse rientrata nei limiti legali;
  • indi, alla graduale riduzione, fino a completa abolizione, della tassa sul bestiame;
  • infine alla graduale riduzione, fino alla completa abolizione, delle tasse di esercizio e rivendita.

 

 

L’imposta sulla entrata,che costituiva la parte essenzialedellariforma Majorana,era concepita come tributo comunale;ma, intimamente persuaso il ministro che non potesselasciarsiinbaliadeipartitilocaliquesto delicatopericolosostrumentodifinanza,proponevache l’applicazione dell’imposta fosse affidata,nell’interesse dei comuni,agli stessi organi checuranol’applicazionedelleimpostedirette di stato.Il pensiero, peraltro,che una proposta siffattapotesseurtarecontroilprincipio dell’autonomiadeicomuni,inducevailministro a conchiudere non esser questo,per lui,un postulato irretrattabile,per modo che eglilasciava arbitra la Camera di decidere diversamente.

 

 

Nelsuoordinamento,questaimpostasull’entrataaveva per soggetto la famiglia,di cui si sommavano,ai finidell’imposizione,iredditidei singolicomponenti,condeduzionedelleannualità passive gravanti sui diversi redditi stessi,e con abbuoni specialirapportatialnumerodei componentilafamigliacolpita;ilquale ordinamento corrisponde ad una tendenza accolta in quasi tutti gli altri progetti echeperl’esperienza fattanepressoi comuni – segnatamente in quelli dove una imposta siffatta è meglio organizzata – si è rivelata sempre più accettabile.

 

 

Il minimum d’imposizione veniva fissato in cifra variabile tra le lire 800 e le lire 2.500, a seconda della popolazione dei singoli comuni.

 

 

Affermato il principio della progressività dell’imposta, veniva lasciata ai comunilafacoltà diprovvedervioconl’applicazionedialiquote percentuali varianti da un minimo del 0,50 ad un massimo del 5% che sarebbe stato applicabile al redditi superiori alle lire200.000,ovveromediante l’applicazione di quote fisse per classi di redditi,ripartiti, a tal fine, in 39 scaglioni – dal minimo di lire800almassimochecontemplavale renditedioltrelire 500.000 – a cui corrispondevano le quote d’imposta, varianti,rispettivamente,da un minimo di lire 375 ad un massimo dilire 25.000.

 

 

Così ordinata,l’impostachel’onorevole Majorana progettava,lasciava prevedere un gettito di 60 milioni.

 

 

Progetto Lacava-Giolitti,18novembre1909(«Atti parlamentari», legislatura XXIII,sessione 1909,stampato n.236).Inteso a migliorare, più che aradicalmentemutare,l’assettotributarioesistente,questo progettointroducevaun’imposta generale sull’entrata,che,salve alcune modificazioni, ricorda, nelle linee generali del suo assetto,l’imposta sul reddito, che, nel 1893, lo stesso onorevole Giolitti, aveva presentata sotto i suoi auspici nel disegno di legge Gagliardo.

 

 

Concepitacome imposta intesa a colpire le maggiori fortune,per integrare le deficienze della imposizione diretta vigente,assumeva come soggettole personesingole,così comeerasi proposto nel 1893,e non la famiglia.L’imposta colpiva le sole entratesuperioriallelire5.000,senzache rimanessemodificatalastessa forma di imposizione diretta personale sul redditovigentepressoicomuni,dellaqualesivoleva,anzi, deliberatamente, la coesistenza.

 

 

Giustificavasiquest’ultimoconcettoosservandochegià in altri campi della nostra legislazione tributaria,esistono,senza turbarne l’euritmia, formed’imposizioneerarialeelocaleche attingono allo stesso oggetto imponibile; e si recavano, ad esempio: nel campo delle imposte sui consumi i dazi,imposti sugli stessi generi per conto dello statoepercontodei comuni;nel campo delle imposte dirette,le imposte a favore dello stato e le sovrimposte a favore di comuni e delle provincie sui medesimi redditi dei terreni e dei fabbricati.

 

 

Breve era la scala della progressione,che fissava l’aliquota dell’1% sulle rendite varianti da lire 5.000 a lire 10.000,per salire ad un massimodel 6% sulle rendite superiori a lire 200.000, lasciando prevedere un gettito di 25 milioni di lire.

 

 

Nelprocedimentodivalutazione- che,secondo il pensiero espresso nel 1893, doveva essere esclusivamente diretto – si introduceva, a integrazione, l’elemento indiziario poggiato sul valore locativo,conl’applicazionedi coefficienticheilprogettofissava,ripartendo a tal fine i comuni in classi, a seconda della loro popolazione.

 

 

Assunti,a base di valutazione,isingoliredditinettienonquelli imponibili, più non rimaneva accolto il principio della discriminazione dei redditi ammesso col progetto del 1893.

 

 

Nonriappariva,fraleproposte,quellacontenentel’obbligodella dichiarazione giurata pei detentori di titoli al portatore, che figurava nel progetto del 1893 echeritroveremonelprogettopredispostonel1914 dall’onorevoleRava.Troviamoinvecefraimezziistruttoridipiù notevole innovazione,la facoltà dataaifunzionaridelleimposte,di potere ispezionare, oltre che i libri commerciali delle società per azioni, anche quelli delle società in accomandita semplice e in nome collettivo.

 

 

Laproceduradiaccertamentoecontenziosa era modellata su quella già vigente per l’applicazione dell’imposta di ricchezza mobile.

 

 

ProgettoLacava-Giolitti,18novembre1909(«Atti parlamentari», legislatura XXIII,sessione 1909,stampato n.236).Inteso a migliorare, più che aradicalmentemutare,l’assettotributarioesistente,questo progettointroducevaun’imposta generale sull’entrata,che,salve alcune modificazioni, ricorda, nelle linee generali del suo assetto,l’imposta sul reddito, che, nel 1893, lo stesso onorevole Giolitti, aveva presentata sotto i suoi auspici nel disegno di legge Gagliardo.

 

 

Concepitacome imposta intesa a colpire le maggiori fortune,per integrare le deficienze della imposizione diretta vigente,assumeva come soggettole personesingole,così comeerasi proposto nel 1893,e non la famiglia.L’imposta colpiva le sole entratesuperioriallelire5.000,senzache rimanessemodificatalastessa forma di imposizione diretta personale sul redditovigentepressoicomuni,dellaqualesivoleva,anzi, deliberatamente, la coesistenza.

 

 

Giustificavasiquest’ultimoconcettoosservandochegià in altri campi della nostra legislazione tributaria,esistono,senza turbarne l’euritmia, formed’imposizioneerarialeelocaleche attingono allo stesso oggetto imponibile; e si recavano, ad esempio: nel campo delle imposte sui consumi i dazi,imposti sugli stessi generi per conto dello statoepercontodei comuni;nel campo delle imposte dirette,le imposte a favore dello stato e le sovrimposte a favore di comuni e delle provincie sui medesimi redditi dei terreni e dei fabbricati.

 

 

Breve era la scala della progressione,che fissava l’aliquota dell’1% sulle rendite varianti da lire 5.000 a lire 10.000,per salire ad un massimodel 6% sulle rendite superiori a lire 200.000, lasciando prevedere un gettito di 25 milioni di lire.

 

 

Nelprocedimentodivalutazione- che,secondo il pensiero espresso nel 1893, doveva essere esclusivamente diretto – si introduceva, a integrazione, l’elemento indiziario poggiato sul valore locativo,conl’applicazionedi coefficienticheilprogettofissava,ripartendo a tal fine i comuni in classi, a seconda della loro popolazione.

 

 

Assunti,a base di valutazione,isingoliredditinettienonquelli imponibili, più non rimaneva accolto il principio della discriminazione dei redditi ammesso col progetto del 1893.

 

 

Nonriappariva,fraleproposte,quellacontenentel’obbligodella dichiarazione giurata pei detentori di titoli al portatore, che figurava nel progetto del 1893 echeritroveremonelprogettopredispostonel1914 dall’onorevoleRava.Troviamoinvecefraimezziistruttoridipiù notevole innovazione,la facoltà dataaifunzionaridelleimposte,di potere ispezionare, oltre che i libri commerciali delle società per azioni, anche quelli delle società in accomandita semplice e in nome collettivo.

 

 

Laproceduradiaccertamentoecontenziosa era modellata su quella già vigente per l’applicazione dell’imposta di ricchezza mobile.

 

 

Progetto Sonnino-Arlotta,11febbraio1910(«Atti parlamentari», legislaturaXXIII,sessione1909-10,stampaton.330).Tendeva questo progetto al riordinamento dei tributi localiconl’avocazioneallostato dell’imposta di famiglia, e si svolgeva sulle seguenti linee fondamentali:

 

 

  • 1) abolizione dei dazi di consumo governativi e cessione di essi ai comuni; con che intendevasi sistemare definitivamente il regime delle quote di concorso corrisposte dallo stato per abolizione del dazio sui farinacei e per abbattimento delle cinte;
  • 2) abolizione delle imposte di famiglia o focatico e sul valore locativo e istituzione di una imposta statale sull’entrata;
  • 3) cessione, a favore delle provincie, dell’ultimo decimo dell’imposta sui terreni e riordinamento delle sovraimposte fondiarie;
  • 4) riordinamento delle tasse di esercizio e rivendita per rafforzare la finanza dei comuni;
  • 5) garanzia per tutti i comuni del Regno, mercé il concorso di quote integrative a carico dello stato, contro qualsiasi eventualità di perdite in conseguenza del disegno di legge.

 

 

La parte più notevole del progetto, che era quella riflettente l’imposta di famiglia, ormai già vigente in più che 6000 comuni del Regno, tendeva, con l’avocare questo tributo allo stato, ad unificarne le norme di applicazione.

 

 

Nellasualargabase di assetto l’imposta partiva da un minimo di reddito modesto,che veniva fissato nella cifra di lire 1.000 per i comuni di minor popolazione,ed elevato,pei comuni più popolosi,a lire 2.000;ma,in rapporto alla misura delle aliquote,pur discostandosi l’onorevoleSonnino dalcriteriodellaproporzionalità adottatocolprogettodel1894, introduceva una forma di progressione assai mite,che,dall’1% gravantei redditi fino a lire 3.500,si elevava al 3,50% pei redditi superiori a lire 50.000; con che veniva affacciata una previsione di gettito di 37 milioni di lire.

 

 

La impronta di mitezza che il progetto recava corrispondeva al pensierodel ministroproponente,secondocui lo stato non avrebbe dovuto trarre alcun beneficio dall’imposta sull’entrata,ma attingere soltanto daessaquanto bastavaperintegrare i bilanci degli enti locali,in perdita per effetto della avocazione del tributo stesso,e a compensar lo statodellaperdita perlasoppressione dei dazi e per l’abolizione,del decimo di guerra sui terreni.

 

 

L’ordinamento dell’imposta,così come era concepito,non riposava-nel procedimentodi valutazione del reddito – sul sistema puramente indiziario, su cui era imperniato il progetto del 1894 dello stessoonorevoleSonnino; maricorrevaalprocedimento diretto,opportunamente integrato da quello indiziario,secondo un ordine di idee su cui siaccordanoormaituttii progetti più recenti.

 

 

Nullasiinnovava nella procedura contenziosa,che veniva mantenuta quale era per l’imposta di ricchezza mobile.

 

 

Progetto Rava,1914 (non acquisito agli «Atti parlamentari»).Ultimo fra i progetti concernenti la istituzione di una imposta sulreddito, è quello predispostonel1914dal ministro delle Finanze,onorevole Rava,ma non presentato né alla Camera né al gabinetto.

 

 

Conquestoprogetto,approfittandodellaesperienza ormai fatta in gran parte dei comuni del Regno, e segnatamente in quelli maggiori, si adottavano molte delle norme contenute nei regolamenti per l’applicazione della imposta comunale difamiglia,integrandoeperfezionandolenormestessecon disposizioni di notevole entità, che giova qui richiamare.

 

 

Designatalafamigliacomesoggetto dell’imposta,dovevano i redditi di tutti icomponentilafamigliastessaconcorrereaformarel’entrata imponibile;mauna disposizione di speciale rilievo conteneva il progetto, in rapportoallesocietà,associazioniecorpimorali,chevenivano chiamati a sopportare pur essi l’imposta sulla loro entrata, deduzione fatta daquestadella porzione di essa,che,essendo da tali enti distribuita, andava a formare l’entrata dei singoli percipienti.

 

 

Impostaabaselarghissima,conimprontaaccentuatamenteprogressiva, partivadaunminimod’imponibilità di lire 600 nette,e sull’entrata imponibile,costituita dal reddito netto depurato degli abbuoni per carichi difamiglia,applicavaaliquotevarianti:dall’1,50%perleentrate imponibili comprese fra lire 600 e lire 1.200,fino al 20% perleentrate eccedenti le lire 400.000.

 

 

Perlaprimavoltapoi,fraitantiprogettid’impostache vi sono succeduti, vediamo introdotto l’istituto della tassazione per rivalsa,già vigenteperl’imposta di ricchezza mobile.Le persone (enti ed individui) tenute a pagare quest’ultima imposta,per contodeilorostipendiatied assegnatari,avrebberodovutopagarealtresì l’imposta sull’entrata per conto degli stessi,nella misura risultante dall’applicazione dell’aliquota corrispondente,salvoallafinanza il diritto ad applicare il supplemento d’impostaalnomedelreddituariopossessoredialtriredditidi concorrenza.

 

 

Nella procedura di accertamento ritroviamo, come fu già avvertito, la norma contenutanelprogettoGagliardodel 1893,con cui si faceva obbligo ai prestatori di titoli pubblici – per la riscossione d’interessi e dividendi – di rilasciare una dichiarazione giurata con la designazione deiproprietari dei titoli stessi.

 

 

Mapiù notevoleancora-nellastessa procedura di accertamento – era l’accoglimento di un voto, da più parti formulato; l’accertamento cioè dei redditi, pur limitatamente alla sola imposta sull’entrata di cui il progetto si occupava,affidatoaduncorpocollegiale,il «Comitatocomunale» istituitoinognicomunedelRegno e presieduto da un funzionario delle imposte.

 

 

Nelprocedimentocontenziosovenivamutatalacircoscrizionedelle Commissioni di secondo grado,trasformate,agli effetti di questa imposta, da provinciali in circondariali,e veniva soppressal’azionegiudiziaria, fermo ilsoloricorsoalle Sezioni unite della Cassazione,per incompetenza od eccesso di potere.

 

 

Esclusa lacoesistenzadell’impostasull’entrataconquellelocalidi famigliaofocaticoe sul valore locativo,se ne proponeva l’abolizione, nonché della tassa diesercizioerivendita,indennizzandosiicomuni mercé contributidell’erarioeaccordandosialleprovincieuna compartecipazione sul gettito della nuova imposta.

 

 

Il contenuto dei variprogettidiriformanelcampodellaimposizione diretta,quale è tracciato nel sommario esame che sin qui se ne è fatto, pone in risalto il proposito, quasi dovunque dominante,di far ricorso alla istituzionediunaimpostageneralesulreddito,lasciando pressoché inalterato l’ordinamento degli altri tributi diretti dello stato.

 

 

Due soli, fra i progetti veduti, recavano innovazioni sostanziali a siffatto ordinamento:

 

 

  • il progetto Scialoja, del 1866, che, partendo dal presupposto teorico della consolidazione dell’imposta fondiaria, ne autorizzava il riscatto, trasformando l’imposta di ricchezza mobile – col concorso dei redditi procedenti dai terreni e dai fabbricati – in un’imposta unica generale sull’entrata;
  • il progetto Wollemborg del 1901, che, ispirandosi al concetto, comune anche all’onorevole Scialoja, della netta separazione della finanza di stato da quella locale, avanzava una proposta più radicale di quella dello Scialoja, intendendo egli, come vedemmo, di cedere ai comuni le imposte dirette reali sui terreni, sui fabbricati e su una parte dei redditi di ricchezza mobile, per istituire, a favore dello stato un’imposta di carattere personale, a base progressiva, sulla entrata complessiva del contribuente.

 

 

Ilprimodeidueprogetti,trasformando le tre imposte esistenti in una imposta sui redditi,a base proporzionale,accoglieva un’idea sottomolti aspetti lodevole, ma che più non saprebbe oggi accettarsi senza far posto – mercé ilcorrettivodiunaimpostacomplementare- al concetto della progressività,laquale,inobbedienzaadunordinediideeormai predominante,servaa ristabilire l’equilibrio turbato dallo eccesso delle imposizioni indirette ed a riparare i difetti e le deficienze ditassazione dei redditi singoli.

 

 

Ilsecondosiispiravaadunordinedi considerazioni (cessione delle imposte realiaicomuni)chevantapochiproseliti,eche,accolto, toglierebbedall’ordinamentotributariodi stato una grande massa di quei redditi,i quali pur vogliono essere valutati con uniformità dicriteri, postochelamigliorevalutazionediqueiredditicostituiscela indispensabile base di assetto diunaimpostapersonaledaistituirea favore delle finanze dello stato.

 

 

Glialtri progetti lasciavano immutato l’assetto delle tre imposte dirette, forse perché si temevacheognilororadicaleinnovazioneneavrebbe turbato il gettito; ma forse anche, e più che tutto, perché non si reputò maigiunto il momento propizio per rendere bene accetta una riforma a larga base;cosicché,nell’ordinamento della imposizione diretta silasciarono permaneredifettinon lievi,a cui dovrà decisamente portarsi rimedio se vuolsi che questa parte del nostro sistema tributario risultiorganicamente costrutta.

 

 

Non mancò,in passato,qualche iniziativa, che, a taluno dei difetti più evidenti cercò di portar riparo;quale,a titolo di esempio,un progetto Carminedel28novembre1899,che,perl’imposta di ricchezza mobile, tendeva a rendere meno complesso epiù speditol’intricatocalcoloper l’applicazionedell’impostastessa,sostituendoalprocedimentodi discriminazione e di riduzionedeiredditilasemplicedifferenziazione delle aliquote,come è ora stato fatto col decreto legislativo 9 settembre 1917, n. 1.546.

 

 

Di assai maggior rilievo sono i punti intorno acuiconcretepropostedi riformenonvenneroavanzate,perquanto,sutalunidiessi,si esprimessero, in senso favorevole,uomini parlamentari di grande autorità: né qui è ilcasodi ricordarli,se non per notare come dove meno che altrove fu portata l’attenzione deisingoliproponentisifunelCampo procedurale; ché anzi,in quasi tutti i disegni di legge dei quali si è riassunto il contenuto e che proponevano la istituzione di unaimpostasul reddito,sifacevaespressorichiamo alla stessa procedura esistente per l’imposta sui redditi di ricchezza mobile.

 

 

Eppure,secondo verrà asuoluogoillustrato,ecom’è ormainella coscienzauniversale,l’organismo di applicazione della imposta non può a meno di essere considerato uno dei fattori essenziali del suorendimentoe della sua perequata distribuzione fra i cittadini.

 

 

Capitolo II

 

 

I difetti dell’ordinamento odierno

 

Intraprendendolostudiodelmetodomigliore per attuare quella riforma della imposizione diretta,che fu l’aspirazione di tanti illustristatisti nelnostropaese, è necessario innanzitutto di esporre le ragioni dalle quali deriva la persuasione che la riformastessapossaapprodareadun risultato durabile e profondamente efficace soltanto quando sia innestata su diuncontemporaneoriordinamentodelletre imposte dirette attualmente vigenti.

 

 

Riedificare ab imis non è pensabilesulserio;perché,comesarebbe possibilecreareun’impostanuovasulreddito, perequataeseriamente riscossa,accanto alle imposte vecchie,che colpiscano gli stessi redditi, inmodo disordinato,complicato e sperequato?Fa d’uopo erigere invece il nuovo,riformando contemporaneamente il vecchio;in guisa cheleimposte nuovearmonizzinocollevecchieequestetragganodalla riforma nuova vitalità ed energia:questa la direttivainizialeacuisiispirail disegno di legge.

 

 

Né il problema è così arduo,come potrebbe sembrare a primo aspetto. È vero,che,purtroppo,ilsistema delle imposte dirette è oggi in Italia tutt’altrochesempliceefacile;matrattasidiunavegetazione parassitariacheiltempo è andatoviaviafacendo crescere attorno all’antico tronco semplice ed euritmico.Se noi risaliamo allo statodelle cose quale era nel 1865, subito dopo la unificazione tributaria, vediamo cheiredditidelcontribuenteitalianoerano stati distribuiti in tre gruppi:

  • 1) fondiari, colpiti con l’imposta sui terreni;
  • 2) edilizi, colpiti con l’imposta sui fabbricati;
  • 3) mobiliari, tassati con l’imposta di ricchezza mobile. Se fra le tre imposte fondamentali si fosse osservata una sufficiente perequazione nell’aggravio fiscale, se si fosse a poco a poco usata una certa uniformità di metodi di accertamento, se i comuni e le provincie avessero potuto attingere alle tre fonti tributarie senza troppa disparità di pressione, se l’imposta di ricchezza mobile avesse conservato la sua primitiva semplicità di struttura, si potrebbe fondatamente affermare che il passaggio dal sistema reale della tassazione separata dei redditi provenienti dalle varie fonti al sistema personale della tassazione del reddito complessivo del contribuente sarebbe cosa fatta od almeno sarebbe cosa agevole a compiersi.

