Opera Omnia Luigi Einaudi

Introduzione – Paradoxes inédits du Seigneur de Malestroit

Tipologia: Paragrafo/Articolo – Data pubblicazione: 01/01/1937

Introduzione – Paradoxes inédits du Seigneur de Malestroit

Paradoxes inédits du Seigneur de Malestroit touchant les monnoyes, avec la response du président de La Tourette, Torino, Einaudi, 1937, pp. 9-86

 

 

 

Il nome di Malestroit è celebre nella storia delle dottrine economiche per la “response” che ai suoi Paradoxes fece Jean Bodin, scrittore la cui gran fama è, indipendentemente dalle cose nostre economiche, raccomandata al libro che lo collocò tra i maggiori pensatori intorno ai problemi della Respublica. Che i paradossi monetari del Malestroit meritino di essere ricordati per virtù propria e non soltanto per la luce su essi riflessa dalla gloria del suo contradditore apparirà, credo, più evidente di quanto non sia già oggi riconosciuto in seguito alla pubblicazione, che qui si fa, di una memoria del Malestroit rimasta sino ad ora sconosciuta ai dotti, principalmente francesi, i quali si occuparono della controversia Bodin Malestroit intorno alle cause dell’aumento dei prezzi.

 

 

Ho creduto opportuno, affinché i lettori avessero sott’occhio comodamente tutto il pensiero dell’autore, far precedere alla memoria inedita la ristampa dei paradossi pubblicati nel 1566. Fa seguito alla memoria la replica che ad essa fece Alessandro De la Tourette, presidente della corte delle monete di Parigi, al quale lo scritto del Malestroit era stato, per ragion d’ufficio, sottoposto.

 

 

Fa mestieri dire che il Malestroit, il De la Tourette e il Bodin – e ne ricordo i nomi nell’ordine cronologico delle loro scritture monetarie – discutevano nel linguaggio del tempo gli stessi problemi monetari che inquietano oggi in tutto il mondo uomini di studio e di pratica?

 

 

Alle memorie del Malestroit e del De la Tourette precede una mia introduzione. Alla quale diedi l’ordine che mi parve più opportuno affinché le cose dette prima esigessero men che si poteva la cognizione delle cose dette dopo. Ma poiché fu impossibile risolvere compiutamente, senza ingenerare confusione, il problema del prima e del poi, avvertirò che qualche lettore potrà forse preferire leggere prima d’ogni cosa il “glossario” posto in fondo al volume ed i paragrafi dal 23esimo al 27esimo, nei quali sono fornite notizie di storia e di tecnica monetaria, sotto un certo rispetto necessarie all’intendimento sia delle memorie qui per la prima volta pubblicate, sia della introduzione. Per non oltrepassare in questa i limiti prefissi dall’ufficio suo proprio di illustrazione dei testi in questo volume primamente pubblicati e dei problemi che gli autori espressamente posero, mi limitai a dichiarare in essa il contenuto del concetto della moneta immaginaria e la sua importanza per la intelligenza del dibattito fra i Malestroit ed il De la Tourette e fra il Malestroit e il Bodin. La costruzione di una teoria della moneta immaginaria è, con qualche necessaria ripetizione, oggetto di altro saggio, pubblicato nel primo quaderno della “Rivista di storia economica” (Torino, 1936).

 

 

Fra i vari titoli apposti dagli amanuensi ai codici parigini e mio delle memorie Malestroit – De la Tourette il più calzante mi parve quello usato da chi, incominciando nel codice 4600 della Biblioteca nazionale di Parigi la minuta della replica del De la Tourette, opinò il Malestroit avesse, anche nella nuova memoria, tenuto fede al proposito di dimostrare il suo assunto “par raisons grandement paradoxes”; e da esso perciò trassi il titolo composito che si legge sul frontispizio.

 

 

 

 

1. – Gli scrittori, i quali hanno recentemente illustrato la controversia fra il signor di Malestroit e Jean Bodin sulle cause dell’aumento dei prezzi, non conoscono, del primo, quasi nulla di più di quel che si trae dal titolo e dal testo dei suoi paradossi[1]. Nella dedica al re, egli narra che “ayant travaillè trois ans, tant par commandament de vostre Majestè, que par ordonnance de vostre Chambre des Comptes, au faict des monnoyes, à elle renvoyé pour vous en donner avis” ha ritenuto non poter far meglio, allo scopo di illuminare il grave problema, se non presentare nel marzo 1566 i due paradossi, divenuti poi celebri per la risposta del Bodin. Il problema, che egli era stato incaricato di studiare era “l’estrange enchérissement que nous voyons pour le jourd’huy de toutes choses” ed era problema assai vivamente sentito, sebbene malamente inteso: “Lequel combien que chascun, tant grand que petit, le sent à sa bourse: si est – ce que peu de gens peuvent gouster la source et origine de ce mal, lequel fault nécessairement tirer du fons et abysme desdictes monnayés, et icelle démontrer par raisons grandement paradoxes, c’est – à dire, fort, esloignees de l’opinion du vulgaire”.

 

 

2. – Spirito curioso, dunque, codesto signor di Malestroit; desideroso di spiegare i fatti del tempo suo ed impaziente delle opinioni comunemente ricevute. Se si aggiunge che l’uomo amante dei paradossi, ossia dei ragionamenti non volgari, era consigliere del re e maestro ordinario della Camera dei conti, restano quasi compiute le notizie possedute intorno a lui. L’Hauser ha rilevato che, in una nota manoscritta apposta ad una copia (Reserve L. F. 77 – 20 B.) della seconda edizione (1568) dei “Paradoxes”, il nome dell’autore è scritto, più specificatamente, “M. Jehan Cherruyt sgr de Malestroict”; ma egli invano ha cercato ulteriori notizie nel Cabinet des manuscrits della Biblioteca Nazionale. Il Le Brauchu lamenta anch’egli l’ignoranza intorno alla vita dell’autore dei paradossi, che pure doveva essere uomo di riguardo se fu consigliere ordinario nella Camera dei conti e consigliere del re; e dalla circostanza che nella edizione del 1578 (supra Terzo) tutti i “Monsieur de Malestroit” sono mutati in “Malestroit” trae la illazione che forse la morte di questi debba collocarsi tra il 1568 ed il 1578.

 

 

3. – Alle scarse notizie sull’uomo, corrisponde la sua scarsa fortuna come scrittore; ché la sua reputazione fu subito, tra gli studiosi di cose economiche, oscurata dalla vigoria e novità replica del Bodin; sicché a lui rimase, nell’opinione generale, quasi soltanto il merito di avere provocato la celebre “Response”, dell’autore del gran libro della Repubblica. Da qualche tempo, osserva il Le Branchu, (Ecrits notables ecc. pag. quarantuno), è accaduto tuttavia un mutamento nell’atteggiarsi della dottrina verso il Malestroit. Cominciò l’Hauser nel 1905[2] a notare come l’autore dei paradossi, partendo dall’ipotesi della stabilità reale dei prezzi in unità monetarie costanti in peso di oro e di argento, e del loro rincaro puramente nominale a causa delle variazioni monetarie, ponesse in sostanza il problema: se i percettori di redditi fissi da trecento anni in qua vedono scemare la potenza di acquisto della quantità fissa di moneta alla quale hanno diritto, e contemporaneamente i produttori nulla hanno guadagnato, poiché ricevono sempre lo stesso peso d’oro ed argento in cambio delle loro merci, chi ha guadagnato? Nell’introduzione alla “Response de Jean Bodin” l’Hauser insiste sulla chiara intelligenza dimostrata dal Malestroit del carattere nominale dell’aumento dei prezzi. Se per fare l’esempio odierno nostro, il decreto legge 21 dicembre 1927 riduce da 0,290323 a 0,07919113 grammi il peso d’oro fino contenuto in una lira, ed i prezzi delle merci aumentano da 1 a 3,67, noi diciamo che i prezzi “reali” sono rimasti costanti, essendo soltanto cresciuti i prezzi “nominali”. Malestroit a chiarire le ragioni “de l’estrange encherissement que nous voyons pour le iourd’huy de toutes choses” risponde negando con il primo paradosso, la realtà dell’aumento dei prezzi: “que lon se plainct à tort en France, de l’encherissement de toutes choses, attendue que rien n’y est enchery puis trois cens ans”.

 

 

4. – La risposta del Malestroit, esatta in sostanza, difettava per eccesso; ché egli non vide essere la potenza d’acquisto dell’unità monetaria scemata non solo a causa del rimpicciolimento dell’unità medesima, ma anche per l’incremento notabilissimo della produzione dei metalli preziosi dopo il ritrovamento delle miniere americane ed il loro afflusso, al traverso la Spagna, in Europa. Se noi facciamo la convenzione definitoria di chiamare “reale” l’aumento dei prezzi che si verifichi quando il peso e il titolo della unità monetaria siasi nel frattempo serbato invariato ed invece “nominale” l’aumento dei prezzi supposto dovuto esclusivamente dovuto alla variazione del peso e (o) del titolo della unità monetaria, si può concludere che la controversia Malestroit – Bodin si riduce tutta all’insistenza del primo sul fattore nominalistico e del secondo sul fattore reale di aumento dei prezzi.

 

 

5. – Allo stato attuale delle conoscenze sulla storia dei prezzi sembra impossibile far la parte esatta del torto e della ragione tra i due scrittori rispetto ai 300 anni precedenti al 1566 ai quali si riferisce il Malestroit nel primo dei suoi paradossi. I dati recati dai due polemisti sono di troppo incerto significato; ed i numeri indici elaborati da moderni studiosi, come il D’Avenel, sono stati assoggettati a critiche così vivaci da sconsigliarne l’uso. Per ora forse la sola fonte sicura è l’indagine del Raveau, Le pouvoir, limitata ad un angolo, tuttavia caratteristico, della Francia ed a un secolo soltanto dei tre che ci interessano. Non si vuole dai dati del Raveau trarre conclusioni perentorie intorno al dibattito Malestroit – Bodin; ma pare corretto chiedere ad essi un qualche lume per illuminarci intorno al peso relativo dei due fattori, nominalistico e reale, del rialzo dei prezzi, che allora, come oggi dopo il 1914, era oggetto di dibattiti vivissimi e pressoché universali in tutta Europa.

 

 

L’aumento dei prezzi in lire tornesi è lento e contrastato nei tre primi periodi, sotto i regni di Luigi undicesimo (1471 – 83), Carlo ottavo (1483-1498) e Luigi dodicesimo (1498-1515). Sotto quest’ultimo si verifica anzi nel prezzo delle derrate una diminuzione dovuta senza dubbio, assevera il Raveau, alla buona amministrazione del re, giustamente chiamato il “padre del popolo”. Sotto i regni successivi di Francesco primo (1515-1547), di Enrico secondo (1547 – 1559), di Francesco secondo (1559-1560) e di Carlo nono (1560-1574) l’aumento dei prezzi si accentua (da 106,6 nel terzo periodo a 161,6 nel quarto periodo) e diventa poi impetuoso (a 265,2 nel quinto periodo).

 

 

Ma durante l’intiero secolo la degradazione della unità monetaria (lira tornese) non ha tregua. Spinti dai continui bisogni dell’erario, i sovrani di quel tempo, anche i migliori, ricorrevano[3] al surrogato allora noto di quella che oggi si chiama la inflazione cartacea: riducevano il, peso dei – metalli preziosi a cui si ragguagliava l’unità monetaria di conto (c). Calcolare quanta parte dell’aumento dei prezzi fosse dovuto alla degradazione della lira tornese e quanta ad altre cause è sommamente difficile. Si può tuttavia, tante sono le testimonianze della gara fra degradazione monetaria e rialzo dei prezzi, ragionevolmente supporre che la degradazione avesse pieno effetto; sicché paiono istruttivi i numeri indici ipotetici calcolati intorno al livello che i prezzi avrebbero osservato se la unità monetaria fosse rimasta invariata (e) ed a quello che invece avrebbero tenuto se, tutte le altre circostanze rimanendo uguali, la sola degradazione dell’unità monetaria avesse agito sui prezzi (d). È chiaro che nel periodo considerato l’aumento dei prezzi fu massimamente dovuto a quest’ultima causa. Nelle due ultime colonne (f e g) meglio si dimostra come, sino oltre la metà del secolo, le altre cause siano state quasi irrilevanti; ed il rialzo dei prezzi possa quasi per intero (per l’86,73 per cento ed il 90,09 per cento rispettivamente nel secondo e nel quarto periodo rispetto al primo) essere spiegato con la mutazione del metro monetario (tesi nominalistica di Malestroit) senza ricorrere ad altre cause. Nel terzo periodo i prezzi, sotto il buon governo di Luigi dodicesimo, sarebbero anzi ribassati del 16 per cento (e), se la degradazione monetaria (da 100 a 78,8) non li avesse fatti aumentare del 26,9 per cento (d), essendone risultato un aumento combinato di appena il 6,6 per cento sul primo periodo ed una diminuzione da 111,5 a 106,6 in confronto al secondo periodo. Soltanto nel quinto periodo, dal 1555 al 1575, nel quale (1566 – 1568) nasce la polemica bodiniana, acquistano una certa rilevanza, modesta però, le altre cause, quelle definite reali, di aumento dei prezzi; ma la spiegazione nominalistica serba il maggior peso (72,27 per cento)

 

 

6. – Non si vuole risolvere così la contesa Malestroit – Bodin, con attribuzione di valori numerici precisi; ma solo mettere in luce come avessero dal punto di vista amministrativo ragione i monetaristi, i quali, col Malestroit si preoccupavano inanzitutto della causa più rilevante del rialzo dei prezzi. Oggi, abbiamo fatta tanta esperienza da persuaderci che, in un paese volto dall’inflazione cartacea all’annullamento del valore della moneta ed al rialzo rapido dei prezzi, sovratutto importa rompere il torchio da stampa della moneta e ritornare alla sana moneta aurea, senza preoccuparci, nel frattempo, oltre misura della possibilità che anche la moneta aurea sia instabile. L’instabilità aurea sembra invero oggi a noi vizio trascurabile in confronto alla instabilità cartacea. La verità della spiegazione nominalistica del Malestroit non nega la fondatezza della spiegazione reale del Bodin; e tanto maggiore risulta la virtù mentale nel Bodin nel vedere, sino dai primi inizi, quando la sua influenza era ancora scarsa, l’importanza che le cause reali avrebbero acquistato di li a poco, sì da giungere, quando l’ordinanza di Poitiers trattenne provvisoriamente, Dal 1577 al 1602, l’operare della degradazione nominalistica, a rovesciare nel 1590 – 98 il peso relativo della rilevanza delle due cause, attribuendone il 64,53 per cento alla causa reale ed il 35,47 per cento a quella nominalistica. Pur rendendo omaggio alla divinazione scientifica del Bodin, noi dobbiamo riconoscere che bene facevano gli amministratori delle cose monetarie a preoccuparsi sovratutto del problema concreto del come mantenere la moneta sana o ritornare ad essa.

 

 

7. – Né, quando si tenta di distinguere fra cause reali (o bodiniane) e cause nominalistiche (o malestrottine) delle variazioni dei prezzi, si intende di far nulla più che una mera classificazione definitoria. Ambe le cause possono in verità dirsi, a piacimento, reali o nominali. La diminuzione di peso della lira tornese è certamente causa nominale od apparente di variazione dei prezzi; essendo indifferente pagare ,1 lira una unità di merce quando la lira pesa 10 grammi d’argento fino ovvero 2 lire quando la lira pesa solo 5 grammi. Ma non si possono chiamare nominali le guerre esterne o civili, le carestie e simili le quali a loro volta sono cagione che i principi degradino la lira da 10 a 5 grammi. Dicendo nominale od apparente la variazione malestrottina vogliamo soltanto affermare che le cagioni reali (guerre e carestie) le quali condussero all’aumento dei prezzi operarono attraverso lo strumento monetario della degradazione della lira tornese. Dicendo reale la variazione bodiniana vogliamo soltanto affermare che le stesse cause reali (guerre e carestie) poterono direttamente condurre, attraverso la diminuzione della produzione, l’incertezza dei trasporti e la mala sicurezza, al medesimo risultato dell’aumento dei prezzi, senza l’operare od in aggiunta all’operare della degradazione monetaria. Quando poi il Bodin alle cause reali delle guerre e carestie accomunò l’incremento dell’oro e dell’argento dovuto alle scoperte americane, sotto certo rispetto egli usò un aggettivo proprio, perché l’esistenza di più oro o più argento di prima è fatto visibile e tangibile. Sott’altro rispetto, trattasi tuttavia di mera apparenza. Quale differenza vi è fra il rialzo del prezzo di una unità di merce da 1 lira a 2 lire dovuto alla causa nominalistica dell’essere il peso della lira in argento fino scemato da 10 a 5 grammi ed il rialzo dovuto alla causa detta reale dell’essere raddoppiato il numero delle lire pesanti 10 grammi in argento fino? Nel primo caso il possessore della merce riceve 10 grammi d’argento in due monete dette da 1 lira e pesanti ciascuna 5 grammi invece di 10 grammi in una moneta sola, pur chiamata 1 lira; nel secondo riceve 20 grammi d’argento in due monete invece che 10 grammi in una sola moneta. In apparenza egli ha maggiore ricchezza; in fatto egli è ricco come prima perché i 20 grammi di oggi acquistano l’identica quantità di merce dei 10 grammi di ieri.

 

 

8. – Tuttoché sia importantissimo distinguerle, sono dunque nominali ed apparenti ambe le specie di aumento dei prezzi, sia quella malestrottina e nominalistica o della degradazione dell’unità monetaria sia quella bodiniana o realistica o del numero maggiore di identiche unità monetarie. Se tutti gli elementi dell’equilibrio economico generale si movessero con la medesima velocità del muoversi del peso dell’unità monetaria (variazione di Malestroit) o del numero delle unità monetarie invariate in peso (variazione di Bodin) nulla sarebbe mutato e nessuno sarebbe danneggiato prezzi, salari, stipendi, pensioni, fitti, profitti, dividendi, interessi ecc. si muoverebbero tutti in guisa da controbilanciare esattamente la variazione nominalistica o quella realistica monetaria; e tutti si troverebbero nella identica situazione sostanziale; non per fermo in quella situazione nella quale si trovavano prima, che è impossibile eliminare le conseguenze delle guerre, pestilenze, carestie, incertezze politiche, lotte sociali o religiose, ovvero quelle dei progressi tecnici, della pace, dell’abbondanza, della concordia sociale, del buono o malo governo, di tutti gli accadimenti intervenuti nel frattempo; bensì nella situazione in che si sarebbero trovati se, accadendo tutto il resto, nulla fosse accaduto in fatto di moneta, “au faict des monnoyes” come si esprimevano gli scrittori del ‘500. Invece, allora, come oggi, non tutti gli elementi dell’equilibrio economico sono perfettamente mobili; taluni come i prezzi ed i profitti muovendosi più o meno rapidamente, altri, come i fitti, gli stipendi e le pensioni, essendo legati da contratti o da consuetudini, ed altri infine, come le rendite perpetue, i censi, i livelli ed in genere le prestazioni dovute dai coloni, i quali avevano avuto la concessione perpetua di terre o assunto prestiti a rendita, essendo legalmente immutabili.

