Opera Omnia Luigi Einaudi

Che cosa rende il capitale nelle industrie?

Tipologia: Paragrafo/Articolo – Data pubblicazione: 04/01/1924

Che cosa rende il capitale nelle industrie?

«Corriere della Sera», 4 gennaio 1924

Cronache economiche e politiche di un trentennio (1893-1925), vol.VII, Einaudi, Torino, 1963, pp. 534-539

 

 

 

Il «Credito italiano» pubblica per la nona volta il grosso volume di Notizie statistiche sulle società italiane per azioni (pp. CXI-1.671, in quarto grande), la cui utilità nella nuova e comoda veste tipografica sarà certamente apprezzata da quanti uomini d’affari, risparmiatori, industriali avranno bisogno di sapere notizie sullo scopo, sull’amministrazione, sulla storia, sui bilanci di 3.178 società per azioni rappresentanti più dei nove decimi del capitale delle 6.734 società esistenti al 31 dicembre 1922 in Italia. Per ragioni di spazio non sono comprese le piccole società aventi un capitale inferiore ad 1 milione di lire in genere od a 500.000 lire, se trattasi di società di navigazione od elettriche.

 

 

Se il volume è titolo d’onore per l’istituto che lo pubblica ad utilità dei suoi clienti e corrispondenti, esso presenta allo studioso una particolare attrattiva per i riassunti statistici compilati, insieme con tutto il resto, dall’avv. Mario Mazzucchelli.

 

 

Il grande scoglio contro cui dall’inizio della guerra si urta quando si vuol rispondere alla domanda: «Quanta rende in Italia il capitale investito nelle industrie?» è la mutabilità della lira. Una società che aveva un capitale di 10 milioni di lire nel 1914 e non l’ha mutato in seguito, nel 1922 guadagna 1 milione di lire. L’utile è del 10%? No; perché le due unità di misura sono diverse: i 10 milioni di capitale sono espressi in lire grosse da 100 centesimi – oro ed il milione di utili è in lire piccole da 25 centesimi. In Germania, dove il deprezzamento della moneta è andata agli estremi, vi furono società le quali distribuirono in apparenza il 1.000, il 10.000% in un anno sul capitale; e ciononostante gli azionisti ricevettero somme infinitesime: poche lire vere su un capitale di milioni. In Italia non siamo giunti a tanto; ma il deprezzamento è andata abbastanza innanzi per rendere assolutamente sbagliati tutti i raffronti fra capitali ed utili d’un tempo e capitali ed utili d’adesso. Quando si sente dire che il valore di un’azione è aumentata da 1.000 a 2.000 lire, si rimane incerti: ci fu aumento o ci fu diminuzione? Siccome 2.000 lire di adesso valgono al massimo 500 lire di ante-guerra, gli azionisti si illudono quando immaginano d’aver guadagnato la differenza fra 1.000 e 2.000; essi hanno perso invece la differenza tra 1.000 e 500. Il loro guadagno è tutto comparativo; perché mentre essi perdettero solo il 50%, i detentori di vecchia rendita 3,50%, che valeva 100 lire buone prima e vale 78 lire cattive adesso, equivalenti a 19,50 lire buone, hanno perso 80,5% del patrimonio antico. Perciò i possessori di rendita hanno assai più ragione di lamentarsi; ma non perciò i possessori di azioni possono illudersi di aver guadagnato, quando il valore delle azioni non sia più che quadruplicato.

 

 

Il Mazzucchelli ha il merito di ridurre in cifre qualcuno dei problemi misteriosi nascenti intorno al deprezzamento della lira: qualcuno soltanto, forse la minor parte. E per questa minor parte, le sue cifre sono soltanto approssimative; primi tentativi il cui significato è parziale. Ma bisogna cominciare e Mazzucchelli ha cominciato. Egli ha ridotto le cifre di capitale ed utili o perdite a comun denominatore, assumendo al 31 dicembre 1915 il valore della lira a 96 centesimi – oro; e quello di 81,70 al 31 dicembre 1918, di 39,10 al 31 dicembre 1919, di 18,30 al 31 dicembre 1920, di 22,50 al 31 dicembre 1921 e di 26,30 al 31 dicembre 1922. Prima del 1915, alla pari. Ecco l’incremento del numero e del capitale delle società per azioni italiane:

 

 

Anno

Numero

Capitale in carta

milioni di lire in oro

 

1863

379

1.331

1.331

1883

785

1.811

1.811

1913

2.882

5.170

5.170

1916

3.121

5.831

5.731

1919

4.422

12.848

10.019

1920

5.995

17.683

11.904

1921

6.075

20.248

11.436

1922

6.734

21.693

11.816

30 giugno 1923

7.266

22.706

12.065

 

 

Bisogna notare che per ogni anno il Mazzucchelli applicò il coefficiente nuovo di riduzione solo al «nuovo» capitale versato nell’anno e non al capitale antico, il quale rimase valutato, come doveva, a norma dei coefficienti proprii delle epoche nelle quali l’investimento era stato eseguito. Una società che aveva un capitale di 10 milioni di lire nel 1914 e lo raddoppiò nel 1922, ha un capitale in lire-oro di 10 milioni versate prima del 1914 e di altre lire 10 milioni, ridotte a 2 milioni 630.000 perché versato nel 1922; in tutto di 12 milioni 630.000 lire-oro.