 

 

Le vicende storiche e le necessità finanziarie vollero altrimenti.Onde il sistemadellatassazione reale e separata delle varie fonti del reddito è diventatooggettodicritichevivaci,lequali,sebbenenonpossano intaccarelabontà sostanzialedell’organismo,sonoingranparte giustificate. Eccole, riassunte per sommi capi:

 

 

  • 1) l’imposta sui terreni, la quale avrebbe dovuto, nelle intenzioni del legislatore, presto passare dal tipo di una imposta per contingente, assisa sui vecchi catasti, al tipo di una imposta per quotità, con la aliquota del 7 e poi dell’8% sulla rendita fondiaria dominicale, accertata secondo verità in successivi momenti, continua a presentare lo spettacolo del maggiore disordine. Provincie, e sono le più, nelle quali l’imposta per contingente è ancora ripartita sulla base di catasti antichi e sperequati, alcuni dei quali risalgono alla fine del secolo XVII, parecchi al secolo XVIII ed il resto alla prima metà del secolo XIX: il peso, leggerissimo su taluni contribuenti, è, od era, invece gravoso su altri sicché il legislatore dovette concedere per le provincie meridionali uno sgravio del 30%: provincie a nuovo catasto, in cui le stime sono invecchiate prima di nascere; in cui i redditi sono o dovrebbero essere valutati secondo il loro stato nel dodicennio 1874-1885; sicché essi variano grandemente, quasi sempre in meno e solo qualche volta in più, in confronto dei redditi attuali: mentre il catasto nuovo tende faticosamente ad avvicinarsi al suo compimento, che si auspica, ma non si spera possa avvenire fra qualche decina d’anni, il legislatore deve escogitare espedienti, empirici ma inevitabili, per colpire redditi i quali altrimenti sfuggirebbero al tributo sì coi vecchi come coi nuovi catasti: così, ad esempio, nacque l’imposta di una lira e poi di due lire per ettaro per i terreni bonificati; imposta, che nella sua struttura primitiva, ci riporta indietro ai tentativi incerti delle legislazioni antiche per colpire i redditi; ma che era consigliata dall’urgenza di non lasciare sfuggire cespiti cospicui alla tassazione in momenti di gravi sacrifici per tutti i contribuenti;
  • 2) l’imposta sui fabbricati, relativamente moderata in origine con la aliquota del 12,50%, oscilla ora dal 16 al 22% per la sola parte erariale, e sale ad altezze impressionanti se vi si aggiungono i centesimi addizionali locali. L’altezza dell’aliquota è stata finora l’ostacolo più forte al rinnovarsi delle revisioni generali, l’ultima delle quali risale al 1890, e che eransi del resto dimostrate strumento insufficiente per una rilevazione calma, serena, non perturbata da agitazioni politiche e regionali, dei redditi reali dei fabbricati. I redditi edilizi accertati sono infatti variamente disformi dal vero: lontani, talvolta lontanissimi, quelli di fabbricati esistenti nel 1890, e via via più vicini i redditi dei fabbricati sorti posteriormente; finché i fabbricati entrati ora in reddito sono tassati quasi in pieno: coll’effetto che i fitti, anche dei fabbricati vecchi, si adeguano spesso alla forte imposta pagata sui fabbricati nuovi; che la fabbricazione non è incoraggiata, e che i proprietari dei fabbricati antichi godono di una vera sovra rendita dovuta all’imposta alta che pagano i fabbricati nuovi. Inoltre, poiché a tutti i fabbricati civili viene concessa una detrazione uniforme, per spese, del 25%, accade che i fabbricati, per cui le spese di amministrazione, riparazione, ammortamento, assicurazione, ecc. sono tenui, pagano l’imposta su meno del loro reddito effettivo; mentre i fabbricati per cui le spese sono forti pagano su di una cifra superiore al vero reddito; e siccome questi ultimi sono per lo più destinati all’abitazione delle classi operaie e popolari, il legislatore si è veduto costretto a concedere larghe esenzioni temporanee di tributo, anche per eliminare la sperequazione insita nel metodo di tassazione adottato per l’imposta sui fabbricati. Ma le esenzioni largamente date sono state sfruttate non di rado a ben altro fine, e sono causa di forti perdite per la finanza. Infine l’imposta fabbricati colpisce anche le costruzioni destinate ad uso industriale, sicché le Commissioni amministrative delle imposte dirette sono state e continuano ad essere sopraffatte da questioni delicatissime, spesso insolubili e sempre irritanti, intorno a ciò che sia reddito immobiliare da tassarsi con l’imposta fabbricati e ciò che sia industria, da tassarsi con l’imposta di ricchezza mobile. I commissari devono spesso trasformarsi in tecnici per decidere sottili quesiti, in base a criteri abilmente escogitati, ma senza nessun rapporto con la realtà; sicché i redditi dei fabbricati industriali ed i redditi dell’industria esercitata nel fabbricato diventano due entità astratte, le quali non trovano corrispondenza nei redditi reali percepiti dai contribuenti;
  • 3) l’imposta di ricchezza mobile fu un vero capolavoro dell’arte tributaria per i tempi in cui sorse (1864). Costrutta in seguito a memorande ricerche condotte dal conte di Broglio per iniziativa del conte di Cavour, elaborata attraverso a discussioni profonde, che onorarono il Parlamento italiano, ed avrebbero recato lustro anche ai Parlamenti dove più antiche e solenni erano le dispute tributarie, l’imposta di ricchezza mobile venne alla luce con l’intento di tassare tutti i redditi non colpiti dalle due imposte fondiarie distinguendoli in tre categorie:
    • a) di capitale;
    • b) misti di capitale e lavoro; ossia derivanti da industrie e commerci;
    • c) di lavoro; tassati i primi sugli otto ottavi del loro ammontare netto, i secondi sui sei ottavi ed i terzi sui cinque ottavi.

 

 

Sarebbe troppo lungo ricordare qui come alla semplice, elegante tripartizione dei redditi si sia poi sostituita la classificazione in qualche decina di categorie, con suddivisioni, eccezioni, graduazioni, abbuoni che rendono la materia intricatissima ai periti e quasi inaccessibile ai contribuenti; né certo vi ha interamente riparato, né poteva, il decreto 9 settembre 1917, n. 1546, del resto temporaneo perché emesso in virtù dei poteri straordinari concessi al governo per la guerra.

 

 

Ma l’inconveniente maggiore è senza dubbio la sperequazione gravissimafra iredditifissi,accertatiinmisuraesattaediredditiincerti e variabili.I primi,che sono quelli dei creditori pubblici,dei creditori ipotecari,degliimpiegatipubblici e di coloro il cui reddito risulta da documenti,sono tassati fino all’ultimocentesimodellororedditocon aliquotenonindifferenti;mentre,invece,ilredditodeicreditori chirografariiecambiari,deiprofessionistiedegliindustrialie commerciantiprivatisfugge sempre,talvolta in notevole parte e talvolta interamente,al dovere tributario.Stanno dimezzotraiduetipidi contribuenti,avvicinandosipiù aiprimicheaisecondi,glienti collettivi e principalmente le società per azioni, tassate sulle risultanze del bilancio e quindi su elementi assai più sicuri e certi di quelli che si posseggono pericontribuentiprivati.Maquisimanifestaungrave inconveniente,sucuisiritornerà poidiproposito,ed è che la imposizione sul bilancio dà luogoainfinitecontroversiesullareale entità del reddito;tra gli amministratori i quali, non sempre a torto, si rifiutano di considerare reddito ciò che è destinato a svalutazioniead ammortamenti,e la finanza la quale non può ammettere in detrazione se non quelle quote che sono riconosciute dalla giurisprudenza come spese effettive o come passività.

 

 

Aggiungasiche,mentreleimpostesuiterreniesuifabbricati, conformandosi alla loro indole ed alla intenzione esplicita del legislatore, silimitanoacolpired’impostaifrutti netti annuali o periodici dei terreni e dei fabbricati, l’imposta di ricchezza mobile da lungo tempo,per virtù di interpretazioni giurisprudenziali,tende a colpire,oltreché i frutti periodici dei capitali, dell’industria e del lavoro, anche gli incrementidivaloredeicapitali medesimi e delle aziende industriali e commerciali;e di ciò rendonotestimonianzaletassazionideiprezzi d’avviamento,deisopraprezzi delle azioni delle società,dei plusvalori realizzati sui titoli di portafoglio.Sulle qualitassazioniquinonsi vuole esprimere alcun giudizio di merito;ma porre in luce soltanto come la materiaimponibileaglieffettidell’impostadiricchezzamobilesia divenutagradogradodiversa e non comparabile con quella delle altre due imposte dirette;

 

 

  • 4) per parecchi altri rispetti le due imposte fondiarie hanno, seguendo vie differenti, finito per assumere fisionomie contrastanti con quella di ricchezza mobile. Non concedono mai quelle la detrazione degli interessi passivi dal reddito, mentre questa spesso la consente: non contengono alcun elemento di personalità, salvoché per eccezione nel Mezzogiorno, mentre l’imposta di ricchezza mobile esenta per alcune categorie i redditi minimi e concede detrazioni per i redditi intermedi: sono sovraccariche le imposte fondiarie da centesimi addizionali a vantaggio delle provincie e dei comuni, spinti talora a tali estremi da minacciare la confisca della proprietà fondiaria; ma sulla imposta di ricchezza mobile solo recentissimamente e per decreto legge, non ancora convalidato dal Parlamento, furono ammesse miti sovraimposizioni locali, oltre quella parziale ed impropria costituita dalla tassa di esercizio e rivendita. È vero che i redditi immobiliari possono sopportare aliquote più elevate che non i redditi mobiliari e di lavoro, sia perché l’assenza di mobilità e la evidenza del reddito rendono meno facili gli occultamenti, sia perché una parte notevole dell’imposta viene, coi processi della capitalizzazione all’atto dell’acquisto o della traslazione sugli inquilini, fatta gravare su persone diverse dall’attuale proprietario e legale contribuente: rimane però ciononostante una grave sperequazione, la quale importa, entro i limiti del possibile, eliminare, sovratutto permettendo una più equa ripartizione dei carichi locali su tutte le fonti del reddito.

 

 

I provvedimenti di guerra, infine,imposti dalla necessità ed inspirati al sanoefecondoprincipiodigarantirecol provento di nuovi tributi il serviziodeiprestitidiguerra,nonhannopotutononaggravarele sperequazionigià esistenti,essendooccorsofondarsiperlaloro applicazione sulle valutazioni esistenti,troppo spessosperequateenon comparabili.

 

 

Capitolo III

 

 

La necessità della unificazione

 

 

Tutte queste osservazioni preliminari di indole critico storica non sisono volutefarepersemplicecommentoaccademico:sibbeneperspiegare e giustificarelaconclusioneprimaefondamentaleallaqualesivuol giungere:essereimpossibilecreareefar operare equamente una imposta progressivasulredditocomplessivodelcontribuente,ovesilascino permanerenell’attuale stato le imposte che oggi separatamente colpiscono i diversi redditi del contribuente medesimo.

 

 

I tentativi che furono compiuti in passato di istituire, sotto nomi diversi, una imposta progressiva o globale sul reddito,echefuronoespostinel capitoloprimodiquestaintroduzione,nonapprodarono per molte ragioni.Maunanonpuò esserequidimenticata:ladifficoltà di persuaderel’opinionepubblicadellagiustiziadi istituire una imposta complementaresulredditolasciandoimmutatol’assettodelleimposte esistenti.

 

 

Adundilemmainverononsi sfugge:i redditi imponibili con l’imposta complementare sul reddito complessivo o sono quelli stessi già accertati ai fini delleesistentiimpostesuiredditi, ò sonoaccertatiinmodo indipendente.

 

 

Sesonoquellistessi,ilrisultatoottenutononpuò nonessere scoraggiante.Con pensiero assai felice l’onorevole Rava quandotenne il portafoglio delle Finanze, ordinò un censimento generale dei redditi dei contribuenti italiani, sicché per ogni contribuente e per ogni distretto di agenziafucompilatauna scheda nella quale erano indicati e sommati,al netto da imposte e sovrimposte,tutti i redditimobiliariedimmobiliari accertatialnomedi ciascun contribuente e assoggettati alla imposta per ruoli. Ed ecco i risultati sommari di tale interessante indagine:

 

 

Numero delle schede ed ammontare dei redditi di  ricchezza mobile, fabbricati e terreni netti da imposta,  accertati e tassati per ruoli.

Schede609.946

con un redditonetto complessivo

da L.100 a 300 L. 133.359.663
Id.222.946

id.

da 301a500

L. 85.669.093

Id.411.519

id.

da 501a800

L. 253.192.480

Id.263.918

id.

da 801a1.200

L. 254.678.216

Id.115.394

id.

da1.201a 1.500

L. 156.117.270

Id.113.250

id.

da 1.501a 2.000

L. 194.330.356

Id.144.985

id.

da 2.001a4.000

L. 405.039.047

Id.39.466

id.

da 4.001a6.000

L. 186.532.333

Id.15.848

id.

da 6.001a8.000

L. 108.601.560

Id.8.443

id.

da 8.001a10.000

L. 72.902.697

Id.9.406

id.

da 10.001a15.000

L. 116.157.186

Id.3.873

id.

da 15.001a20.000

L. 66.650.925

Id.3299

id.

da 20.001a30.000

L. 80.087.210

Id.2174

id.

da 30.001a50.000

L. 81.744.416

Id.742

id.

da 50.001a75.000

L. 42.772.265

Id.364

id.

da 75.001a 100.000

L. 33.335.751

Id.895

Id.

oltre100.000

L. 316.191.754

1.966.468

L. 2.587.362.222

 

 

Ai redditi indicati nella tabella avrebbero dovuto essere aggiunti i redditi tassaticolmetododellaritenutadiretta(creditori e impiegati dello stato,tassati in categoria A-1 e D dell’imposta diricchezzamobile)ed avrebbedovutofarsiinoltreilcoacervoo raggruppamento delle schede iscritte al nome dello stesso contribuente in diversi distretti diagenzia, così da avere iscritti nella stessa scheda tutti i redditi posseduti da uno stessocontribuentenelRegno.Sarebbe stato necessario,per avere,un quadro compiuto dei redditi,tener conto dei redditi legalmente esentida impostaedi quelli provenienti da fonti estere,i quali non cadono sotto alcuna imposta vigente.

 

 

Ma i risultati conseguiti, interessantissimi per fermo e tali che francarono il lavoro e la spesa occorsi per conseguirli[2], sono la dimostrazione evidenteche,aifinidiuna imposta complementare progressiva,non è sufficiente utilizzare i datideiredditiaccertatiaifinidelletre imposte dirette vigenti.

 

 

Una massa di due miliardi e 600 milioni di lire di redditi accertati,netti da imposte e sovrimposte, è indubbiamente e notevolmente inferiore al vero.

 

 

Bastiriflettereche su quei 2.587 milioni,almeno 665 sono redditi della categoria C e D della ricchezza mobile, redditi cioè di puro lavoro,a cui noncorrisponde alcun capitale;cosicché i redditi,nella formazione dei quali entra in misura più o meno larga ilcapitale,siresiduano,nella statisticadel1914,anon più di 1.900 milioni.Supporre che si possa applicare il tasso per 5% per capitalizzare siffatti redditi è faregià una ipotesi larga; poiché se si capitalizzavano nel 1914 al 5 ed anche al 4 edal 3 i redditi fondiari ed edilizi,i redditi industriali e commerciali si capitalizzavano invece al 6, al 10, al 20 e spesso ad un tasso superiore, specie i piccoli redditimobiliari.Secondoquest’ipotesiesagerata,la finanzaavrebbe nel 1914 accertato redditi corrispondenti ad un capitale di circa 38 miliardi;e di soli 32 miliardi circa, se si adottasse il criterio più verosimile di una capitalizzazione media al 6%.Anche aggiungendovi i capitali rappresentati dal debito pubblico -intornoacuifervonovive controversiedottrinalisul punto se possano o non possano essere noverati nel calcolo della ricchezza nazionale-nongiungiamo,odamalapena tocchiamoi 50 miliardi.Ora è convincimento degli studiosi più insigni, i quali hanno trattato questoargomento,chenegliannianteriorialla guerralaricchezzanazionalesuperassegli80miliardi;etaluno, autorevolmente e non senzafondamento-comel’esperienzadellaguerra dimostrò – ritiene che si superassero i 100 miliardi.Dunque i tre ottavi e più probabilmente la metà dei redditi di capitale emistisfuggonoal tributo.

 

 

Il che è manifesto anche peraltreconsiderazioni.Già versoil1910 l’Ufficiodi Statistica agraria del Ministero di Agricoltura diretto allora dal prof.Ghino Valenti,valutava in 7 miliardi circa il valore annuo dellaproduzioneagricola;ed è difficile credere che ai proprietari ed agli imprenditori agricoli (affittuari) rimanessero meno di 2 miliardi sui 7 di totale produzione.Se questi dati sono esatti, come si deve ritenere per l’accuratezza delle indagini compiute, si deve concludere cheisoli redditi dominicali fondiari ed agrari uguagliano tutta la massa di reddito accertata dalla finanza non solo per i terreni,ma ancheperi fabbricatielecategorieAeB (ruoli) della ricchezza mobile,e che perciò i redditi dei fabbricati e di ricchezza mobile in realtà stannoal difuoriedinaggiunta dei 2 miliardi a cui ammonterebbero in apparenza tutti i redditi di capitale o misti.Epperciò anche lacifracomplessiva di tutti i redditi accertati,compresi quelli di lavoro, dovrebbe aumentare notevolmente al disopra dei 2 miliardi e600milioni,appuntopertener calcolodeglialtriredditioraaccennati. Né suiruoli vi è quasi traccia alcuna dei 6 miliardi e mezzo di redditi chel’UfficiodelLavoro recentemente (1911-1913) assegnava ai contadini ed agli operai italiani.

 

 

Perquelcheriguarda i redditi di terreni in particolare non bisogna poi dimenticare che i vecchi catasti, vigenti ancora in tanta parte d’Italia, si fondano alcuni sul reddito,altri sul capitale,altri su lire immaginarie.Volere trasformare lo scutato lombardo e la lira piemontese in lire italiane modernedireddito è una operazione aritmetica priva di senso,perché quelle monete antiche avevano un significatoedunapotenzadiacquisto tutt’affatto differenti da quelle odierne.Che più?Alcune di quelle basi non sono nemmeno monetarie,ma puramente convenzionali,create ai fini del catasto.Così la lira piemontese del catasto antico non è la vecchia lira monetaria,bensì una parte aliquota immaginaria di una cifra convenzionale chenel1730sisupposeessereil100delredditototale fondiario dell’antico Piemonte:quella lira perciò non ha e nonpuò averenessun equivalentemonetario;maha un puro significato di unità di misura o di ripartizione catastale.

 

 

Ora, fa d’uopo non dimenticare che, nonostante il conguaglio provvisorio del 1864,nell’ambito di ogni compartimento l’imposta sui terreni continua a ripartirsi secondo le vecchie basi,e che perciò la consuetudine seguita sempre nella nostra legislazione di ottenere il reddito presunto dei terreni moltiplicando per 8,10 o 12,50 l’imposta erariale nontoglienullaalla verità sopra enunciata:che le cifre così raccolte,se praticamente,in mancanza di meglio,servono perripartirel’impostavigente,nonhanno assolutamente alcun significato intrinseco.Non si può dire che siano vere o false; bisognerebbe dire che non sono nulla.

 

 

Ecco perché l’applicazione dell’imposta progressiva sul reddito complessivo del contribuente sulla semplice base della somma deiredditiaccertatiai fini delle esistenti imposte sui redditi sarebbe quasi un assurdo, in quanto i termini della somma sono quantità spesso irreali,sempre non comparabili e quindi la somma potrebbe dirsi un non senso aritmetico.

 

 

Mad’altro lato non gioverebbe applicare l’imposta complementare sulla base di accertamenti suoi propri elasciandosussisterecontemporaneamentele impostevigentisuiredditi,ciascunaconipropriaccertamenti.Si avrebbero infatti due accertamenti differenti e contemporanei per lostesso reddito: entro certi limiti di discrezione, ciò si può ammettere per quella unicaimposta,lafondiariasuiterreni,incuisi può ritenere che l’accertamento sia fatto d’autorità, senza intervento del contribuente;ma intuttiicasiincuiil contribuente interviene nell’accertamento è impossibile ammettere due valutazioni diverse e contemporaneedelmedesimo reddito.

 

 

Perciò l’istituzionedi una imposta complementare sul reddito complessivo del contribuente se vuole essere una cosaseria,perequatadifronteai contribuenti e produttiva per la finanza,deve bensì fondarsi sulle stesse basi di accertamento su cui sono fondate le imposte vigenti sui redditi,ma acondizionechequestealoro volta siano riformate in guisa da potere permettere la constatazione dei redditi realiedattuali,tali cioè da consentire un equa ripartizione dell’imposta.

 

 

Dondeilpostulatoche le imposte vigenti sui redditi separati delle cose possedute dal contribuente debbono esserecoordinateconl’impostanuova complementaresulredditocomplessivo del contribuente:esse sono le due faccie della medesima medaglia e sono l’una dall’altra inseparabili.