 

 

9. – Accadeva allora, assai più che oggi, che l’opinione pubblica capace di esprimersi attraverso gli scritti degli scrittori monetaristi, era fornita dalle classi sociali che godevano di redditi fissi – signori feudali, proprietari fondiari di terreni enfiteutici, capitalisti percettori di rendite fondiarie – o scarsamente mobili: funzionari statali, magistrati, militari, investiti di pensioni di corte o di chiesa, proprietari di terre o case affittate a lungo tempo, operai salariati. Le classi, le quali si giovavano dell’aumento dei prezzi, erano meno numerose d’oggi e più malvise: mercatanti, accaparratori, orefici, argentieri, trafficanti in monete nazionali o forestiere. Poiché i guadagni delle categorie profittatrici erano dagli scrittori reputati di malo accatto, così l’aumento dei prezzi era senz’altro detto dannoso. Tutti gli esempi addotti da Malestroit discorrono di perdita, mai di guadagno: “Pour dix sols que le Gentilhomme recevoit anciennement de ses rentes ou censives, contenant autant d’argent fin que les cinquante maintenant, il pouvoit avoir cinq chappons, à raison de deux sols piece. Maintenant pour dix sols il n’a qu’un chappon, qui est perte pour dix sols de quatre chappons, combien qu’il ayt mis iesdicts sols pour douze deniers chacun, qui est le mesme pris qu’il les a receues”. Le ultime parole della frase sono una confutazione avanti lettera della teoria giuridica moderna la quale, dicendo che “il franco è il franco”, “il marco è il marco”, “la lira è la lira” concluderebbe che il creditore è ben pagato quando riceve la moneta nominale pattuita, il soldo da 12 danari, pari al soldo prestato, la lira da 20 soldi, uguale a quella data, senza badare al contenuto in metallo fino del soldo e della lira. Perciò il secondo paradosso del Malestroit diceva: “Qu’il y a beaucoup à perdre sur un escu, ou autre monnoye d’or et d’argent, encore qu’on la mette pour mesme prix qu’on la recoit….”. Identificando le classi perdenti con la universalità della nazione e trascurando il vantaggio delle classi profittatrici, il Malestroit concludeva: “Tant plus nous. haulsons le pris de monnoyes (tanto più, direbbesi oggi, riduciamo il peso in metallo fino della unità monetaria), tant plus nous y perdons: car de là vient le grand encherissement, qui est maintenant de toutes choses, qui amene une pauvretè generale à tout ce Royaume”.

 

 

10. – Col primo paradosso il Malestroit aveva asserita vera storicamente una tesi la quale è esatta soltanto se posta in forma ipotetica: se il rialzo del livello generale dei prezzi è dovuto alla diminuzione del peso in metallo fino dell’unità monetaria, esso è apparente; col secondo paradosso aggiunse che, nonostante fosse apparente, esso impoveriva il reame in generale. Il secondo paradosso è esatto quando si trascuri, come implicitamente fece il Malestroit, il vantaggio dei profittatori, ovvero si ritenga che il vantaggio transitorio dei profittatori abbia peso di gran lunga minore del danno causato al pubblico erario ed alla economia in generale dalla mala sicurezza nelle contrattazioni. Se anche le obbiezioni del Bodin alla verità storica del primo paradosso siano fondate – e si vide sopra che, almeno per l’ultimo dei tre secoli considerati dal Malestroit, le indagini più accurate note in proposito consentono il beneficio del dubbio a favore di quest’ultimo – non ne rimane scrollata menomamente la verità teorica od ipotetica. Sul secondo paradosso, le esperienze successive alla guerra mondiale hanno dimostrato quanto bene il Malestroit si apponesse nel passar sopra agli effimeri vantaggi particolari per insistere unicamente sulle rovinose conseguenze delle svalutazioni monetarie[4].

 

 

11. – Il Bodin, d’accordo col suo avversario nel riconoscere che i prezzi sono aumentati e che l’aumento è un male, taccia il Malestroit di non curare la ricerca dei rimedi: “reste maintenant d’y remedier au moins mal qu’il sera possible: ce que monsieur de Malestroit n’a touchè aucunement, tenant pour tout certain que rien n’encherist” (ed. L – B., pag. 117). Il rimprovero è fuor di luogo, chè i paradossi del Malestroit sono appunto rivolti a dimostrare, sì, che il rincaro è “une opinion vaine, ou image de compte sans effet ni substance quelconque “; ma nel tempo stesso che le mutazioni di quest’immagine senza sostanza hanno “apportè une perte inestimable et dommage irreparable, tant aux Roys qu’à leurs subiectz”.

 

 

Poiché egli, nelle poche pagine dei paradossi, voleva soltanto chiarire la vera indole del fatto studiato, la ricerca dei rimedi sarebbe stato un fuor d’opera. Alla ricerca egli tuttavia non rinunciava; ch’è dopo avere riaffermato essere la degradazione della moneta in peso di metallo fino cagione del “grand encherissement, qui est maintenant de toutes choses, qui amene une pauvretè generale à tout ce Royaume” chiude il breve opuscolo con una promessa: “Les mouvements occasions et progrets de ce mal, seront cy apres amplement deduicts et demonstrez, avec le moyen certain, et infalible pour y remedier, au grand bien et honneur de sa Majestè, soulagement et commoditè de tous ses subiectz”. La promessa seguiva alla dichiarazione atta nella lettera dedicatoria al re intendere egli con i due paradossi soltanto “acheminer l’oeuvre” richiamando la trattazione del problema del rialzo dei prezzi ai principii suoi (“pour traicter la matiere selon son naturel”); ma ripromettersi col tempo di presentare frutto maggiore della fatica durata tre anni; “et attendant faire paroistre à votre Majestè un plus grand fruict de mon labeur”.

 

 

12. Leggendo dedica e conclusione, mi era sempre rimasto il dubbio che noi possedessimo a stampa soltanto una delle scritture compilate dal Malestroit nell’occasione dei dibattiti monetari, in che si distinguevano gli ufficiali della corte delle monete e delle altre corti francesi del tempo[5]; e l’acquisto da me fatto[6] di un volume manoscritto intitolato Extrait des remontrances, mémoires, advis et réponses sur le fait de monoies depuis l’annee 1540. jusques en l’annee 1615 mi fece persuaso che io mi trovavo dinnanzi alla copia di uno scritto sinora inedito e, per quanto io sappia, non ricordato dagli economisti i quali si occuparono della polemica Malestroit – Bodin e delle discussioni monetarie che ebbero luogo in Francia nell’ultimo terzo del secolo sedicesimo. L’Extrait è un grosso manoscritto cartaceo in quarto, legatura del tempo in tutto vitello, di 825 pagine (812 di testo e 13 di indice) di fitta scrittura fina, tutta uniforme, la quale può essere fatta risalire, con una certa probabilità, agli ultimi anni del secolo diciassettesimo. Certamente esso non è anteriore al 1690[7].

 

 

Chi abbia messo insieme il volume, non si sa; ma pare probabile fosse un generale o consigliere della Cour des monnoyes, il quale voleva avere sottomano una raccolta delle più importanti memorie e rimostranze compilate dagli uomini periti che la componevano e degli avvisi e pareri dati dalla corte su richiesta del re o del consiglio privato in materia monetaria. Contrariamente alla dichiarazione contenuta nel titolo generale del volume “Extrait”, una nota fa subito rilevare che “il ny a que les deux premiers memoires (del 1530 e del 1540) qui soient extraits, les autres sont copies”. Ricorrono, tra i nomi degli autori delle memorie riprodotte, quelli di Jean Vaillant, Jacques Pinatel, Jacques Colas, Nicolas Rolland, Nicolas Agafin, Thomas Turquam, Francois Dulion, Claude Fauchet, Antoine Vassanges, Francois Garrault, Claude de Moupertier, Nicolas Cocquerel, Henry Poullain, tutti, per fatti o scritti, noti nella storia monetaria di quel tempo. Fra le tante memorie, uno studio accurato del volume potrebbe forse metterne in luce qualcuna invano cercata altrove. Questo pare sia, ad esempio, il caso di una memoria presentata da un Claude Mounier al re Carlo nono “pour l’induire a l’affoiblissement de monoie quand la necessitè le requiert”. La memoria, era nota all’Harsin (op. cit. p. 46) solo attraverso il riassunto di poche righe fattone dai due consiglieri generali della corte delle monete Joseph Du Maigret e Sebastian Riberolles. Nel mio manoscritto si leggono per disteso tanto la memoria del Mounier, che era “maistre particulier” nella zecca di Lione, quanto le osservazioni dei due consiglieri incaricati dal primo presidente Claude Bourgeois di esaminarla.

 

 

13. – Forse la memoria più importante contenuta nel volume è una del signor di Malestroit; importante per il nome dell’autore e per il contenuto legato a quello’” dei “paradossi” a stampa. Anche questa è “sur le faict des monnoyes “; e l’argomento è di nuovo, come dice il titolo del primo capitolo, la ricerca della “raison de l’encherissement de toutes choses”. Questa volta, però, il Malestroit ebbe un contradditore assai meno famoso del Bodin; ragione forse, insieme con la trattazione più tecnica, dell’essere la seconda memoria rimasta sconosciuta ed inedita sino ad oggi.

 

 

Non che Alexandre de la Tourette fosse uomo di poco conto; ché, per la carica tenuta fino dal 1551 di secondo presidente della Cour des monnoyes[8] egli sopravvanzava il Bodin come consigliere ascoltato in materia di amministrazione e legislazione monetaria. Di lui sono riprodotte nel mio manoscritto, oltre alla confutazione della tesi malestrottina, una “remontrance” del 1552 o 1553 relativa alla fusione dei reali d’argento di Spagna e loro conversione in moneta al conio ed armi francesi (pag. 11), una memoria del maggio 1577 intesa ad “augmenter au proffit du Roy le revenu des monoies de France” coll’affittare per sei anni al più alto offerente le zecche (pag. 272) ed una risposta (1579 o 1580) alle rimostranze opposte dagli orefici e gioiellieri; contro un editto del settembre 1579 che li toccava in modo particolare (pag. 429).

 

 

Nel manoscritto la memoria del Malestroit reca il n. 5 e va dalla pagina 24 alla 52; la risposta del De la Tourette, che la segue immediatamente col n. 6, dalla 52 alla 64. La lettura mise subito in chiaro che, se la risposta era integra, la memoria era monca. Il Malestroit aveva scritto quattro “cahiers”, di cui soltanto il primo fu riprodotto dal copista; degli altri tre conoscendosi il contenuto solo attraverso il riassunto e la confutazione fattane dal suo oppositore.

 

 

Ricerche compiute nei fondi manoscritti della Biblioteca nazionale di Parigi consentirono di constatare l’esistenza nel vol. 4.534 dei “Manuscrits du Fonds Franais” di un esemplare della memoria Malestroit (carte 36 a 54 verso) e della response del De la Tourette (a carte 56 – 65 recto) identico per estensione alla mia copia, mancante cioè, per quanto riguarda la prima, dei tre ultimi quaderni[9]. Apparve subito chiaro come il testo del volume 4.534 per la contemporaneità della stesura, su carta del sedicesimo secolo, fosse preferibile al mio, posteriore forse di un 130 anni. La presente stampa è perciò esemplata sul manoscritto 4.534, con minori varianti di punteggiatura ed altre (gli u in v, gli nn invece degli n e simili); e con il minimo possibile di varianti alla accentuazione originaria, Perciò l’accentuazione dei testi riprodotti varia dall’uno all’altro di essi ed è spesso lontana dall’uso moderno. È vario pure l’uso dei doppi n, della y e di altri particolari di scrittura, che non volli mutare per non sostituire il mio arbitrio alla fantasia dei copisti. Avverto che per le cifre monetarie e cronologiche h0 seguito la versione del mio manoscritto e che le poche note apposte al testo delle memorie sono mie. Per altre avvertenze editoriali veggasi la nota al par. 19. Siccome le varianti esistenti fra i due testi, che, occorrendo, dirò del 1567 e del 1690 ad indicare la data a quo più vicina alla loro redazione, possono essere dovute all’avere il mio copista posseduto l’originale delle due memorie Malestroit e De la Tourette od altra copia da esso derivata, ho ritenuto opportuno riprodurre dal mio manoscritto, tra parentesi quadre, quelle poche parole o frasi le quali giovassero a chiarire il senso del discorso.

 

 

14. – La nuova memoria del Malestroit, che qui si pubblica, aggiunge qualcosa alla conoscenza del suo pensiero e della posizione da lui assunta nel dibattito al quale poscia prese parte il Bodin?

 

 

Innanzitutto si badi alle date. Nel 1566 il Malestroit stampa o lascia stampare a Parigi e ristampare a Poitiers i Paradoxes. Nel 1568 il Bodin pubblica la famosa “Response” , in fine della quale egli afferma di avere scritto, oltreché a persuadere principi e intenditori in affari di stato, altresì “mesmes pour inciter monsieur de Malestroit à continuer, comme il a commencè, en un si beau subiet” (H. p. 53; L.- B. p. 145). Nel frattempo, il 16 maggio 1567, Malestroit aveva presentato e letto dinnanzi al consiglio privato del re, radunato a Sainct Maur des Fossez i “Memoirs sur le faict des monnoyes.” di cui qui si pubblica il primo quaderno rimastoci.

 

 

Nel secondo quaderno egli, a quanto ci narra il suo contradditore De la Tourette, espone il rimedio ai difetti, lungamente chiariti nel primo quaderno, del sistema monetario vigente in Francia. Astrazion fatta dal modo peculiare di attuarle, le proposte del Malestroit derivavano dal rimprovero principalissimo da lui mosso al sistema monetario d’allora, che era la sproporzione tra il rapporto

 

 

legale fra le monete d’oro e d’argento e quello commerciale fra i due metalli preziosi in pasta (hors oeuvre). All’invito del Bodin egli aveva dunque già risposto l’anno innanzi. Volle sfortuna che il Bodin, pure famigliare con primi presidenti e generali della corte delle monete (vedi la variante dell’ed. 1578, in ed. L. – B. pag. 172) ed intrinseco di Claude Fauchet consigliere nel 1568 e poi primo presidente della corte delle monete (ed. L. – B., pag. 81 ed. H., pag. 8 e nota 79) non conoscesse la memoria del Malestroit e non potesse tener conto delle proposte che questi, anticipando il suo desiderio, aveva già presentate, ed erano già state oggetto di lettura dinanzi al consiglio privato del re e di dibattito con uno dei primi ufficiali della corte delle monete.

 

 

15. – Egli avrebbe forse riconosciuto che mancava tra essi sostanzialmente la materia del contendere; ed invero, dopo aver negato nella prima parte della “Response” che il rincaro dei prezzi fosse immaginario come pretendeva il Malestroit, quando giunge al concreto e mette innanzi le sue proposte, riconosce che all’abbondanza di metalli preziosi importati dalle Americhe ed al rialzo dei prezzi che ne è la conseguenza non v’ha rimedio: “l’abondance d’or et d’argent, qui est la richesse d’un pays, doibt en partie excuser la chertè”. Ma poiché, secondo l’uso dei tempi, i quali non consentono, in materia monetaria, l’astratta indagine scientifica, ad una qualche proposta concreta bisogna pur giungere ed egli medesimo opina, anche se non vuole ancora confessarlo[10], che v’ha caro e caro dei prezzi ed accanto al caro inevitabile proveniente dall’abbondanza dei metalli preziosi v’è il caro evitabile dovuto alle falsificazioni monetarie, di queste sole si occupa nella parte in cui fa proposte monetarie, precisamente come fece il Malestroit nella memoria che qui si pubblica. “Il est impossible d’arrester le prix des choses retenant le billon, qui est partout different et inegal: car tout ainsi que le prix de toute chose diminue, diminuant la valeur des monnoyes[11], comme dit laloy, aussi croist il en augmentant le prix des monnoyes (Variante dell’edizione 1578: L.- B., pag. 156) “. Le sue critiche alle svalutazioni compiute da Filippo il Bello, da Carlo ottavo, da Francesco primo e da Enrico secondo sono in tutto simili a quelle del Malestroit e degli altri scrittori del tempo, sicché non si vede in sostanza dove sia la divergenza fra essi quando dall’analisi genetica trascorrono a quella ricostruttiva. Il disordine monetario, il peggioramento del peso e titolo delle monete d’oro, d’argento e di biglione, di quelle nazionali e di quelle estere e le conseguenti alternanze nell’uso delle varie specie di monete: ecco i problemi concreti a cui la loro attenzione si volge e per la cui soluzione offrono rimedi. La segnalazione dell’abbondanza dell’oro e dell’argento come causa universale dell’aumento dei prezzi rimane un lampo di genio isolato, fecondo di illazioni scientifiche; ma privo nell’opera del Bodin di ogni legame con le sue medesime proposte concrete.

 

 

16. – Dal non osservarsi in Francia la proporzione corretta che egli, lungamente dissertando (cfr. qui, da pag. 107 a 109), afferma essere, secondo, secondo la dottrina e la pratica migliori, quella di 1 a 12, il Malestroit derivava nel 1567 l’alternanza dell’uscita dal paese delle monete d’oro quando la proporzione è inferiore alla giusta e delle monete d’argento quando essa è superiore ( cfr. qui, pag. 111). Egli perciò proponeva si osservasse la proporzione di uno a dodici sia fra i metalli preziosi in pasta, sia fra le monete d’oro e d’argento lavorate (cfr. qui pag. 109). Il Bodin, nel 1568, anch’egli accoglie, dalla pratica quasi universale “gardee en toute l’Europe”, e con uno scarto massimo di un ventiquattresimo in più od in meno, la teoria dell’1 al 12, “qui est une iustice necessaire et convenable à tous le peuples quasi comme une ordonnance et loy commune publie à la requeste des republiques en general, pour entretenir l’alliance, trafique et amitie envers les uns et les autres”. (H., p. 52; L.- B., pag. 142 – 143).

 

 

Dal comune punto di partenza, i due scrittori traevano conclusioni uguali rispetto alla esigenza della semplicità del sistema. Il Bodin, il quale vorrà poi (variante del 1578, ed L: – B., pag. 130). Il Malestroit, il quale vorrebbe dare invece al principe una forte entrata di zecca, vorrebbe che tutte le monete d’oro fossero al titolo di 21 carati su 24 e quelle di argento a 10 danari su 12 di fino ossia venti ventiquattresimi di fino (cfr. qui, pag. 142).

 

 

I due scrittori concordavano dunque nella proposta di osservare il rapporto fisso di 1 a 12 tra l’oro e l’argento per tutte le specie di monete d’oro – ventitré ventiquattresimi il Bodin e 21 ventiquattresimi il Malestroit – e, se pur diverso dal primo, pure uniforme per tutte le monete d’argento: 22 ventiquattresimi il Bodin e 20 ventiquattresimi il Malestroit[12].

 

 

La diversità nei titoli proposti[13] non ha importanza in confronto alla uguaglianza sostanziale dello scopo, che per amendue era di restituire il complicato sistema monetario del tempo a semplicità e chiarezza di rapporti e di titoli.

 

 

17.- Quale influenza esercitarono i due scrittori sulla legislazione del tempo? La tesi dell’Harsin in proposito è netta. Le riforme proposte dal Bodin: rapporto 1 a 12 fra l’oro e l’argento, titolo di 23/24 per ambe le monete nobili, eliminazione (decri) graduale delle monete di biglione (miste di rame e d’argento) e loro sostituzione con monete di rame puro, non furono prese in alcuna considerazione. Il Bodin stesso racconta (nella lunga variante finale dell’edizione 1578; H. 73; L.- B. 172) che, trovandosi egli deputato del Vermandois agli stati generali Blois (1576), fu consultato, insieme col primo presidente e tre generali della corte delle monete e col sovrintendente alle finanze, intorno ai rimedi all’abuso delle monete concludendosi “que tout ce que i’ay dict cy dessus, que ie remonstray sommairement estoit bien necessaire, et neantmoins que la difficultè et maladies de la republique qui estoyent incurables ne le pourroyent souffrir”. Malestroit avrebbe, invece, avuto maggior fortuna. La celebre ordinanza del settembre 1577 abolisce il conto a lire sostituendolo con quello a scudi, ossia “consacra in maniera chiarissima la vera riforma che implicitamente il nostro autore domandava da capo a fondo del suo opuscolo. Egli aveva denunciato il conto in lire come la causa unica del rincaro, ed il re lo abolisce, dopo avere richiesto il Consiglio di tutti gli specialisti del paese. Che si vorrebbe di più?”[14].

 

 

Chi legga i paradossi, non ha l’impressione che il M. sia partito lancia in resta contro il conto in lire.