 

 

Con questa avvertenza, le cifre riportate sopra sona molto incoraggianti. Il progresso non è tutto un giuoco d’artificio derivante dal deprezzamento monetario. In buona parte esso è un progresso reale: da 5 miliardi investiti nel 1913 siamo passati a 12 miliardi nel 1923. Sono 700 milioni di lire-oro all’anno investiti nelle sole società per azioni. In un librettino prezioso di Dati finanziari italiani, che è una specie di introduzione al grande volume d’oggi, lo stesso Mazzucchelli ci dice che il nuovo risparmio che si forma annualmente in Italia e che viene investito in titoli di stato, azioni e valori diversi, depositi bancari di tutte le specie, case, opifici, miglioramenti agricoli ed in qualsiasi altro modo poté nel 1922 essere calcolato a 12 miliardi di lire-carta, equivalente a 3 miliardi di lire-oro. Nel 1891 Bodio aveva calcolato in 500 milioni la stessa cifra. Quanto cammino da allora in poi?

 

 

A prima vista, leggendo le cifre che seguano, si dovrebbe concludere che i risparmiatori hanno torto a metter da parte somme così egregie. Leggasi quanto ci dice l’autore ora citato intorno al rendimento medio del capitale investito in società per azioni:

 

 

 

Anno

Numero società

Capitale in milioni di lire

Utili, dedotte le perdite in milioni di lire

Per cento dell’utile sul capitale

 

 

carta

oro

carta

oro

carta

oro

Banche, Società finanziarie e Crediti fondiari

1915

99

848

814

-32,5

-31,1

-3,83

– 3,82

 

1918

136

1.135

1.049

118,4

96,8

10,43

9,22

 

1919

143

1.464

1.177

164,8

64,5

11,26

5,47

 

1920

165

2.084

1.291

254,0

46,5

12,18

3,60

 

1921

205

2.982

1.493

247,2

55,6

8,28

3,72

 

1922

228

3.326

1.583

239,0

62,8

7,18

3,97

 

 

 

Anno

Numero società

Capitale in milioni di lire

Utili, dedotte le perdite in milioni di lire

Per cento dell’utile sul capitale

 

 

carta

oro

carta

oro

carta

oro

Industrie

1915

941

3.347

3.299

308

296

8,97

8,97

 

1918

1.221

6.334

5.748

715

584

11,28

10,16

 

1919

1.486

8.088

6.434

819

320

10,12

4,97

 

1920

1.845

11.260

7.014

887

162

7,87

2,31

 

1921

2.217

13.727

7.569

-323

– 73

– 2,35

– 0,96

 

1922

2.508

13.802

7.589

135

35

0,97

0,46

 

 

Perché i lettori non credano che si voglia con queste tabelle dare un’idea erronea della realtà, bisogna riflettere che esse contengono i risultati, poco brillanti in verità, quali i consigli d’amministrazione hanno ritenuto opportuno presentare agli azionisti. Ci possono essere mille ragioni buone e qualcuna cattiva per far risultare dai bilanci un utile di 1 milione, laddove se ne sono guadagnati invece due: necessità di accumular riserve per i giorni cattivi, opportunità di rafforzare la situazione finanziaria ecc. Alla lunga, tuttavia, quelli che contano gli azionisti sono gli utili venuti alla luce; e questi, dopo il periodo brillante dal 1915 al 1920, sono stati nel 1921 e nel 1922 assai magri. Per giunta, gli utili reali in lire-oro sul capitale oro, sono stati ancor più magri di quelli apparenti in carta. Già nel 1919 e nel 1920 quando pareva che gli utili fossero alti, ridotti ad oro su capitale oro erano assai modesta cosa.