 

 

Trattasi,in fondo,di compilare legislativamenteuntestounicodelle numeroseleggitributarieintema di imposte dirette.Il che presenta i seguenti,numerosivantaggi,oltrequellofondamentaledievitareun dualismoperniciosood una incoerente assimilazione fra imposte vigenti ed imposta nuova:

 

 

  • 1) ridurre ad un corpo unico di norme bene ordinate la massa eterogenea di disposizioni ora sparse in leggi numerose e talora sconcordanti;
  • 2) rendere più agevole al contribuente la nozione delle leggi tributarie. Se la chiarezza e la semplicità sono doti sempre necessarie nelle leggi, lo sono tanto più nelle leggi tributarie; e ben diceva Adamo Smith fin dai suoi tempi che la caratteristica dei governi liberi è di far conoscere al cittadino con sicurezza e chiarezza l’ammontare delle imposte che egli è chiamato a pagare;
  • 3) rendere più efficace e pronta l’amministrazione delle imposte. Oggi si moltiplicano i ruoli, le scritturazioni, gli accertamenti per ognuna delle imposte, che la guerra ha cresciuto di numero: domani, unificato il sistema tributario, il lavoro diverrà più spedito e più fruttuoso;
  • 4) ringiovanire talune norme che i progressi economici e tecnici hanno reso antiquate e produttive di attriti, dannosi alla finanza ed ai contribuenti; risolvendo annose controversie che si trascinano senza frutto da decenni;
  • 5) modificare la procedura contenziosa, in guisa che più non si succedano e si contrastino magistrature amministrative e giudiziarie, ammesse nell’un caso e nell’altro no, con termini e prescrizioni diverse; in guisa che i contribuenti più non sanno orizzontarsi o solo si orizzontano quelli più astuti allo scopo di recare ingiusto danno alla finanza;
  • 6) perequare e semplificare le tariffe delle imposte, diguisaché talune fonti di reddito non siano, senza plausibile ragione, più sovraccariche di altre aventi la medesima natura;
  • 7) sovrapporre alle vigenti una nuova imposta sul reddito complessivo, dando al contribuente la persuasione di una maggiore giustizia nella ripartizione dei tributi. Ogni balzello è sopportato di malavoglia quando si crede che sia ingiustamente ripartito o con criteri non rispondenti alla situazione reale delle cose: mentre il contrario avviene, o dovrebbe avvenire, quando, pur essendo la imposta dura, i contribuenti abbiano la certezza che il legislatore ha fatto ogni sforzo per ripartirla secondo la equità.

 

 

Nonabbiamoneppure discussa la tesi di abolire le attuali imposte dirette per sostituirle con una imposta unica sul reddito, e nemmeno abbiamo creduto di dover prendere in considerazione,come da taluno si voleva un tempo,ad imitazione,nonfondata sulla conoscenza precisa dei fatti,della riforma prussiana di von Miquel,l’abbandono agli entilocalidelleimposte realiel’attribuzioneesclusivaallostato dell’imposta personale o di famiglia.

 

 

Eciò,nonsoloperché sarebbe pericoloso fare un salto nel buio in un momento in cui la finanza reclama nuove cospicue entrate; ma anche – e giova ripeterlo ben chiaramente ed altamente contro i criticidel nostrosistematributarioegli imitatori frettolosi di tutte le novità d’oltr’Alpe – perché il nostro sistema tributario nel campodelleimposte dirette,funelle grandi linee,ben congegnato dalla prima generazione di statisti italiani.Esso è armonicamentecostrutto,superiorepermolti rispettiai più celebrati sistemi stranieri;e costituisce una eccellente base per l’edificio più perfetto che oggi è urgentecostruire;solole vecchieimposte difettano per mancanza di coordinazione,per complicazioni sopravvenute,per inasprimenti non perequati di aliquote,per lentezza nel ringiovaniregliaccertamenti.Ma questi sono soprastrutture accidentali: ove siano tolte, rimarrà il tronco sano e fecondo.

 

 

In finanza, più che negli altri campi,non si può con successo progredire senonsi poggi solidamente sul passato.Non si può far piazza pulita di tutto ciò che esiste per creare l’assolutamentenuovo.Fad’uopoinvece sfrondare l’albero, liberarlo dalla vegetazione parassitaria che lo soffochi e ne impedisca lo sviluppo; ma poiché l’albero vive ed è pur sempre atto a fruttificare, sarebbe insano tagliarlo alle radici.

 

 

Capitolo IV

 

Disegno generale del riordinamento

 

 

Ildisegno di riforma tributaria costruito su queste basi si impernia su di un duplice ordine di tributi.

 

 

I.- Alla base sta una imposta normale sui redditi,la quale riassumee coordinale tre imposte vigenti sui terreni,sui fabbricati e di ricchezza mobile.Compiendo quel passo che inInghilterrasifeceperoperadel secondoPittnel 1799 e nuovamente di Roberto Peel nel 1842,che era stato vagheggiato in Italia dallo Scialoja nel 1866,letreimposte diverrebbero altrettante parti di una generale impostasuiredditi.Conservando l’attuale classificazione dei redditi in redditi di capitale,redditi misti e redditi dilavoro,laquale è la miglioreche praticamente si conosca nelle legislazioni vigenti nei moderni paesi civili, si ottiene il seguente quadro:

 

 

 


Imposta normale sui redditi

Imposte attualicorrispondenti
A-1 dei capitali mobiliari Cat.A(A-1 e A-2)della imposta di ricchezza mobile
A-2″investiti in fabbricati. Imposta sui fabbricati.
A-3″”terreni”sui terreni.
Bmisti di capitale e lavoro(industrie e commerci) Cat.Bdell’impostadi ricchezza mobile.

 

D

Dipendenti dal lavoro dell’uomo (professionied impieghi privati). Cat.Cdell’impostadi ricchezza mobile.
(impieghi prestati pressoenti pubblici) Cat.Ddell’impostadi ricchezza mobile

 

 

Formalmente, il passaggio dall’attuale al nuovo ordinamento si farebbe senza veruna difficoltà,bastando sostituire il nome generico di imposta normale sui redditi alletredenominazioniorainuso;eclassificandonelle categorieA-2eA-3iredditideifabbricatiedeiterreni.La classificazione sarebbe corretta,giacché fin d’ora le due impostecitate colpiscono non tutto il reddito proveniente dai terreni e dai fabbricati, ma quellasolapartediesso la quale corrisponde al capitale investito dal proprietario nell’acquisto, nel miglioramento e nella costruzione.

 

 

Le categorie A-1, B,C e D della nuova imposta ricorderebbero persino nella denominazioneesteriorequellegià inusoperl’imposta di ricchezza mobile.Per qualche tempo,sino a quando gli uffici non si siano preparati ad una ulteriore semplificazione, i ruoli dei contribuenti inA-3(terreni)edA-2(fabbricati)potrebberocompilarsiancora separatamente.In tal guisailpassaggiodall’attualealnuovoregime unitario si compirebbe col minimo attrito.

 

 

Sicredetteopportuno di indicare,in primo luogo,nella categoria A-1 i redditi dei capitali investiti inmutuiodaltrimentifruttiferidiun interesse,perché è questala categoria la quale meglio corrisponde al concetto del capitale puro,con l’intervento o nullo ononrilevantedel fattore personale di lavoro presente.

 

 

Subitodoposicollocarono nella A-2 i redditi dei capitali investiti nei fabbricati,come quelli che anch’essi sono di capitale puro;ma richiedono unacertacollaborazionepresente del lavoro del proprietario,di cui si tiene però conto nella detrazione per spese.

 

 

E finalmente sicollocò nellacategoriaA-3ilredditodeiterreni, perché,puressendo reddito di puro capitale ed essendo depurato di tutte le spese di conduzione ed anche di quelle di amministrazionedapartedel proprietario, è reddito che richiede una collaborazione presente da parte del proprietario,ilqualeprovvedeaimiglioramentipermanenti,alle costruzioni edilizie, stradali, ecc.

 

 

È notocome,nell’attualeimpostadiricchezzamobile,i redditi di capitale,misti e di lavoro fossero-primadeldecretolegislativo9 settembre1917,n.1.546-trattati diversamente;essendosi seguito il criterio di colpire ai 40-40 e 34-40 i redditi di capitale, ai 23-40 e 20-40 i redditi misti ed ai 23-40, 18-40 e 13-40 i redditi di lavoro. È pur noto come la ragione della distinzione stesse in ciò, che, mentre il reddito del capitale è permanente e durevole anche oltre la vita delcontribuente,il redditodellavoro è precarioecondizionato alla vita produttiva del contribuente stesso;sicché a questi, se è un buon padre di famiglia, non può spenderel’intiero suo reddito,ma ne deve accantonare una parte per provvederealleconseguenzedellemalattie,degliinfortuni,della vecchiaia,della morte propria,ecc.A parità di reddito, il legislatore italiano aveva considerato che 100 lire di reddito di capitaleabbianouna capacità contributivaall’incirca come 100,mentre le stesse 100 lire di reddito di lavoro una capacità solo come 50 circa;dando ai redditimisti una capacità contributiva intermedia.

 

 

Ilsistemacheerastatogiudicatoelegante,echedicevasi «della discriminazione sui redditi con imponibile unico»,presentava ilvantaggio contabile – amministrativo che,ove un contribuente avesse redditi di due o tre categorie diverse era facile farne la sommadopoaverlidiscriminati, applicandopoi su di essa l’unica aliquota del 20%,per ricavare l’imposta dovuta; onde con due o tre operazioni e colla iscrizione a ruolo di una sola cifra di reddito imponibileediunasola cifra di imposta, il lavoro amministrativo era finito.

 

 

Maal vantaggio della semplicità per l’amministrazione si contrapponeva il danno della oscurità per il contribuente medio,nonpotendosipretendere chequesticonoscessetuttol’intricatomeccanismo per cui i redditi da nettieffettivisiriducevanoadimponibili;inoltrecostringevail legislatoreatenere molto alte le aliquote nominali e bassissimi i minimi esenti,pure nominali;e dava l’impressione falsa che sul serio la finanza distato prelevasse il 26% – compresi i decimi,l’addizionale e gli aggi – di tutti i redditi mobiliari, mentre le aliquote reali andavano dal 4 al 26% circa,a seconda dell’altezza del reddito;il che spiega comeleimposte italianeavessero,inpatriaedall’estero,fama di ferocissime fra le feroci;fama ingiusta dipendente appunto più che altrodalmetododella discriminazione.

 

 

Parveperciò savioconsigliodi attenersi al criterio già adottato nel decreto 9 settembre 1917,e dimutareilmetododelladiscriminazione, portando questa non più sui redditi netti per ottenere un unico imponibile, sibbene sull’aliquota.

 

 

II.- Al disopra della imposta normale sui redditi è istituita una imposta complementare sul reddito complessivo del contribuente.

 

 

Sarebbe qui un fuor d’opera esporretutteleragionid’indolepolitica, sociale,storica,lequalihannoconsigliatonellapiù partedelle legislazionicontemporaneel’introduzionedell’impostaprogressiva personale.Giovapertantolimitarsiadalcuneconsiderazionid’indole strettamente tributaria.

 

 

Non è da escludersi che inprosieguoditempoanchelanormalepossa divenireprogressivae personale;e la proposta attuale di riunire le tre imposte vigenti in una sola,divisa per categorie,presenta anzi,insieme aglialtri,anchequestovantaggio,direndere possibile una ulteriore evoluzione nel senso dellapersonalità.Tuttiglistati,però,hanno ritenutoconsigliabilediprocedereagradi in siffatto processo,e la gradualità si impone tanto più nel momento presente,in cui nessun governo può permettersi il lusso di fare pericolosi salti nel buio.

 

 

L’impostanormaleconvieneperciò rimanga una imposta proporzionale,ad aliquote non tenui,con una limitata detrazione per debiti,e senza alcuna detrazione per carichi di famiglia. È possibile,e il disegno di legge lo propone, aumentare, senza sensibile danno per la finanza,il reddito minimo esente a 1.200 lire all’anno e concedere detrazioni pei redditi dalle 1.200 alle 2.000 lire;ma spingersi più oltre sarebbe pericoloso.

 

 

Di qui la necessità disovrapporreallanormaleunacomplementare,la quale,esentandoanch’essairedditi fino a 1.200 lire,colpisca quelli superiori con una impostagradatamentecrescentedell’1%periredditi minimisinoalmassimodel 25% per i redditi di 500.000 lire e più;ed agisca quindi come un elemento compensatoredellasperequazione,nascente dalladifferente incidenza dei tributi sui consumi,sperequazione la quale si aggraverebbe fra contribuenti piccoli,medi e ricchi se ilororedditi fossero unicamente colpiti da una imposta proporzionale.

 

 

Né laimpostacomplementaresulredditohasoltantoquesta funzione compensatrice;essa soprattutto siimponeperché rispondealconcetto fondamentalechela capacità contributiva dei redditi cresce col crescere del reddito del contribuente.

 

 

L’imposta complementare, bene organizzata, è inoltre un’utile integrazione dell’imposta normale perché:

 

 

  • può colpire anche redditi goduti in Italia, ma provenienti da fonti estere, che dalle tre imposte vigenti – come anche dalla imposta normale, oggi destinata a sostituirle – le quali hanno carattere reale e territoriale, non possono essere colpiti;
  • consente di assoggettare equamente ad imposta quegli incrementi di valori patrimoniali, che saltuariamente ed imperfettamente la giurisprudenza tentò di tassare con la imposta di ricchezza mobile ed il legislatore con l’imposta sulle aree fabbricabili;
  • permette di tener conto delle passività e delle imposte e sovrimposte gravanti sul reddito, facendo la somma dei redditi, depurati di tali elementi;
  • rende possibile di graduare il peso tributario in relazione ai carichi di famiglia, deducendo dal reddito una quota fissa per componente la famiglia come già si usa nei tipi migliori di imposta di famiglia in vigore nel maggiori comuni italiani;
  • non si oppone alla detrazione dal reddito delle quote che il contribuente preleva per l’assicurazione sua, della moglie e dei figli sulla vita, per le malattie, gli infortuni e la vecchiaia; così da falcidiare soltanto il reddito residuo veramente disponibile per le spese dell’anno;
  • può gravare in misura più sensibile, con opportune eccezioni alla regola delle detrazioni od anche con aggiunte all’imponibile, sui contribuenti celibi od ammogliati senza prole (la cui capacità contribuiva è a considerarsi più elevata) e su quelli che non hanno prestato servizio militare: in tal modo l’imposta complementare progressiva sul reddito funge altresì da imposta sui celibi e da imposta militare.

 

 

III.- Una lacuna tuttavia presenta l’imposta complementare progressiva sul reddito.Vedemmo sopra come l’imposta normale,ad imitazione della vigente impostadi ricchezza mobile,tratti i redditi diversamente,a seconda che essiprovenganodalcapitale,dallavoroosianomisti.Lastessa discriminazionedeiredditidovrebbe,perlemedesimeragionidi perequazione,farsi rispetto alla complementare:sonoinveroglistessi redditichesicolpisconoprimaseparatamente(collanormale)epoi complessivamente, depurati da pesi,imposte,carichi di famiglia e diversi (colla complementare): ora se è giusto tassare i redditi di lavoro meno dei redditidicapitaleai fini della normale,la stessa regola di giustizia deve seguirsi ai fini della complementare.

 

 

Senonché non è parso possibile applicare la discriminazione sull’aliquota, come si fece per la normale,poiché sarebbe stato necessarioscinderein quattrocategoriealmenoil reddito che si vuole invece considerare nella sua unità,e applicare quattro aliquote diverse;il che se è agevolee logicoperlanormale,laquale è in realtà un complesso di imposte diverse,non sembra concepibile (ed in nessuna legislazione infatti sifa) perla complementare,la quale per natura sua investe nel medesimo momento tutto il reddito del contribuente.

 

 

Sarebbe stato perciò necessario ritornare al metododelladiscriminazione sui redditi con unico imponibile,assumendo cioè, ad esempio, i redditi di capitale nella loro integrità, ai 3-6,e riducendo i redditi misti ai 5-6, iredditidilavoroai4-6ed i redditi degli impiegati ai 3-6.Ma le obbiezioni che si mossero sopra al metodoindiscorsoapropositodella normale, non sarebbero venute meno per la complementare: anche qui i redditi tassatinonsarebbero più stati gli effettivi netti,ma altri immaginari più piccoli;l’aliquota nominale sarebbe stata diversa e più altadella aliquota reale, e l’impressione di gravezza dell’imposta maggiore del vero.

 

 

Perciò nonsi è credutodi ammettere per la complementare il criterio della discriminazione né sul reddito né sull’aliquota:soltantosi è fattaunaeccezioneperiredditi di categoria D (impiegati pubblici ed assimilati) per i quali fu concessa una riduzione aitrequartidelloro ammontare(seguendol’esempio dei migliori regolamenti comunali in tema di tassa di famiglia) per renderne la situazione meno gravosa in confrontodei professionistiecommercianti a reddito variabile,dato che per questi la valutazione del reddito non può farsi conassolutaesattezza: è questaquindiunariduzionedi carattere speciale,rivolta più che altro a rendere paragonabili i redditi accertati.

 

 

E si è ritenuto che il metodopiù logicodiattuareilcriteriodel diversotrattamento dei redditi di lavoro e di capitale fosse di istituire, parallelamenteallaimpostacomplementaresulredditocomplessivodel contribuente, una imposta sul patrimonio dello stesso contribuente.

 

 

Giovaavvertireespressamente,cheproponendol’introduzione nel nostro sistema tributario di una imposta sulpatrimonio,nonsi è menomamente intesodicolpireunamateriaimponibile,ilcapitale,non mai prima assoggettata atributo;eanzideveessereesclusainmodoassoluto qualunquemiradipersecuzionedel capitale o del risparmio;la imposta patrimoniale,ripetesi,deve essereconsideratacomeunavariantedel concettodidiscriminazionedeiredditi,concetto da oltre mezzo secolo pacifico nella legislazione italiana;nulla più insomma che unostrumento tecnico-miglioreepreferibile-perraggiungerenelcampodella imposizione complementare sul reddito complessivo quel medesimointentodi giustiziainrapportoall’origineed alla natura del reddito,che nella imposizione di base onormalesiraggiungeconladiscriminazionesul reddito o sull’aliquota.

 

 

È tuttavia da rilevarsi, come, incidentalmente, l’imposta patrimoniale, una volta istituita, possa procacciare alla pubblica finanza altri considerevoli servigi:

 

 

  • costringendo la finanza a tenere a giorno una specie di inventario della fortuna dei contribuenti, l’imposta patrimoniale la avverte quando il contribuente aliena o consuma parte del suo patrimonio: si vedrà più innanzi come siffatto avvertimento possa mettere la finanza sulle traccie dei guadagni che i contribuenti ricavino, in confronto al prezzo d’acquisto, dalla alienazione di loro beni immobili, obbligazioni, azioni, aziende, ecc.: ed accertato il guadagno eccezionale, la finanza avrà modo di colpirlo con imposta completamente progressi va sul reddito;
  • promuovendo una valutazione dei beni patrimoniali del contribuente durante la sua vita, l’imposta patrimoniale riuscirà di prezioso sussidio alla finanza per la determinazione della consistenza e del valore dell’asse patrimoniale in caso di morte, le cui singole quote dovranno essere colpite dalla tassa di successione.

 

 

Così tutto si coordina e si completa in un razionale piano diimposizione: lanormalenefornisce la base ed insieme i dati obbiettivi per conoscere tutto il reddito del contribuente da colpirsi con la complementare progressiva;e questavieneasuavoltaintegratadalla impostapatrimoniale,cheperaltravia,siriallacciaallaimposta successoria.

 

 

Il quadro compiuto della imposizione diretta sui redditi quale è tradotto e sviluppato nel disegno di legge, è dunque il seguente:

 

 

  • 1)Imposta normale sui redditi, distinti, nelle categorie A-1, A-2, A-3, B, C e D.
  • 2)Imposta complementare progressiva sul reddito complessivo del contribuente.
  • 3) Imposta sul patrimonio.

 

 

Ad ognuna di queste imposte corrisponde un titolo del disegno di legge.

 

 

Rispetto all’imposta normale sui redditi già sidissecomeessavoglia unificareletreimposte dirette vigenti,insieme a quelle minori che ne costituiscono un corollario,permanente o temporaneo,e che furonocreate durante le necessità, troppe volte tumultuarie, della finanza di guerra.E si è stimatoopportuno,araggiungerel’intentodell’unificazione, raggruppare logicamente nel titolo primodeldisegnodileggetuttele disposizioni oggi sparse nelle numerose leggi regolatrici della materia,in modo da costituire un vero codice della imposizione diretta sui redditi.

 

 

Si sono così raccolte nel titolo primo le normefondamentaliconcernenti: labaseimponibile,leesenzioni,lavalutazionedeiredditi,la dichiarazione dei redditi,le rettificazioni e le rivalutazioniperiodiche deiredditi,leoperazionidiaccertamentodeiredditi,imodidi riscossione dell’imposta,la cessazione dei redditi e gli sgravi d’imposta, le modalità diverse.

 

 

Questolavorodicoordinamento ha permesso di evitare le ripetizioni e le divergenze che oggi si riscontrano nelle leggi dettate intempidiversia regolarelevarieimposte,edialleggerireititoli secondo e terzo relativi alla imposta complementare progressiva sul reddito ed allaimposta sul patrimonio;poiché molte delle norme fondamentali dell’imposta normale trovano applicazione anche alle altre imposte.

 

 

Un gruppo importantissimo di norme si è finalmente collocato inunquarto titolo,e cioè lenormerelative ai collegi di stima e giudicanti alla procedura contenziosa ed alle sanzioni per i contravventori alla legge: sono norme le quali si applicanougualmentealletreimposte,echequindi sembrò trovassero sede adatta in un ultimo e comune titolo,nel quale sono comprese anche le disposizioni diverse e quelle transitorie.

 

 

I quattro titoli fin qui vedutiriguardanolafinanzadistato:mala riformasarebberisultatamonca,senonavesse pensato a coordinare le finanze locali con il nuovo regime delle finanze statali. Ed un titolo unico del libro secondo del disegno di leggecontieneappuntoleproposteche sembrano meglio atte a risolvere in maniera semplice e razionale il problema dei tributi provinciali e comunali; secondo la ragione che a suo luogo se ne darà in questa stessa relazione.

 

 

 

 

LIBRO I

LEIMPOSTE ERARIALI

 

 

 

TITOLO PRIMO

L’IMPOSTA NORMALE E PROPORZIONALE SUI REDDITI

 

 

Iltitolo primo che tratta dell’imposta normale sui redditi potrebbe essere guardato da due punti di vista:da quello per cui esso è un semplice testo unicodellenormevigentiedaquellopercui innova su di esse.Le identità e le varianti puramente formali che iltestounicopresentain confrontoalleleggivigentipotranno essere meglio messe in luce in una discussione nella quale si debba compiere l’esame di ogni singoloarticolo.Inquesta relazione generale il discorso perciò si limita alle innovazioni più importanti che, traendo argomento dalla riforma, si credette necessario introdurre nell’organismo vigente delle imposte dirette sui redditi.