 

 

C’è, in verità, un’aria di famiglia fra i paradossi di Malestroit e le premesse delle “remontrances” fatte nel dicembre del 1576 dalla corte delle monete al re ed agli stati generali di Blois. Si ingannano gli uomini quando si immaginano di lucrare valutando (exposant) i loro scudi ad un soldo o due più del prezzo a cui li hanno ricevuti; perchè le merci acquistate rincarano in proporzione maggiore. Perdono i creditori: “Les Seigneurs qui ont baillè y a deux cent cinquante ans leurs heritages à titre de cens ou rente, ne recoivent aujourd’hui la sixieme partie de l’argent qui couroit lors de leurs contracts; car il se verifie par les registres de nostre Cour des Monnoyes, que en l’an 1310: du regne de Philippe le Bel, le marc d’argent ne valoit que 49. sols, qui vaut à present 19. livres (380 sols), tellement que un sol de notre Monnoye ne vaut pas un double de ce temps – là”. Perde il Sovrano: “Et vous, Sire, en votre particulier perdez infiniment en ce surhaussement de Monnoyes, non seulement en ce que la plupart de vos receptes sont à livres; et est – on contraint faire plusieurs payemens en Escus speciallement aux estrangers, mais aussi en ce qu’estes importuné donner augmentation de gages, pensions ou recompenses à plusieurs de vos officiers et Gens – d’armes, à cause qu’ils ne peuvent s’entretenir en votre service de leurs gages ordinaires, parce que les vivres et toutes autres choses necessaires a votre service leur sont encheries, au moyen de l’affoiblissement des monnoyes”. Non bisogna lasciarsi ingannare da ciò che il creditore riceve sempre lo stesso numero di lire che egli aveva dato: “Et ne faut s’arrester que encore que l’Escu monte de prlx, celuy qui a stipulè à livres, en a autant comme il luy est du; car encore qu’il aye son nombre de livres, il n’a pas ce qui luy est justement du: d’autant que les livres sont empirees à mesure que les especes montent. Comme quand l’escu valoit 40. sols et le Teston 10. sols, en la livre il y avoit demi – Ecu, ou deux Testons, et aujourd’hui à 3. livres l’Escu et 16. sols le Teston, il n’y a plus que un tiers d’Escu, ou un Teston et un quart, et le Marchand lequel pour le Commerce qu’il a avec l’Etranger, ne s’arreste pas à ce que nous appellons une Livre, mais considere le fin et bontè interieurs de la dite Livre, est contraint vous hausser sa marchandise à mesure que le payement est empirè, autrement il ne trouveroit pas son compte” (vedi nel testo delle “remonstrances” riprodotte in LE BLANC, Traiiè, 1690, le pagg. 342, 349; 1692, le pagg. 275, 279).

 

 

L’ analisi della corte è calcata su quella condotta nei Paradoxes e nella memoria che qui si pubblica. La svalutazione progressiva della lira ha cagionato il rincaro dello scudo ed insieme dei prezzi delle cose. “En quoi nous, voyons clairement, que tant plus nous haulsons le pris de monnoyes, tant plus nous y perdons: car de là vient le grand encherissement, qui est maintenant de toutes choses, qui amene une pauvretè general à tout ce royaume” (Paradoxes, qui pag. 98). Malestroit non dice che la causa del rialzo dei prezzi sia l’esistenza del conto in lire; bensì il fatto che il popolo valuta le monete correnti, scudi e testoni, a un numero di lire e soldi sempre maggiore; ed a ciò esso è incoraggiato dal fatto che, se non lo scudo d’oro, altre monete più piccole come il douzain e il sol parisis ecc. diventano sempre peggiori. Perciò egli, ed il suo contradditore il De la Tourette, vogliono, come tanti altri, il ritorno alla “forte monnoye”, alla moneta buona, coniata in pezze ben definite e fisse e valutate in un numero costante di lire.

 

 

Non si trova traccia nei loro scritti noti della diversa e ben più recisa tesi esposta nel 1576 dalla Corte delle monete: il male essere cagionato dal contrasto fra due monete: la lira, mobile, di cui le ordinanze hanno continuamente scemato il contenuto in fino e, lo scudo, immutabile fin dal momento della sua creazione, ossia da un secolo, al medesimo peso e titolo: “le compte à sols et a livres en vostre Royaume est fait sur Monnoye muable qui se diminue de bontè à mesure que les especes d’or et d’argent surhaussent: ce qui fait que les debteurs pour s’acquitter à meilleur marchè les mettent à plus haut prix qu’ils peuvent afin d’en bailler moins. A semblè etre necessaire oter et interdire du tout en tous contracts, obligations, promesses et actes de Justice le compte à sols et à livres, et ordonner que l’on ne pourra plus doresnavant contracter autrement que à Escus qui est une Monnoye immuable, qui depuis cent ans que l’on commenca d’en faire, a toujours demeurè a peu pres en une meme bontè”. (Le Blanc, 1690, pag. 374; 1692, pag. 277).

 

 

Dall’osservazione di fatto che la lira era mobile e lo scudo era stabile, la Corte delle monete (1576) e l’ordinanza di Poitiers (1577) trassero la conclusione che si dovesse abolire il conto in lire, sostituendolo con il conto in scudi.

 

 

Ma né nel 1565 né nel 1567 il Malestroit aveva osservato e concluso in tal modo. Che egli non intendesse abolire il conto in lire, risulta dal tenore delle proposte da lui fatte, quali si desumono dalla replica del De Tourette al secondo suo quaderno. Le proposte, nota il suo contradditore, avrebbero avuto per effetto che il prezzo del marco d’oro sarebbe aumentato di sette lire e il prezzo del marco d’argento di cinque soldi. Se il Malestroit avesse voluto abolire il conto in lire, quale significato avrebbe avuto il rimprovero mossogli dal De la Tourette di far crescere il prezzo del marco d’oro di sette lire e quello del marco d’argento di cinque soldi? È evidente che nel 1567 nessuno dei due disputanti pensava ad abolire, come propose poi nel 1576 la Corte delle monete, il conto in lire. L’ordinanza del 1577 voluta dalla Corte delle monete e patrocinata dal Garrault[15] partiva dalla medesima analisi del male; ma ragionando diversamente intorno alla causa immediata di esso (rialzo del prezzo dello scudo in lire, secondo il Malestroit; confronto fra due monete, l’una mobile e l’altra invariabile, secondo la Corte) giungeva a conclusioni diverse da quelle di Malestroit.

 

 

18. – In verità l’affermazione dell’Harsin (Le doctrines, p. 47) approvata dall’Hauser (H. sessantunesimo) che “gli ufficiali della corte delle monete erano tutti della scuola di Malestroit e subirono scarsamente l’influenza di Bodin” deve essere modificata nel senso che essi, pure non potendosi sottrarre alla influenza della dottrina di entrambi, guardavano con malcelato compatimento all’intervento nelle discussioni monetarie di uomini di studio. Le lodi che il De la Tourette crede obbligo di cortesia tributare in principio del suo esame critico allo scritto del Malestroit: “le dit De la Tourette ne trouve rien qui fasse tant a priser comme le grand labeur employè par le dit S. de Malestroit en deux choses, l’une a rechercher les antiquitez par les registres concernant ce faict et l’autre a rediger par escript non seullement en termes elegans, mays encore par bon ordre tout ce qu’il y a recueilly pouu fonder son intention, n’ayant rien obmis de ce qui apartient a ung bon orateur pour rendre attentifs et a luy favorables ses auditeurs” acquistano sapore singolarmente ironico quanto si giunge alla chiusa, che pone tra i lettori del Malestroit: “principallement ceuls qui sont moins versez au faict des monnoyes” (qui, pag. 132). I rimarchi sardonici intorno all’abitudine del M. di magnificare le massime da lui poste “plus que s’il avoit trouvee la quadrature du circle” (qui, pag. 132), alla impossibilità di rintracciare “une seulle couleur de raison pour les (proposte del M.) recevoir, car les recevant, nous tomberions de fiefvre en chaud mal” (qui, pag. 141), ai “grands discours” intorno alla preziosità dell’oro e dell’argento accompagnati da poca “coscience de les contaminer et corrompre” (qui, pag. 143) alla scarsa inventività sua: “toutesfois ce n’est invention de grande subtilitè que de voulloir augmenter le revenue des monuoyes par une augmentation de seigneuriaige sur la fabrication d’icelles” (qui, p. 146), insieme con la recisa condanna finale: “il n’est bon ni utile pour le public de recevoir les inventions du dit S. De Malestroit” dimostrano che non esisteva buon sangue fra il presidente della Corte delle monete e il Malestroit. Né il Bodin, a parte le lodi a fior di labbra rivoltegli all’assemblea di Blois, godeva maggiore reputazione fra quegli specialisti. Henri Poullain, consigliere e generale della “Corte delle monete nei primi anni del ‘600, scrivendo nel 1613 ” du desordre qui est à present aux Monnoyes d’Espaigne”, confuta la tesi del Bodin[16] che la fabbricazione delle monete di biglione rincari le specie monetarie d’oro e d’argento; e prende il destro di fare una punta contro di lui come “le premier qui a tenu cette opinion, du moins qui l’a escritte et qui a eu tout plein de suyvants aussi peu scavans que Luy en faict de Monnoyes”. Così si legge nelle edizioni a stampa[17] della memoria del Poullain; ma nel manoscritto (B. N. Fonds Francais, Monnoyes, vol. primo, n. 18.497) aveva lasciato che la penna scrivesse “aussi ignorans que luy”. Suppergiù questo era il giudizio che gli specialisti di cose monetarie, i quali avevano ufficio nella corte delle monete, davano di tutti “ces donneurs d’advis”[18], uomini di studio ouomini di pratica, consiglieri di stato, o maestri nella Camera dei conti, i quali disturbavano con pareri, memorie, proposte il lavoro dei “veri competenti” ed osavano insinuare che gli errori verificatisi in passato erano frutto “de l’ignorance d’aucuns et de la malice des aultres” di coloro – ed essi, consiglieri della corte delle monete, si sentivano sovratutto presi di mira – i quali erano stati chiamati a fissare le norme regolatrici del corso delle monete. Rimproverati di ignoranza o malizia profittatrice, i consiglieri della corte si vendicavano, come è uso dei pratici amministratori, tacciando di astrattista e teorico (abile ad esporre – così è maliziosamente lodato Malestroit dal suo contradditore ufficiale – “comme par forme de theorique” l’art et science des monnoyes) chi si attentava a far incursione nei campi di loro caccia bandita.

 

 

19.- Quali fossero i problemi i quali veramente interessavano i monetaristi del tempo possiamo, meglio che dalla polemica Malestroit – Bodin, comprenderlo dalla discussione fra il Malestroit ed il De la Tourette. Ambi amministratori della cosa pubblica; magistrato il primo nella Camera dei conti e nel consiglio del re, ossia disposto a vedere il problema monetario dai punto di vista dell’interesse dell’erario e del pubblico, presidente della Corte delle monete il secondo e perciò impaziente di soluzioni le quali non tenessero abbastanza conto delle esigenze tecniche.

 

 

Dimentichiamo per un momento l’intervento del Bodin; e supponiamo che anche la prima memoria, quella a stampa, del Malestroit, avesse avuto la sorte di tante altre memorie indirizzate al re ed alle supreme magistrature del regno, oggetto di controrelazioni di altri magistrati. La lettera dedicatoria al re dimostra che i “paradossi” avevano appunto indole di rapporto amministrativo; né sappiamo i motivi per i quali essi furono dati alla stampa. La sequenza: 1) Paradossi du Malestroit del 1566; 2) Memoires (inediti) del 1567 del medesimo autore; 3) Replica del De la Tourette ai “Memoires”, sarebbe in tale ipotesi perfetta.

 

 

Perciò, alla presente edizione dei manoscritti da me rinvenuti faccio precedere la ristampa (esemplata sull’ed. or.) dei “paradossi”, affinché il lettore abbia sotto gli occhi l’opera intiera, edita ed inedita, del Malestroit e meglio possa seguire la polemica del De la Tourette. La seguente analisi delle tre memorie ha l’intento di mettere in evidenza il filo logico del ragionamento, condotto dai due disputanti attraverso “prove” le quali talvolta deviano su particolari secondari l’attenzione del lettore.

 

 

Non volendo mettere le mani nel testo delle memorie, se non nella misura strettamente necessaria alla loro intelligenza, mi sono limitato a non badare al carattere più o meno vistoso dei titoli che alle varie parti delle memorie diede la fantasia calligrafica dei due copisti del 1567 (ms. della B. N.) e del 1690 (ms. mio); dando invece, senza mutare menomamente le parole, alle intitolazioni il peso che logicamente ad esse spetta. Del pari nel manoscritto la distribuzione degli “spazi” fra l’una e l’altra di quelle che i copisti consideravano parti del discorso è cervellotica. Nella stampa, gli “spazi” sono stati ricondotti al compito proprio di separare dimostrazioni e concetti distinti. Gli spazi nel testo delle memorie .M. – D. L. T. – corrispondono agli spazi nell’analisi mia e rendono così agevole il riferimento dal riassunto dell’analisi alla paginatura del testo. Finalmente, laddove negli originali quello che potrebbesi chiamare “corpo” o “carattere” calligrafico è uniforme, ho creduto nella stampa opportuno adottare un “corpo” o “carattere” ordinario per il contesto della dimostrazione ed altro più piccolo per le “prove” storiche od esemplificative; cosicché il lettore possa, volendo, passare oltre, in una prima lettura, a quest’ultime, salvo a ritornarvi sopra in seguito. Ad imitazione del Bodin, i commentatori della tesi di Malestroit si accanirono contro l’imperfezione delle prove e tennero poco conto del ragionamento. A prescindere che la riprova odierna (cfr. sopra par. 5) lascia, come già osservai, il beneficio del dubbio a favore della tesi storica del Malestroit, credo si debba seguire il metodo opposto di lasciare nell’ombra le prove di fatto per mettere in risalto la tesi dottrinale. Le prove storiche possono essere imperfette od anche fallaci; forse pregiudicate in offesa (Malestroit) o in difesa (De la Tourette) del sistema monetario vigente; sono ad ogni modo di difficilissimo giudizio a chi non possegga una particolarissima competenza numismatica e non abbia eventualmente mezzo di fare calcoli ed assaggi, che ignoro siano oggi possibili. Vi ha in Francia qualcuno, all’infuoridel Dieudonné, in grado di risolvere siffatti delicatissimi (delicati anche nel senso materiale della bilancia e del saggio) quesiti? Né importa del resto oltremodo all’economista risolverli; ché a lui interessa invece la soluzione dei problemi economici posti dagli scritti qui pubblicati. Qualche eventuale sbaglio in che, nonostante ogni diligenza, fosse incorso lo scrivente nei calcoli, pur defatiganti, condotti (cfr. par. 24, 32, 34) per la interpretazione dei problemi monetari discussi – e tra gli sbagli involontari non va noverata la voluta omissione delle tolleranze di peso e di titolo (remedes de poids et de loy) e della correzione al peso detto del “trebuchant” – giova sperare non sia reputato atto ad infirmare la sostanza delle considerazioni svolte. Si considerino come “dati del problema” i risultati dei calcoli e si vegga se le considerazioni siano, su quella base, valide.

 

 

L’analisi contenuta nel testo (par. 20 a 22) è condotta usando una terminologia che, pur rendendo ossequio a quella del tempo, sia intelligibile al lettore odierno e riesca non inutile guida nella lettura delle memorie Malestroit – De la Tourette. Ad evitare inutili digressioni e ripetizioni, ho inserito talvolta, fra parentesi quadre, mie delucidazioni o riserve o quesiti o critiche, che valessero a richiamare l’attenzione su punti contestabili del ragionamento o delle prove del M. Tutto sommato, però, il Malestroit parmi tenere, fra i monetaristi del tempo, un luogo segnalato, superiore a quello del Bodin, per la maniera schematica sillogistica con la quale, nudamente ragionando, dalle premesse poste giunge alle conseguenze. Vorrei che l’analisi mia chiarisse almeno siffatta sua forma mentis.

 

 

20. – Nei Paradoxes du Seigneur de Malestroit sur le faict des monnoyes si vuole, in attesa di più ampia dimostrazione del frutto ricavato da tre anni di lavoro, dimostrare, con “raisons grandement paradoxes” e cioè “fort esloignees de l’opinion du vulgaire”, il torto che ognuno fa a se stesso coll’accettare e dare le monete effettive ad un corso più alto in moneta di conto di quello portato dalle ordinanze (dedica al re) – 89

 

 

Il paradoxe premier: «Que l’on se plainct à tort en France, de l’encherissement de toutes choses, attendu que rien n’y est enchery puis trois cents ans» si prova con un sillogismo, di cui: – 91

 

 

la premessa maggiore : «una cosa [cosa è sinonimo di bene economico nella terminologia del tempo] è rincarata se per comprarla fa d’uopo dare più oro od argento che prima» – è una mera definizione del rincaro, definizione evidente quasi per sinonimo oggi che al baratto si sostituì lo scambio a mezzo della moneta – ivi la minore: «oggi non si dà, per acquistare una qualunque cosa, più oro od argento di prima» – si prova storicamente – ivi

 

 

Esempio delle prove:

 

 

Se nel 1328 lo scudo d’oro ai fiordalisi correva per 20 soldi (1 lira) e la misura (auna od aulne) di velluto era contrattata per 4 lire, essa era pagata 4 scudi;

 

 

Oggi, poiché lo scudo d’oro al sole corre per 50 soldi (2,5 lire) e l’una di velluto è contrattata per 10 lire, essa è pagata, come prima, 4 scudi: le lire e i soldi essendo moneta di conto od immaginaria e gli scudi moneta effettiva – 92

 

 

la conclusione: “l’encherissement…. est une opinion vaine, ou image de compte sans effet ni substance quelconque” è la logica illazione delle premesse fatte – 94

 

 

Il paradoxe deuxiesme : “Qu’il y a beaucoup à perdre sur un escu, ou autre monnoye d’or et d’argent, encores qu’on la mette pour mesme pris qu’on la recoit”, contrasta l’opinione volgare che non si possa perdere dando lo scudo, moneta effettiva, allo stesso corso, in moneta di conto, al quale lo si è ricevuto – ivi

 

 

Si dimostra con esempi l’errore dell’opinione volgare; e prima in oro. Il gentiluomo che nel 1328 possedeva una rendita o censo annuo di 50 soldi di lira, quando lo scudo correva per 20 soldi, poteva con 2 scudi e mezzo, quando l’una di velluto valeva 4 lire, comprare mezzo e un ottavo (0,625 di una a una; ora che lo scudo corre per 50 soldi, la medesima rendita frutta 1 scudo, il quale, a 10 lire l’una, compra solo un quarto (0,25) d’auna di velluto – 95 Poi si danno esempi in argento – 96

 

 

Non ci si può consolare pensando di ricevere e dare le stesse 100 lire. Bisognerebbe che i due douzains odierni, quasi in tutto di rame, comprassero altrettanta merce quanto i due grossi tornesi d’una volta, che erano tutto argento. Questo sarebbe vero paradosso, il quale farebbe concludere che le cose siano oggi più a buon mercato di prima. Così non è – 96 I due paradossi vollero dimostrare: che le cose valgono quanto prima, dandosi per esse ugual quantità d’oro e d’argento; re e signori ricevevano oro ed argento fino in cambio dei diritti demaniali e signorili, degli stipendi e pensioni pagabili in una quantità fissa di monete di conto; col rame che oggi ricevono invece dell’oro e dell’argento non possono più acquistare merci come un tempo; quindi non le merci rincararono, ma scemò l’oro e l’argento ricevuto – 97

 

 

Più rialza il corso in moneta di conto delle monete effettive, più noi perdiamo. Di lì viene il gran rincaro delle cose, che è cagione di povertà generale a tutto il regno – 98

 

 

Si promette di dimostrare altrove i progressi specie ed occasioni del rincaro, insieme col rimedio certo infallibile per guarirlo – ivi

 

 

21. – Dei quattro Memoires sur le faict des monnoyes proposez et leus au privé Conseil du roy tenu a Saint Maur des fossez le 16 jour de may 1567 dal signor di Malestroit si pubblica qui il primo, che solo è a mia notizia. Esso è diviso in cinque capitoli – 99

 

 

Nel primo si tratta della “raison de l’encherissement de toutes choses” – ivi

 

 

