Opera Omnia Luigi Einaudi

Per una collezione italiana di scritti rari di economisti

Tipologia: Paragrafo/Articolo – Data pubblicazione: 01/03/1932

Per una collezione italiana di scritti rari di economisti

«La Riforma Sociale», marzo-aprile 1932, pp. 204-207

Saggi, La Riforma Sociale, Torino, 1933, parte II, pp. 435-440

 

 

 

 

Pietro Verri: Bilanci del commercio dello Stato di Milano, a cura di Luigi Einaudi. Vol. I, di una «Piccola collezione di scritti inediti o rari di economisti», diretta da Luigi Einaudi. (Un vol. in-4° di pag. 119 e 6 tavole grandi. Torino, La Riforma Sociale, 1932. Prezzo Lire 16).

 

 

Ragionando con amici affezionati ai libri vecchi, assai volte, non si sa perché, introvabili nelle biblioteche pubbliche locali e scomodi a far venire in prestito da altri luoghi, si è lamentata spesso la mancanza in Italia di iniziative rivolte a fornire agli studiosi ristampe di libri divenuti irreperibili nel comune commercio o non mai venuti alla luce sotto forma di volume od addirittura inediti, i quali presentassero interesse per la storia del pensiero economico. Non si vuol qui accennare alle grandi collezioni di opere classiche dell’economia, come quelle che l’Italia ha il vanto di possedere negli ottanta volumi della Biblioteca dell’economista e di voler continuare nella nuova «Collana di economisti» edita prima da casa Pomba e poi dall’Unione tipografico editrice Torinese; o negli otto volumi della Biblioteca di storia economica di Pareto Ciccotti, editi dalla Società editrice libraria di Milano. Queste grandi raccolte adunano il fiore della letteratura economica internazionale, opere di autori per lo più venti, che voglionsi portare a conoscenza degli studiosi italiani. L’esempio nostrano più insigne della specie di collezione a cui qui si guarda fu offerto dal barone Custodi quando tra il 1803 ed il 1816 pubblicò i cinquanta volumi della celebre raccolta di Scrittori classici italiani di economia politica, che già allora divulgava opere divenute rarissime, e fu il principale veicolo per cui si sparse nel mondo la notizia del pensiero economico italiano. Dopo di allora, si iniziò in Piemonte nel 1820 una raccoltina di economisti piemontesi fermatasi al primo quaderno ed alla sua appendice; si stamparono nel 1847-1849 quattro volumi di una raccolta di economisti toscani, continuata poi con altri quattro tra il 1896 ed il 1899 dal compianto Morena. Poi, più nulla. Fuori d’Italia, invece, a tacer delle collezioni, grosse o piccole, francesi, tedesche ed americane, di classici propriamente detti, si sentiva il bisogno di dare alla luce, in appropriate serie, scritti di segnalato valore per la storia delle idee e del metodo. Così sorsero, dopo quella del Mac Culloch, le due collezioni, americana l’una, del prof. J.E. Bollander, ed inglese l’altra, della London School of Economics, di cui discorsi nel passato numero della rivista (pag. 61 e seg.). Trattasi di scritti che, per la modesta mole, per la piccola tiratura, per la pubblicazione avvenuta in riviste od atti accademici, o per essere stati stampati per circolazione tra gli amici dell’autore, non ebbero mai gran voga, sebbene abbiano acquistato fama e taluno di essi sia assai frequentemente citato. Nei paesi dove esiste un mercato specializzato di antiquaria economica, questi opuscoli sono noti ed hanno acquistato prezzi stravaganti, di centinaia e talora di migliaia di lire. In Italia, dove il mercato non esiste e gli acquirenti sono pochi, il prezzo è “astrattamente” assai più basso; tuttavia solo perché di quelle rarità non esiste mercato. I librai non se ne curano ed il ricercatore non li trova.

 

 

Giovandomi della opportunità di averne prima potuto inserire il testo in atti accademici, ho pensato di dare inizio ad una “collezione di scritti inediti o rari di economisti” che dissi “piccola” sia perché non mi pare probabile che i volumi abbiano a diventare moltissimi, sia perché ogni volume dovrà essere di breve mole: non trattati o corsi od opere complesse, ma note o memorie significative sotto qualche rispetto nella storia della nostra scienza. Perciò, s’intende, saranno pubblicati solo scritti di autori morti, per lo più da tempo, ed esauriti, anzi esauritissimi nel commercio librario, sì da esserne raro l’annuncio anche nei cataloghi di antiquariato. Ogni memoria sarà stampata nella lingua originaria, a cagion d’esempio la latina, in cui fu scritta, non essendo ragionevole di offrire agli studiosi un testo forse non esattamente interpretato dal traduttore. Ma la lingua sarà, salvo eccezioni specialissime, quasi sempre l’italiana.