 

 

Capitolo I.

La trasformazione dell’imposta sui terreni

 

 

Il sistema vigente di imposizione dei redditiprovenientidallaterrasi può, schematicamente, rappresentare così:

 

 

  • A) reddito dominicale spettante al proprietario come tale,e come compenso delfattoreterra,costruzioni,piantagioniedaltrimiglioramenti stabilmente incorporati nel fondo.Questo reddito è colpito con l’imposta sui terreni,regolata col vecchio o col nuovo catasto;
  • B) reddito agrario industriale, spettante a chi impiega, insieme con l’opera propriadidirezione,icapitalimobiliari,asportabilidalfondo, consistenti in scorte vive e morte.

 

 

Questoreddito è colpito con l’imposta di ricchezza mobile,cat.B,nel solo caso in cui sia goduto da unapersonaestraneaallaproprietà del fondo.Oveperciò ilproprietariodelfondo lo coltivi egli stesso in economia, egli è colpito dalla imposta terreni sul solo reddito dominicale; mentre se il fondo è datoinaffitto,ilproprietariopagal’imposta terreni sul reddito dominicale e l’affittuario l’imposta di ricchezza mobile (cat.B) sul reddito agrario industriale.

 

 

Sonopalesiidifettidiuntalesistema.Ilreddito dominicale del proprietario è colpito, come vedemmo,su basi antiquate coi vecchi catasti esu basi neppure esse rispondenti ad attualità col nuovo catasto:mentre ilredditoagrarioindustrialesfuggeallaimposizionequandovenga realizzato insieme al reddito dominicale.

 

 

Unaautorevolecorrentedi opinione vorrebbe che,a far cessare siffatti privilegi e sperequazioni,si considerasse il redditoterrieronellasua unità,comprensiva al tempo stesso del reddito dominicale del proprietario in quanto tale e del reddito agrarioindustriale,dachiunquepercepito, proprietario od affittuario; e tutto si colpisse con una unica imposta od in una medesima categoria della imposta normale:metodo d’accertamento, quello adottato per tutti gli altri redditi,ossia la denunciadelcontribuente, controllatadall’amministrazionee col diritto di ricorso alle Commissioni ordinarie per le imposte.

 

 

Ma sorgonospontaneeleobbiezioniaquestometodo,pursempliceed attraente, di soluzione del problema:

 

 

  • 1) Erano, nel 1913, ben 7.107.412 gli articoli di ruolo dei terreni, di cui 6.061.411perquoted’impostainferiori a lire 10,e 643.354 per quote da lire 10,01 a lire 30:ora col sistema proposto, si dovrebbero costringere i titolaridiquesti6.705.000 articoli di ruolo minimi o piccoli a fare la denunciadellororedditodominicaleedagrarioinsieme:enon è esagerazione affermare che l’impresa è di impossibile effettuazione:se è ammissibile, fino ad un certo punto,che i titolari dei 402.000 articoli di ruolo,iquali pagano piu di 30 lire di imposta erariale,sappiano tenere una contabilità di spese e di rendite, ciò non si può concepire per tutti i piccoli e piccolissimi proprietari,i quali costituiscono il nerbodella proprietà rustica italiana.
  • 2)Converrebbe,piuttosto che procedere a tal lavoro, esentare addirittura dall’imposta i piccoli proprietari,ossia circa 67su71proprietariin Italia.Ilchenonimporterebbedifficoltà perlaparteagraria industriale del reddito complessivo, che già oggi legalmente e praticamente è esente,sia in virtù dell’articolo 9 dellaleggedi ricchezzamobile,sia perché i terreni di questa categoria,anche quando sono affittati,non danno luogo sicuramente ad un reddito superiorea533 lireeffettive.Mal’esenzionedelle quote minime del reddito dominicale costituisce un grave problema: è difficile rimanere persuasi che lostato possarinunciare,nellepresentigravicontingenze,all’imposizione di redditi che sono piccoli, è vero,ma derivano,giovanondimenticarlo, dall’impiegodicapitalepuro.Inoltre,comesiprovvederebbealla sistemazione delle finanze di quei numerosissimi comuni che, nelle regioni a proprietà diffusa,traggono,e trarranno anche nelnuovoregime,dalla sovra imposizione delle quote minime la miglior parte delle loro entrate?

 

 

Giocoforza è concluderecheper67proprietarisu71conviene necessariamente continuare nel sistema odierno diassoggettareadimposta separatamenteilsoloredditodominicale esentando,come si fa ora,il reddito agrarioindustriale,troppopiccoloperessereperseguito.Ed allora,qualepraticogiovamentosiavrebbe adottando,per gli altri 4 proprietari su 71, il diverso metodo della imposizione, dietro denuncia, dei due redditi insieme?

 

 

  • 3) Né le difficoltà sarebbero qui terminate.Anche per i medii eperi grandiproprietari,la imposizione sul reddito complessivo,dominicale ed agrario,sarebbe concepibile in astratto,ma forse non equa in ognicaso.Nonvi sarebbero difficoltà per il proprietario coltivatore diretto:egli sarebbe colpito in blocco e pagherebbe una sola imposta.Ma quando il fondo è dato in affitto, sarebbe pur necessario distinguere il valor locativo del fondo o reddito dominicale spettante al proprietario,dalredditoagrario industrialespettanteall’affittuario.Lostatononpuò accertare il redditocomplessivoacaricodell’unoodell’altro,concedendo all’interessatoildiritto di rivalsa per la parte spettante ad altri:la divisione del reddito nelle due parti non è un affare privato, ma un affare pubblico:talché anche in Inghilterra,dove la imposizione sulleterre, perlagrande proprietà ivi dominante,si fa in seguito a denuncia ed al nome dell’affittuario, è lo stato il quale determina l’entità rispettiva delle due parti del reddito. E deve essere lo stato: 1) perché le due parti del reddito,l’una derivante da capitale puro, e l’altra mista derivante da capitale e lavoro,devono esserediversamentetrattatedall’imposta;2) perché fa d’uopoconoscerequaleredditopercepiscailproprietarioequale l’affittuario,perpoterecolpireinseguitole due parti,coacervate eventualmenteconglialtriredditi,separatamentealnomedeidue contribuenti in sede di imposta complementare.
  • 4)Laimposizione complessiva darebbe luogo a complicazioni ancor maggiori nel caso di conduzione a mezzadria o a coloniaparziariapoiché,intal caso,se al proprietario spetta tutto il reddito dominicale, spetta puranco una parte del reddito agrario industriale,nel solo caso però in cuiegli fornisca parte delle scorte vive e morte; mentre la restante parte spetta al colonoparziario.Lasciare all’arbitrio degli interessati la divisione del reddito complessivo e la ripartizione dell’imposta,può essere pericoloso, speciequandonella grandissima maggioranza dei casi una delle due parti, il colono,deve essere esente dall’imposta,perché ilsuoredditonon giungealle 1.200 lire annue,e forte diventa la tentazione di accollare a lui la massima parte possibile del reddito agrario per farloandareesente datributo.Il che,in talune regioni,dove le scorte sono di proprietà del mezzadro e questi affitta i prati,sarebbe corretto;mapiù nonlo sarebbe,dovelescortesono del proprietario,in tutto od in parte,e questi partecipa ai profitti della stalla.

 

 

Le condizioni del paese nostrosonocosivariepercultura,metodidi conduzione,rapporti fra proprietari e coloni,diffusione della proprietà, che il metodo semplice della imposizione sul complessivoredditoterriero, dominicaleedagrario,al nome di una sola persona (il quale,del resto, neppureinInghilterra,comefuosservato,eliminalanecessità dell’accertamentoseparatodeidueredditi)nonsipuò ritenere applicabile.Bisogna separare i redditi aifinitributari,perché sono separati nella realtà, e perché la separazione è l’unico mezzo giusto per trattare diversamente cose diversissime.

 

 

Tuttaviaoccorrevaportarerimedioatalunodeidifettipiùgravi dell’attuale ordinamento e si è cercato di raggiungerel’intentoperdue vie.

 

 

In primo luogo,si è creduto giusto e doveroso di assoggettare ad imposta, nella sua propria categoria, che è quella B dei redditi misti di capitale e di lavoro,ilredditoagrarioindustrialeachiunquespetti:siaal proprietario,cheall’affittuarioodal mezzadro.Di questa innovazione importantesarannodatepiù innanzileragioni,quandoappuntosi discorrerà dei redditi di categoria B.

 

 

Insecondoluogo,si è ritenutodidovereseguitare a colpire nella categoria A-3 (anticaimpostasuiterreni)ilsoloredditodominicale spettante al proprietario.

 

 

Qui si presentava il problemaponderoso:perl’accertamentodelreddito dominicalesidevecontinuare ad applicare il metodo attuale dei catasti, vecchi e nuovo,ovvero si deve fare un nuovo,periodicoaccertamentodei valori locativi effettivi,fondato sulle denuncie,controllate e rivedute, da parte dei proprietari?

 

 

La seconda via sarebbe stata preferibile,volendosicostruireunsistema d’impostearmonicoelogicointuttelesue parti.Ma le difficoltà pratiche,- le stesse già ricordate contro la proposta dellafusionedei dueredditi-parvero,perilmomento,insormontabili.Nonbisogna dimenticarechel’attuazionedellapresenteriformarichiederà,per l’accertamentodeiredditidimilionidicontribuenti,unlavoro amministrativo enorme,percuioccorrerannomezzilarghiefunzionari esperti, che non si improvvisano, in numero superiore all’attuale.Per ora, le nuove revisioni periodiche dei fabbricati, e gli accertamenti del reddito edelpatrimonioaifinidellacomplementareedellapatrimoniale assorbirannotuttal’opera,chedovrà essereattentaediligentee sapiente,dei funzionari.Aggiungere a questo immane lavoro l’accertamento dei redditi,anche soltanto dominicali di 7 milioni e centomila articoli di ruolo,dicui6milioniesettecentomilaper quote di minima o scarsa importanza,non sarebbe stato prudenteesavioconsiglio;anziavrebbe significatol’arenamento fin dal principio della intiera riforma tributaria nella palude stagnante delle quote minime fondiarie.

 

 

Ma ciò non vuol dire che nulla si possa fare.Infatti col presente disegno di legge si obbligano i proprietari di terreni,i qualihannounreddito personale complessivo di almeno 1.200 lire,a fare la denuncia, insieme con gli altri redditi, altresì del valore locativo dei loro fondi, qualunque ne sia l’ammontare,anche minimo,perché il criterio non è l’altezza,per sé, di valor locativo del fondo;ma il far esso parte o meno di un reddito personalecomplessivodialmeno1.200lire.Questoreddito,così denunciatoecontrollato,serviràpoidibase,comevedremo,per la imposizione «ai fini della imposta complementare progressiva sul reddito».

 

 

In tal modo si osservano le norme della giustizia,le qualivoglionoche, per ottenere il reddito complessivo da colpirsi ai fini della complementare, sitenganoincontovalorisingoli omogenei,sia per il metodo che per l’attualità della rilevazione;e si fa opera pratica e possibile,poiché si dovranno accertare alcune centinaia di migliaia di redditi e non parecchi milioni, impresa colossale, sotto cui qualsiasi amministrazione, anche tra le più celebrate estere, dovrebbe soccombere.

 

 

Peroradunqueaisoli fini della normale (cat.A-3) continuano ad aver vigore gli accertamenti catastali,e nessuna novità si opera in quella che oggi si chiama imposta sui terreni,salva,ben inteso, la prosecuzione dei lavori del nuovo catasto. I milioni di contadini piccoli proprietari viventi in Italia non vengono perturbati con larichiestadidenuncie,peressi incomprensibili, di reddito, e seguitano a pagare l’imposta nei modi ad essi famigliari.Epoiché nonsarannoprobabilmentesoggettialla complementare,sia perché il loro reddito non supera le1.200lire,sia perché,oveanchelosuperi,essicadonoaldisottodelle 600 lire imponibili a causa delle detrazioni per numero di figli, non avvertiranno la discrepanza fra il metodo tenuto nella tassazione incategoriaA-3,della normaleodimpostasui terreni (valutazioni catastali) e quello tenuto ai fini della complementare (valori locativi attuali).

 

 

La discrepanza sarà avvertita solo per quella minor partedeiproprietari rustici,laqualesarà altresì colpitadallacomplementare.Questi pagheranno in A-3 della normale in base ai catasti, e nella complementare in basealledenunciedeivalorilocativi.Comefugià avvertito,la contraddizionenon è però così grave `in questo caso come sarebbe in quello degli altri contribuenti:poiché,se l’accertamento ai finidella complementareavviene col concorso,anzi con la denuncia del contribuente, la valutazione catastale,che varrà ancoraaifinidellanormale,fu compiuta nei secoli scorsi,ed ancora si va compiendo senza la denuncia del contribuente,sulla basedicriterigeneralifissatidallegislatore; sicché il contribuente non è tenuto a due confessioni contrastanti:egli ne fa unasola,aifinidellacomplementare,mentreperlanormale continuano ad aver vigore le vecchie e le nuove stime.

 

 

Aifinidellanormale,nulladunquesarà variatonei metodi vigenti (articolo 15).Se trattasi di terreni situati in provincie, dove è attuato il nuovo catasto, si assumerà come reddito netto dei capitali investiti nei terrenilarenditaimponibilerisultantedalcatastomedesimo.Nelle provincieinveceincuivigonoancorai vecchi catasti,i contingenti fissati per ciascuna provincia verrannoelevatinellastessaproporzione dell’aumentoportatoall’aliquotadell’impostasui redditi dei terreni a nuovo catasto.Anche in ciò nessuna novità in confrontoalmetodogià tenuto nei decreti luogotenenziali 9 novembre 1916, n. 1525 allegatoF 9 settembre 1917,n.1546,i quali variarono le aliquote dell’imposta terreni[3].

 

 

In un punto fu tuttavia necessario innovare subito il metodo divalutazione dei redditi terrieri dominicali anche ai fini della normale.Ènoto come i terrenibonificati da più di venti anni e non ancora censiti,siano stati assoggettati (vedi testo unico allegato E al decretolegislativo9giugno 1918, n. 857) ad un contributo di una lira, elevato poi a due lire per ettaro a favore dellostatoecoldirittodi sovraimposizioneafavoredeglientilocali.Tale contributo aveva per iscopo difarcessareunaesenzione,laquale,essendotrascorsoil ventenniolegale,nonavevapiù ragione d’essere e tuttavia continuava, perché lanuovacatastazionenoneraancorastata,nelleprovincie relative,neppure cominciata,ovvero il catasto nuovo non era ancora stato applicato.Non era però possibile negare che la imposizione del contributo di lire due perettaro,seimpostadall’urgenzadellalegislazionedi guerra,avevacarattereempirico e sperequato.Talché è ragionevole il disposto combinato degli articoli 13 e 15 del presente disegno dileggeil quale fa obbligo ai proprietari di terreni bonificati, per cui sia trascorso ilventenniodiesenzione,di denunziare il valore locativo corrente dei lorofondi,deduzionefattadellespesechefosseroacaricodel proprietario.Questovalor locativo corrente netto sarà la base imponibile anche agli effetti della normale.Trattandosi di terreni i quali richiesero opere cospicue di bonifica è ragionevole ritenere che essi sianoposseduti daunaclassediagricoltori capaci di poter fare la denunzia esatta del valor locativo.

 

 

Questi proprietari di terreni bonificati avrebbero però potutoallanorma quiideataopporreuna obiezione:tutti gli altri proprietari di terreni sono colpiti dall’imposta vigente e continueranno adesseretassatinella categoria,A-3dellanuova imposta normale sulla base di catasti vecchi o tutt’al più sulla base del catasto nuovo,il quale valutairedditinon qualiessisonooggi,ma quali erano nel dodicennio catastale 1874-1885: perché solo noi dobbiamoesserecolpiti.sullabasedeiredditiveri attualieprecisamente noi che abbiamo arrischiato capitali e lavoro nella redenzione di terreni prima palustri ed improduttivi?

 

 

L’obiezione, non si può negare, sarebbe fondata: ma non si può certo anche per i bonificatori risalire al dodicennio 1874-1885,come si fadalnuovo catasto,poiché allora i loro terreni o non erano ancora bonificati o non erano ancora giunti al pieno del rendimento.

 

 

Unasoluzioneequadelproblemapuò tuttaviaottenersiquandoai proprietarideiterreni bonificati si conceda il diritto – che è un novum per l’imposta sui terreni – alla detrazione dallororedditonettodegli interessideidebitichesi riconoscessero contratti per provvedere alle opere di bonifica.

 

 

In tal modo si tiene conto, nei limiti del possibile,della circostanza che ilredditoattualefuottenuto con dispendio e rischi particolari;e si proclamaunprincipioilquale,inmomentisuccessividellanostra legislazionetributaria,dovrà vederegrandementeestesalasua applicazione.Finora invero,il principio della detrazione degli interessi deidebitio,comesisoglionochiamare dal nostro legislatore,delle annualità passive, è accettato soloeparzialmenteperiredditidi ricchezza mobile;ma è severamente escluso dalle imposte sui terreni e sui fabbricati.Siffatta esclusione,se è impostadaimpellentinecessità finanziarie,nonrisponde però alle regole della perequazione tributaria; ed essa produce ildannochedueproprietariditerreni,aventi,per esempio,ambeduelostessoreddito di 1.000 lire all’anno,di cui l’uno però ha tutto il suo reddito libero,mentre l’altro lo hagravatodiun interesse passivo annuo di lire 500,pagano la medesima imposta, sebbene in realtà il reddito dell’uno sia doppio di quello dell’altro.

 

 

Per ora,non è possibile per lecategorieA-3eA-2(attualiimposte terrenie fabbricati) concedere la detrazione delle annualità passive;ma parve giusto che,mentre lo stato acquisisce una nuova materia imponibile – ilredditodeiterrenibonificatiprima esenti – e la acquisisce in una misura superiore a quella che forma la basediimposizionedituttigli altriterreni,proclamasse,perquesta nuova materia imponibile e quindi senza suo danno finanziario,la giustizia di un principio cheinavvenire dovrà essere esteso a tutti i redditi.

 

 

Capitolo II.

La trasformazione dell’imposta sui fabbricati

 

Più profondesonole riforme apportate all’organismo della categoria A-2 dell’imposta normale (attuale imposta fabbricati).

 

 

Forselequestionipiù numerose,più complesse e più sterili che si dibattono dinnanzi alle Commissioniamministrativedelleimpostedirette sonoquellelequalitraggonooriginedallaidentificazionecheil legislatore italiano volle fare nel1865traifabbricaticiviliedi fabbricatiindustriali,opiù esattamente opifici.Non vi è dubbio che l’imposta sui fabbricati debba colpire il reddito dei fabbricaticivili,i qualisonounqualchecosadiautonomo,cheproducefitti o diretto godimento al proprietario;edalloscopodiesattoaccertamentoedi divisionedel lavoro è utile che una speciale categoria (A-2) dell’imposta normale sui redditi debba colpire il reddito dei fabbricati civili.

 

 

Ma non è più ragionevolechelostessosifacciaperifabbricati industriali;edillegislatoreitalianovide in parte la inopportunità della fusionedelleduecategoriecosì profondamentediverse,quando distinse i fabbricati industriali in due sotto classi: quella dei fabbricati inservientiall’industriaagraria(fabbricatirustici)equelladei fabbricati inservienti all’industria manifatturiera (fabbricatiindustriali propriamente detti).

 

 

Eperiprimiopinò che essi non dessero un reddito autonomo,per sé stante;ma dovessero considerarsiqualiunostrumentodellaproduzione agraria,a simiglianza della piantagione di viti o di gelsi,della strada, della roggia di irrigazione,del lavoro di spianamento ed ammendamentodel terreno.Cometuttiquestialtrifattori,ancheilfattore «edificio rustico» più o meno acconciamente disposto contribuisce a farsì cheil fondodiaunreddito netto maggiore o minore al suo proprietario. Né il fabbricato rustico per sé, né la strada per sé, né la roggia d’acqua od il vitigno danno un reddito individuale separato da quello della terra nuda; ma tutti i fattori – terra,fabbricato,roggia,strada, vitigno – insieme combinati danno teoricamente un unico reddito, che è quello dominicale della terra,colpito coll’imposta terreni (categoria A-3dell’impostanormale); onde giustamente volle il legislatore nostro che il fabbricato rustico fosse esente dall’imposta sui fabbricati, la quale sarebbe stata un non senso.

 

 

Noncosì inveceopinò il legislatore rispetto ai fabbricati inservienti all’industria manifatturiera.In verità nessuna differenza sostanzialesi riscontratraquesti ed i precedenti.Il fabbricato industriale,al pari delle caldaie,delle turbine,delle macchine lavoratrici,delle scorte di materie prime e di combustibili,delle anticipazioni – salari, dell’energia dilavorodell’imprenditore, è unodeifattoridellaproduzione industriale;edà,conglialtrifattori,origineall’unico reddito dell’impresa industriale,misto di capitale e di lavoro,che è tassato nellacategoriaBsiadell’impostadiricchezzamobileche della qui proposta normale sui redditi.Distinguere nell’unico reddito100chedà l’impresa,laparte20che spetta al fabbricato a sé dalla parte 80 che spetta a tutti gli altri fattori della produzione è unaincongruenza,si comelosarebbeil distinguere nell’80 la parte che spetta alla caldaia e quella riferentesi al combustibile da quella relativa adognimacchinaed all’iniziativa dell’imprenditore.