Si contrappone anzitutto l’antica maniera di rimediare al rincaro, che era di mettere “bon ordre au faict des monnoyes”, alla moderna, che è di calmierare i prezzi delle cose – ivi Inefficacia dei calmieri. Oggi, che la polizia parigina pretende che la pinta del miglior vino sia venduta a non più di 18 danari, il taverniere invece di pinta dà chopine o demyseptier. Altri esempi di elusione delle ordinanze sui calmieri. Non basta guardare ai prezzi importa riferirsi ai pesi e alle misure – ivi

 

Similmente, lo straniero, il quale per pagarci 86 soldi prima ci dava due angelots, ora ce ne dà per la stessa somma uno solo. Altro esempio dei ducati – 100 Richiamo ai Paradoxes: nulla è rincarato in Francia se non l’oro e l’argento, in moneta di conto; in moneta effettiva, non si pagano di più le cose, ma si riceve meno moneta effettiva per uguale moneta di conto  – ivi

 

 

Vendendo viveri e merci francesi a più basso prezzo [in moneta di conto], lo straniero doppiamente guadagna: 1) facendosi pagar care le monete effettive [guadagno apparente] e 2) comprando a buon mercato le merci nazionali [come conciliare, salvo che con svendite all’estero per conquistar mercati, l’affermazione con l’altra del rincaro delle merci in moneta di conto?] – 101

 

 

Si afferma da taluno: il caro proviene dalle guerre civili e dalla sterilità delle annate, fra le quali il 1565 è singolare. Si risponde: a queste cause di rincaro provvedono Dio o la natura. Dopo la guerra vien la pace, dopo le annate sterili quelle abbondanti – ivi

 

 

Gli uomini debbono provvedere a togliere di mezzo la causa di rincaro che dipende da essi; principale la causa monetaria, vecchia malattia di cui da gran tempo ci si lagna – 102

 

 

Il secondo capitolo esamina: «Cinq moyens excogitez por les anciens pour empescher le transport et billonage des monnoyes de France» – ivi

 

 

I re hanno vanamente usato diversi mezzi:

 

 

– vietare l’esportazione dei metalli preziosi e mettere guardie ai posti ed ai passi di frontiera per far osservare il divieto. Ma i mercanti sono più abili a passare di sfroso di quanto non siano i doganieri a scoprirli – ivi

 

– alzare il prezzo in moneta di conto dell’oro e dell’argento per attirarli e trattenerli in paese. Ma nella gara al rialzo, restammo indietro [M. asserisce e non prova; né la prova par facile, a quanto si può giudicare dal ripetersi della lagnanza in tutti i paesi]. Inoltre il rincaro dell’oro fa sì che gli stranieri ce ne diano di meno in cambio delle nostre merci [nell’ipotesi che il rialzo dei prezzi delle merci non tenga dietro al rialzo del prezzo dell’oro] – 103

 

– peggiorare il titolo delle nostre monete. Ma, se noi peggiorammo da 24 a 23 carati, gli stranieri peggiorarono a 22 e persino a 18 carati [?]- ivi – proscrivere le monete estere. Saggia provvidenza, se le nostre zecche avessero fornito al paese le moneta necessaria. Invece le monete estere dovettero seguitare ad entrare per colmare i vuoti della nostra circolazione – ivi

 

 

L’ insuccesso è dovuto ad aver chiamato a consulta trafficanti, argentieri e mastri di zecca interessati e maliziosi, non certo propensi a consigliare cosa contraria ai loro guadagni – 104

 

 

Il terzo capitolo discute “Les causes qui nous font tromper au faict des monnoyes” – ivi

 

 

Crediamo di guadagnare dando per 52 soldi [di lira di conto] quello scudo che abbiamo ricevuto per 50 soldi. Poi ci stupiamo quando dobbiamo pagar le cose al prezzo di 52 soldi; e non vogliamo ricordarci che di ciò fummo noi cagione [il M., con gli altri, attribuisce al fatto di dar più soldi per ogni scudo il valore di causa che non ha. Ma il fatto esisteva] – 104

 

 

Ci ingarbugliamo in un oscurissimo linguaggio monetario. Era forse necessario oscurare la materia monetaria in passato, quando i principi traevano dal signoraggio la loro principale entrata. Non oggi, ché essi hanno larghe entrate tributarie. L’oscurità agevole gli inganni dello straniero – 105

 

 

Dei suoi studi, dei documenti consultati e delle sue conclusioni – 106 Il quarto capitolo enumera le “Sept faultes aux ordonnances des monnoyes qui causent le transport et refonte des especes ez pais estrangers” – 107

 

 

Primo errore: è l’erronea proporzione fra i prezzi dell’oro e dell’argento in pasta (hors oeuvre) e quelli offerti dalla zecca per i metalli contenuti nelle monete messe fuori corso (en billon) da portare in zecca. Quando vi è sproporzione, esce dal paese “tousjours celuy [metail] qui estoit trop bas appreciè avec celuy qui estoit trop hault” [una delle tante formulazioni della cosidetta legge di Gresham] – ivi

 

 

La proporzione corretta va cercate nelle dottrina e nella esperienza. Citazioni da Budè e da Platone – 108

 

 

La proporzione invariabile da conservare è dunque quella di 1 a 12; ed a questa bisogna badare, innanzi di fissare il prezzo di acquisto in zecca dell’oro e dell’argento – 109

 

 

La ricchezza del paese non sta nella lega, che è materia vile, né nel prezzo, che il principe potrebbe mutare a volontà, né nel conio (caractere); ma nel fino – 110

 

 

Nei rapporti con l’estero non importa il prezzo assoluto dell’oro e dell’argento; me il rapporto fra i due. Se all’estero il marco d’oro e d’argento sono apprezzati 120 e 10 lire in moneta di conto e in Francia 1,000 e 100; e se la vera proporzione è di 1 a 12, l’oro uscirà; e viceversa uscirà l’argento se tra noi l’apprezzamento è 1.300 e 100 [M. trascura il limite posto dal signoraggio all’esportazione] – 111

 

 

Prove storiche delle tesi ora detta. Nessun gioco di carte o dadi è più azzardoso di quello della proporzione fra oro e argento  – 112

 

 

Secondo errore: lo scarto fra la proporzione tra i prezzi dei due metalli in pasta (hors oeuvre) e quella osservata nelle monete coniate. È errore diverso dal primo, il quale confrontava prezzi di mercato e prezzi in zecca. Questo confronta prezzi di mercato e corsi delle monete coniate]. L’oro è sempre più a buon mercato in conio (en oeuvre) che in pasta (hors oeuvre); epperciò scompare – 114

 

 

Si danno esempi di sproporzione, per giunta variabile da moneta a moneta.115

 

 

La lira di conto ha perciò valori diversi per ogni moneta – 116

 

 

Si danno estratti di editti, di Filippo quinto nel 1320, di Francesco primo nel 1540, di Enrico secondo nel 1549 che ordinano osservarsi giusta proporzione (equalitè) – ivi

 

 

Purtroppo gli editti non sono osservati. Sproporzioni esistenti nel 1540, a vantaggio degli stranieri, degli argentieri e dei fonditori in frodo – 117

 

 

Terzo errore: malo apprezzamento delle antiche monete in occasione di nuove coniazioni e di cambiamento di piede e di prezzo dell’oro e dell’argento in verghe. Perciò le monete antiche sono fuse da stranieri, zecchieri, argentieri – 118

 

 

Esempi di errori commessi nel 1540, 1549, 1555 ecc. coll’apprezzare le monete estere più di quelle nazionali, le nazionali più dei metalli in pasta, col tener conto del brassage e del seigneuriaige anche per le monete estere – ivi

 

 

Quarto errore: per non aver dato un prezzo proporzionato al biglione di bassa lega anzi averlo quasi proscritto, così da indurre stranieri e raffinatori a fonderlo – 121

 

 

Quinto errore: l’abbandono nelle nuove coniazioni delle buone monete antiche, dei douzains, tralasciati a favore dei testoni. Nel 1563 si coniano soltanto soldi parisis, pessima tra le monete coniate dopo la cacciata degli inglesi – 122

 

 

Sesto errore: le monete estere sono male apprezzate, sicché talune, essendo più care di quelle di Francia, non si possono convertire al conio nazionale, altre, più a buon mercato, non sono importate. Nulla perciò va alle zecche di Francia – 123

 

 

Settimo errore: le monete estere non sono apprezzate a norma del fino in esse contenuto, ma del fino più brassaggio e signoraggio. Lo straniero, avendo la scelta fra il pagare in oro fino in pasta ed oro coniato, reca quest’ultimo che ha meno fino e con questo compra il nostro biglione in ragione del fino che esso contiene [il M. non spiega perché i francesi si conducano in modo diverso dagli stranieri, questi computando le monete al fino più signoraggio e quelli al solo fino]. La Francia possiede così meno oro ed argento di quel che avrebbe in biglione; non può fondere, senza perdita, le monete estere; e resta priva di biglione e perciò di materie monetabile – 123

 

 

Si fa il calcolo del profitto che gli stranieri traggono dal cambio delle loro monete col nostro biglione – 124

 

 

Il quinto capitolo dichiara La consequence des faultes dessus [dittes] – 126

 

 

Le antiche monete francesi sono fuse e diventano rare; i mercanti francesi son costretti ad accettare monete estere; gli stranieri, osservando il nostro bisogno, le rincarano, dandocene di meno in pagamento di viveri e merci francesi. Le nostre monete, nuove e antiche, sono da essi prese per biglione, esportate e fuse [M. suppone sempre nei francesi una condotta irrazionale, per incapacità ed aumentare il prezzo delle loro merci in moneta di conto e per prontezza a cedere le loro monete per il puro fino] – ivi

 

 

I francesi sono alfine costretti a rialzare in monete di conto gli scudi dopo che gli stranieri hanno rialzato angelots e pistolets; ma, poiché le ordinanze vietano il rialzo abusivo dal corso delle monete, noi perdiamo nelle gara [Le ordinanze estere non contenevano forse ugual divieto?]. Esempi, ed in ispecie dell’ordinanze del 1561, la quale diede corso alle monete estere. Le zecche nazionali oziano o sono alimentate soltanto de monete rotte, consunte e fuori corso (decriees) – ivi

 

 

I pochi scudi usciti dalle nostre zecche sono immediatamente acquistati dagli stranieri in ragione del loro fino. Noi comperiamo invece le loro al valore nominale [vedi sopra per il contrasto improbabile nelle condotte dei nazionali e dei forestieri], vendendo ad essi per giunta merci e viveri a prezzi più bassi di quelli interni [caso asserito e probabilmente immaginato, di dumping] – 128

 

 

I diritti demaniali, per il rincaro delle monete effettiva (scudo) e il rinvilio della moneta di conto (lira), fruttano meno; i gran signori patiscono e il reame cade in povertà – 129

 

 

Il re è fatto tributario dei sovrani stranieri. Il signoraggio, che era in passato la sola entrata dei nostri re, ora è convertito in taglia pagata ai vicini. Il re è anche asservito ai banchieri forestieri, specie italiani, che traggono dalle Francia oro e argento e poi ce li ridanno a mutuo ad alta usura – ivi

 

 

Di qui nascono ricchezze e grandigia degli stranieri e perdita e rovina del reame; e peggio andranno le cose, se non si ponga rimedio al male – 130

 

 

22. – La Response du S. De la Tourette aux paradoxes du S. de Malestroit touchant les monnoyes, si riferisce a tutti i quattro quaderni del Malestroit  – 131

 

 

Si espone il contenuto dei quattro quaderni di cui si compone la memoria del Malestroit:

 

 

Il primo od esposizione teorica della scienza ed arte monetaria: errori commessi in passato e loro conseguenze – ivi

 

 

Il secondo o proposta degli opportuni rimedi di nuovi piedi per le varie specie di monete  – ivi

 

 

Il terzo o proposta di apprezzamento delle monete estere sulla base di nuovi piedi – ivi

 

 

Il quarto con la conclusione del frutto di più che 100 mila scudi annui che dalla proposta riforma trarrebbe il re – ivi

 

 

Sul primo quaderno: lo scritto del M. è lodato per dottrina, ma reputato non accettabile – 132

 

 

Delle due massime principali, magnificate dal M. più che non se si trattasse della risoluzione del problema delle quadratura del circolo, la prima è che la proporzione vera fra oro e argento sia di 1 a 12 e la seconda è che, questa stessa proporzione debba essere osservata nell’apprezzamento tanto dei metalli in pasta che nel corso delle monete coniate, sia d’oro che d’argento o di biglione – ivi

 

 

Prova della proporzione di 1 a 12. Il M. cita Platone e S. Luigi, ma non prova che la proporzione sia stata costante e universale, anzi confessa il contrario – ivi

 

 

La proporzione varia, dipendendo dalla rarità relativa dell’oro e dell’argento e questa dalla abbondanza o scarsità dei raccolti, che provocano afflusso od uscita di monete, e da guerre, per necessità di riscatti: di Francesco primo fatto prigione a Pavia e di gran numero di signori presi nella giornata di S. Lorenzo (S. Quintino) – 133

 

 

La sproporzione avrebbe dovuto far uscire l’oro e riempirci d’argento ed invece non abbiamo né argento né oro –  134

 

 

Se è errore per noi aver accolto nell’ordinanza del 1561 il rapporto di 1 ad 11 tre quarti, talun straniero non ha forse accolto l’1 ad 11? – ivi

 

 

Alla seconda massima: doversi usare ugual proporzione per tutte le monete ed insieme per i metalli in pasta, si risponderà a proposito del secondo quaderno che è tutto fondato su di esso – 135

 

 

Per ora si replica alla denuncia dei sette errori. Il primo fu già negato – 135

 

 

Sul secondo: l’accusa non si può provare; anzi l’oro coniato vale, in ragion di marco, più di quello in pasta, pur trascurando le tolleranze – ivi

 

 

Le spese di coniazione variando secondo la diversità del lavoro e il numero dei pezzi che si tagliano nel marco, l’uniformità della proporzione per tutte le monete non è possibile – 136

 

 

Si dimostra, con esempi, che le spese variano e sono tanto maggiori quanto più le monete sono piccole – ivi

 

 

M. si vanta di avere ottenuto la uniformità raddoppiando il signoraggio sulle monete d’oro e d’argento e ribassando del terzo il prezzo del marco d’argento per le minute monete di biglione; ma il raddoppiamento è nuova taglia e la riduzione è impossibile  – 137

 

 

Sul terzo, errore, si risponde che le vecchie monete non valevano più del prezzo fissato nella ordinanza del 1561, per essere scadute di peso e titolo – ivi

 

 

Sul quarto errore, si osserva che l’ordinanza del 1561 non istituì differenza di prezzo per l’argento da coniare in monete alte e per quello da biglione – 138

 

 

Sul quinto errore, si replica che i douzains erano già troppi e facevano rialzare il corso delle monete d’oro. Era proposito del re di abbassare lo scudo a 2 lire di conto; e i douzains erano all’uopo disadatti, perché di troppo bassa lega. Non essere vero che l’ordinanza del 1561 abbia sospeso la coniazione dei testoni per fare soldi parisis, del resto non peggiorati più degli scudi e dei testoni. Anzi i soldi contengono meno cali dei testoni. Se ne coniarono pochi, perché gli zecchieri non lucravano abbastanza – ivi

 

 

Sul sesto errore si riconosce la verità dell’incongruenza dell’apprezzamento delle monete estere; ma contro il parere dei consiglieri della corte delle monete prevalsero ragioni di opportunità – 140

 

 

Sul settimo errore, che in sostanza è di nuovo il sesto, il parere della corte delle monete era contrario a dar corso alle monete estere a più di fino che quelle francesi. Del resto il popolo le valutò ancor più. Le zecche di Francia lavorarono, in monete d’argento, più negli ultimi 6 che nei 30 anni precedenti – 141

 

 

La proposte fatta nel secondo quaderno, di rendere universale la proporzione di 1 a 12 è sragionevole ed impossibile – ivi

 

 

Sragionevole in primo luogo; poiché rialza di 7 lire il prezzo del marco d’oro e di 5 soldi quello del marco d’argento. È un indebolire la moneta effettiva e render vana la speranza del ritorno alla moneta forte – 142

 

 

Rialza in secondo luogo la “traicte” delle monete della metà e più, il che equivale a triplicare [essendo il brassaggio ed i rimedi una quantità fissa, il signoraggio che è il residuo aumenta di più del totale] il signoraggio dell’oro e duplicare quello dell’argento. Questo è un ulteriore indebolimento della moneta, ossia è taglia posta su sudditi di ogni condizione  – ivi

 

 

La moneta resta, in terzo luogo, vieppiù [?] indebolita col coniare l’oro a 21 carati e l’argento a 10 denari. Il M., il quale assai loda i metalli preziosi, si contraddice poscia contaminandoli – ivi

 

 

È impossibile, per le ragioni dette sopra replicando al rimprovero del secondo errore. Qui si noverano gli altri vizi del sistema  – 143

 

 

Pericolo di incoraggiare, portando lo scudo a 52 soldi, il popolo nell’andazzo di spingere abusivamente all’insù il corso della moneta effettiva. [secondo D. I. T. dice abusiva la correzione fatta dai mercati degli errori di proporzione sanciti in grida] – ivi

 

 

Essendo sbagliati i nuovi piedi, non occorre soffermarsi sui corsi, che si propongono nel terzo quaderno per le monete estere. Anche il M. del resto avvantaggia le monete estere più di quel che non facesse l’ordinanza del 1561 – 144

 

 

Nel quarto quaderno è notabile la conclusione. Non faceva d’uopo di molta sottigliezza d’ ingegno per dar nuove entrate al principe con l’aumento del signoraggio. Dicasi che si vuole, il M., svilendo la moneta, pone nuova taglia su tutti – ivi

 

 

23.- Se dal riassunto analitico delle memorie del Malestroit e del De la Tourette è possibile trarre una conclusione, questa è l’esistenza di un problema di forma accanto ad un problema di sostanza. I monetaristi pratici (De la Tourette) davano, come era ovvio, maggior peso alla forma, al conio, alle spese di monetazione di quanto non facessero i teorici (Malestroit). Ma negli scritti di amendue ed anche in quelli del Bodin e di quanti intervennero nella disputa, il problema dominante, talvolta espresso, talvolta quasi non intravisto, sebbene sentito, è quello della coesistenza di due ordini di moneta, l’una effettiva e l’altra immaginaria. Il problema era cagione, allora, di equivoci e di illusioni; ed è oggi motivo di difficoltà e talvolta di errori nella interpretazione dei fatti e delle dottrine di quel tempo. Lo vedemmo venir fuori nel contrasto delle “remontrances” della corte delle monete del 1576 fra la “Monnoye muable” e la “Monnoye immuable”, fra la lira “qui se diminue de bontè à mesure que les especes d’or et d’argent surhaussent” e lo scudo “qui depuis cent ans que l’on commenca d’en faire, a toujours demeurè à peu pres en une meme bontè” (vedi sopra par. 17). Esposto così, il problema sembra di mero fatto e può, oggi, parere ovvio che la Corte consigliasse al re ed agli stati generali di abbandonare la lira, moneta cattiva ed oscillante, per attenersi allo scudo, moneta buona e stabile.

 

 

Il problema era ben altro: non si trattava di scegliere fra due monete, bensì tra due sistemi monetari, anzi fra due modi di concepire il contenuto e il compito della moneta. Il contrasto era fra l’idea della moneta – merce e l’idea della moneta che fosse invariabile misura dei valori: ma in quel tempo il contrasto sembrava essere fra la unità monetaria concreta, esistente, coniata in un certo peso di metallo nobile ad un certo titolo e la unità monetaria astratta immaginaria, riferita da ordinanze regie a certune monete effettive. L’interesse del problema nasce dal fatto che allora l’unità monetaria era un puro numero astratto. Duriamo, oggi, fatica a rifare l’abito al doppio metodo di conchiudere e di eseguire i contratti che ai nostri vecchi appariva ovvio. Oggi esiste, in ogni paese una sola specie di moneta, con un’unica unità monetaria; in Italia la lira divisa in 100 centesimi. La lira è per noi unità monetaria che serve per fare i conti e per conchiudere i contratti sulla base di certi prezzi ed è nel tempo stesso mezzo effettivo di pagamento, colla prestazione del quale i contratti sono risoluti e chiusi. Un quintale di frumento è negoziato al prezzo di 100 lire; ed il contratto avvenuto è eseguito mediante la tradizione da una parte del quintale di frumento ed il pagamento dall’altra del biglietto da 100 lire. Ciò accade perché l’unità monetaria lira è essa stessa moneta effettiva, del peso oggi in Italia di grammi 0.07919113 di oro fino. Può darsi che in determinati momenti il cambio del biglietto in oro sia sospeso; ma il principio resta che l’unità monetaria “sia” od “equivalga” ad un dato peso d’oro fino. Se il cambio a vista ed al portatore è sospeso, il biglietto scapiterà di valore e potrà nella stima comune del mercato scadere a grammi 0,07 o 0,06 od altro qualunque peso d’oro fino; ma è l’unità medesima monetaria, l’unica usata nel paese, la quale così scapita.