 

 

Nel primo volume si pubblicano due bilanci del commercio estero dello stato di Milano che Pietro Verri, economista e storico di gran nome, scrisse nel 1764 e nel 1765 ad illustrare il commercio di importazione e di esportazione del ducato di Milano per gli anni 1752 e 1762. Del tutto sconosciuti quei due bilanci non erano; poiché il Custodi aveva pubblicato due capitoli ed una tabella del secondo (quello del 1765): 14 pagine in tutto in luogo delle 50 pagine e 6 grandi tabelle della mia edizione; e del primo (1764) s’aveva notizia fossero state stampate 50 copie per privatissima distribuzione, sicché non è meraviglia che io non riuscissi a scoprirne se non una sola copia esistente nell’archivio privato del senatore Emanuele Greppi, pronipote di quel don Antonio Greppi, fermiere generale a Milano, con cui il Verri si era trovato non poche volte in contrasto. Dopo la mia ristampa, il sovraintendente all’archivio di stato in Milano, dott. Giovanni Vittani, mi avvertì che «in occasione di una recentissima ricerca si trovò anche in questo archivio una copia del bilancio del 1764», prima sfuggita a diligenti ricerche. Sulla copia dell’archivio Greppi, per gentile concessione del compianto senatore Emanuele, e su un codice cartaceo della Braidense di Milano furono esemplate rispettivamente le stampe da me fatte del primo e del secondo bilancio.

 

 

Perché io abbia iniziato la collezioncina con i due bilanci del Verri, dirò ricordando:

 

 

  • in primo luogo che il nome del Verri è giustamente messo assai in alto tra quelli degli economisti italiani del secolo XVIII. Francesco Ferrara, uomo non facile alla lode, riconosce al Verri «una decisa superiorità a paragone d’ogni altro fra gli economisti italiani del tempo suo, se pure non dobbiamo, per nostra umiliazione, soggiungere ancora (1852) su quanti ne siano apparsi dopo di lui»;

 

  • in secondo luogo che la pubblicazione del primo bilancio del Verri aveva dato luogo a un solenne rabbuffo aulico venuto da Vienna all’autore ed a polemiche vivacissime, nelle quali era intervenuto nientemeno che Giuseppe Baretti con una saporosissima invettiva della Frusta Letteraria, privilegio di rado o quasi mai toccato a scritture di economisti, per solito ignorate dai letterati;

 

  • in terzo luogo che i due bilanci del Verri furono sicuramente a Milano e probabilmente in Italia i primi esempi di rilevazione diretta dei dati del commercio internazionale dai libri dei dazieri. Naturalmente, i critici dissero subito che i libri erano imperfetti, che il contrabbando viziava i risultati ottenuti, eccetera, eccetera, la solita filastrocca di chi preferisce il criticare al fare. Ma intanto la scoperta era stata fatta; scoperta che, a dirla, sembra essere non l’uovo di Colombo, ma una sentenza di monsignor De la Palisse: che a fare una statistica del commercio internazionale occorre fare la somma, per quantità e prezzo, dei generi entrati ed usciti. Tuttavia, per quanto si trattasse di cosa ovvia, non era, fino al Verri, venuto in mente ad altri di far quella fatica. Soprattutto perché si trattava di vera fatica: ridurre ad unità la svariatissima capricciosa nomenclatura usata dai dazieri, estrarre ad una ad una cifre da libroni tenuti alla rinfusa, specie di giornali di cassa per ogni luogo di sdaziamento, smistare le cifre per voci, classificarle e sommarle, quando ancor non si usavano macchine calcolatrici. Che il Verri si dimostrasse, nella esposizione dei risultati ottenuti, tuttora imbevuto di pregiudizi mercantilistici – egli adopera il verbo “vincere” quando parla di esportare e “perdere”, quando discorre di importazioni – ha scarsa importanza di fronte al risultato metodologico raggiunto. I due bilanci del Verri devono essere considerati come i genitori delle odierne ampie, precise, rapide statistiche del commercio internazionale. Senza quella prima fatica, le statistiche odierne esisterebbero? Perciò a me parve vantaggioso riesumare quella prima fatica.

 

 

La corredai di una introduzione, dove le cose sopra esposte sono più largamente dichiarate, di un indice sistematico e di uno onomastico, in cui cercai di ricostruire le citazioni di nomi e di scritti che il Verri, secondo l’usanza di quel tempo, ahi! non sempre mutata oggi!, faceva assai abbreviatamente. La ricostruzione non sempre è perfetta, non essendomi in ogni caso stato possibile vedere per talun libro l’edizione medesima che il Verri dovette avere tra mano.

 

 

Mi auguro di poter seguitare nell’impresa cominciata; ed al seguitare non mancherà la buona volontà mia o di volonterosi collaboratori, se soccorra il favor del pubblico. A coprir le pure spese di stampa, occorrerebbe poter vendere trecento copie in dieci anni. Custodi nel 1804 pubblicava una lista di 441 associati alla sua collezione. Tanti anni dopo, con una popolazione di tanto cresciuta e tanto più colta e fornita di mezzi, si troveranno trecento associati?

 

 

 

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