 

 

Ondebenprestosirivelaronoleconseguenze dannose della erronea via prescelta.Dal 1865 ad oggi fu un seguito ininterrotto di controversie, che ancora non son cessate e non sono destinate a venir meno, fra contribuenti e finanza, per sapere che cosa si intende per «opificio industriale». Né valsecheillegislatoreintervenissecon interpretazioniautentiche;le controversie risorsero più vive.Che cosa si intende per meccanismi ed apparecchi fissi?Che cosapergeneratorie trasmettitoridellaforzamotrice?L’acquacorrente è fabbricato?Le diramazioni e le condutture delle imprese di acqua potabile e di gas sonoo nonsono fabbricato?Quando una dinamo elettrica è fabbricato e quando è macchinalavoratrice?Icommissarialleimpostedirettedovettero trasformarsi in tecnici e dissertare su problemi sottili:come, ad esempio, una stessa macchina possa idealmente spezzarsi in parti,di cuil’unasia consideratafabbricato,dacolpirsiconl’impostafabbricati e l’altra macchina lavoratrice, da colpirsi con l’imposta di ricchezza mobile.

 

 

Oggi,con l’unificazione delle tre imposte in una sola imposta sui redditi, tutte queste controversie non hanno più ragione d’essere.Nessun argomento sipuò invocarepercolpire i fabbricati industriali più nella A-2 che nella A-1 o nella B della medesima imposta: unificate le aliquote tra la A-2 e la A-1 viene meno per gran parte della materiaimponibileiltimoredi perdita per la finanza[4].

 

 

In tal modo tutte le controversie sulla linea di demarcazione fra fabbricato industrialeed industrie vengono meno;ed una notevole parte della materia dibattutadallaCommissionecentraledelleimpostediretteedalla magistratura ordinaria cessa di essere tema di controversia.

 

 

Unsolo punto rimane in sospeso,in conseguenza di questa unificazione del reddito dei fabbricati industriali e dell’industria:ed è unpuntoche finoraavevatrattenutoillegislatoreel’amministrazione finanziaria ogniqualvolta avevano pensato – perché si tratta di proposito nonnuovo- ditoglierel’incongruenzadelcolpireifabbricatiindustriali separatamente dall’industria in essi esercitata:ci riferiamo al diritto di sovrimpostaattribuito agli enti locali per l’imposta fabbricati,e negato invece (fino al recentissimo decreto che ha concessoloroventicentesimi complessivi di sovraimposta) per l’imposta di ricchezza mobile;era infatti la sovrimposta sui fabbricati industriali la principalemanieraconsentita aicomuni ed alle provincie per far contribuire alle spese locali i redditi di natura industriale.

 

 

Maoggi,con l’istituzione,che nel libro secondo del presente disegno di legge si propone, dell’imposta sulle industrie, i commerci e le professioni, agli enti locali viene assegnata una sorgente propria ed elastica di tributo sui redditi mobiliari, il quale investirà tutto il reddito dell’industria e non solo la quota ideale spettante alfabbricato;sicché sembrachela unificazionedeidueredditinondebbapiù incontrare le difficoltà derivanti dall’assetto della finanza locale.

 

 

Il passaggio dei fabbricati industriali dalla categoria A-2allecategorie A-1eB consente di risolvere secondo equità parecchie altre questioni le quali prima davano luogo a lagnanze da parte dei contribuenti.

 

 

Non essendo più necessario valutare a sé il reddito del fabbricato incui èesercitata una industria,il reddito non sarà più fisso per una lunga serie di anni, pur quando i bilanci si presentano in perdita; ma sarà parte del reddito netto industriale valutato ogni quattro anni per icontribuenti privatidicategoriaBedogni anno per gli enti di categoria A tassati secondo bilancio. Quindi il reddito edilizio, insieme con le altre parti del reddito industriale, sarà depurato dalle quote di ammortamento, dalle spese di riparazione emanutenzione,qualirisulterannodaibilancioquali sarannostimatesecondolaprocedurainvalsaper i redditi industriali (articolo 18).

 

 

Quindi,negli anni in cui l’industria è passiva ed i bilancisichiudono senza utili od in perdita, il fabbricato industriale più non sarà colpito, a differenza di quanto ora accade: quindi ancora si concederà la detrazione delle annualità passive, quando si tratti di interessi gravanti sui debiti, contratti per l’acquisto o la costruzione di stabili destinati all’esercizio dell’industria(articolo19).Èquesta una innovazione ardita,la quale estende ad una parte dei fabbricati (così come sopra si vide essersifatto per una parte dei terreni,quelli bonificati) il principio della detrazione dei debiti,il quale finora era stato escluso assolutamente dal campo delle dueimposte fondiarie:trattasi di un altro passo innanzi,verso la meta, per ora ancora lontana,della detrazioneuniversaledegliinteressidei debiti.

 

 

Unacontroversiaannosafueziandiorisolutainsensofavorevoleai contribuentiintemadiimpostasuifabbricati:quellarelativaai fabbricatidestinatiacantineeda latterie sociali e ad altre aziende esercite da cooperative diproprietari.Ènotocheattualmenteseun proprietariotrasformanellasuacantinaleuvedellevignedisua proprietà,ricavandone 1.000 ettolitri di vino,la cantina è considerata fabbricatorusticoed è quindiesente dall’imposta sui fabbricati:se invece 100 piccoli proprietari si riuniscono in cooperativa e trasformano congiuntamentelelorouveneglistessi1000ettolitridivino,il fabbricato destinato a cantina,il quale è di proprietà della cooperativa e non dei soci proprietari delle vigne,non è considerato comefabbricato rusticoequindi viene colpito dall’imposta sui fabbricati.Il che,allo statoattualedellanostralegislazione, è inevitabile,poiché la esenzioneconcessa ai fabbricati rustici è subordinata alla condizione che il fabbricato appartenga al proprietario del fondorustico,acuiserve: mentrequilevignesonodeisingolisoci,ed il fabbricato è della cooperativa.

 

 

Tale soluzione,giuridicamente corretta,dà luogo tuttavia adunagrave sperequazione fra grandi proprietari,i quali possono utilizzare le proprie cantine (esenti) e piccoli proprietari,ai qualipraticaescienzaei medesimiinvitiministerialiconsiglianodiriunirsi in cooperative per poter produrre in bene attrezzate cantine sociali vinoserbevole,ditipo costante,attoalla spedizione sui mercati lontani (e costoro sono colpiti dall’imposta sui fabbricati).Parve perciò equo,anzi voluto dalla regola dell’ugualetrattamentodeicontribuentipostiincondizionisimili, affermare (articolo 11) che sono considerati come fabbricati rustici, quando posseggono tutti gli altri requisiti a ciò richiesti,ancheifabbricati destinati a cantine, latterie ed altre aziende sociali quando appartengano a società cooperativecostituitefraiproprietarideiterreni,i cui prodotti sono manipolati nei fabbricatimedesimi.Perevidenteanalogia, allecooperativefurono assimilati i consorzi di proprietari per lavori di bonifica,dovendosiconsiderarerusticiifabbricaticheservonoal prosciugamento e ad altre opere di miglioria e bonifica dei terreni.

 

 

Sgombrata la categoria A-2 dai fabbricati industriali,i quali ne turbavano dannosamente la struttura,essa comprende soltanto i fabbricati comunemente conosciutisottoilnomedi«civili».Rispettoa questi,tre sono le modificazioni essenzialiapportatealregimevigente;eriguardanoil calcolodelledetrazioni,laperiodicità delle revisioni e il rimborso dell’imposta per sfitto:

 

 

  • a) ilcalcolodelledetrazioni.Il legislatore italiano,allo scopo di rendere più agevole il calcolo del reddito netto imponibile dei fabbricati, ha presuntochelespesediriparazione,manutenzione,assicurazione, deperimentodellecaseciviliammontasseroad un quarto dei fitti lordi ricavati dalla casa;ed ha perciò dispostochedalredditolordodei fabbricaticivili si detragga un quarto a titolo di spese e che i rimanenti tre quarti siano considerati reddito nettoimponibile.Selanormapuò considerarsiapprossimativamentebuona,dà però origine a una sensibile sperequazione; specialmente tra fabbricati situati nei sobborghi e nei quartieriperifericidellegrandicittà,efabbricati centrali o posti in località abitate da famiglie ricche.

 

 

Iprimidisolitoinsistono su terreni di poco valore,e quasi tutto il reddito lordo si riferisce alla costruzione,la quale,essendo occupata in piccoliquartierini,oincamere separate dalla popolazione operaia meno agiata, è gravata da forti spese diriparazione,dimanutenzioneedi amministrazione.Inveceifabbricatisituatineiquartiericentrali e signorili insistono sopra aree di grande valore:e parte notevole del fitto lordo si riferisce perciò all’area;la quale non deperisce né deve essere riparata e mantenuta: la costruzione inoltre è solitamente abitata da poche famiglie agiate o ricche,le quali pagano puntualmente il fitto,senza che perlariscossionesianecessarioricorrere all’opera di segretari e di affittuarii generali,e non provocanofortispesediriparazioneedi manutenzione.

 

 

Senoisupponiamocheduecaseappartenentiai due tipi ora descritti fruttino ciascuna un fitto lordo di 10.000 lireannue,nonandremomolto lontani dal vero ritenendo che la prima sia gravata da 2.500 lire di spese e lasecondada1.000liresoltanto;residuandocosì iredditi netti effettivi in 7.500 e 9.000 lire.L’imposta dovrebbe colpirequesteultime cifre;ma invece il legislatore presume e tassa un reddito netto teorico di 7.500 lireinambedueicasi:onde,datochel’aliquotacomplessiva dell’impostaerarialeedellesovrimpostelocali sia del 50% – aliquota ormai frequentissima in Italia – ambedueifabbricatipagherebbero3.750 lire; ma poiché i redditi netti effettivi sono di 7.500 e di 9.000 lire, si vede che solo la casa povera paga un’imposta uguale al 50% del reddito netto effettivo,comevolevail legislatore,mentre la casa ricca paga solo il 41,66%.

 

 

In altri termini:le case povere pagano o tendono a pagare sul vero reddito netto;mentre le case ricche seneallontananoinmenoinproporzione maggiore o minore: onde è a dirsi che questo sistema di imposizione, mentre è sperequato fiscalmente,contribuisce ad ostacolare la costruzioneeda rincarareilcosto delle case popolari,che pure il legislatore intende a favorire in tante diverse maniere.

 

 

Parecchi sono gli espedienti che potrebbero essere adottati per toglieredi mezzo siffatta disuguaglianza dannosa:non tutti però ugualmente efficaci.Fu scartata,ad esempio,l’idea di applicare parecchie detrazioni diverse, del15,del20,del25%a seconda della gravezza delle spese;perché l’applicazione dell’una o dell’altraquotadidetrazioneavrebbepotuto riuscirearbitraria.Parve,invece,chela disuguaglianza sarebbe stata eliminata quasi del tutto se la detrazione del quartofossefatta,invece che dall’intiero valore locativo, da quella partedelvalorelocativoannuochesiadaattribuirsiallasola costruzione, esclusa la parte da attribuirsi all’area (art. 16).

 

 

Ed invero, ripigliando l’esempio fatto dianzi, il fitto di lire 10.000 della casa periferica,dove le aree sono a buon mercato,praticamente è tutto reddito della costruzione;e quindi fa d’uopo dedurre il quarto da tutte le 10.000 lire,rimanendo il reddito netto presunto in lire 7.500.Inveceil fittodilire10.000 della casa centrale è da attribuirsi per 4.000 lire alla posizione, ossia all’area,e per 6.000 lire soltanto alla costruzione.Ladeduzionedelquartosi opererà su queste 6.000 lire e risulterà di lire 1.500.Il reddito netto presunto risulterà di lire 10.000 -1.500= 8.500.

 

 

Nonsisarà ancoraottenutogiustiziaperfetta,perché le due case pagheranno su 7.500 e su 8.500 lire di reddito presunto,mentreiredditi effettivisonodi7.500edi9.000lire:mavisarà però una approssimazione assai maggiore che col sistemapresente.Conlaaliquota dell’imposta al 50% oggi le due case pagano uniformemente 3.750 lire; domani pagheranno3.750e4.250 lire:riferiti i pagamenti effettivi ai redditi netti effettivi di lire 7.500 e di 9.000 lire,l’aliquota oggi è del 50e del 41,66 %,domani sarà del 50% sulla casa povera e del 47,22% sulla casa ricca:sussisterà cioè ancoraunadisuguaglianza,chelapratica amministrativapotrà viaviafarscomparire;mache sarà,anche se rimanga, di gran lunga minore di quella che oggi ci affligge.

 

 

Ilsistemapropostoimporterà certamenteunqualchemaggiorlavoro amministrativo;occorrendoattribuireladetrazione del quarto solo alla parte di fitto relativaallecostruzioni.Manonoccorreesagerarela portatadelmaggiorlavoro,ilqualepraticamentesi farà solo nelle città,dove il valore dell’area ha una certarilevanzaedoveesistono criteriuniversalmenteseguiti nelle perizie per apprezzare i valori delle aree e delle costruzioni:del resto il maggior lavoro amministrativosarà adusuracompensato dal maggior rendimento tributario e dalla perequazione istituita fra le varie classi di contribuenti;

 

 

  • b) la periodicità delle revisioni – è noto come uno dei difetti più gravi dell’attuale ordinamento dell’imposta sui fabbricati sia lamancanzadelle revisionigenerali,l’ultimadellequalirisale al 1890.Oggi pertanto esistono accertamenti che per lo più risalgono ad un’epocaoramaiantica, non più rispondenti alla realtà dei fitti oggi pagati;ed accanto ad essi esistono invece accertamenti delle case costruite dopo, i quali risalgono al 1895, al 1900, al 1910, al 1916; sicché la più grande disparità domina in questa materia.

 

 

Notisi che il danno delle sperequazioninon è solofinanziario;ma è purancosocialeedeconomico.Infatti le case nuove pagano l’imposta sul vero reddito oggi percepito;e,se si trattadicittà progressive, è evidenteche gli imprenditori edilizi non costruiranno ove non siano sicuri di ottenere l’interesse netto corrente dall’impiegodeilorocapitali,e cioè ovenonsianosicuriditrasferireneicanoni di affitto tutta l’impostarealmentepagata.Perciò ifitti,sesivuolechesi costruiscanonuovecase,salgono fino a coprire l’ammontare dell’imposta.

 

 

Ma,se salgono i fitti delle case nuove,salgono inproporzioneanchei fittidellecase vecchie,già esistenti nel 1890,ed i proprietari loro sono in grado di aumentare i fittiinproporzioneall’impostadi(lire) 1.000pagatadaiproprietari delle case nuove,sebbene essi paghino solo l’imposta di 500 lire:e gli inquilini delle case vecchie pagano, per causa dell’imposta,1.000lire di più;ma di queste solo 500 vanno a beneficio dell’erario.

 

 

Tentò in verità la finanza di procedere a revisioni parziali;mapoiché perfarleoccorrecheilreddito sia aumentato almeno di un terzo e per cause con effetto continuativo, l’applicazione, sia pure aiutata da una più larga recente giurisprudenza, è stata ed è assai più timida di quanto non sarebbe conveniente.

 

 

A togliere tale notevole sperequazione, la quale recide i nervi alla finanza giustamente timorosa di gravare la mano sualcuniproprietarisoltantoe precisamentesu quelli il cui reddito accertato è vicino o in qualche caso persino superiore al vero,si propone (art.38) di sancire la regola della revisioneperiodicadeiredditidifabbricati(cat.A-2dell’imposta normale),così come periodicamente già si rivedono iredditimobiliari.Lafissità odierna dei redditi edilizi è incomprensibile e tanto più lo sarebbe quando essifacessero,insiemecoglialtri,partediun’unica impostasututti i redditi.Il periodo proposto è il quinquennio;ma la revisione non si dovrà fare ad ogni quinquennio per tutti i fabbricati, col pericolo di riuscire tumultuaria ed errata e diimporreunenormelavoro all’amministrazione,come accadde nel 1890.La revisione, ad imitazione di quantogià sioperaperiredditimobiliari,sifarà asezioni; assoggettandosi ogni anno a revisione un quinto dei fabbricati, a condizione chelarevisioneprecedenterisalgaalmenoadun quinquennio e che il reddito sia aumentato almenodiunquinto,selarevisionesifaad iniziativadella finanza,o diminuito di un sesto,se l’iniziativa è del contribuente[5].

 

Così l’amministrazionecompirà unlavorocontinuoeregolare;e procedendosi per sezioni la revisione potrà farsi con criteri perequati;

 

 

  • c)ilrimborso dell’imposta per sfitto – Si lagnano i contribuenti che per ottenere il rimborso dell’imposta per sfitto sianecessariochetuttoil fabbricato sia sfitto, e che lo sfitto sia durato almeno per un anno. Sembra ai contribuenti ingiusto di dover pagare tutta l’imposta, anche se uno o due quartierisolisuidieci componenti la casa sono affittati.Ma su questo punto non si è potuto rendere loro ragione, poiché, se fosse consentito il rimborso per sfitto parziale,non vi sarebbe assolutamentealcunmododi difendersidalle frodi a meno di non disporre di un personale numerosissimo continuamente assorbito dalle verifiche locali.Per concedere ilrimborso, occorrechelosfittosiatotale,facilmente constatabile dagli agenti finanziari;e che non sipossanoinventarespedientiperfarfigurare parzialmentesfittaunacasa,laqualeinrealtà sia tutta occupata.Invece si è ritenuto doveroso di accogliere l’altro desiderio; e di ridurre da un anno aseimesiilperiodominimodellosfittonecessarioper concedereilrimborso.Quandouna casa è sfitta da almeno sei mesi,in modocontinuativoeperlasuatotalità,giustiziavuolecheal contribuentesiaconcessoilrimborsoe non si attenda che sia compiuto l’anno.

 

 

Primadiprocedereinnanzinell’esamedelleriformepropostenella imposizione dei redditi mobiliari, sia consentita una breve parentesi.Può sembrare strano che,in un tempo di gravi urgenze della finanza, si ragioni di cresciute esenzioni e di più larghi rimborsi e detrazioni.Inrealtà, ovebensiguardi,leconseguenzefinanziariedeglisgraviconcessi (detrazione delle annualità passive dai fabbricatiindustriali,passaggio diquestialle categorie A-1 e B,esenzioni ai fabbricati delle cantine e latterie sociali, riduzione a sei mesi del periodo dello sfitto) sono di gran lunga minori del beneficio che la finanza risentirà dalledue apparentementepiccoleriformequipropostenelregimedell’industria fabbricati:detrazione del quarto concesso solo per lapartedelreddito afferente alle costruzioni e revisioni quinquennali dei redditi. Queste, che sonoriformeproduttive,riguardanotuttii contribuenti,quelle,che sembrerebbero destinate [a] diminuire alquanto il gettitoperlafinanza, toccanolaminoranzadei proprietari di fabbricati e per lo più casi non frequenti.

 

 

Ma in verità anche gli sgravi proposti saranno produttivi perlafinanza.Nulla invero è così pernicioso al buon funzionamento del tributo,come il persistere a voler con esso gravare un reddito che in realtà nondovrebbe andarvi soggetto,o perché inesistente o perché assorbito da passività o perché della stessa natura di altri che nonsoncolpiti.Leingiustizie irritano il contribuente,spingono alle frodi, accrescono le sperequazioni, impacciano la finanza,la quale giustamente diventaperitantearialzare l’aliquotaquandosacheilrialzointalunicasiaggraverebbe insopportabilmente la situazione di chi è già ingiustamente colpito.

 

 

Capitolo III.

La trasformazione dell’imposta di ricchezza mobile

 

Paragr. 1. – Il regime delle società per azioni.

 

La più importante delle innovazioni propostenell’assettodiquellache oggi è l’imposta di ricchezza mobile e che domani comprenderà le categorie A-1,B,C e D dell’imposta normale riguarda la imposizione, delle società anonime ed in accomandita per azioni.

 

 

È ben noto come da lungo tempo le società per azioni muovano lagnanzeper laimposizionepiù gravosaperessechepericontribuenti i quali esercisconolemedesimeindustrie,eglistessicommercisia individualmente,siasottoformadisocietà innomecollettivo o in accomandita semplice o di società di fatto.Tale disparità di trattamento deriva dalla circostanza che le società perazionisonoaccertatesulla base del bilancio,mentre i redditi dei privati o delle società di persone sono accertati per presunzioni,più omenoapprossimateallarealtà, compiendosicosì laimposizionedellesocietà sulla base di dati più sicuri;e poiché la finanza ha il diritto di sincerarsi dellaconcordanza deibilanci approvati dalle assemblee generali dei soci con i risultati dei libri sociali,gli accertamenti «sociali» sono assai più vicinialvero degli accertamenti «privati», ed il gettito per la finanza ha un andamento assai più promettente e crescente nel primo che nel secondo caso.

 

 

Questo fatto dimostra la necessità di equiparare, nei limiti del possibile, gliobblighideicontribuentiprivati a quelli delle società per azioni dando alla finanza, come si è fatto al n. 5 dell’articolo 48, il diritto di farsi presentare tutti i libri,comunque tenuti,dalle società anchenon azionarie e dai contribuenti singoli esercenti commerci e industrie.

 

 

Maseintalmodo si provvede a far sì che i contribuenti privati siano accettati su cifre di reddito più vicine alla realtà diquantoogginon accada,nonsi è risolto il problema specifico riguardante la imposizione delle società azionarie.

 

 

La imposizione per bilancio porta, allo stato attuale della legislazione,a liquidarel’impostasopraunsaldoattivo uguale alla differenza fra le partite attive e le partite passive delbilancio.Bastaenunciarequesto concettoperchiarirecomesiaaperta una strada maestra al dilagare di lunghe controversie fra contribuenti e finanzaintornoallesingolevoci attivee passive del bilancio.All’attivo,quale valore dovrà darsi alle consistenze di fine anno esistenti in magazzino;quali i prezzi correntie prudenziali da assegnarsi ad ogni attività?Al passivo,quali le quote da ammettersi in ammortamento?Quali gli ammortamenti legalmente consentitie qualinegati?Quali le imposte e spese ammissibili in deduzione e quali da escludersi?