 

 

L’idea, semplice, che sta a base dei moderni sistemi di conto e di pagamento è relativamente recente e risale alle leggi del 18 germinale dell’anno terzo (7 aprile 1795) e del 28 termidoro anno terzo (15 agosto 1795) confermate nella più nota legge del 7 germinale anno undicesimo (28 marzo 1803), la quale instaurò un bimetallismo imperniato su una unica unità monetaria, sia conto che di pagamento, detta franco, di 100 centesimi, del peso di grammi 0,29032258 d’oro fino ovvero grammi 4,50 di argento fino. Prima le monete erano usualmente di due specie: l’una reale ed effettiva e l’altra immaginaria od ideale o politica o numeraria[19] o di conto. “Deux sortes de Monnoies ” – scrive il Dutot[20] – “sont l’ame et le mobile du Commerce, l’une Reelle, et l’autre Ideale. La Monnoie Reelle est d’or et d’argent: elle fut introduit pour la facilitè du commerce; elle fit succeder les ventes aux echanges, en devenant le prix et la mesure de tout ce qui entre en Commerce parmi les hommes. Mais comme le transport embarrassant de ces especes faisoit encore un obstacle au Commerce, on eut recours aux Lettres de change d’un Pays ou d’une Place sur une autre; et pour rendre le negotiations et les calculs plus faciles, on imagina des Monnoies de compte ou de change, comme les livres, les sols, et les escus, en France; les deniers, les sols et les livres sterlins, en Angleterre; le deniers, les sol et les livres de gros, en Hollande etc. Cette derniere sorte de Monnoie Ideale, ou imaginaire, et qui, à proprement parler consiste en de noms collectifs, qui comprennent sous eux un certain nombre de Monnoies Reelles, sera nommee Monnoie Politique”.

 

 

24. – Moneta reale ed effettiva era dunque una moneta realmente coniata in

oro ed in argento, circolante nel paese ed usata nei pagamenti. Nel tempo in

cui furono scritte le memorie del Malestroit, del Bodin e del De la Tourette

erano principali fra le monete effettive coniate e correnti in Francia:

 

 

– Lo scudo d’oro sole o al sole (escu sol ou au soleil) a 23 carati di fino, di cui si coniavano 72,5 pezze per ogni marco di peso d’oro. E poichè il

marco pesava grammi 244,75 lo scudo pesava grammi 3,376, ossia, al titolo di 23 carati (958 per mille), grammi 3,235 d’oro fino ed equivaleva a 11,14 lire o franchi pre – 1914 od attuali franchi svizzeri;

 

– Il testone d’argento a 10 denari, 18 e un quarto grani di argent le roy (861 per mille) di cui si coniavano 25 pezzi e mezzo al marco di peso d’argent le roy. Il testone perciò pesava grammi 9,598 al lordo, conteneva grammi 8,264 di fino ed equivaleva a 1,836 lire o franchi pre – 1914;

 

– Il douzain di biglione a 3 denari e 12 grani di argent le roy (279,01 per mille) di cui si coniavano 93 pezzi e mezzo al marco d’argent le roy. Il douzain perciò pesava grammi 2,6177 d’argent le roy, e conteneva grammi 0,73035 di fino, equivalendo perciò a lire 0,1623 lire o franchi pre -1914. Queste monete ed altre di biglione, insieme con gran copia di monete estere, erano unità le quali non avevano multipli e sottomultipli e sarebbero state indipendenti l’una dall’altra, se non si fosse altrimenti trovato modo di collegarle l’una all’altra. Se fossero esistite soltanto le monete effettive, ad ogni contratto sarebbe stato necessario indicare la moneta, scudo, testone, douzain od altra, in che le parti intendevano obbligarsi; ed i prezzi delle merci e dei servigi sarebbero stati diversi a seconda che fossero stati espressi nell’una o nell’altra delle monete correnti nel paese. Qualche cosa di simile dovette accadere in Germania al momento dell’inflazione post – bellica, quando, essendo divenuto senza senso contrattare in marchi, si negoziava in dollari o sterline o franchi svizzeri o corone olandesi, più o meno apertamente correnti in paese.

 

 

Le monete effettive erano discretamente stabili rispetto al loro contenuto in metallo fino.

 

 

Le variazioni in peso e titolo sono quasi irrilevanti per l’oro, crescono alquanto per l’argento e diventano apprezzabili solo per il biglione. Tutto sommato, però, se le variazioni monetarie si fossero limitate a quelle delle monete effettive, poiché sarebbe stato lecito contrattare nella specie preferita, le querele dei danneggiati non avrebbero potuto essere molto vive.

 

 

25. – Il disordine monetario nasceva sovratutto dalla necessità di coordinare le diverse monete correnti in paese in un unico sistema monetario; così da fornire ai contraenti per compre – vendite ed obbligazioni una sola unità di riferimento.

 

 

L’unità chiamavasi moneta di conto od ideale o immaginaria o numeraria o politica, come più tardi preferiva il Dutot, ed era in Francia la lira, divisa in 20 soldi, il soldo dividendosi a sua volta in 12 denari. Se la lira sia stata mai, in qualche momento della storia monetaria francese, una moneta effettivamente corrente è problema complesso, che qui non accade discutere. L’opinione dominante nei secoli sedicesimo e diciassettesimo è efficacemente riassunta dal Le Blanc: “Nostre livre de compte ou numeraire est composee de 20 sols, qui se divisent par 12 deniers, mais nous n’avons point d’espece qui soit precisement de cette valeur. Je scay qu’il a eu dea Monnoyea d’or et d’argent rèelles qui ont valu justement une livre, ou 20 sols, come les Frcncs d’or des Rois Jean Premier et de Charles quinto et les Francs d’argent de Henry terzo. Mais ce n’a etè que par hasard que ces Monnoyes ont etè de la valeur de la Livre; car dans la suite leur prix est augmentè considerablement, ce qui n’arrive point à la Livre numeraire, qui ne change jamais de valeur; car depuis le temps de Charlemagne que nous en servons, elle a toujours valu 20 sols, et le sol 12 deniers (Traitè, 1690, ventunesimo – secondo; 1692 sedicesimo)”. L’origine della lira di conto fu una moneta effettiva del tempo di Carlomagno, quando in una Libbra (Livre) d’argento del peso di 12 oncie si tagliarono o coniarono 20 soldi. “Depuis ce temps là on s’est toujours servi en France de mot de Livre quand on a voulu exprimer une somme de 20 sols. Voilà de quelle maniere la Livre de compte a etè introduite, et l’on voit par là qu’elle doit son origine à la Livre de Poids, et que elles etoient toutes deux de mesme valeur dans leur commencement, puisque le 20 sols d’argent, dont est composee la Livre de compte, pesoient une livre de poids de 12 onces (Traitè, 1690, ventiduesimo – terzo; 1692, diciassettesimo).

 

 

Dal tempo di Carlomagno in poi, la lira non aveva più avuto, eccettochè intermittentemente per brevi periodi di tempo in tempo, alcun rapporto con la libbra – peso; né era stata più effettivamente coniata né con quello né con altro peso. Ridotta a moneta immaginaria, essa serviva a fare i conti, perché:

 

 

– essendo una vera immagine o cifra astratta, poteva sempre dividersi in 20 soldi da 12 denari l’uno;

 

– serviva a creare un legame tra le diverse monete effettive. Il legame era creato per ordinanze sovrane le quali dichiaravano il corso legale delle monete effettive in lire soldi e denari.

 

 

Si sono segnalate le variazioni posteriori al tempo della disputa Bodin –

Malestroit – De la Tourette sino al 1602 per chiarire come quello fosse un

tempo di variazioni frequenti e perciò di dispute accese.

 

 

Nella maggior parte dei casi, le variazioni erano in aumento; notandosi per lo scudo d’oro soltanto le due diminuzioni, l’una di breve durata da 2.14 a 2.12 dal luglio 1572 al giugno 1573 e l’altra da 3.5 a 3, che ebbe vigore dal novembre 1577 (ordinanza di Poitiers) al settembre 1602. Per il testone d’argento, la sola diminuzione, da 16 a 14.6 soldi, fu quella ordinata dall’ordinanza medesima.

 

 

26. – Le parole aumento e diminuzione hanno valore puramente formale; il significato essendone precisamente l’opposto.

 

 

La nomenclatura monetaria in proposito è malcerta e forse variabile. Dal glossario del Poullain (Traites, ed. 1709, pag. 399 e segg.) e dalle illustrazioni del Dieudonné (Manuel, secondo, 82) e del Landry (Essai, p. 47 e segg.) si può ricavare che le monete potevano essere a volta a volta peggiorate o, più raramente, migliorate.

 

 

Al peggioramento davasi comunemente il nome di “affoiblissement” e poteva aver luogo: a) nelle monete effettive, quando se ne diminuiva il peso, aumentando il numero degli scudi d’oro che si tagliavano nel marco, ad es. il 30 agosto 1561 da 67 a 72 e mezzo (vedi sopra, par. 24) ovvero se ne abbassava il titolo, come si fece alla stessa data riducendo da 11 d. 6 grani a 10 d. 18 e tre quarti gr. il fino dei testoni d’argento; b) nel rapporto tra le monete effettive e la moneta di conto. Questa specie di affoiblissement” la terza delle sei in cui Henry Poullain distingueva la mala pratica dell’”affoiblissement”, – dicevasi per lo più “augmentation des monnoyes” ed era termine esatto perché la svalutazione od “affoiblissement” risultava dall’aumento del corso della moneta effettiva in moneta di conto. Nell’agosto 1561, ad es. vedi sopra par. 25) il corso dello scudo d’oro veniva aumentato da 2 lire e 6 soldi a 2 lire e 10 soldi e quello del testone d’argento da 11 soldi e 4 denari a 12 soldi. Laddove prima bastavano 2 lire e 6 soldi per comprare uno scudo d’oro, dopo occorsero a ciò 2 lire e 10 soldi. Poiché i contratti si stipulavano, i salari si convenivano, le merci si negoziavano in monete di conto e si soddisfacevano in moneta effettiva, questa specie di “affoiblissement” che consisteva nell’”augmentation des monnoies”, significava che la moneta di conto od immaginaria era deprezzata (affoiblissement) e che la moneta effettiva era apprezzata (augmentation).

 

 

Di solito l’”affoiblissement” per “augmentation” era preceduto dal “surhaussement”, che sarebbe un corso “volontaire” italianamente detto “abusivo”, più alto di quello legale, dato dai privati alla moneta effettiva. Lo scudo il quale dal gennaio 1550 all’agosto 1561 equivaleva a 46 soldi ed era, per quell’importo, mezzo legale di pagamento, poteva di fatto non essere dai debitori volentieri dato a quel corso ai creditori.

 

 

Col pretesto di non possederne, con l’offerta di pagamento in monete vili di biglione, i debitori riuscivano a far accettare lo scudo a corsi superiori a quello legale: a 48, a 50, a 52 soldi. “Le peuple donnant toujours cours aux Monnoyes comme bon luy sembloit et en augmentant le prix suivant son caprice (Le Blanc, Traite 1690, p. 338; 1692, p. 271)”, spingeva all’insù il corso delle monete effettive “en surhaussant esgalement le cours de l’une et autre des bonnes Especes” (Poullain, Traitez 1719, pagg. 409 – 411). Alla fine, il re si decideva a seguire il rialzo già avvenuto di fatto ed al “surhaussement” abusivo del mercato faceva seguito il “rehaussement” legale del corso in moneta di conto delle monete effettive[21].

 

 

Al miglioramento delle monete davasi invece per lo più il nome di “enforcissement” e poteva anch’esso aver luogo: a) nelle monete effettive, quando se ne cresceva il peso, scemando, come accadde il 23 gennaio 1549, da 71 e un sesto a 67, il numero degli scudi che si tagliavano in un marco d’oro di peso (vedi sopra par. 24) ovvero se ne aumentava il titolo, come si fece il 18 agosto 1519 da 22 e sette ottavi a 23 carati; b) nel rapporto tra le monete effettive e la moneta di conto. Dicevasi questa, che era parimenti la terza delle sei specie di “enforcissement” distinte dal Poullain, “diminution des monnoies” perchè con essa si diminuiva il numero delle unità della moneta di conto che si dovevano dare in cambio di una unità della moneta effettiva. Diminuì, ad es., il corso dello scudo d’oro nel novembre del 1577 quando esso fu ribassato da 3 lire e 5 soldi a 3 lire; e si disse anche esservi verificato un “rabaissement” dello scudo. Il “rabaissement” legale del corso in moneta di conto delle monete effettive, non era di solito preceduto da un ribasso privato, trattandosi di fatto infrequente e quasi sempre imprevisto o non creduto dalle popolazioni[22].

 

 

L’”affoiblissement” equivaleva dunque a quella operazione che oggi genericamente dicesi di “svalutazione”, e per l’appunto allora si parlava di passaggio dalla moneta “forte” alla moneta “debole”; e, viceversa, l’”enforcissement”, oggi direbbesi “rivalutazione”, segnava il passaggio dalla moneta “debole” alla moneta “forte”.

 

 

27. – L’”affoiblissement” e l’”enforcissement”, quando consistevano in “augmentation” e, rispettivamente “diminution” del corso in moneta di conto della moneta effettiva si potrebbero, nel cambio interno, paragonare a fatti che oggi paiono proprii del cambio estero. In punto a cambi esteri, la lira italiana potrebbe essere paragonata a quella che era allora la lira immaginaria, laddove il franco svizzero potrebbe essere fatto corrispondere alla moneta effettiva di quei tempi.

 

 

Ove il corso della lira italiana sul franco svizzero aumenti da 3,67 a 4 lire contro 1 franco, noi diciamo che la lira si deprezza (l’”affoiblissement” degli antichi) e che il franco si apprezza (“augmentation”). Viceversa se il corso della lira italiana sul franco svizzero migliori da 4 a 3,67 lire, si deve parlare di un “enforcissement” della lira e di una ” diminution” del franco svizzero.

 

 

28. – Quei conteggi che oggi si fanno soltanto per i pagamenti all’estero, allora si facevano per tutti i pagamenti interni ed esteri. Di qui nascevano problemi complicati. Se la moneta effettiva fosse stata una sola, d’oro o d’argento, con multipli o sottomultipli, sarebbe bastato determinare il rapporto fra l’unità monetaria effettiva e quella immaginaria; e lo stesso rapporto avrebbe avuto valore per tutti i multipli ed i sottomultipli della moneta effettiva. Qualcosa di simile accade oggi nel Belgio, dove la moneta effettiva corrente è tuttora il franco, sebbene la unità legale di conto sia il belga; ma poiché il belga equivale a 5 franchi, la doppia unità monetaria non dà luogo ad alcuna difficoltà. Se, allora, il testone d’argento, il douzain di biglione e le altre piccole monete di rame fossero stati dei sottomultipli dello scudo d’oro del sole, sarebbe bastato fissare il rapporto fra scudo e lira (ad es. 2 lire e mezza per scudo) per risolvere tutti i problemi. In tal caso, però, il problema non sarebbe durato a lungo. I contraenti si sarebbero probabilmente stancati ben presto del sistema delle due monete, immaginarie ed effettive, e lo avrebbero abbandonato, come inutile complicazione[23]. Perché contare in lire soldi e denari e pagare in scudi, testoni, douzains e oboles se da un canto le lire fossero state divise in 20 soldi e i soldi in 12 danari e dall’altro gli scudi fossero stati, per ipotesi, uguali a 6 testoni, il testone a 10 douzains e il douzain a 12 oboles[24]; e se, per ulteriore ipotesi, 3 lire fossero state uguali ad 1 scudo? TI testone sarebbe anche stato uguale a mezza lira, il douzain a 1 soldo; e l’obole a 1 denaro. Testone, douzain ed obole sarebbero stati meri sottomultipli, coniati in argento, biglione o rame, dello scudo d’oro, non monete vere a pieno potere liberatorio, ma monete rappresentative fiduciarie con contenuto in metallo di valore inferiore a quello nominale.

 

 

Essendo il rapporto tra scudo e lira fisso ad 1 a 3, il sistema sarebbe stato unitario, e nell’uso una delle due nomenclature monetarie avrebbe finito per obliterare l’altra.

 

 

29. – La necessità della coesistenza della moneta immaginaria accanto a quella effettiva nasceva dal fatto, dianzi ricordato, che lo scudo d’oro del sole, il testone d’argento, il douzain, il soldo tournois, il soldo parisis, il liard e l’obole di biglione o di rame erano tutte unità monetarie indipendenti l’una dall’altra. Ed erano correnti, in talune provincie di frontiera, monete straniere, spagnuole savoine inglesi e tedesche, le quali avevano il sopravvento su quelle nazionali.

 

 

La unificazione delle monete effettive, nazionali e straniere, correnti in ogni paese, si otteneva, comè si disse (cfr. par. 25), mercé le ordinanze sovrane le quali dichiaravano il corso legale delle monete effettive della moneta di conto. Le monete effettive erano una specie di merce, il cui prezzo veniva legalmente fissato dal principe. Il “cours” degli scudi d’oro e delle altre monete effettive può paragonarsi ad un prezzo d’impero, dal quale i contraenti non potevano legalmente dilungarsi.

 

 

30. – Tra le ordinanze erano particolarmente importanti quelle di “cri” e di “decri”. Col “cri” si annunciava la messa in circolazione di nuove monete ad un rapporto determinato (cours) con la lira; col “decri” talune specie fino allora ammesse venivano proscritte se straniere e messe fuori corso (“abattues”), se nazionali, sicchè diventava illegale usarle (les “exposer”) ed era obbligatorio riportarle alla zecca, la, quale le rimborsava con monete correnti. Al contrario non si potevano rifiutare le monete legalmente correnti (i “deniers du Roy”) anche se logore (“peles”).

 

 

31. – Il “cri” delle monete, significando fissazione di rapporti separati di ogni moneta effettiva – scudo, testone; douzain ecc. – con la lira, moneta immaginaria, implicava altresì fissazione di un rapporto legale fra le monete effettive d’oro e quelle d’argento e di queste con quelle di biglione, il che voleva dire di nuovo fra monete d’oro e d’argento calcolandosi a zero il rame del biglione.

 

 

32. – Trascuriamo le monete di metallo vile, perché per queste le ordinanze si sforzavano di fissare, come si fa oggi, un massimo, spesso però non osservato, di potere liberatorio nei pagamenti.