 

 

Per fortuna, i risparmiatori non fanno i conti sulle medie ed hanno ragione. Le cifre sopra riassunte sono quelle in base a cui si deve logicamente rispondere ai collettivisti, i quali si scandalizzano dei grossi guadagni di qualche fortunata impresa e dicono: «Ecco quanto guadagnerebbero gli operai se l’impresa fosse collettivizzata!» La collettività guadagnerebbe, al massimo e nell’ipotesi più straordinariamente ed incredibilmente favorevole, quanto guadagnano in media le imprese private: ossia meno di quanto costerebbe alla collettività medesima l’interesse corrente sul capitale che essa dovesse farsi imprestare dai risparmiatori privati per gerire le imprese socializzate. Ché, per migliaia d’anni almeno, le collettività non saranno capaci esse di risparmiare e per tale ufficio dovranno per un pezzo ricorrere alle buone grazie dei privati risparmiatori.

 

 

Se la collettività deve ragionare sulle medie, i risparmiatori singoli possono fare altri conti. La media del 3,97% di utile in oro per le banche e dello 0,46% per le industrie nel 1922 è una media, ossia una risultante di grossi, medi e piccoli utili, e di modeste e grosse perdite. Basta scomporre i dati e le differenze saltano subito fuori. Non posso entrare, per ragioni di spazio in troppi particolari; e mi limito a dare la percentuale dell’utile in oro sul capitale in oro per gruppi di industrie e per tre anni: il 1915, che fu un anno in cui si era ancora in transizione dalla pace alla guerra, il 1918 che fu l’anno dei massimi utili ed il 1921 in cui la crisi era nel momento peggiore.

 

 

 

1915

1918

1921

Banche

 

– 9,73

11,20

4,47

Società finanziarie

 

5,17

5,91

2,61

Navigazione marittima

 

6,83

10,72

– 0,11

Navigazione lacuale e fluviale

 

– 3,44

1,52

– 1,81

Ferrovie, funivie funicolari

 

2,18

0,79

– 5,05

Tranvie

 

3,24

1,82

– 2,49

Servizi automobilistici

 

4,88

2,85

– 3,11

Comunicazioni

 

8,02

10,05

– 2,78

Trasporti diversi

 

13,63

15,27

3,16

Seta

 

11,43

14,24

– 0,65

Lana

 

16,60

20,81

– 0,45

Lino, canapa, juta

 

30,01

44,10

7,83

Cotone

 

11,73

14,68

3,93

Tessili diversi

 

9,62

17,59

3,15

Abbigliamento

 

7,87

11,46

– 1,18

Estrattive

 

17,94

16,91

– 6,04

Metallurgiche

 

13,93

14,61

– 12,98

Meccaniche

 

9,80

9,93

– 6,20

Autoveicoli

 

28,25

11,19

– 2,29

Elettriche

 

6,26

5,43

2,12

Materiale elettrico

 

4,79

10,20

– 0,81

Gomma

 

15,43

19,21

– 1,48

Cartiere

 

12,06

23,09

7,30

Arti grafiche

 

2,82

3,06

1,50

Pellami

 

27,65

13,51

– 4,77

Chimiche

 

11,32

11,92

1,73

Legnami

 

7,72

8,57

0,28

Calce, cementi

 

5,30

13,24

6,55

Laterizi

 

5,15

10,31

3,52

Ceramiche

 

3,20

11,09

1,97

Vetri

 

6,65

46,98

5,30

Alimentari

 

14,88

14,18

5

Acquedotti

 

7,97

5,16

0,68

Alberghi, terme, teatri

 

– 5,54

– 0,76

3,29

Pellicole

 

– 2,27

4,98

– 2,06

Sylos e magazzini

 

11,38

10,43

2,62

Edilizie ed immobiliari

 

1,44

4,93

1,81

Commerciali

 

14,89

15,38

– 0,45

Assicurazioni

 

31,33

22,33

6,34

Diverse

 

4,74

10,07

– 2,86

 

 

Le riflessioni che si possono fare attorno a questi risultati sono diversissime; ognuno potendo interpretarli a seconda delle proprie particolari informazioni. Si può, in talune industrie, perdere quando altri guadagna anche il 47% in un anno; e ci si può salvare anche negli anni in cui molte industrie perdono. Il mondo industriale moderno non è inspirato al principio della uniformità; vi sono differenze profonde da industria ad industria; ed un gran pregio del sistema che si dice capitalistico è di non promettere nulla al capitale per se stesso; e molto a chi lo sa utilizzare bene. Se, invece di medie per industrie, fosse possibile citar casi individuali, società per società, le differenze sarebbero ancora più sbalorditive. Impiegare bene i risparmi è oggi un’arte difficilissima; richiede conoscenza di uomini, della loro capacità tecnica e probità morale, esperienza di cose economiche, studio per scegliere le industrie promettenti, pazienza nell’attendere per anni i frutti dell’investimento. Se non si ha tempo e voglia di studiare e di informarsi, se si è impazienti ed ingordi il meglio che si possa fare è portare i proprii danari alle Casse di risparmio al 3%.

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