 

 

Dellecontroversiesortepertalicausesonopieneleraccolte giurisprudenzialied i commenti alle leggi;da esse è assorbita ogni anno parte notevole dell’opera dei funzionari finanziari edegliamministratori delle società anonime, con risultati, tutto sommato, non sempre fecondi per lafinanza.Poiché dalladeterminazionein una cifra minore o maggiore delle singole voci del bilancio dipende l’ammontaredell’utileimponibile, tuttol’ingegnoetuttal’abilità degli amministratori e dei contabili furono rivolti a far scomparire nelle pieghe dei bilanci quelle svalutazioni e quegli ammortamenti che si temeva la finanza avrebbenonriconosciutio non ammessi nella misura ritenuta prudenziale dagli amministratori.Derivò principalmentedaciò ilfenomenodeplorevolechemoltibilancidi società,anchebeneamministrate,sonoredattiinformasibillina, riassuntiva,assolutamentedisadattaa servire da guida ai risparmiatori: onde i risparmiatori stessi si trovano nella impossibilità didistinguere fra bilanci di società buone,che vogliono solo sottrarre gli ammortamenti all’imposta di ricchezza mobile, e bilanci di società cattive, che vogliono sul serio frodare la finanza o nascondere le malefatte compiute a danno degli azionisti:ed al fenomeno stesso è forse imputabile, almeno in parte, la ripugnanza del capitale verso gli investimenti mobiliari.

 

 

Daquestaconsiderazione è uscita da tempo una corrente d’idee la quale asserisce di volereinstaurareinquestamaterialasemplicità ela chiarezza,senzadanno,anziconvantaggio,immediato e futuro,della finanza.

 

 

È inutile e pernicioso, si dice, affannarsi a scoprire l’utile vero,quale deveessere,sesi valutano le attività secondo le norme stabilite dalla giurisprudenza e se si ammettono solo quelle spese e quegli ammortamenti che leCommissionidelleimpostediretteel’autorità giudiziariahanno ritenutoammissibili:questacifradiutile,cheoggisiintende ad accertare e colpire,con un lavoro amministrativo intenso edelicatissimo, èunacifrairreale:il solo utile realmente esistente è quello che è giudicato tale dagli amministratori e dalleassembleegeneralideisoci: varianoleragioniprudenziali che possono indurre a valutare le merci di scorta ad un prezzo piuttosto che ad un altro,a fare ammortamenti del 5o del 10 o del 20%, a seconda dei tempi, dei luoghi e delle industrie; mentre le norme necessariamente uniformi adottate dalla finanza e dalle Commissioni delleimpostedirettefinisconoper creare una figura teorica di reddito netto il più delle volte difforme dalla realtà:si colpiscanoperciò i dividendieglialtriutiliripartiti,sottoqualsiasiforma,dalle società;e si sarà allora colpita una quantità che meglio di ogni altra, secondolaopinionedeivericompetenti,chesonogliinteressati, corrisponde al vero reddito di cui si vaallaricerca.Siaggiunge non essere ragionevole il temere che amministratori ed azionisti di una società laqualeha guadagnato in un esercizio 1.000.000 di lire ripartiscano solo 500.000 lire, per non pagare l’imposta sulle restanti 500.000 lire mandate a riserva:per non dare all’erario l’imposta essidovrebberorinunciareal dividendo in tutto o in parte; si può ritenere probabile che amministratori prudentivogliano attendere,a ripartire parte dell’utile il giorno in cui siano sicuri che esso è veramente realizzato e non corre pericolo didover diminuireo scomparire negli anni seguenti;ma questo equivale a ripartire acconciamente neltempogliutili,ed è vantaggiosougualmenteagli azionisti ed alla finanza, la quale può esigere l’imposta su di un reddito costante:indefinitivatuttigliutili si convertono in dividendi agli azionisti,in partecipazioni agli amministratori,in ripartizioni di somme maggioridelcapitale versato in sede di liquidazione:opinare altrimenti equivale a credere che vi siano capitalisti disposti a investire capitali in imprese industriali collo scopo altruistico di lasciare gli utili in un fondo comune,senza mairipartirliaproprio vantaggio.

 

 

Nonsi può negare a tali argomentazioni un serio fondamento;tanto che si è creduto opportuno accoglierle nel presente disegno di legge (esarà in ogni caso un utile esperimento), nel quale è stabilito dovere d’ora innanzi costituireredditoimponibilel’ammontareeffettivamentedistribuito od erogato,come interesse sul capitale odividendo,edaqualunquealtro titolo o denominazione tra i soci, gli amministratori od i terzi (art.21).

 

 

Vengono così eliminate le controversieintornoallaimponibilità degli ammortamenti, alle valutazioni, alle partite di bilancio, al trattamento del sopraprezzo delle azioni e simili:l’imposta sarà applicata sull’utile che è ripartito od erogato, sia che venga dato ad azionisti o ad amministratori od a terzi:ancheagliamministratoriodaterzi,perché lanatura dell’utilenon cambia solo perché siasi deliberato di erogarlo a favore di persone diverse dagli azionisti.

 

 

Ma non si è trascurato di provvedere con speciali disposizioniadevitare che il criterio nuovo,corretto e semplice,possa essere rivolto contro la finanza.

 

 

Si stabilisce,a cagion di esempio,che siano imponibili tutte le sommeo gliassegniripartitioltreilrimborsodelcapitaleinsededi liquidazione,e la assegnazione di utili ad aumento di capitale sotto forma diaumentodelvalorenominale delle azioni o di distribuzione di azioni nuove gratuite (art.11); perché in effetto la assegnazione degli utili ad aumentodel valore nominale delle azioni od a distribuzione di azioni nuove gratuite è da considerarsi come una vera ripartizione di utilifattaagli azionisti,chepoi li ritornano immediatamente alla cassa sociale a titolo di versamentosulleazionivecchieesulleazioninuove,riducendosi l’operazione quasi ad una partita di giro.

 

 

Siregola pure il modo con cui si procede al calcolo degli utili in sede di liquidazione o di fusione delle società (art. 23); nel qual caso si afferma il concetto che debba essere esente da imposta tuttociò chefuversato effettivamente,aqualunquetitolo,siaatitolodicapitaleodi sovraprezzo o di riserva,dagli azionisti,e tutto ciò che già sopportò l’impostaod è daessaperleggeesente;masidichiarasoggetto all’imposta tutto il ricavodelleattività liquidateovveroilvalore corrente al momento della liquidazione o fusione delle attività stesse,al netto di debiti,distribuite in natura tra i soci od assegnate ad altri per cessioneo fusione:si è voluto cioè che le somme su cui cade la imposta al momento della liquidazione, o cessione o fusione, non siano la somma nominale risultante dagli atti di liquidazione ocessioneo fusione,ovverole attribuzioni di valore date dagli interessati alle cose distribuite od assegnate in natura;ma il ricavo effettivo delleattività stesseliquidate od il valore corrente di mercato delle attività ripartite od assegnate almomentodellaliquidazione,fusioneocessione;esi salvaguardano così i diritti della finanza,senza nuocere alle ragioni dei contribuenti.

 

 

Tuttavia per le società estere parve impossibile seguire iconcettidella imposizione delle somme ripartite, essendoché il riparto avviene all’estero e con modalità le quali sfuggono al controllo della nostra finanza; sicché sitrovò convenientestabilire(articolo24)chetali società siano colpite sugli utili di bilanci determinati nel modo solito fin qui usato.

 

 

Occorrevainfineprevedereilcasochelesocietà perazioni,pur ripartendoutili,liripartissero,specienei casi di società di pochi azionisti,di nascosto e con artificicontabili,inguisadaoccultare l’avvenuta ripartizione alla finanza: il progetto prevede all’articolo 26 il caso,edautorizzalafinanzaaprescinderedai risultati dei bilanci prodotti,quando le voci attive e passive dei bilanci stessi sidimostrino non rispondenti a verità.

 

 

NeltitoloIV(capitoloV)sarannochiaritele ragioni per cui furono dichiarate la responsabilità solidale degli amministratori socialiperle impostedovute,e l’eventuale responsabilità dei liquidatori,quando non ottemperino alla tutela degli interessi della finanza (art. 151 e 152).

 

 

Il vantaggio recato alle società conlanuovamanieradiliquidazione dell’imposta risponde siffattamente ad uno dei più antichi voti di cospicue rappresentanzedeimaggiorientieconomicidelpaese,liberagli amministratori da preoccupazioni così gravi, che si è creduto di potere in correspettivo imporre alle società azionarie unsacrificio:ilpassaggio dei loro redditi dalla categoria B alla categoria A-1; dalla categoria cioè dei redditi misti di capitale e di lavoro,colpiti col 15%,alla categoria dei redditi di capitale puro, colpiti col 18 per cento.

 

 

Anche questa deliberazionerispondesenonadunvoto,certoaduna convinzioneespressa ripetutamente dai migliori rappresentanti delle grandi imprese sociali:meglio,esse han più volte ripetuto,pagareun’imposta più fortechenonesserecostrettia perdere il tempo in controversie intornoaciò che è enon è reddito,ammortamento,svalutazione legittima, ecc., ecc.

 

 

Però,deliberandoilpassaggiodi categoria e l’aumento conseguente del tasso dell’imposta si fa anche opera giuridicamente corretta; infatti dacché non si colpiscono più lesommemandateariservaoad ammortamentomaunicamentequelleripartiteatitolodidividendoo altrimenti,l’utile imponibile haprevalentementeindolediredditodi capitale:l’azionistariscuoteildividendodellasuaazione,come l’obbligazionistal’interessedellasuaobbligazioneocartella,il creditorel’interesse del mutuo,il proprietario il fitto della casa o del fondo rustico:alla produzione del dividendo ha contribuitosiillavoro dell’azionista;masotto forma di scelta dell’investimento,di intervento alle assemblee generali,di studio di bilanci;ma in tutto ciò nonv’è nessunadifferenza del lavoro di simil natura che prestano i creditori ed i proprietari di case e di terreni, tassati in categoria A-1, A-2 ed A-3.Ben diversa è la natura del reddito ottenuto dagli industrialiecommercianti privati;i quali impiegano un lavoro continuo di direzione,di iniziativa, di sorveglianza,che gliazionistifannoinvececompiereaidirettori generali con il corrispettivo di un onorario.

 

 

Conlecauteleindicatesopraespecialmenteconquellacontenuta nell’articolo 26,con cui si dà diritto alla finanzadiprescinderedai risultatidel bilancio,quando si possa dimostrare che le voci di esso non sono conformi a verità, sembra tolta la possibilità di ogni frode fiscale: ma non vogliamo nascondere che rimangono aperte dueviepernasconderei redditi, e cioè:

 

 

  • a) falsificareibilanci e l’intera contabilità sociale,e ripartire di nascosto tra soci ed amministratori le somme così occultate:masiffatta frodesipuò concepiresoloquandogliazionistisiano pochi e bene affiatati tra di loro;.ed essa delrestononderiverebbedalproposto metododiimposizionedei dividendi,ma è perfettamente possibile anche oggi,che si colpisce il reddito prodotto:col nuovo metodopropostonon crescel’incentivoallafrode;econlesanzionirelativealla responsabilità solidaledegliamministratorisenediminuiscela possibilità:del resto è da credere che solo in alcuni pochissimi casi di amministratori assolutamente privi di scrupoli eprontiacorrererischi gravissimisisianocompiute in passato o si possano compiere in avvenire falsificazioni di tal genere;
  • b) dichiarare apertamente e francamente i guadagni conseguiti ed altrettanto apertamenteseguitareperanniedanniamandarliariserva,senza ripartirliaffattoofacendoneripartizioneirrisoria:ilcaso è inverosimile,quando gli azionisti sono numerosi o quando essendo inpochi hannod’uopodelredditodelleazioniposseduteperlelorospese famigliari:ma potrebbe darsi l’ipotesi di pochi azionisti,ben provveduti di altri redditi, i quali fossero contenti di lasciare nelle casse sociali a cumularsi il reddito della azienda sociale: non percepirebbero reddito;ma aumenterebbero il loro patrimonio,coll’aumento delvaloredell’azione:ancheinquestocasoperò l’astensionedai dividendi non può durare all’infinito;poiché per successioni e divisioni o cambiamenti di fortuna o difficoltà di impiegare i redditi della società nella stessa azienda sociale giungeilmomentoincuisiprocederà a riparto di dividendo; ed in quel momento la finanza applicherà l’imposta su somme cresciute a dismisura da tutta l’astinenza del passato,ed avrà buon gioco altresì a stabilire l’imposta complementare sull’incremento di valore dell’azione (articoli 88 e 76 a 79) chedatalunodegliazionistisarà statorealizzato.Ma vi è di più:invano gli azionisti si illuderebbero di sfuggire ad ogni tributo rinunciando adognidividendo,pertuttoil periodo durante il quale essi vi rinunciano: esiste infatti il tributo detto sullanegoziazione dei titoli,atto a compensare in parte la finanza della perdita subita:se,invero,l’azionista delibera e ritiraeconsumaun dividendodi 100 lire,l’imposta normale lo colpisce con 18 lire,per una volta tanto;se egli invece rinuncia al dividendo,non paga pro tempore le 18 lire,ma la sua azione aumenta di valore per l’ammontare di 100 lire,e l’aumento di valore dura ogni anno fino al giorno in cui egli non sidecida a ritirare il dividendo:se, facendo l’ipotesi estrema di danno massimo per lostato,eglinonritirassemaiildividendo,l’aumentodivalore dell’azionein100liresarebbeperpetuo:main questo caso,il più sfavorevole perlostato,l’azionista(facendoilcasodiazionial portatore)dovrebbepagare ogni anno lire 0,35 di imposta di negoziazione, il che corrisponde apagaresubitolire7:inaggiuntaeglipagala patrimonialedell’1permillechesonooltrelire0,10all’anno, corrispondenti a lire 2 subito:il suo lucro si riduce quindi a lire9:e per questo lucro egli non si sottrae già al pagamento dell’imposta normale, masolo ne allontana il momento fino al giorno in cui sia stanco di giocare all’astinenza e,peggio per lui,ad apprestare allo stato un’ottimamateria imponibileperlacomplementaresugliincrementinelvalore della sua azione.

 

 

Tutto sommato,adunque,i pericoli del metodo che si proponeappaionodi scarsa importanza pratica;ed il suo eventuale lieve danno è di gran lunga compensato dai vantaggi; sicché l’esperimento merita di essere fatto; ed è da augurare che alla provadiilluminatamodernità chevienecosì a fornire la finanza trovi leale corrispondenza in tutte le società;augurio che facciamodelrestoconpienafiduciacheessosarà realizzato.Nondimeno è statoritenutoconveniente di stabilire una norma la quale, pure escludendo ogni indagine arbitraria sugliscopiesulleintenzioni, salvaguardi la finanza contro il pericolo, non,comevedemmo,importantepraticamentema neppure da escludersi del tutto,che nelle società di pochi ericchiazionisti,ilConsigliodi amministrazionedecidadinonripartire dividendi per una lunga serie di anni allo scopo deliberato di non pagare l’imposta.

 

 

L’addentellato a tale norma è stato offertodall’articolo24,ilquale, oltrealcasodellesocietà estere,dicuigià sopra si è detto, contempla altresì il caso delle società italiane che, per disposizione del loro statuto, non debbono effettuare ripartizione di utili:in tal caso, fa d’uopo colpire gli utili,se utili vi sono,sulla base del bilancio, ossia col metodo finora seguito:ilche è inevitabile,senonsivogliono esentare del tutto tali enti dall’imposta.

 

 

Senonché ilcaso delle società che non debbono statutariamente ripartire dividendi,nonsiavvicinaforsemoltoalcasodellesocietà che volontariamente non ripartiscono dividendi o fanno ripartizioni esigue?Non èipotesi irragionevole il ritenere che gli azionisti,invece di scrivere le norme della non ripartizionenellostatuto,l’abbianoriservataalle assemblee degli azionisti;il che,quando gli azionisti sono pochi, riesce allo stesso intento.Aggiungasi che le società,le quali non ripartiscono dividendo o lo ripartono esiguo, hanno sostanzialmente mancato al loro scopo commerciale;e quindi si può ammettere che nei loro rispetti venga meno la ragione del trattarle con la procedurapiù agiledellaimposizionesui dividendi.

 

 

Diquilanormacontenuta nell’articolo 24,secondo la quale il reddito delle società italiane,lequalinonabbianoripartitopertreanni consecutivialcundividendo o lo abbiano ripartito sul capitale versato in misura inferiore al tasso legale dell’interessecivile,sonoassoggettate alla imposta per bilancio.

 

 

Conquesta norma non si fa luogo ad alcuna analisi di intenzioni o di scopi nell’assegnazione di certe somme a riserva:masidiceche,qualorasi verifichino talune circostanze oggettive, determinabili senza alcun arbitrio od apprezzamento della finanza,si abbandona la imposizione sui dividendi e si ritorna al metodo attuale.

 

 

Le condizioni oggettive sono, ripetesi, le seguenti:

 

 

  • a) che una società nonabbiaripartitoalcunutile,ovveroloabbia ripartito in misura inferiore al tasso legale dell’interesse civile, oggi il 4%,sulcapitaleversato:si è sceltoil tasso legale dell’interesse civile,per non fissare il tasso in una cifra che col tempo potrebbe essere disformedallarealtà;esi è fissato l’interesse civile,perché nel sistema proposto di imposizione sugli utili delle società incategoriaA, questi sono considerati come redditi di capitale puro e quindi già mondi da quelle quote di rischio e di influenza del lavoro personaledelcontribuente,lequaliappunto trasformano l’interesse da civile in commerciale;
  • b) che la mancata ed esigua ripartizione abbia durato peralmenotreanni consecutivi: se una società si astiene dal ripartire dividendi per uno solo odueanni,nonvi è alcuna presunzione che ciò accada per frodare la finanza; essendo invece probabile che il fatto sia dovuto a crisi economiche od a disavventure particolari all’azienda.Ma se ilfattosiripetenel terzo anno,comincia a nascere una presunzione di frode fiscale;e se esso si ripete nel quarto anno,allora fa d’uopo,in questo quartoanno,dare allafinanzaildirittodisostituireallafiducialarghissima prima dimostrata agli amministratori l’indagine sui bilanci.

 

 

Notisi ancora che la ragione formale di sostituire l’attuale metodo al nuovo proposto non può essere quella che si chiamerebbe laragionesostanziale; ossia l’attribuzione fraudolenta ed aperta a riserva di somme che potrebbero essereripartite;perché sesiassumessea ragion di mutamento questa seconda spiegazione subito si spingerebbero gli amministratoriapreferire leriservenascosteper quelle palesi e risorgerebbero tutte le questioni che si sono volute eliminare.No:il fatto che dà origine a mutamento nel metodo di imposizione è oggettivo; la non distribuzione, o la insufficiente distribuzione, di utili:per tal modo la iniziativa del mutamento di metodo nonspettaallafinanza,maallasocietà.Èbensì verochegli amministratoripossonoesserestaticostrettiallamancataodesigua ripartizione da fatti indipendenti dalla loro volontà; ma, in tali casi, la finanza non inferocirà;poiché quando i bilanci si chiudono in perditao con piccoli utili, manca la materia imponibile:si otterrà invece lo scopo di colpire quelle società che ottengono utili e che deliberatamente nonli ripartiscono, al solo scopo di frodare l’erario.

 

 

Può credersianzichelanormaorachiaritadebbaavere una felice influenza sull’opera delle società perazioni.Queste,perevitareil pericolodi ricadere nel vecchio metodo della imposizione per bilancio,si sforzeranno nelle annate buone di costituire, astenendosi da ripartizioni di dividendi troppo larghi,un fondo dieguagliamentodidividendi:invece cioè di ripartire il 6 od il 10% ripartiranno, nei periodi favorevoli, solo il4el’8%ecosì avranno modo di innalzare almeno al 4% il dividendo anche negli anni in cui non si ottennero utili o si ebbero esigui:intale sistema troveranno beneficio le società, la cui compagine finanziaria sarà rafforzataeresamegliocapacea sormontare le crisi,ed il corso dei titoli,i quali saranno avvantaggiati dalla maggior costanza dei dividendi: i capitali saranno attratti più largamenteversoleimpreseindustriali,poiché nullatemetanto il risparmiatore, il quale pur desidera l’alea degli aumenti di reddito, quanto la cessazione dei dividenti: ed anche la finanza avrà motivo di compiacersi dalla maggior stabilità e quindidalgradualeprogrediredellamateria imponibile.

 

 

Paragrafo 2. – Il trattamento delle società cooperative.

 

Sesembrò giustorisolverelecontroversieinsorterispettoalla imposizione della società di capitali in modo equo per i contribuenti e per la finanza,altrettanto giusto ed utile si reputò il porre fineadaltre controversie vivamente dibattute nel campo dei cooperatori.

 

 

Peruna specie di cooperative,le cooperative di lavoro,la soluzione era imposta da quella a cui si era giunti rispettoallesocietà perazioni.Affermato il concetto che reddito imponibile si può riscontrare solo quando elà dovesiprocedeaduna ripartizione,sotto qualsiasi forma,ad azionisti,amministratori o terzi,sivieneariconoscerechenonla società mailproprietariodellequoteodazionisociali è il vero contribuente;che la società economicamente è solo uno strumentodicui gliazionistisiservonoperaccrescereilloro reddito,potenziando l’efficaciadeilorocapitalimercél’unioneel’azionecomune;e giuridicamentelasocietà è soggetto dell’imposta solo perché è più comodo per la finanza accertareecolpireilredditoalnomediessa piuttosto che a quello dei singoli azionisti ed amministratori.