 

 

Il problema da risolvere, anche limitatamente alle monete di oro e di argento, consisteva nel fissare un corso delle monete effettive in moneta immaginaria tale che il rapporto in metallo fino fra le monete effettive d’oro e d’argento (en oeuvre) fosse uguale al rapporto fra i due metalli in pasta (hors oeuvre). Se la coniazione nelle zecche pubbliche fosse stata gratuita, come oggi è, per la irrilevanza delle spese di coniazione, dappertutto, si sarebbe unicamente trattato di constatare il rapporto commerciale fra i due metalli e ad esso conformarsi. I due prezzi, quello corrente sul mercato per gli acquisti a scopo industriale e quello fissato dal re o dagli zecchieri per l’acquisto a scopo di monetazione (il cosiddetto “prix du marc d’or ou d’argent” od anche “tarif des metaux”) esercitavano l’uno sull’altro una influenza vicendevole ed ambedue risentivano il contraccolpo del prezzo che poteva essere pagato per l’uso e la coniazione nei paesi esteri[25]. In regime di coniazione gratuita, qualsiasi anche piccola deviazione dell’un rapporto dall’altro avrebbe turbato l’equilibrio del sistema e provocato quell’alternanza nell’uso delle diverse specie di monete che fu il flagello del sistema bimetallico nella unione latina del secolo diciannovesimo. Il flagello sarebbe stato più calamitoso in quei tempi a causa del numero maggiore delle specie monetarie effettive correnti. Nel tempo a cui si riferisce il dibattito Malestroit – De la Tourette, dal 30 agosto 1561 al 23 novembre 1569 per gli scudi d’oro del sole, dal 30 agosto 1561 al 9 giugno 1573 per i testoni d’argento e dal 20 aprile 1550 al 15 giugno 1572 per i douzains d’argento, i rapporti legali fra i pesi in fino erano i seguenti:

 

 

Rapporto fra i prezzi d’acquisto da parte della zecca del metallo fino in pasta o in biglione

L. 185

per il marco d’oro

L. 15.15

per marco d’argent le roy uguale a

L. 16.8s. 81/3 8

un terzo per il marco d’argento fino

1 a 11,257

Rapporto fra i corsi in moneta di conto del metallo fino contenuto nello scudo d’oro del sole e nel testone d’argento

1 a 10,643

Rapporto fra i corsi in moneta di conto del metallo fino contenuto nello scudo d’oro del sole e nel douzain di biglione[26]

1 a 11,29

 

 

In regime di coniazione gratuita e di uguale piena potestà liberatoria delle tre specie di moneta, scudi, testoni e douzains, si può innanzitutto fare l’ipotesi che il rapporto commerciale fra l’oro e l’argento in verghe non si dilungasse dal rapporto 1 a 11,257 esistente fra i prezzi d’acquisto dei due metalli fini dalla zecca. Poiché la moneta d’argento era apprezzata nel rapporto legale di corso (10,643 a 1) in confronto al rapporto commerciale (11,257 a 1), l’oro doveva uscire dalla circolazione; ed avrebbe dovuto altresì uscire dalla circolazione il douzain di biglione apprezzato (11,29 ad 1) in confronto sia all’oro che allo stesso argento del testone (1,06 ad 1). Avrebbero dovuto rimanere in circolazione solo i testoni d’argento, moneta relativamente pesante (gr. 9,568 compresa la lega) e poco adatta per le minute contrattazioni. Se il rapporto commerciale si fosse dilungato dal rapporto fra i prezzi d’acquisto in zecca, altri inconvenienti sarebbero sorti: se più basso, ad es. 1 a 11, alla zecca sarebbe stato recato solo oro, destinato ad uscire dalla circolazione; se più alto, solo l’argento.

 

 

33. – A dare stabilità al sistema soccorreva la “tratta” di zecca o signoraggio prelevato nella coniazione. A liberare la esposizione dall’inestricabile groviglio del]e tariffe e dei corsi dell’epoca, supporrò innanzitutto 1) che le monete effettive siano due sole, una d’oro e l’altra d’argento, e che 2) il signoraggio prelevato dal re sia uguale per ambe le monete, ad esempio del 5 per cento; 3) che il rapporto di corso tra le due monete coniate sia, ad es., di 1 a 11, il che vuol dire che per un identico corso in lire tornesi, il testone d’argento pesi in argento fino 11 volte il peso in oro fino dello scudo d’oro; 4) che per brevità, si chiami convenzionalmente numero dell’argento in moneta il suo multiplo (ad es. 11) in peso in confronto all’unità di peso della moneta d’oro avente ugual corso in lire tornesi; e 5) parimenti dicasi numero commerciale dell’argento il suo multiplo (ad es. 11) in peso in confronto dell’unità di peso dell’oro avente uguale prezzo sul mercato in lire tornesi.

 

 

34. – È chiaro che, in siffatta ipotesi, non basta che, essendo il rapporto legale fra i due corsi di 1 ad 11, il rapporto commerciale diventi di 1 ad 11,10 ovvero di 1 a 10,90 perché convenga alternatamente fondere l’oro o l’argento e perché la circolazione rimanga, pure alternatamente, ingombra di sole monete d’argento ovvero d’oro. Dovendosi da coloro che recavano i metalli preziosi alla zecca[27] tener conto del signoraggio, non conveniva fondere le monete d’oro se la differenza fra il numero commerciale dell’argento diminuito del 5 per cento di se stesso (signoraggio) ed il numero dell’argento l’argento in moneta non era positiva; né conveniva fondere le monete d’argento se la differenza fra il numero dell’argento in moneta diminuito del 5 per cento di se stesso (signoraggio) ed il numero commerciale dell’argento non era positiva. La differenza ossia il lucro dell’operazione è tanto più agevole esista ed incoraggi alla fondita quanto più è tenue il signoraggio.

 

 

Se il signoraggio fosse stato – come per lo più era di fatto – diverso per le diverse monete effettive, suppongasi del 5 per cento per le monete d’oro e 10 per cento per quelle d’argento, ferme rimanendo tutte le altre ipotesi fatte, la conclusione alla quale si è giunti sopra resta valida, con l’aggiunta che il solo operante dei due signoraggi è quello maggiore, in ipotesi del 10 per cento. Il signoraggio era ed è un costo della trasformazione del metallo svilito sul mercato dalla forma “pasta” alla forma “moneta” e faceva e fa d’uopo poterlo coprire perché sia conveniente la fusione o l’esportazione dell’altra moneta. Se, invero, il metallo svilito in commercio non assume la forma monetaria, il metallo medesimo già monetato non svilisce, né v’ha ragione di preferirlo nei pagamenti all’altro metallo monetato, il quale perciò continua a correre.

 

 

Ad impedire la esportazione o la fusione alternante delle diverse specie di moneta, avrebbe dunque giovato l’alto signoraggio. La relativa tenuità di questo che nel tempo studiato ammontava al 2,18 per cento del valore nominale o corso dello scudo d’oro del sole, al 7,52 di quello del testone d’argento ed all’1,69 per cento di quello del douzain di biglione (cfr. “glossario” sub voce) dimostra, ove si tenga conto delle forti spese di monetazione del tempo, quanto siano ingiuste le generalizzazioni le quali corrono nelle usuali scritture storiche intorno all’abito invalso tra i principi dei secoli anteriori alla rivoluzione francese di falsificare monete allo scopo di trarre dalla zecca lucri copiosi a pro dell’erario. Per lo più gli scrittori di storie guardano al mero titolo delle monete; e, dal fatto che il douzain fu emesso al titolo di appena 3 denari e 12 grani su 12 denari di argent le roy (279,01 per mille) prontamente deducono che il douzain fosse moneta di gran lucro in confronto al testone emesso al titolo di 10 d. 18 e un quarto gr. od 861 per mille od allo scudo d’oro al titolo di 23 carati o 958 per mille. Quel che invece conta, rispetto al lucro di zecca, non è il titolo della moneta, ma il “corso” al quale essa era gridata; ed il douzain, sia pure a basso titolo, ma gridato altresì ad 1 soldo di lira fruttava meno delle altre due monete gridate rispettivamente a 12 ed a 50 soldi.

 

 

35.- Il “corso” in moneta immaginaria stabilito dalle ordinanze regie (le “grida” di manzoniana notorietà) era dunque il fattore decisivo per la stabilità del sistema di molteplici monete effettive circolanti l’una separatamente dall’altra. Soltanto il “corso” trasformava il testone in un sottomultiplo dello scudo e il douzain del testone; soltanto il “corso” poteva trasformare le molte monete sconnesse con altrettanti sistemi di prezzi in un bi – o plurimetallismo (oro, argento, biglione di varia mescolanza e rame) con un sistema unico di prezzi dei beni economici; soltanto il “corso” poteva impedire nel tempo stesso la alternanza dannosa nell’uso comune delle differenti specie di monete.

 

 

Non si può affermare che gli scrittori della seconda metà del secolo sedicesimo avessero chiara la visione delle condizioni alle quali doveva soddisfare un buon sistema monetario, intendendo per buono quel sistema il quale non creava, a cagione delle sue medesime modalità tecniche, un interesse a fondere per usi industriali o ad esportare o tesaurizzare le monete effettive correnti e perciò manteneva l’interesse ad offrire alle zecche regie tutta quella quantità di oro e di argento la quale occorreva per tenere in equilibrio i prezzi interni con i prezzi esterni. Le condizioni erano in sostanza le seguenti:

 

 

1)    Fissare un prezzo d’acquisto dalla zecca dell’oro e dell’argento in pasta o biglione, il quale fosse uguale al prezzo commerciale;

 

2)    Fissare un corso legale in moneta di conto per le monete effettive d’oro e d’argento tale che il rapporto tra i corsi in moneta di conto del fino contenuto nelle varie specie di monete effettive correnti fosse uguale al rapporto tra i prezzi in commercio e d’acquisto in zecca dei due metalli;

 

3)    E poiché siffatta uguaglianza è impossibile a mantenersi quotidianamente, fissare una tratta (signoraggio) per la coniazione che fosse atta ad impedire le fusioni, esportazioni e tesaurizzazioni di quella delle specie di moneta, il cui metallo fosse nel rapporto di mercato momentaneamente rincarato per differenza inferiore ad una minima voluta rispetto al rapporto tra i corsi.

 

 

36. – Intorno alla necessità di osservare la terza condizione erano d’accordo i monetaristi; e se il De la Tourette muove in proposito critiche al Malestroit (qui sotto pag. 143), queste erano di eccesso di zelo per volere, con un troppo alto signoraggio, offrire al tesoro un soccorso eccessivo, di 100 mila scudi d’oro all’anno, forse gradito in quei tempi calamitosi, ma condannato dalla opinione, oramai radicata nei teorici e pratici, doversi cercare sollievo ai bisogni pubblici nelle imposte e non nella adulterazione delle monete.

 

 

Pressoché isolato nel trascurare questa condizione era il Bodin,”` il quale

si dimostrava grandemente turbato dagli abusi che gli ufficiali delle zecche commettevano in materia di tolleranze (echarcetez et foiblages) né pensava convenisse farli cessare mettendoli a stipendio fisso a carico dell’erario.

 

 

L’esperienza essendo stata fatta, “les officiers estoiyent payez et ne faisoyent quasi rien”. Il vero mezzo di porre fine agli abusi, pensava il Bodin, “est de supprimer tous les officiers des monnoyes hormis ceux qui seront en l’une des villes, pour forger toutes les monnoyes, et les faire payer par le receveur des lieux, demeurant le droit de seigneuriage, que les anciens toutesfois ne cognoissoient, et n’estoit rien deduit sur la monnoye, non pas mesme le droit de brassage, comme il seroit fort necessaire, ou plustot qu’on mist une taille sur le sujets pour la forge des monnoyes, pour abolir le droit de seigneuriage et de brassage, comme il se faisoit anciennement en Normandie et se fait encores en Polongne pour obvier au dommage et perte incroyable que soufreut les sujets. Aussi par ce moyen la varietè du prix du marc d’or et d’argent, qui cause un million d’abus cessera” (in variante ed. 1568. ed. L. – B. p. 164 – 65). Senza farne proposta esplicita, il Bodin avrebbe voluto che il sistema da lui auspicato, di monete d’oro e d’argento, di uguale peso nelle loro unità e sottomultipli, e di corso duodecuplo le prime in confronto alle seconde, fosse reso ancor più chiaro abolendo del tutto brassaggio, signoraggio e tolleranze, cosicché anche l’uomo più rozzo, vedendo e toccando monete, sapesse apprezzarle. Laddove al presente la conoscenza delle monete è divenuta una scienza complicatissima da cui “le pauvre peuple est bien fort travaillè, et perde beaucoup aux changes”, tanto complicata che “on dit encores d’un homme rompu aux affaires, qu’il entend le pair, comme chose bien difficile “. Ed invero “on a si bien obscurci le fait des monnoyes par le moyen du billonage, que la pluspart du peuple n’y voit goutte; et tout ainsi que les artisans, marchans, et chacun en son art deguise bien souvent son ouvrage, comme plusieurs medicins qui parlent Latin devant les femmes, et usent de characteres Grecs, de mots Arabes, et de notes Latines abregees, et brouillent quelquesfois leur escripture si bien qu’on ne la peut lire, craignant si on decouvroit leurs receptes qu’on n’en fist pas si grande estime qu’on fait: aussi les monnoyeurs au lieu de parler clairement, et dire que la masse d’or, des douze pars en a deux de cuivre, ou d’autre metail, ils disent que c’est de l’or a vingt carats: et pour dire que la piece de trois blancs est moitiè cuivre, ils disent que c’est de l’argent à six deniers de fin, deux deniers de poids, et quinze deniers de cours a soixante pieces, ils disent de cinq sols de taille[28]. Puis apres ils font une monnoye stable, l’autre instable, et la troisieme imaginative[29]: iacoit qu’il n’y en a pas une stable, et le changement, et immagination vient pour avoir affoibli le poids, et tricotè la puritè d’or et d’argent” (in variante ed. 1578, ed. L. – B., pag. 158 – 59). Già undici anni prima, nel 1567 il Malestroit avea scritto : ” L’autre raison qui ayde a nous tromper c’est que l’on a tousjours tenu le faict des monnoyes cachè et en termes fort obscures et difficiles, comme carats de l’or, deniers de fin en l’argent, livres de monnoyages, traicte, rendage et autres semblables tellement que l’on a faict une Caballe entendue de peu de gens” (qui, pag. 105). Ma il Malestroit aveva, più efficacemente che il Bodin, segnalata la ragione per la quale il signoraggio essendo divenuto non necessario ai principi, questi avrebbero potuto mettere fine alle oscurità del linguaggio monetario: “Il est vray que les anciens Roix qui ne levoient autres tailles sur le peuple que par le grand Seigneuriage qu’ils prenoient sur les monnoyes, pour cacher ce qu’ils levoient et eviter la mutinerie du peuple, estoient contens que la chose ne feust entendue de tous. Mais depuis que ceste forrne a estè changee, premierement par le Roy Charles septiesme et depuis continuee par tous ses succeseurs qui tous ont voulu et entendu fire fabriquer bonnes monnoyes, ils se sont contentez de fort petit seigneuriage, parcequ’ils levent au lieu une taille sur le peuple, il falloit rendre le faict des monnoyes plus clair et intelligible, affin que le peuple se peust deffendre et garder de la tromperie du billoneur, et de l’estranger qui nous payent aujourd’huy en cuyvre, au lieu d’or et d’argent” (cfr. qui, pag. 105).

 

 

Né l’uno né l’altro avevano osservato che il compito proprio del signoraggio era di impedire, in un sistema plurimetallico, l’esportazione e la fusione delle monete coniate nel metallo più apprezzato in commercio che in grida. Gli ufficiali della corte delle monete erano favorevoli ad una moderata e variabile tratta (“signoraggio”) perché essi non vedevano ragione che il principe rendesse gratuitamente il servigio della monetazione ai sudditi; e, poiché le spese di zecca variavano a seconda della specie monetaria, pareva ad essi repugnante altresì a giustizia la uniformità della “tratta”.

 

 

37.- Messa, con un moderato signoraggio, una qualche barriera alla esportazione o fusione alternante delle monete (osservanza della terza condizione), sarebbe stato necessario (prima condizione posta nel par. 35) fissare di volta in volta un prezzo di acquisto dalla zecca dell’oro e dell’argento in pasta o biglione, il quale fosse uguale al prezzo commerciale. Se era invero impensabile il pagamento di un prezzo superiore, un’offerta di zecca inferiore a quella del commercio avrebbe indotto i detentori del metallo a spacciarlo per usi industriali o ad esportarlo all’estero. Ma la fissazione del prezzo d’acquisto del metallo in zecca era connessa con la fissazione del corso legale della moneta fabbricata con quel metallo. Fermo rimanendo li peso in fino dello scudo d’oro, quale significato di variazione sostanziale avrebbe avuto l’aumento, suppongasi, da 150 a 180 lire del prezzo pagato dalla zecca per un marco d’oro, se contemporaneamente il corso dello scudo d’oro fosse aumentato da 40 a 48 soldi? Nessuno; ché tanto le 150 quanto le 180 lire (di conto) sarebbero state equivalenti a 75 scudi (moneta effettiva). Perciò la soluzione del problema posto dalla condizione prima (tariffazione dell’oro e dell’argento in pasta o in biglione per l’acquisto della zecca) non poteva essere indipendente dalla soluzione del problema posto dalla condizione seconda (fissazione razionale del corso lega]e delle monete effettive in moneta di conto).

 

 

38.- Qui e non per l’altezza del signoraggio, parmi difettasse la pratica monetaria della seconda metà del secolo sedicesimo. Gli ufficiali della zecca tentavano bensì di risolvere i problemi che li urgevano; ma per la mancata consapevolezza del vincolo esistente fra tutte le condizioni di essi, tentavano di risolverli ad uno ad uno, a mano a mano che le variazioni economiche ponevano quei problemi sotto i loro occhi.

 

 

Scemavano le necessità del tesoro regio, perché il sovrano aveva acquistato forza bastevole a mettere imposte e rinunciare ai guadagni di zecca? Ed essi aumentavano il prezzo dell’oro in zecca senza aumentare il corso dello scudo. Urgevano le necessità dell’erario? Si ricorreva all’abbassamento del numero dei carati per l’oro o dei denari per l’argento, senza variare il corso; ovvero si variava il corso senza mutare il fino, ovvero si faceva l’una e l’altra cosa. Scomparivano le monete d’oro o quelle di argento? si cercava di trattenerle aumentando i prezzi di acquisto e, correlativamente, i corsi delle monete effettive.

 

 

39. – Ma erano, provvedimenti sconnessi, dominati sì dall’idea che la moneta dovesse essere qualcosa di invariabile, di stabile, di perpetuo, manifestazione solenne e nobile della dignità e potestà regia, ma senza scegliere nettamente il metodo atto a raggiungere il fine. L’idea della invariabilità si era incarnata nella formula di una moneta immaginaria e di conto, con la quale i monetaristi avevano creduto di poter risolvere il mistero della coesistenza di parecchie specie monetarie coniate in materie diverse ed insieme ridotte ad una sola unità di conto. Ma, laddove gli uomini si inchinavano al mistero della santissima trinità senza tentare di penetrarne il segreto, monetaristi teorici ed ufficiali di zecca si arrovellavano dinnanzi al mistero della moneta, una e multipla nel tempo stesso, una nella invariabile lira di conto, multipla e variabile nelle specie effettive di oro argento e biglione. In una intuizione illuminante (qui, pag. 111) il Malestroit parla del “prix [dell’oro e dell’argento in pasta] qui depuis trois cent ans a tousjours faict la guerre a la proportion”. Il segreto dei disordini monetari del tempo non si deve infatti cercare nella disuguaglianza dei rapporti fra i prezzi, in moneta immaginaria, dei metalli in pasta ed i corsi, gridati nella medesima moneta, dei metalli coniati?