 

 

Postiquesticapisaldi,ne consegue che le cooperative di lavoro in tanto possono ritenersi produttrici di credito, in quanto riescono a ripartire tra i soci operai o braccianti un’aggiunta al salario che questialtrimentisi sarebberoprocacciatisul mercato libero.Quindi oggetto dell’imposta non debbono essere le somme che la cooperativa di lavoromandaariservaper coperturadirischifuturi o per far fronte a qualsiasi eventualità,ma solo quelle che essa distribuisce effettivamente ai propri soci, a titolo di dividendo o sotto qualsivoglia altro nome.

 

 

L’indole speciale delle cooperativedilavoroindusseafareperò un trattamentodiversoe più benevolo a questi utili ripartiti di quello che sia stato fatto ai dividendi delle società per azioni.Seunadiqueste riparte100.000liredidividendi,essi,come si disse sopra,saranno classificatiincategoriaA-1,qualiredditidicapitalietassati coll’aliquotamassimadel18%;ilchefudimostratoessere corretto, trattandosi dellaremunerazionediunveroeproprioinvestimentodi capitale fatto dall’azionista.

 

 

Ma se una cooperativa di lavoro, dopo aver assegnato 1.000 lire di dividendo alpropriomodestocapitale di lire 20.000 riparte inoltre lire 10.000 di utili fra i soci operai o braccianti,ed essi sono 50 e ricevono ognuno 200 lire, queste sono un vero e proprio complemento di salario: le 1.000 lire di dividendoal capitale dovranno essere colpite come reddito di capitale,in categoria A-1,col 18% ma le 10.000 lire ripartite fraisocilavoratori devono essere considerate come reddito di lavoro e trattate con la più mite aliquota del 12% che colpisce i redditi di lavoro puro (categoria C).

 

 

Fralaimposizione delle cooperative di lavoro e quella delle società per azioni c’è un’altra differenza:le 100.000 lire ripartitedallasocietà perazioni,essendoconsiderateredditodicapitale,nongodonodi esenzioni,perché ogni esenzione a titolo diredditominimo è esclusa nellacategoriaA-1:eperciò tuttequelle 100.000 lire devono essere colpite presso la società,senza alcuna detrazione;invece le 10.000 lire della cooperativa,essendo considerate come reddito di lavoro (categoria C) corrono la sorte dei redditi di lavoro,iqualisonoesentidaimposta quandoilcontribuente non goda di un reddito complessivo superiore a lire 1.200 o beneficiano di detrazioni,quando il reddito stia fra le 1.201 e le 2.000lire.Perciò se le 200 lire ottenute dal socio della cooperativa a titolo di complemento di salario, aggiunte al salario medesimo ed agli altri redditi dell’operaio o bracciante,non ne porteranno il reddito complessivo apiù di 1.200 lire,esse dovranno andare esenti da imposta;se le 1.200 lire saranno superate ma non le 2.000 lire,ilcontribuentegodrà delle detrazioni spettanti ai redditi mediocri (articolo 22).

 

 

In tal modo si è evitato di stabilire un privilegio di classe,che sarebbe fuor di luogo in una legislazione informata al principiodellauguaglianza di trattamento; e ciononostante giova credere di essere giunti a conclusioni che più eque e favorevoli alla cooperazione non si saprebbero immaginare.

 

 

Naturalmenteleconsiderazionifatte sopra valgono per il caso in cui una cooperativa di lavoro abbia soltanto soci i qualisianoanchelavoratori: quandoinveceunacooperativaabbiasocii quali non siano lavoratori, allora essi rivestono unicamente la figura di capitalisti,ed ildividendo adessipagato,essendo frutto di capitale,dovrà essere considerato in categoria A-1.

 

 

Diversa è la conclusione a cui si è venuti per le cooperative di consumo e per le società di mutua assicurazione. Parecchi consumatori, invece di fare iloroacquisti al minuto presso i rivenditori privati pagando 10 l’unità di merce acquistata, si accordano per fare gli acquisti all’ingrosso per mezzo di unacooperativa:essianticipanoalla cassacomuneilmedesimoprezzo10 o poco meno che avrebbero altrimenti dovuto pagare presso gli esercizi di vendita;ed allafinedell’anno,se risulta dai conti che il costo,tutto compreso,anche le spese di gestione della cooperativa,fu soltanto di 8,i 2 restantivengonorestituitiai consumatori.Finoralafinanza,e correttamente dal punto di vista della applicazione della legge vigente,considerò quel 2comeunutiledella cooperativa e lo colpì a carico di essa;ma questo non può,a vero dire, giustificarsi dal punto di vista economico;perché quel 2 è semplicemente ilrimborsodiunapartedell’anticipazionedi prezzo che si riconobbe esuberante.L’errore produsse altresì il danno che le cooperative, per non pagare un’imposta la quale ledeva il senso dell’equità, usarono stabilire i prezzi di vendita piùvicini ad 8 che a 10,allo scopodirestituireil menopossibile.Così facendo,può accaderecheesseconducano vita stentata,correndo rischio talvolta di vendere al disotto delcostoedi consumareilpococapitaleconferitodaisoci; né giungendomaia rafforzare le loro riserve,perché il margine fra il prezzo ed il costo è insufficiente.Dopomaturoesameperciò,eseguendoleormedella legislazione inglese,colla certezzadigiungereaimedesimirisultati utili,proponiamo che le somme restituite a titolo di rimborso di parte del prezzo non siano soggette a imposta.Naturalmente,la cooperativadovrà, prima di fare restituzioni,assegnare al capitale l’interesse statutario, e in ogni caso un interesse non inferiore a quellolegale,ilqualesarà soggetto ad imposta come qualsiasi altro reddito di capitale (A-1).

 

 

Analoga è l’indoledellesommechele società di mutua assicurazione restituiscono aisociassicurati,iqualiavevanopagatoaprincipio dell’anno un anticipo per l’assicurazione delle cose contro l’incendio o del bestiamecontrolamortalità:seallafinedell’annol’anticiposi riconobbe esuberante e parte di esso viene restituita al socio,non si può affermare che la somma restituita sia utile né della societàné del socio e va perciò esente da imposta.

 

 

Lesocietà dimutuaassicurazionenonhannoperò azionicomele cooperative di consumo;ed i loro utili,all’infuori delleoramentovate restituzioni, mandano sempre a riserva: né si può anticipare il giorno in cui le riserve siano ripartite, come accade per le società per azioni e per le cooperative,perché sarebbe assurdo che una mutua ripartisse le proprie cospicue riserve,accumulate in mezzo secolo di saggia gestione, tra coloro i quali accidentalmente capitano ad essere assicurati in undatoanno.Ad evitareperciò cheinquestocasosicostituiscauna vera manomorta perpetua sottratta all’imposta, fu giuocoforza considerare come reddito imponibile,quella parte dell’avanzo netto di gestione chele associazioni mutue assegnano a fondo di riserva (art. 22).Èl’unica forma diripartizionediveriutili consentita a questa specie di società;e doveva perciò essere colpita.

 

Paragrafo 3. – Il trattamento degli impiegati di enti pubblici.

 

L’attuale categoria D dell’imposta di ricchezzamobilecomprendesoltanto gliimpiegatidellostato,delleprovincieedeicomunie di talune amministrazioni pubbliche dello stato:e li tratta con una aliquotaassai minore che non gli impiegati di tutti gli altri enti morali, oltreché degli impiegatiprivati.Diciò sidolgonoifunzionaridelleCameredi commercio e delle Opere pie,i quali hannofattopervenireripetutamente memorialiepetizionichiedendolaloro parificazione agli impiegati di stato.

 

 

Perrisolvereilpunto,giovaricordarequalesiastatalaragione giustificatrice della classificazione dei redditi di lavoro in due categorie C(redditodellavorodei professionisti e degli impiegati privati) e D, (reddito del lavoro degli impiegati di stato,provincie e comuni).Sembrò e giustamente al legislatore italiano,che più benigno trattamento dovesse riservarsi agli impiegati pubblici,i quali sono accertati finoall’ultimo centesimosuilorostipendiedassegniin cifra sicura e definita,in confronto dei professionisti,il cui reddito per la suaindoleincertae variabile,non può essere accertato con altrettanta sicurezza e viene anzi di solito almeno parzialmente occultato.

 

 

Ma se questa è la ragione del classificare in D,piuttostoché inC,per qualmotivo,diconogliimpiegatidelleOperepieedelle Camere di commercio,i nostri stipendi sono collocati in C?Anche i nostristipendi incifrasicuraedefinita;ancheessisono accertati sino all’ultimo centesimo;risultando essi dabilancisoggettiallasorveglianzadelle autorità tutorie o altrimenti controllabili.

 

 

Nonsipuò disconoscere che l’argomentazione è fondata;e che nulla si può trovare da obbiettarvi.Sicché parve opera di giustizia condiscendere alle istanze ed allargare la categoriaD,inguisadafarvirientrare, insieme a quelli dello stato,delle provincie e dei comuni, altre categorie di impiegati,icuistipendiavesserolemedesimecaratteristichedi accertabilità incifra sicura e definita.Non tutti invero gli impiegati privati o di qualsiasi enteazionarioodanchediqualcheentemorale possonoaspirare al beneficio;perché ciò aprirebbe il varco alle frodi: perciò il beneficio fu esteso solo a quegli impiegati,i cuistipendied assegni risultino da bilanci di enti pubblici soggetti a controllodell’autorità governativa,odientiautarchici,iquali deliberano sui loro bilanci con garanzie di pubblicità e disincerità.E così saranno classificati in categoria D i redditi degli impiegati:

 

 

  • 1) delle amministrazioni distato,mancandolaragionediassoggettare questi impiegati ad un trattamento fiscale più grave di quello che colpisce tutti gli altri impiegati di stato;
  • 2) delle aziende municipalizzate, perché se entrano in D gli stipendi degli impiegatideicomuni,nonvi è motivo di escluderne quelli delle loro aziende autonome, i cui bilanci sono assistiti dalle medesime garanzie;
  • 3) degli enti o consorzi autorizzati ad imporre tributi (come leCameredi commercio,ilConsorziodelportodi Genova,il Consorzio zolfifero ed agrumario,ed altri simili);trattasi di enti autarchici,a cui lostato estese la sua più preziosa facoltà,quella di imporre tributi obbligatori per talune categorie di contribuenti:essi possono dunqueconsiderarsila lungamanodellostato,e non è lecito supporre che questi enti possano foggiare i bilanci,allo scopo di sottrarre una parte dellostipendiodei loroimpiegatialladovutaimposta: né mancanodelresto all’amministrazione facoltà di controllo;
  • 4) delle istituzioni pubbliche di beneficenza soggette alla legge 17luglio 1890,n.6972anchequilostipendio è assegnato in base ad un regolamento organico approvato dall’autorità tutoria,ed è iscrittonel bilancio preventivo approvato dalla medesima autorità; e i conti consuntivi sono soggetti all’approvazione del Consiglio di prefettura;
  • 5)degliistitutipubblici di istruzione e dei corpi scientifici a cui fu ritenuto applicabile il n. 18 dell’articolo 33 dello Statuto del Regno.

 

 

Crescelatendenzadellostatoaderigereinentiautonomicerti stabilimentipubblicidiistruzione;come è accadutoperilRegio PolitecnicodiTorino,leRegiescuolesuperioridicommercio,la Università commerciale Bocconi di Milano,e altri non pochi istituti:lo Statuto stesso del Regno contempla la figura giuridica delle Reali Accademie delle scienze,lequaliesercitanoun’altafunzionediricercaedi elaborazione scientifica:tutti questi istituti o corpi scientifici, quando siano riconosciuti con decreti reali e quando adempiano ad unfinepubblico,debbonoessereconsiderati corpi a cui è affidato un compito pubblico statale; nei loro consigli amministrativi e nelle autorità governative allacuisorveglianzasonosottoposti,tuttiquesticorpi presentanogaranzieamplissimecheilorobilancisiano assolutamente attendibili nelle singole appostazioni: epperò non sarebbe giustizia negare ai loro impiegati il più benigno trattamento della categoria D.

 

 

Al di là di questi casi tassativamente indicati non si è credutoprudente di allargare la concessione.

 

 

Paragrafo 4. – Abolizione del privilegio dei proprietari coltivatori di fondi.

 

Lauguaglianzaditrattamento,la quale ha consigliato le esenzioni e le minorazioni d’imposte fin qui illustrate,harichiestod’altrapartela soppressioneditaluniprivilegiche in varie maniere finora erano stati consentiti e che pregiudicavano il gettito dell’imposta di ricchezza mobile.

 

 

Notissimo e principale fra questi privilegi è quello portatodall’articolo 9 del testo unico 24 agosto 1877 (n. 4021) il quale dispone: «I redditi agrarinon vanno soggetti a tassa se non in quanto sono profitti di persone estranee alla proprietà del fondo».

 

 

Siffatto privilegio fu difeso con due ordini di argomenti: si disse in primo luogo non esserecorrettocolpireunasecondavoltaconl’impostadi ricchezzamobileilproprietariodelfondoche è già perseguito con l’impostafondiariasuiterreni.Maquestoeunevidentesofisma.L’imposta sui terreni, come fu già chiarito sopra (capitolo primo di questo titoloprimo) colpisce il reddito dominicale del fondo,quella parte cioè del prodotto lordo che è fatto suo dal proprietario a titolo di fitto o di rendita fondiaria propriamente detta.Accanto aquestaporzionedel prodotto lordo, vi è una seconda porzione la quale è il compenso non più del capitale investito nell’acquisto del fondo, bensì del capitale e del lavoro che il proprietario ol’affittuarioimpieganonella coltivazionedelfondostesso (scorte vive o morte:bestiame,attrezzi, macchine, carri,botti,fondo di anticipazioni sementi,concimi,salari, ecc.).

 

 

Amenodisupporrecheiproprietaricoltivatoridiretti siano tutti incapaci, il che sarebbe ingiurioso e disforme dal vero, fa d’uopo ammettere che il proprietario coltivatore,il quale si è fatto,percosì dire, affittuario di sé stesso,debba ottenere,dall’identico fondo, l’identico redditochesihaquandoilfondo è coltivatodaaltri.Opinare diversamente,equivaleadire che i proprietari diretti coltivatori amino buttare fatiche,tempo e denarinellacoltivazionedirettasenzaalcun compenso.

 

 

E neppure il privilegio si giustifica col secondo argomento,che fu addotto talvolta in sua difesa,ossia coll’interesse dello statoapromuoverela coltivazione in economia, a preferenza dell’affitto.Èsempre un errore ed undannolasciarguidarelalegislazionefinanziariada criteri extra finanziari; poiché la violazione dell’uguaglianza di trattamento di redditi uguali è un danno assai più gravediquelqualunquebeneficiocheil legislatoredataleviolazionesiripromette.Mavi è poi davvero il beneficio?Chi oserebbe asserire che le magnificheculturedellapianura piemonteseelombarda siano state danneggiate dal sistema dell’affitto ivi preponderante?O non è invecesicurochelacreazionediunaclasse operosa,intraprendentediaffittuariiesperti nella difficile industria agraria ha grandemente giovato al progresso dell’agricoltura,più chenon vi avrebbe contribuito la conduzione diretta dei ricchi proprietari, il più dellevolte,delresto,assenteistierappresentatidaagentinon interessati al miglioramento del fondo?In verità,nullapuò dirsidi assolutointalemateria:poiché,variando le condizioni di luogo,di ambiente, di tempo,di cultura,qui conviene più la cultura diretta,là l’affittoedaltrovelamezzadria.Il legislatore,il quale non voglia compiereoperaantieconomica,oltreché sperequatafiscalmente,deve mantenersiimparzialedifronte ai vari metodi di conduzione della terra: tutti trattando alla medesima stregua, dove esiste reddito imponibile; tutti esentando dove il reddito è minimo, e tutti alleggerendo dove il reddito è mediocre, senza preoccuparsi se chi ottenga il reddito sia proprietario,od affittuario o mezzadro.

 

 

Perquesto stesso motivo si è ritenuto doversi abolire l’attuale metodo di valutare il reddito dei mezzadri e degli altricoloniparziarii,iquali sono colpiti con un’imposta di ricchezza mobile uguale al 5%dell’impostaterrenipagatasulfondo che essi coltivano.Non vi è nessuna relazione logica fra l’imposta pagata dal proprietario e ilreddito ottenuto dal mezzadro. Anche supponendo che l’imposta principale sui terreni sianelle provincie a nuovo,catasto uguale all’8% del reddito dominicale, l’imposta colonica corrisponderebbe allo 0,40% del redditodominicale:ora perché ilmezzadrodevepagareun’aliquotad’imposta così diversa da quella normale e per giunta calcolata su di un reddito non suo?Nel disegno di legge si propone quindi il ritorno al regime comune; e la imposizione del mezzadro o del colono parziarionellacategoriaCdell’impostanormale, considerandosi,con particolare benevolenza, il suo reddito come reddito di puro lavoro:poiché i redditi di categoria C sonoentifinoalle1.200 lire, così accadrà che i soli maggiori mezzadri, coltivatori di importanti fondi, saranno chiamati a pagare.

 

 

Nell’articolo 5,che disciplina questa materia,si è chiaramente indicato che cosa si intende per reddito agrario del proprietario-coltivatorein economia:«ladifferenza fra il valore del prodotto del fondo ed il valore locativo corrente dello stesso aumentato delle spese è perditeamesseper laclassedeiredditiindustriali,inquantoabbianoinerenza con la produzione del reddito agrario medesimo».Dal valore del prodotto lordo, ad esempio di lire 25.000diunfondo,sidedurrannotuttelespesedi produzione (salario semenze, concimi, ammortamenti, macchinario, ecc. ecc.); esì otterrà così ilredditonettoin lire 13.000.Da queste deve dedursi ancora il valore locativo corrente del fondo,ossia la somma che il proprietario-coltivatoreavrebbedovutopagare a titolo di fitto,se invece di coltivare il proprio fondo, l’avesse dovuto affittare da altri; ad esempio 10.000 lire;ed il reddito imponibile in categoria B dellaimposta normale resta per tal modo uguale alla differenza in lire 3.000.

 

 

Si noti che il proprietario – coltivatore ha diritto di dedurre dalle 13.000 liredi suo reddito netto,non la cifra di reddito dominicale accertato ai fini della imposta terreni,bensì il valore locativo correntedelfondo.Nonsivollechelacifradadetrarsifosse quella accertata ai fini dell’imposta terreni perché questa una cifra spesso antiquata,comesopra fu dimostrato,e,quand’anche moderna,ottenuta con criteri differenti da quelli che si devono tenere in conto per la valutazionedelfitto.Sesi detraesserosolole3.000ole 6.000 lire,ad esempio,accertate come rendita imponibile per i terreni,il proprietario – coltivatore verrebbe ad essere colpito oltre misura, su somma ben superiore a quella su cui sopporta l’impostal’affittuario:questi paga invero solo sul reddito netto (13.000 lire) meno il fitto da lui versato al proprietario (lire 10.000),ossia su 3.000 lire;mentreil proprietario-coltivatorepagherebbesu13.000 lire meno le 3.000 o le 6.000 lire accertate ai fini della imposta terreni, ossia su 10.000 o 7.000.

 

 

Ora, se è ingiusto il privilegio attuale, bisogna accuratamente evitare che ilproprietario-coltivatorevengaadesseretrattatopeggio dell’affittuario;eadottenerel’uguaglianzadi trattamento giova dare all’uno – affittuario – il diritto di detrarre il fitto reale da lui pagato, ed all’altro – proprietario-coltivatore – il fitto presunto che egli pagaa sé stesso.

 

 

Spetterà allegislatoredell’avvenirediavvicinare,ilpiù che sia possibile, i redditi accertati in categoria A-3 (terreni) ai valori locativi correnti o fitti reali o presunti ricavabili daiterreni.Perleragioni già esposte non si credette opportuno di mutare ora l’assetto dell’imposta fondiaria: né gioverebbe complicare una eventuale futura riforma, colpendo oggiin B parte del reddito dominicale,il quale razionalmente deve essere accertato nella categoria A-3.

 

 

Paragrafo5. – Il trattamento degli interessi e dei salari.

 

Fermi nel concetto che una equa applicazione dell’imposta non siapossibile echeognitentativodimitigazionedellealiquotesiadestinatoa spuntarsi,se non si provvede a rimuovere ogni privilegio di dirittoodi fattodifrontealdovere dell’imposta,abbiamo cercato di estendere il sistema della imposizione salvo risalva,che tanti buoni frutti ha datoin passato.

 

 

Ènotoinche cosa consista la rivalsa:nell’assoggettare ad imposta la società, ente solvibile e conosciuto,invece degli obbligazionisti e degli azionisti,degliimpiegatiedeicreditori,spessononconosciuti od irreperibili od insolventi;idatoridilavoro,anch’essisolvibilie conosciuti,icomuni,gli,entimoraliper gli stipendi pagati ai loro impiegati ed agenti:il contribuente assoggettato per conto di altri hail diritto di rivalsa contro il vero contribuente.

 

 

Forsenessunostrumentofiscalepiù preziosodell’istitutodella imposizione salvo rivalsafupostoinmanodellafinanzadeglistati moderni.Inauguratodallegislatoreinglesecon la legge 11 agosto 1803 contribuì, più di ogni altra causa, ad assicurare un grande successo a quella imposta la quale aveva datoluogoadacerbidisinganni nellaformaconcuiilsecondoPitt nel 1798 l’aveva creata e nel 1799 l’aveva modificata.Il legislatore italiano subito l’accolse nel 1864 e via via l’estese,allo scopo di renderepiù agevolel’accertamentoepiù sicuralariscossione.L’istituto,chepotrebbesichiamareanchedel contribuente esattore,riposa sul concetto semplicissimo che è assaipiù comodo e sicuro colpire chi paga il reddito che non chi lo riceve:chi paga il reddito è meno interessatoanascondernel’ammontare, è soggettoa controllipiù sicuri,pubblicabilanci e tiene conti,teme le sanzioni punitive per il caso in cui egli paghi il redditosenzasolverel’imposta relativa; ha un patrimonio su cui la finanza si può rivalere: chi riceve il reddito è menoconosciuto,spessoaddirittura ignoto,può facilmente rendere inesigibile la sua quotad’imposta;dà luogoadindaginipiù difficili per la valutazione del reddito:così coloro che pagano i redditi sono pochi e bastano pochi articoli di ruoloperesigeresommecospicue; colorochericevonoilreddito sono moltissimi e le loro quote d’imposta sarebbero piccole e talvolta non francherebbero la spesa dell’esazione.

 

 

Il metodo non è però scevro da difetti,di cui principale quello che esso nascondeai veri contribuenti il pagamento dell’imposta:se la rivalsa non viene esercitata,milionidicontribuentinonsannodiaverlepagata l’imposta;inconsapevolezzagraditaaigoverniche conservano il potere contro o senza il concorso della volontà dei governati,ma giustamente mal vistadaigoverniiquali,amanoilcontrollodeicittadiniedei contribuenti.

 

 

Una giusta via di mezzo,adottata per tenere nel dovuto conto da unaparte leragioni fiscali che consigliano l’adozione dell’istituto della rivalsa e dall’altra le ragioni politiche che consigliano di farconsapevoliiveri contribuentidell’impostapagata, è questa:applicare l’istituto della rivalsa nella imposta normale, la quale colpisce i redditi l’uno, dall’altro separatamente ed astrazione fatta,entro certi limiti,dallapersonadel contribuente;e colpire invece i veri contribuenti, percettori del reddito, nella imposta complementare la quale colpisceilredditocomplessivodel contribuente.

 

 

Poiché l’impostanormale è proporzionaleecolpisce oggettivamente i redditi senza troppo interessarsi della persona che li gode,non è molto importantepoliticamenteimporre il vero contribuente,e primeggia invece l’elemento fiscale della maggiore convenienza di assoggettarechipagail reddito,salvorivalsa.Siccomeinvecel’impostacomplementare è progressiva ed investe tutto il reddito del contribuente e tiene conto delle condizioni sue personali efamigliari,giuocoforza è che si conosca e si colpisca il vero contribuente.

 

 

Perquesteragionineldisegnodileggeattualesi applica nella sua estensione massima il metodo della imposta normale;e lo si escludeinvece nellacomplementare,salvo,nell’uncasoenell’altro,leeccezioni consigliate da speciali circostanze.

 

 

Due lacuneprincipalisiriscontravanonellalegislazionevigenteper l’imposta di ricchezza mobile rispetto all’istituto della rivalsa:

 

 

  • a) lafinanza aveva bensì diritto di colpire gli interessi dei depositi a risparmio ed in conto corrente a nome delle società per azioni; ma non già a nome delle società in accomandita semplice,di quelle in nome collettivo edeiprivati esercenti l’industria del credito:accadeva perciò che gli interessi di conti correnti e di depositi a risparmio fatti presso banchieri privati o banche costituite in accomandita sempliceoinnomecollettivo sfuggisseroall’imposta:orasipropone (articolo 33) che anche a questi casi sia estesa la imposizioneperrivalsa:nonvi è ragionecheil capitalistao il risparmiatore il quale ritrae interessi da conti correnti, o da depositi a risparmio sfugga all’imposta solo perché egli è cliente di un privato banchiere piuttostoché di una banca eretta a formadisocietà per azioni;
  • b)secondolalegislazionevigente,la imposizione per rivalsa colpisce bensì gli stipendi degli impiegati ed isalarideicapitecniciedegli altrioperaiiqualicopronounafunzionedicaratterepermanente o necessario, ma non si estende ai salari degli operai:il che aveva condotto alrisultato che,salvo rarissimi casi,ben pochi sono gli operai colpiti con l’imposta,anche quando i salari sono notevolmente superiori alminimo esente:diquiuna sperequazione stridente fra salariati di enti pubblici pagati con mensilità magari di cento lire e che pur sono colpiti contutto rigore,mentreoperai,iqualigodonosalariconsiderevoli,nulla contribuiscono direttamente alle spese pubbliche.

 

 

Siamo di fronte ad un vero privilegiodiclasse,ilqualevaanch’esso abolito.Glioperaihannoragione di essere esenti;ma non già perché operai, sibbene perché e quando il loro salario non supera la misura minima che per tutti i contribuenti si ritiene dover essere esente dall’imposta: ed è a credere che così facendo si concorra pure atogliereunadisparità politica,la quale,se pure vantaggiosa per i lavoratori,veniva in certo modo a collocarli in unaposizionemoralmenteinferioredifronteallo stato:ilsalariato è uncittadino come tutti gli altri,cogli stessi diritti e cogli stessi doveri:ecco il principio che si è voluto affermare anche nell’ordinamento tributario.

 

 

Ascopodicontrollodelle dichiarazioni dei datori di lavoro è apparsa altresì utile un’aggiunta al sistema vigente:laobbligatorietà dichi ricevestipendi,onorari,pensioniesalaridifarne denunzia diretta all’ufficio erariale delle imposte (articolo 34):l’impiegatoel’operaio cioè dovrannoancheessidenunziaredirettamentel’ammontaredello stipendio o salario che essi percepiscono,la imposizione verrà fattaal nome ed a carico del datore di lavoro: ma la denuncia contemporanea da parte dichiricevelostipendioosalarioservirà dicontrollodella dichiarazione del datore di lavoro e gioverà a renderemenofrequentile frodi.Se è inveropossibile che una società od un industriale denunci una cifra minore del vero per lo stipendio o salariodeisuoidipendenti, alloscopodirisparmiareparte dell’imposta,siffatta frode sarà meno agevole quando società edindustrialedovrannopreventivamentemettersi d’accordocoilorodipendenti,perevitaredisparità nelledenuncie inesatte.Praticamente,lafrodenellemaggioriaziendeverrà resa impossibile:esiotterrà frattantoin parte l’intento moralizzatore e politico di rendere avvertiti gli impiegati e gli operai del fattochesul lorostipendio o salario grava un’imposta,sebbene poi questa venga pagata dal datore di lavoro.

 

 

La stessa opportunità delcontrollospiegalenormeintrodottenegli articoli 31, 43, 45, 89 e 90, e secondo le quali quando l’azienda abbia alla propriadipendenza un ragioniere o contabile,dovrà questi apporre la sua firma sulla dichiarazione,insieme a quella del proprietario odellegale rappresentante dell’azienda stessa.

 

 

Paragrafo 6. – La valutazionedei redditi per gruppi.

 

Un’altra novità di qualche importanza va rilevata in questo punto nel quale sidiscorredelleprovvidenzerivolte ad ottenere la maggiore sincerità nelle dichiarazioni e la maggiore esattezza nella valutazionedeiredditi; ed è lavalutazionedeiredditidicategoria B e C da farsi non più individualmente; ma per gruppi e specie di contribuenti (articolo 41).

 

 

Oggi le rivalutazioni si fanno ogniquattroanni;mainconfuso,senza procederecategoriapercategoria,conlasola regola che non possa la finanza rivedere l’accertamento di un singolo contribuente primachesiano passati quattro anni dall’accertamento precedente.E così accadrà che nel 1917 si rivedano contemporaneamente gli accertamenti di un cotoniere,di un metallurgico,di un albergatore eviadicendo.Dasiffattamanieradi revisioniprocedechenonsipossono seguire criteri di uniformità fra contribuente e contribuente appartenenti al medesimo gruppo:se l’industria alberghiera, ad esempio,traversa in un annodeterminatounacrisi,glialbergatoririvedutiinquell’anno otterranno una diminuzionediredditolaqualerimarrà fermaperun quadriennio;mentrenegliannisuccessiviglialbergatorisarannoo dovrebbero essere colpiti sopra una basepiù elevata,essendolacrisi venutameno.Spessoperò,i contribuenti colpiti negli anni buoni fanno richiamocontrol’accertamentoalleCommissioni;notandochelaloro imposizione è sperequatamentetroppoaltain confronto di colui che ha avuto la fortuna di essere accertato nell’anno di crisi;e non diradole Commissioniaccolgonoilreclamo.Intalmodo è accadutochegli accertamenti si fanno non più sul reddito vero dell’annata;ma sullabase di un immaginario reddito medio, il quale ha la tendenza a scendere verso il reddito dei contribuenti meno colpiti.

 

 

Convintidegliinconvenientidelsistema presente,non abbiamo ritenuto tuttavia opportuno di ritornare al sistema antico, vigente prima della legge 2 maggio 1907,n.222,in virtù di cui tutti gli accertamenti erano rivedutiognidueanni:questo metodo fu a ragione abbandonato,perché imponeva un lavoro saltuario e tumultuarioall’amministrazione,eperché coalizzavatuttiicontribuenti nella lotta contro la finanza e provocava interventi dannosi all’equa ripartizione dell’imposta.

 

 

Fu invece preferito il sistemaintermedio,percui:a)siconservala revisionequadriennaleecosì sigraduae si rende costante il lavoro amministrativo, mentre i contribuenti dal canto loro non sono disturbati per quattro anni e sonomenospintiacoalizionidannoseperilpubblico interesse; b) ma, invece di procedere individualmente ed a caso, si dividono icontribuentipergruppiospecie,edogniannosirivedonogli accertamenti di un quarto dei gruppi stessi.E così nel1920,acagion d’esempio, si rivedono tutti i cotonieri, i lanaioli, i setaioli e gli altri industrialidell’artetessile;nel1921quellidellevarieindustrie siderurgiche,metallurgicheemeccaniche; è così via.Facendosile revisioni per gruppi si potrà usare uno stesso metro per tutti i componenti ilgruppo;esi potrà aver riguardo non al reddito del più fortunato di essi,ma al reddito verocheognunohaeffettivamentericavato.Giova sperarechedalnuovometododebbano derivare migliori e più perequati accertamenti.

 

 

Paragrafo 7.- La valutazione dei redditi al lordoe la nullità delle traslazioni d’imposta.

 

Rimanendoancoraperun istante nel campo delle sperequazioni da abolire, importa richiamare l’attenzione su di unprincipiodiapparenzamodesta, sancito dall’articolo 29, il quale dispone:

 

 

«Pertuttele categorie di redditi la valutazione è sempre fatta al lordo dell’imposta normale sui redditi».

 

 

L’articolo vuole togliere di mezzo una stridente sperequazione la quale oggi intercede fra redditi e redditi ed è, come ogni sperequazione, dannosa alla finanza;quella cioè derivante dal fatto che i contribuentiiqualinon paganopertrattenutaoppurenonsubisconolarivalsa,vengono effettivamente a sommare l’imposta col lororeddito,equindipagarela stessaimpostasopra un reddito maggiore di quello a cui essa si rapporta.

 

 

Qui,non si vuole affatto pregiudicare la questione teorica che può farsi pervedere chi sia l’ultimo contribuente inciso dall’imposta; né togliere validità alle private convenzioni già stipulate per cui il debitore si è obbligato a rimborsare l’imposta al creditore,o un determinato ente, od un datore di lavoro a non esercitare larivalsa;no:sitrattadiattuare ancoraunavoltailprincipiodellaeguaglianzatributaria.Tuttii contribuenti devono essere trattati alla stessastregua:tuttisullordo ovverotuttisulnetto.Laimposizione sul netto sarebbe manifestamente assurda perché ogni imposta, la quale colpisce un reddito, viene dopo e non prima che il reddito sia accertato: tutte le imposte colpiscono i redditi al lordo di se, stesse; né è possibile pensare altrimenti; del resto, sia che l’imposta cada sul lordo ovvero sul netto, il risultato è identico,quando si varii opportunamente l’aliquota: ma una volta stabilita una aliquota, non deveesserelecitoeludernele previsioni finanziarie,e quindi un buon sistema tributario non può lasciare alla malizia dei contribuenti la scelta fra il pagare sul lordo o sul netto: un simile ibridismo porta al risultato, che i contribuenti,appena possano e sappiano,scelgono l’impostaminore, condannodellafinanza e con ingiustizia verso quei contribuenti che non fruiscono della facoltà di scelta.

 

 

Nel medesimo articolo 29 si trova proposto un altro importante principio che è correlativo a quello fin qui illustrato.«Non sono valide le convenzioni stipulatedopolapubblicazione della presente legge diretta ad accollare l’onere dell’imposta a persone diverse da quelle indicate dallaleggecome contribuentioppure a privare del diritto di rivalsa le persone a vantaggio delle quali la rivalsa stessa è dalla legge stabilita».

 

 

È ben noto come i contribuenti,ai quali illegislatorefaobbligodel pagamentodiunadataimposta,usinonondiradoaccollarne convenzionalmente l’onere ad altre persone con cui si trovano stretti daun rapportogiuridico,eludendo così la distribuzione voluta dallo stato fra le diverse classi di redditi,e quindi fra le diverse classi dicittadini: ond’è utile, è anzi necessario,che il legislatore – salvo a chiunque il diritto di fare rinuncia del proprio credito – impedisca chelearbitrarie convenzioniprivateturbino,anchesolo nell’apparenza esteriore legale, l’armonico assetto dei tributi quale fu da lui stabilito e faccianocredere che vi siano privilegi e sovraimposizioni non aventi fondamento nella legge.

 

 

Affermando tale principio sano e giusto, non si è voluto però pregiudicare lostatodifattoattualmentevigente.Oggiesistono convenzioni già stipulate, mutui già contratti ad un certo tasso,obbligazioni già emesse adundatoprezzo,stipendigià convenutiinunadatasomma,in contemplazione dellastipulataimmunità orimborsodell’imposta:tali convenzionipassate devono rispettarsi se non si vuole arricchire gli uni a danno degli altri:per mettere nelnullaleconvenzionid’accollogià stipulate,occorrerebbedarmododinovareicontrattidi mutuo,di emissione,dilocazioned’opera,ecc.,ecc.;ilcheprodurrebbe perturbazionisenza fine:nulla,dunque,si turbi per il passato;ma si provveda per l’avvenire ad impedire l’inconveniente moraleepoliticoche sorgequandoilcittadinosi surroga allo stato nel regolare riparto dei pubblici carichi.

 

 

Esiste, è vero,una obiezione economica tanto facilequantoesatta: è infattievidentecheil non poter più accollare ad altri l’imposta darà luogo ad aumento del saggio d’interesse,deicanonidilocazione,degli stipendi e salari, ecc.: né noi certamente presumiamo di mutare l’andamento delle leggi economiche con un articolo di legge:a meno di fissare altresì con una legge il massimo degli interessi,dei fitti,deglistipendi,dei salari, è impossibileimpedirecheessinonvariinoinconseguenza dell’imposta e del suo accollo.

 

 

Cionondimeno, qualche pur modesto risultato anche economico il comma secondo dell’articolo 29 non mancherà di produrre:

 

 

  • a) in primo luogo accadrà che, in caso di eventuale aumento delle imposte e sovrimposte,l’onererelativononpotrà subitoesenz’altroessere trasmessosupersonediversedaquellevolute dal legislatore:se mai l’aumento potrà avvenire soloacontrattofinito,mentrenelcontempo possono mutare le condizioni del mercato e renderlo non più possibile;
  • b)insecondo luogo,non sempre la traslazione dell’imposta dal creditore suldebitore,dalproprietariosull’inquilinoodaffittuario, dall’obbligazionistaoimpiegatosull’ente, è facileper pure ragioni economiche:occorre aumentare all’uopo addirittura i tassi di interessi,i fitti,glistipendicorrentisulmercato:ebenpuò darsi che tali variazioni incontrino ostacoli,e debbano superare attriti per verificarsi: illegislatorenonpuò presumeredi impedirli per sempre;ma non deve facilitarli col dare valore legale a convenzioniprivate,lequalisono, come è dimostrato sopra,contrarie al buon reggimento dello stato ed alla sensazione di equità che è d’uopo domini nella coscienza pubblicaintorno alla ripartizione dei tributi.

 

 

Paragrafo 8. – L’aumento del limite di esenzionee il metodo delle detrazioni.

 

Le riforme le quali furono fin qui descritte ed altre minori, sono destinate arafforzare grandemente la finanza nella ricerca dei redditi imponibili ed a ripartire più equamente il carico deltributo.Daciò si è tratto argomentoaproporreun’ultimariforma:laelevazione,dellimite di esenzione dall’imposta a lire 1.200 pei redditi delle categorie B, C e D.

 

 

Attualmente nessuna esenzione generale per causadiredditominimoviene concessaairedditi dei terreni,dei fabbricati e dei capitali mobiliari.Pur non volendo chiudere gliocchidinnanziaibuoniargomentichesi potrebberoelencarea favore di una limitata esenzione delle quote minime, è necessario riconoscere che tali argomenti sono assai menovalidiperi redditi di capitale puro che per i redditi misti e di lavoro.Questi ultimi dipendonodall’operadell’uomoodallasuacollaborazionepersonale all’esercizio dell’industriaedicommerci;quellidipendonodalsolo impiego di capitale:il piccolo proprietario di fondo è bensì colpito per il reddito che riceve dalla terra in qualità di proprietario;ma è esente perilredditochedallaterraricava,inqualità dicoltivatore, possessore delle scorte vive e morte,e di lavoratore manuale;e laparte delredditoesente è sempre notevolmente superiore a quella colpita:il piccolo proprietario di una casetta o il risparmiatore che ha depositatoil suo capitaletto alla cassa di risparmio o l’ha dato a mutuo, è colpito per questo da imposta;ma i redditi del suo lavoro sonoesenti.Inavvenire, quando il nuovo assetto tributario sarà sistemato,non è escluso si possa fare un passo innanzi,e provvedere anche all’esenzione delle quoteminime ditaluniredditidicapitale:oggil’esenzionesarebbeimprudente; aprirebbe un vuotocospicuonelleentratedellostatoefarebbesorgereproblemi delicatissimi per gli enti locali,di cui non di rado la materia imponibile è costituita in granpartedaquoteminime.Perquesteragioni,che trovavanoquiluogodiessereripetute,nullasi è innovato per le categorie A-1 (redditi dei capitali mobiliari dati a mutuo odinvestitiin titoli), A-2 (redditi dei capitali investiti nei fabbricati) ed A-3 (redditi dei capitali investiti in terreni).

 

 

Per le categorie B, C e D dell’imposta di ricchezza mobile, che sono pure le categorie B, C e D della normale, è noto il regime vigente:

 

 

  • a) nessunaesenzioneper i redditi della cat.D,su cui l’imposta viene esatta col metodo della ritenuta;ossia per gli impiegati dellostato:la esenzionefu esclusa per ragioni tecniche,essendo sembrato impossibile di poterevoltapervoltaintuttiipagamentidistipendi,pensioni, indennità,diarie,fatti dallo stato,distinguere quelli che spettano ai contribuenti con un reddito non superiore al minimo:ma tale esclusione non si è creduto di poter mantenere in un regime nuovo,oggi specialmente che, essendo quasi scomparsi gli stipendi inferiori alire1.200,laritenuta colpirebbe soltanto le più modeste pensioni od i sussidi a bisognosi;
  • b) esenzione per tutti gli altri contribuenti,a carico di cui l’imposta si esige col metodo dei ruoli nominativi,fino a 400 lire imponibili,secondo ilregimedellediscriminazioni, cioè sinoadeffettivelire 533 in categoria B (redditi misti di industriaedicommercio,alire640in categoriaC (redditi di lavoro) ed a lire 800 in categoria D (redditi degli impiegati di amministrazioni pubbliche non soggetti a ritenuta diretta,dei comuni e delle provincie).

 

 

Elevareuniformementeil minimo di esenzione a lire 1.200 è provvedimento di evidente necessità,non foss’altro inconsiderazionedelladiminuita potenza d’acquisto della moneta, cioè di un fenomeno che accenna, se non a consolidarsi nella misura attuale,almeno a permanere come esponente di una nuova situazione economica generale.

 

 

Nessunapreoccupazionefinanziariaperciò stessopuò arrecarela elevazione,la quale del resto toglierà una somma di inconvenienti chein pratica si verificano col sistema attuale.Èinvece prudente non cedere ad unafacile tendenza verso sgravii più sensibili;perché questi,data la grande prevalenza chehannoinItaliairedditimodesti,ridurrebbero notevolmentela efficienza della imposta,obbligando l’erario a cercare le sue risorse, più che ora non faccia, nelle imposte sui consumi,attraverso le quali l’onere voluto evitare ricadrebbeugualmente, anzi più diffusamente, sulla grande massa dei cittadini.

 

 

Ènostraopinionefermachel’elevamentodeilimiti di esenzione non muterà gran fatto la situazione odierna;ma gioverà sovrattutto a mettere d’accordolarealtà conl’apparenza.Coloro i quali avevano redditi di 1.201 ed erano accertati per 534 o 641sarannooraaccertatiper1.201, perché mancherà la ragione di diminuire per umanità gli accertamenti;e coloro che hanno sul serio redditi di 800,1.000,1.100,1.200lirenon dovrannolottareafarsipicciniper sembrare non superiori a 533 o 640 lire;

 

 

  • c) e si otterrà cosi il vantaggio della perequazione.Oggi il contribuente di categoria B e C aredditovariabileedincerto,comesonotuttii commercianti,gliindustriali,gliartigiani,iprofessionisti,può industriarsi a figurareperassaimenodiquellocheè,esfuggire all’imposta.Mailcontribuente della C e della D a reddito fisso e certo (impiegati d’opere pie, di provincie, di comuni,di enti morali,ecc.) non può nascondersi ne in tutto né in parte:il suo reddito di 1.000 o 1.200 lire risulta da bilanci o documenti; e la finanza, neanche se lo volesse, lo può esentare.Quindi egli paga sul vero;mentre i contribuenti aredditi variabiliottengono di cade
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