 

 

40. – La scelta era, allora come oggi, fra la moneta – merce e una moneta ideale, che fosse misura invariabile dei valori. Se la dottrina fosse stata persuasa che la moneta è semplicemente, come poi disse il Verri, la “merce universale” alla quale tutte le altre merci si paragonano, si sarebbe dovuto scegliere una merce, oro od argento, qualunque si fosse, contentandosi il re di dichiarare col conio il peso ed il titolo delle monete coniate in quel metallo. Per breve tempo, dal 1577 al 1602, coll’ordinanza di Poitiers del settembre 1577 registrata “post magnas contentiones” dal Parlamento di Parigi il 13 novembre 1577, parve che la teoria della moneta – merce dovesse avere il sopravvento. Abolito il conto in lire immaginarie, unificati conteggi, contrattazioni e pagamenti a norma di una sola unità monetaria e questa effettiva, l’ordinanza di Poitiers creava un sistema che taluno disse monometallico: lo scudo d’oro del sole era l’unità di conto e insieme di pagamento. Diviso lo scudo in 60 soldi, aveva a sottomultipli i franchi d’argento da 20 soldi ed i quarti di scudo pure d’argento da 15 soldi. Le monete d’argento e di biglione diventavano monete fiduciarie, quasi biglietti permutabili in scudi d’oro secondo un rapporto determinato. L’editto, nonostante andasse contro ad una tradizione multisecolare fu accolto con favore. “Le peuple” – dice il Garrault[30] – “ayant este par long temps travaillé de l’incertitude du prix des especes et continuelle augmentation d’icelles, receut cest edict avec un si grand contentement et alegresse, que post ponant tout profit particulier, se rangea de luy même, et sans aucune difficulté soubs l’exécution d’iceluy”. Gli storici politici confermano l’opinione del monetarista: “Quod ut necessarium et fructuosum a prudentioribus indicabatur, ita ejus executio in tanta licentia plerisque difficilis videbatur, vicit tamen expectationem et spem multorum exitus. Nam nullum edictum minore cum fremitu receptum, nullum majore religione servatum fuit, dum quisque communi calamitati remedium quaerit et oblatum libentissime complexus, quod privatis commodis ex eo decedebat, publicae utilitati condonari aequissimo animo patitur[31].

 

 

41. – Perché il sistema del 1577, il quale avrebbe dovuto inaugurare, secondo il Levasseur, il sistema monometallico di una unità monetaria semplice ed invariabile, (Memoire, pag. centocinquantaduesima) sia stato abolito nel 1602, non è ben chiaro. L’ Harsin osserva genericamente che la riforma del 1577 non aveva recato alcun rimedio alla situazione economica del paese (Les doctrines, pag. 51). Il Le Blanc si contenta di dire che l’ordinanza “n’eut pas tout le succez qu’on s’en estoit promis à cause du malheur des temps” (Traitè, 1690, pag. 369; 1692, pag. 292). I tempi erano invero calamitosi; ma poichè l’ordinanza fu revocata da quell’Enrico quarto il quale aveva restaurato colla spada vittoriosa le cose politiche di Francia e, col consiglio di Sully, le cose attinenti alla economia ed alla finanza, la spiegazione non è bastevole.

 

 

42.- Froumenteau scrivendo nel 1581, sembra affermare che l’ordinanza del 1577 fu causa di gravissime perdite per tutti i contribuenti; ché avendo essa convertito i debiti d’imposta espressi in lire in debiti in scudi, in ragione di tre lire per scudo, coloro i quali si liberavano prima, al corso di tre lire e 5 soldi per scudo, di un debito di 1.000 lire versando all’erario 307 lire e 14s., dovettero dopo, al corso di 3 lire, versare 333 lire e 7s. Ed il peggio, da quel che si intuisce dal colorito racconto di Froumenteau, fu che derrate e merci, negoziate oramai in moneta effettiva, avevano, in questa, prezzo corrispondente alla quantità di essa; sicché a debitori ed a produttori mancava la sottile eccitazione derivata prima dall’aumento apparente continuo dei prezzi proprio del sistema della moneta immaginaria nei tempi nei quali si usi ad ogni tratto crescere il corso della moneta effettiva. I contribuenti rimasero convinti di essere costretti, per pagare i molti scudi di imposta, a svendere molta più roba di prima. La gente indebitata e lavoratrice doveva pagare censi e rendite in numero di scudi maggiore di prima; né il danno di essi poteva reputarsi controbilanciato dal vantaggio dei proprietari che avevano dato le terre e le case in affitto lungo o perpetuo. Non disse poi, quasi due secoli dopo, Ferdinando Galiani che “coloro, che danno le terre in affitto, sono non solo i comodi, ma i poltroni e neghittosi, tanto più degni di pagare [perdere], quanto, senza accrescere le ricchezze dello Stato, consumano non solo le proprie, ma le straniere ancora”?[32].

 

 

Nel contrasto di interessi creato dalla riforma del 1577 si deve vedere una delle cause del suo insuccesso[33]. Il tentativo di costringere il popolo a contrattare in scudi invece che in lire era per se stesso audace; ma forse sarebbe riuscito se gli uomini non fossero stati turbati nei loro interessi. I consiglieri della corte delle monete malauguratamente vollero profittare del momento per correre dietro ad una delle loro aspirazioni più tenaci: il ritorno alla “forte monnoye”. L’orrore in che essi tenevano ogni provvidenza capace di “nous esloigner de l’esperance que chacun doibt avoir pour revenir a la forte monnoye” (qui, pag. 142) li spingeva a cogliere ogni occasione di rinforzarla. Perciò nell’atto medesimo in che l’editto del 1577 aboliva il conto in lire immaginarie, queste erano rinforzate. Imposte censi rendite livelli pensioni stipendi salari furono trasformati, a partire dal 1 gennaio 1578, da lire in scudi, in ragione di tre lire per scudo. Fu una vera e propria rivalutazione improvvisa, la quale inimicò alla riforma tutti i debitori, ceto sempre potente e potentissimo nei tempi torbidi.

 

 

43. – L’odio dei debitori si volse, come sempre accade, contro gli speculatori, i quali avevano profittato dell’editto. Froumenteau, mentre inveisce contro i “changeurs”, vede tuttavia il danno vero delle mutazioni monetarie, che è la mutazione per se stessa: “Devouloir dire que la playe est indifferente, c’est a dire, que si l’un y a perdu, l’autre aussy y a gaigné, ceste consideration est autant absurde que qui diroit, voila douze marchans qui ont estè volez dans un bois, le moindre desquels a perdu en telle volerie deux ou trois mil escus, mais c’est autant de gain pour les voleurs, assavoir non si tel gain est legitime, le gain de nos Grabelleurs de monnoye est trop plus pernicieux, car le voleur se cache pour faire sa rafe, le Grabelleur à huis ouvert, vole et pille, comme il luy plaist: le voleur, ou le brigand n’est point authorizè du Prince: le Grabelleur couvre ses piperies, sous le benefice des edits qui ne sont observez sur le fait des monnoyes” (loc. cit. pag. 390). Se tutti i prezzi, vuol dire Froumenteau, mutassero subito e proporzionatamente in conformità alla grida del principe, non vi sarebbe danno. Ma poiché così non accade (edits qui ne sont observez), ogni mutazione monetaria è occasione ai “Grabelleurs de monnoye” di arricchirsi senza merito ed a danno degli innocenti.

 

 

44.- Quelli sino ad ora descritti sarebbero tuttavia, stati inconvenienti passeggeri. La riforma del 1577 era condannata da un vizio tecnico destinato fatalmente a distruggerla nonostante e forse a causa del trascorrere del tempo.

 

 

Sully, autore dell’ordinanza del settembre 1602, la quale ristabiliva il conto in lire, così se la fa giustificare dai segretari a cui mette in bocca le sue memorie: “L’Edict par vous procurè pour le surhaussement de prix: des especes d’or et d’argent qui avoient cours en France, ayant justifiè que la trop grande disproportion d’entre celle – là et celles des pays estrangers, seroit la cause continuelle du fnrieux transport qui s’en faisoit, l’ordonnance de compter par livres au lieu d’escus afin d’essayer de moderer les ventes et achapts: car encore qu’il soit vray de dire que l’on pust aussi bien faire son compte en une facon comme en l’autre: neantmoins diverses experiences ont enseigne que la coustume à nommer un escu au lieu d’une livre est cause de faire faire des demandes et des offres semblables”[34].

 

 

L’autore del ritorno al conto in lire immaginarie illustra efficacemente le ragioni dell’insuccesso della riforma del 1577:

 

 

in realtà lo scudo d’oro non era diventata l’unità monetaria del paese. Si continuava a dare un prezzo alle specie d’oro e d’argento, nazionali e straniere, le quali correvano in Francia. In sostanza il conteggio aveva luogo di fatto probabilmente nelle lire abolite (vedi la nota) e legalmente in soldi, di cui, secondo l’articolo primo dell’editto del 1577, 60 formavano lo scudo d’oro, 59 lo scudo alla corona, 58 i pistolets di Spagna, 14 soldi e 6 d. il testone d’argento, 20 soldi il franco d’argento e 15 soldi il quarto di scudo d’argento;

 

 

il sistema non era perciò mutato se non di nome. Durava, attraverso al soldo, il legame creato dall’istituto della moneta immaginaria fra le varie monete effettive. Il legame, tra lo scudo d’oro del sole e le altre monete effettive, era dato dal soldo, anch’esso, al par della lira, unità immaginaria, puro numero astratto, necessario a legare le monete effettive in un sistema;

 

 

perciò poteva sorgere divario nell’apprezzamento del mercato rispetto all’apprezzamento legale; le monete sottovalutate legalmente dando luogo ad un “furieux transport” all’estero, ed essendo “surhaussees” sul mercato “in abusivo”.

 

 

dalla disuguaglianza dei due rapporti nascendo la necessaria conseguenza della fuga del metallo sottovalutato legalmente ed in questo caso dell’oro, a nulla valevano le confische. Più o meno presto il sovrano deve adattarsi a seguire col corso di grida il corso in abusivo, alzando il prezzo delle monete sottovalutate.

 

 

Il Forbonnais, il quale utilizza le memorie del Sully, osserva assai acconciamente che questi non parla mai di esportazione (transport) di argento, bensì esclusivamente d’oro. “La proportion de l’or à l’argent etoit en Espagne de 1 à 13 et 1 / 3 ; en Angleterre de 1 à 13 et 19 / 40; en Flandres de 1 a 13 et 85 / 350; en Allemagne de 1 à 12 et 1 / 6. En France la proportion n’etoit pas tout – a -fait de 1 à 11. Ainsi les etrangers avoient du benefice à enlever notre or. Le commerce partagea bientot avec le public le benefice de ce transport, et l’ecu d’or passa pour 75 sols, quoique le prix legal fut de 60 sols, tandis que le quart d’escu en argent restoit à 15 sols, ce qui forma une proportion de 1 a 12 et 265 / 460”[35].

 

 

Quando coll’editto del settembre del 1602 il corso legale dello scudo d’oro del sole e’ rialzato da 60 à 65 soldi, il sedicente monometallismo aureo senz’altro tramonta. La abolizione prese nome di ritorno al conto in lire; ma, rimando il conto in scudi, avrebbe potuto ridursi a dire che lo scudo correva per 65 soldi. Al soldo sarebbe stata apertamente attribuita la proprietà che, nonostante l’editto del 1577, non aveva mai cessato di possedere: non sottomultiplo dello scudo d’oro del sole, bensì numero astratto usato a creare un vincolo fra le monete correnti, una delle quali era lo scudo d’oro.

 

 

Il Sully segnala la vera sostanza della riforma del 1577 e, segnadola, la condanna. Essa aveva sostituito alla moneta immaginaria divisa in 20 parti (lira da 20 soldi) un’altra moneta, pure immaginaria (soldo, di cui 60 formavano lo scudo). Contrariamente all’intenzione di fare del soldo un sottomultiplo effettivo di una unità monetaria effettiva d’oro, il compilatore dell’editto di Poitiers disse soltanto si dovesse contare in scudi da 60 soldi invece che in lire da 20 soldi. Il nuovo soldo immaginario per un istante forse fu uguale alla sessantesima parte dello scudo effettivo d’oro del sole; ma fu accidente, come era stato accidente che il soldo immaginario fosse uguale al soldo effettivo di Carlomagno o di San Luigi. Venuto meno l’accidente, i popoli tornarono al modo secolare di conteggio.

 

 

45.- Ma il contare per scudi da sessanta soldi disturbava.

 

 

Lo scudo era un’unità grossa in confronto alla lira ed accadeva allora quel che accade oggi: che la scelta dell’unità monetaria aveva influenza sui prezzi. Come oggi si osserva che in Isvizzera la vita è cara perché si ragiona in franchi che valgono quattro o sei volte le unità monetarie italiane o francesi, così allora “encore qu’il soit vray de dire que l’on pust aussi bien faire son compte en une facon comme en l’autre”, l’esperienza tuttavia aveva dimostrato che “la coustume à nommer un escu au lieu d’une livre” spingeva i prezzi all’insù. Involontariamente i contraenti erano trascinati a chiedere od offrire scudi invece che lire, “à faire des demandes et des offres semblables”.

 

 

46. – La viscosità dei prezzi e dei numeri consuetudinariamente usati nel contrattare, sarebbe stata tuttavia, col trascorrere del tempo, vinta. Se nel 1577 si fosse davvero istituito un sistema monometallico aureo; se davvero unica moneta effettiva fosse stata quella d’oro, avente per unità lo scudo d’oro del sole, se tutte le altre monete d’argento e di biglione fossero state ridotte all’ufficio di monete rappresentative, con un contenuto in argento di valore notevolmente inferiore al corso legale, se di queste monete si fosse fatta coniazione limitata, appena bastevole alle minute contrattazioni interne, se tutte le monete forestiere fossero state sicuramente bandite, il nuovo sistema avrebbe potuto durare. Delle esigenze logiche del sistema monometallico aureo i compilatori dell’ordinanza di Poitiers non ebbero invece idea chiara; sicchè lo pseudo monometallismo del 1577 si infranse contro l’ostacolo della impossibilità di mantenere l’uguaglianza del rapporto legale fra le monete d’oro e quelle d’argento nazionali ed estere effettivamente correnti e del rapporto commerciale fra i metalli in pasta.

 

 

Si tornò, nel 1602, apertamente al conto in lire, e di nuovo vissero contemporaneamente una moneta immaginaria ed un’altra effettiva. Il ritorno al conto in lire era il segno di una aspirazione. Di che cosa era esso il segno? Non lo sapevano i medesimi fautori del sistema. Era quello un ideale vago indistinto, il sogno di una moneta ideale accarezzato cogli occhi della mente con tanto maggior ardore di contemplazione quanto più le monete correnti, erose, consunte dall’uso e dall’artificio sembravano bruttamente lontane dall’idea concepita. Quell’ideale aveva per attributi il concetto di regalia sovrana monetaria, la volontà di impedire le variazioni dei prezzi delle cose al disotto e al disopra del “giusto” livello, l’aspirazione a contemperare gli interessi dei creditori ed insieme dei debitori, il proposito di favore all’incremento dell’industria e dei traffici ed insieme di ansiosa tutela delle sorti dei ceti nobili proprietari e del guadagno giornaliero dei poveri lavoranti. Era il sogno eterno della moneta creatrice di un “equilibrio sociale stabile”. Toccava ai tempi presenti, quando i sistemi monetari effettivi paiono caduti in un disordine peggiore di quello descritto dai Bodin e dai Malestroit, far rivivere nell’idea della moneta manovrata l’eterna aspirazione dei popoli verso quella moneta che il Valeriani (Ricerche critiche ed economiche….sulle monete di conio, Parte prima, Bologna, 1819, pag. 150 – 151) descriveva, per tal modo negandola, quasi fosse “impassibile, sciolta da tutte qualitadi umane”.

 

 

Lista delle opere più frequentemente citate nella introduzione e delle abbreviazioni a ciò usate

 

 

1. – Hauser (Henri), La controverse sur les monnaies, de 1566 à 1578, in “Bulletin du Comitè des travaux historiques et scientifiques, Section des sciences economiques et sociales”. Congres des Societes savantes de 1905, tenu a Alger. Paris, pagg. 10 – 31 (citata: H. La controverse).

 

 

Des quelques points de la bibliographie et de la chronologie de Jean Bodin, in Saggi in onore e ricordo di Giuseppe Prato, Torino, 1 1931, pagg. 59 – 67 (citato: H.. De quelques points).

 

 

La Response de Jean Bodin à M. de Malestroit, 1568. Nouvelle edition publiee avec une introduction (pagg. quinta – ottantesima) des notes (pagine 75 -134) et 3 fac – similè de l’edition originale (il teato è a pagg. 1 – 54, le note manoscritte dell’esemplare della B. N. sono a pagg. 55 – 60, le varianti dell’edizione 1578 a pagg. 63 – 74), Paris, Colin, 1932 (citata: ed. H.).

 

 

2. – Le Branchu (Yean – Yves), Ecrits notables sur la monnaie, sedicesimo siecle, de Copernic a Davanzati, in Collection dea principaux economistes, nouvelle edition, Paris, Alcan, 1934. Les Paradoxes di Maleatroit si leggono a pagg. 49 – 68 e la Response di Bodin a pagg. 69 – 177. Le varianti dell’ed. 1578 sono a piè di pagina, eccetto la lunga variante finale, che è riprodotta a pagg. 146 – 173 (citata: ed. L.- B.).

 

 

3. – Harsin ( Paul), Les doctrines monetaires et financieres en France du sedicesimo au diciottesimo siecle, Paris, Alcan, 1928. In questo volume, l’introduzione ed i capitoli primo – secondo della seconda parte (pagg. 23 – 5) si occupano specificamente di problemi attinenti alla controversia Malestroit – Bodin (citato: Harsin, Les doctrines).

 

 

4. – LANDRY (Adolphe), Essai economique sur les mutations des monnaies dans l’ancienne France de Philippe le Bel à Charles settimo, in “Bibliotheque de l’Ecole des Hautes etudes, Sciences historiques et philologiques”, fasc. 185 Paris, 1910 (citato: Landry, Essai).

 

 

5.- Raveau (Paul), L’agriculture et les classes paysannes, la transformation de la proprietè dans le Haut Poitou au sedicesimo siecle. Precedè d’une etude sur le pouvoir d’achat de la Livre tournois du regne de Louis undicesimo à celui de Louis tredicesimo. Paris, Riviere, 1926. Lo studio sulla capacità d’acquisto della lira tornese è a pagg. prima – trentottesima. (citato Raveau, Le pouvoir).

 

 

6. – [Henry Poullain], Traitez des monnoyes, par un Conseiller d’Estats, a Paris, 1621 (citato: Poullan, Traictes, 1621).

 

 

– Poullain (Henry), Traitez des monnoyes, par … Conseiller en la Cour des monnoyes, a Paris, 1709 (citato: Poullain, Traitez, 1709).

 

 

7.- LE Blanc [Francois], Traitè historique des monnoyes de France, avec leurs figures, depuis le commencement de la monarchie jusqu’àpresent, a Paris, chez Robustel, rue S. Jacques au Palmier, 1690 (citato: Le Blanc Traitè, 1690).

 

 

– edizione di Amsterdam (sur l’imprimè à Paris) chez Pierre Mortier, 1692 (citato: Le Blanc, Traitè, 1692).

 

 

8. – Levasseur (Emile), Memoire sur les monnaies du regne de Francois Ier. Extrait de la nouvelle serie des « Ordonnances des rois de France”, Tome primo). Paris, 1902 (citato: Levasseur, Memoire).

 

 

9. – Dieudonné (A.), Monnaies royales francaises depuis Hugh Capet jusqu’à la revolution, Tome secondo del Manuel de Numismatique francaise par A. Blanchet et A. Dieudonné, Paris, A. Picard, 1916 (citato: Dieudonné, Manuel).



[1] Rimasti praticamente invariati attraverso le successive edizioni: Primo. Les Paradoxes, du Seigneur de Malestroit, conseiller du Roy, et Maistre ordinaire de ses comptes, sur le faict des Monnoyes, presentez à sa Majestè au mois de mars, M.D. sessantaseiesimo, a Paris, de l’Imprimerie de M. de Vascosan, rue S. Jaques, à l’enseigne de la Fontaine, 1566. Avec privilege du Roy. Nello stesso anno 1566 se ne fece, secondo l’Hauser (ed H. p. venticinquesimo), una ristampa a Poitiers, chez Noscereau in ottavo di 8 ff. (B. N. Lf. 77 / 21), ma “suivant la coppie imprimee à Paris, par M. de Vascosan“. L’edizione parigina, in un breve opuscolo in ottavo piccolo, conservato alla “Bibliotheque Nationale” di Parigi sotto la segnatura: Lf. 77 / 20, è stata ristampata recentemente, con un facsimile del frontespizio, a pagine 49 – 66 dell’edizione qui sotto citata di Le Branchu. Secondo. Les Paradoxes du Seigneur de Malestroit, conseiller, du Roy et Maistre ordinaire de ses comptes, sur le faict des Monnoyes, presentez, à sa Majestè au mois de mars, M. D. sessantaseiesimo. Avec la response de M. Jean Bodin ausdicts paradoxes. A Paris, Chez Martin le Jeune, rue S. Jean Latran, à l’enseigne du Serpent 1568. Questa, come ha dimostrato l’Hauser (H. De quelques points), è, con la data del 1568, la prima edizione della Response di Bodin, ma la seconda dei paradossi di Malestroit. Si trova in due esemplari della biblioteca nazionale di Parigi, con le segnature xE 535 e Res. Lf 77 / 20 B. Su queste copie sono state esemplate le recenti edizioni di Hauser e di Le Branchu della Response di Bodin. Terzo. Les Paradoxes du Seigneur de Malestroit, conseiller du Roy, et Maistre ordinaire de ses comptes, sur le faict des Monnoyes, presentez à sa Majestè, au moys de mars, M. D. sessantaseiesimo. Avec la response de Jean Bodin aux dicts Paradoxes. A Paris, Chez Jacques du Puys Libraire iurè en l’Universitè, rue S. Jean de Latran, a l’enseigne de la Samaritaine, 1578. Questa terza edizione fa parte di una raccoltina di scritti monetari, nella quale, con numerazione separata, sono riuniti: in primo luogo la Response del Bodin, in secondo luogo, e quindi fuori d’ordine, i Paradossi del Malestroit, in seguito un Recueil, dovuto al Garrault, des Principaux advis donnez, es assemblees faictes, par commandement du Roy, en l’Abbaye sainct Germain des prez au moi d’Aoust dernier (1577) ed infine un Paradoxes sur le faict des Monnoyes dello stesso Garrault. Essa è assai meno rara delle due precedenti e l’Hauser ne ricorda quattro esemplari alla Biblioteca nazionale di Parigi, ai quali fa d’uopo aggiungere quello contenuto nei Portefeuilles de Fontanieu (sotto la segnatura 706 a 708 nelle Nouvelles Acquisitions 7.902 del Fonds Francais nel dipartimento dei manoscritti della stessa Biblioteca nazionale, fol. 462 a 473).

 

 

L’editore, il quale pure da, al suo luogo proprio, il titolo corretto a La Response de Jean Bodin au Paradoxes de Malestroit, touchant l’encherissement de toutes choses, et le moyen d’y remedier, credette opportuno nel frontespizio generale della raccolta mutare il titolo dello scritto del Bodin in Discours de Jean Bodin sur le rehaussement et diminution des monnoyes, tant d’or que d’argenit, et le moyen d’y remedier: et responce aux Paradoxes, de Monsieur de Malestroit. Plus etc. Dal piccolo avvedimento editoriale, rivolto forse a dare aspetto di novità compiuta ad una silloge nella quale di nuovo si contenevano solo gli scritti del Garrault, nacque l’equivoco che Bodin avesse pubblicati due diversi saggi, nel 1568 e nel 1578, con risultati varii di confusione di date, assai bene messi in luce negli scritti ricordati sopra dell’Hauser.

 

 

Quarto. Paradoxes du Seigneur de Malestroict, sur le faict des Monnoyes. A fol. 78 a 82 dell’appendice, contenente anche da fol. 44 a 77 il Discours del Bodin, a Les Six Livres, de La Republique de Jean Bodin, angevin, A Lyon, pour Barthelemy Vincent, 1593. Si ricorda questa come la prima delle varie edizioni dei Paradoxes e del Discours contenute in appendice all’opera maggiore bodiniana. Quinto. Il Budelius, il quale nel 1591 pubblicava a Colonia la sua nota raccolta di scritti De Monetis et Re Numaria, 746-750 vi aveva già inserito la traduzione latina dei Paradoxa domini de Malestroict, regii consiliarii, et magistri rationum : de re numaria a pagine 746 – 750 del suo volume, prima della risposta del Bodin e non dopo, come nelle due ultime francesi.

[2] La controverse, pag. 17 e segg., De quelques points; e sovratutto la introduzione ad ed. H.

[3] Se con chiara visione del problema che volevano risolvere, se con occhio intento soltanto ai guadagni che si ottenevano dalla percezione del diritto di signoraggio ad ogni successiva coniazione od anche a quelli, assai più incerti, derivanti dalla svalutazione, se spinti unicamente dai bisogni dell’erario od anche dal reale od immaginario interesse pubblica: ecco altrettanti problemi non agevoli a porre ed a risolvere. La guida migliore, anche perché redatta da uno storico che è nel tempo stesso valoroso economista, è l’Essay del Landry.

[4] L’opinione corrente che la vittoria del Bodin sul Malestroit sia incontestabile anzi addirittura “ecrasante” (Harsin, 35, n. 3) appare dunque dubbia. Le analisi compiuto dai due scrittori si muovono in campi diversi. Il Bodin indaga quello che egli dice rialzo “reale” dei prezzi e lo riconnette alla cresciuta abbondanza dei metalli preziosi; il Malestroit studia il rialzo a “nominale” e, dandone causa alle svalutazioni monetarie, ne chiarisce il carattere illusorio e il danno per la collettività. Ambe le analisi hanno la medesima dignità teorica, sì da non potersi ammettere vittoria dell’uno sull’altro. Al merito divinatorio del Bodin nell’apprezzare l’importanza di un fatto allora all’inizio si contrappone la chiarezza logica del Malestroit nell’analizzare un malanno noto da secoli.

[5] Vedi in proposito il secondo capitolo della parte seconda di Harsin, Les doctrines e le fonti ivi ricordate ed efficacemente utilizzate.

[6] Di su il catalogo n. 19 (n. 544) del febbraio 1935 della libreria di antiquariato Magis et Mounaud di Parigi. Citato qui: Ms. (Einaudi).

[7] Il copista invero a pagina 268 si esime dal riprodurre certe “remonstrances” della Cour des monnoyes del 20 novembre 1576 perché “inserees touttes entieres avec l’ordonnance rendue en consequence (è la ordinanza del settembre 1577 la quale mutava da lire in scudi il modo di conteggio) dans le traittè historique de M.r Le Blanc page 339 et suivantes”. Nella prima edizione del Traitè del Le Blanc, la stampa delle “remonstrances” comincia appunto a pag. 339, laddove in quella successiva del 1692 (Amsterdam) ha inizio a pag. 272; e ciò fissa al 1690 la data a quo di esecuzione del mio manoscritto.

[8] Intorno alla carriera ed agli atti amministrativi compiuti dal De Tourette, sono da consultare nelle Archives Nationales di Parigi i mazzi sotto le segnature ZIP 548, 551 e 554.

[9] La memoria Malestroit è preceduta, dice il Catalogue des manuscrits francais (T. terzo. p 762 – 3) da una prima redazione del suo capitolo primo. In realtà, trattasi di una copia (carte 32 a 35 recto del vol. 4.534 Fonds Francais), imperfetta e con varianti di nessun rilievo, delle prime pagine della memoria integra, copia la quale finisce con le parole: et ny ont encore sceu remedier (qui, pag. 106). Della replica del De la Tourette, esiste una minuta o copia scorretta a carte 250 – 255 del vol. 4.600 del medesimo Fonds Francais.

[10] Alla confessione giungerà dieci anni dopo. Dopo aver tanto polemizzato col Malestroit nel 1568, il Bodin è forzato nel 1578 a riconoscere l’evidenza: “La cinquiesme (occasion de chertè) est pour le pris des monnoyes, ravalè de son ancienne estirnation” (ed. H. pag. 65; ed. L.- B. pag. 84). Forse nel 1578, come opina il Le Branchu, il Malestroit era morto ed egli poteva indulgere alla tesi da lui prima contraddetta.

[11] Interpreto la frase del Bodin secondo la lettera, che reputo logicamente corretta. L’Harsin vorrebbe trovare qui la riprova di una consapevole affermazione da parte del Bodin della connessione fra variazioni del valore della moneta e variazioni inverse del prezzo delle cose. “Le sens n’en est guere douteux, mais remarquons combien la terminologie de Bodin est flottante et vicieuse: la diminution de valeur des monnoyes provoque la diminution du priz des choses. C’est exactement le contraire de ce qu’il veut dire” (Harsin, Les Doctrines, pag. 41, n. 3). Certo se le parole: “diminuzione del valore delle monete” avessero avuto nel 1568 la medesima significazione d’oggi, ossia “diminuzione della potenza d’acquisto della unità monetaria”, ad essa avrebbe dovuto seguire, come osserva l’Harsin, non diminuzione, ma aumento del prezzo delle cose. In quel tempo, tuttavia, altro era notoriamente il significato delle parole ora citate. Diminuire il valore delle monete voleva dire “diminuire il numero delle unità monetarie di conto (lire tornesi) che si davano per ogni unità di moneta effettiva, ad es. scudo del sole”; e dicevasi “ribassare il corso in lire (moneta di conto) dello scudo o testone; ed a ciò, che chiamavasi anche passare dalla moneta debole alla moneta forte (espressione equivalente alla moderna “rivalutazione”), necessariamente seguiva diminuzione dei prezzi. AI contrario i prezzi crescevano quando cresceva il numero delle unità monetarie di conto date per l’unità della moneta effettiva (cfr. sotto parag. 26). Nonché viziosa, la terminologia del Bodin appare perfetta; ed appunto perciò la frase citata nel testo è una delle prove sinora non avvertita, della identità della posizione dei due disputanti, il Malestroit e il Bodin, quando si accingono a segnalare la causa “rimediabile” dell’aumento dei prezzi. Ambi la vedono nelle variazioni nominali dell’unità monetaria ed ambi vorrebbero rendere stabili i prezzi delle cose col mettere termine a quelle variazioni.

[12] Il Bodin proponendo di coniare le monete d’argento a 11 denari e 12 grani di argent le royin apparenza propone un titolo di 23 / 24. In realtà, siccome l’argent le roy era gin in pasta a11 danari a 12 grani, il titolo di 11 d. 12 gr. equivaleva a 11 d. 6 / 10 di grano fino, ossia a 22 /24 e 1,5 / 32.

[13] Notisi che per sé il titolo più basso non vuol dire utile maggiore del sovrano. Poiché lzecca ha certamente pagato l’oro e l’argento allo stesso prezzo, sia che lo voglia usare per ilconio di monete a titolo alto o per il conio di monete basse, il sovrano può gridare per lamoneta alta un corso alto e per quella bassa un corso basso, in guisa da escludere peramendue il signoraggio o renderlo uguale nei due casi.

[14] Harsin, Les doctrines, pag. 35. Il Le Branchu accetta la teoria che fa derivare l’ordinanza del 1577 dalla tesi risultante dai paradossi di Malestroit; cfr. ed. L.- B pag. cinquantesima.

[15] Nel già citato Recueil des principaux advis donnez es assemblees faictes par commandement du Roy, en l’Abbaye sainct Germain des prez au mois d’Aoust dernier, sur le contenu des memoires, presentez à sa maiestè estant en la ville de Poictiers, portans l’establissement du compte par escuz, et suppression de celuy par solz et livres, l’esposizione delle ragioni hic hinde pende chiaramente a favore dell’abolizione del conto in lire e gli stessi difensori di questo paiono negarlo, invocando la coniazione effettiva delle lire e dei soldi, che sarebbe stato ugualmente un abolire la lira di conto. Di qui l’impressione che il Garrault sia stato l’ispiratore dell’ordinanza del 1577.

[16] In Les six livres, de la Republique, lib. sesto , cap. terzo, Lyon 1593, pag. 914; ma primain Response, ed. H. pag. 41; ed. L. – B. pag. 130 e variante 1578, pag. 147, variante ugualea quanto si legge in Les six livres etc. e da questi in gran parte tratta.

[17] Traictes, 1621, Pag. 138 e Traitez, 1709 pag. 347.

[18] Sono le prime parole del titolo di una lettera del Poullain a Sully dell’11 novembre 1609 (B.N. Fonds Francais ms. 18.495, f. 183) per confutare coloro i quali vorrebbero stabilire unaproporzione diversa da quella di 1 a 12.

[19] Gli scrittori italiani del sec. diciottesimo adoperavano frequentemente le parole valore “numerario” e valore “intrinseco” ad indicare l’ufficio rispettivo della moneta di conto e di quella effettiva.

[20] Dutot, Reflexions politiques sur les finances et le commerce, ed. 1754, La Haye, T. secondo, pag. 4 – 5.

[21] La distinzione fra “surhaussement” o rialzo privato o “volontaire” od abusivo e”rehaussement” o rialzo legale del corso in moneta di conto di una o parecchie moneteeffettive è un utile spediente del Landry (Essai, 48) per mettere un qualche ordineterminologico in questa arruffata materia. In verità, gli scrittori del tempo adoperano i duevocaboli incertamente.

[22] Dalla esposizione fatta nel testo resta confermata la correttezza della espressioneadoperata dal Bodin, quando diceva che “le priz de toute chose diminue, diminuant la valeurdes monnoies” ed “aussy croist il en augmentant le prix dea monnoyes” (cfr. sopra, par. 15).

[23] Come esso, anche in tale ipotesi, avrebbe potuto presentare vantaggi e come questi vantaggi fossero vagamente intravveduti dagli scrittori monetaristi, sarebbe un fuor d’opera esporre qui. Se ne fa oggetto di trattazione particolare nello studio: Teoria della moneta immaginaria nel tempo da Carlomagno alla rivoluzione francese, nel primo numero della “Rivista di storia economica”, Torino, 1936.

[24] Questi ultimi rapporti fra le monete effettive sono arbitrariamente posti dallo scrivente a solo scopo di semplificazione.

[25] Una analisi elegante del problema è condotta dal Landry (Essay), specialmente nella sez. terza, La Tarification des matieres del primo capitolo per quanto ha tratto ai rapporti fra “prix marchand” e “tarif legal” dei due metalli e nel capitolo quinto, secondo, par. 3, per quanto riguarda gli aggiustamenti dei rapporti legali fra i due metalli nei riguardi della possibile esportazione delle monete all’estero.

[26] I rapporti legali fra i corsi in moneta di conto o lira tornese furono calcolati derivando dal peso in oro fino dello scudo (gr. 3,235) il peso in oro fino (gr. 0,0647) di ognuno dei 50 soldi di cui si componeva lo scudo; e così dal peso in argento fino del testone (gr. 8,264) e del douzain (gr. 0,73035) il peso in argento fino (rispettivamente gr. 0,6886 e gr. 0,73035) di ognuno dei soldi (12 e 1) di cui quelle due monete si componevano. Dal rapporto in peso fra soldo di scudo e soldo di testone deriva il rapporto 1 a 10,643 fra scudo e testone; e da quello fra soldo di scudo e soldo di douzain deriva il rapporto 1 a 11,29 fra scudo e douzain, sempre in fino.

[27] Il Landry (Essai) cit. p. 18 e segg. e 36 e segg.) ha dimostrato che, sebbene nell’antico regime non fosse conosciuto il principio della coniazione libera, ossia del diritto del privato a recare l’oro e l’argento alla zecca per farlo coniare in moneta, sostanzialmente i re acquistavano tutto l’oro e l’argento che era loro recato ed erano preoccupati più della mancanza di materia prima che della sua abbondanza.

[28] La frase del Bodin pare imprecisa, i cinque soldi usandosi (cfr. «glossario» sub voce «Pied») come divisione in una operazione di cui il dividendo era il numero delle pezze di una certa moneta effettiva che si cavavano da un marco in fino ed il quoziente dicevasi «piede». Qui manca l’indicazione del titolo; epperciò non potrebbe farsi il calcolo.

[29] Se all’ordinanza di Poitiers la quale aboliva (1677-1602) il conto in lire immaginarie, sostituendovi il conto in scudi d’oro effettivi si dovesse ad ogni costo cercare un ideatore teorico, il merito non potrebbe essere certo fatto risalire al Malestroit (cfr. le ragioni dette sopra in par. 17); bensì la frase riprodotta nel testo potrebbe essere invocata a dipingerci un Bodin critico delle due specie di moneta (anzi tre, ma non si sa quali fossero) immaginaria ed effettiva e perciò incline a consigliare l’abolizione delle monete non effettive.

[30] Francois Garrault, Recueil des principaux advis, cit. (cfr. par. 1, n.

1, terzo) in fine.

[31] I. A. Thuani (1. -A. DE Thou) Historiarum sui temporis liber sessantaquattresima, ch. quarto, ann. 1577 (pag. 208 – 209 del tomo terzo dell’ediz. di Ginevra del 1627, come citata da Levasseur, Memoire, pag. centottantesima).

[32] Ferdinando Galiani, Della moneta, lib. terzo, cap. terzo, ed. Nicolini, Bari, Laterza, pag. 209.

[33] Così avrei ricostrutto la sostanza del pensiero di quel curioso scrittore, chiunque sia, il quale è conosciuto sotto il nome di Froumenteau. Vedi Le secret des finances de France, découvert et départi en trois livres par N. Froumentau et maintenant publié pour oudrir les moyens légitimes et nécessaires de payer les dettes du Roy, décharger ses sujets des subsides imposez depuis trente un ans, et recouvrer tous les deniers prins à sa Majesté. Le troisième livre, 1581, pag. 390. L’Hauser fa dichiarare al F. che l’editto del 1577 sarebbe la «principale foudre qui a foudroyè» le fortune, crescendo l’onere delle rendite ormai dovute in ragione di tre lire per scudo (ed. H., pag. sessantaquattresima), laddove lo scudo vale sul mercato di più. Può darsi che in qualche altro luogo (l’H. non cita il luogo del F. da cui egli ha tratto la sua notizia) il F. abbia così scritto, aggiungendo anche che la riforma del 1577 era destinata all’insuccesso per mancanza di sufficiente oro – metallo in Francia. Nel luogo che ho sott’occhio, il Froumenteau;

 

 

– non accusa direttamente l’editto del 1577, ma afferma solo che «la principale foudre a foudroyé lors et quand l’Edit dernier a commencé d’estre publié», ossia accusa taluno di aver profittato dell’editto a proprio vantaggio;

 

 

– non parla di danni incorsi nel pagamento dei censi e rendite, bensì di quelli subiti dai contribuenti in genere, a qualunque classe appartenessero, costretti a pagare, diremmo noi, le antiche imposte in moneta rivalutata. La rivalutazione della moneta esistente, che prese la forma non più di un abbassamento del corso della moneta effettiva in moneta immaginaria, ma, abolita questa, di riduzione dal corso di trasformazione dei debiti d’imposta dalla vecchia moneta (lira) alla nuova (scudo) fu causa del danno dei contribuenti. Non alla scarsità dell’oro – metallo in Francia poté essere dovuto l’insuccesso finale della riforma del 1577, ché si contratta ugualmente bene con poca come con molta moneta e nessuna prova fu addotta a dimostrare che in Francia corresse proporzionatamente minor quantità di moneta che negli altri paesi; bensì all’errore commesso nel 1577 d’aver voluto, come si spiega nel testo, innestare sul mutamento del sistema monetario da plurimetallico vincolato dalla lira immaginaria in monometallico oro un’altra, tutt’affatto diversa, riforma, che fu la rivalutazione della lira, la quale pur si stava per abbandonare, dal corso di 3 lire e 5 soldi a quello di 3 lire per scudo d’oro. Poiché quell’errore fu ripetuto le assai volte in tempi passati e recentissimi, non è meraviglia che anche nel 1577 si sia reputato spediente profittare del mutamento del sistema per passare dalla «foible» alla «forte monnoye». Ma ciò fu una delle cause dell’insuccesso.

[34] Memoires des sages et royalles Oeconomies d’Estat, domestiques, politiques et militaires de Henry Le Grand, et des servitudes utiles obeissances convenables et administrations loyales de Maximilian de Bethune1638, tome secondo, pagg. 54 – 55. I dotti francesi commentatori della controversia Malestroit-Bodin non si giovarono di questo brano delle memorie del duca di Sully per spiegare l’insuccesso della riforma del 1577. Che l’esportazione delle monete d’oro e d’argento fosse vivace è dimostrato da quel che il Sully narra di un altro suo editto del 1601 inteso a bandire tutte le monete forestiere ad eccezione di quelle spagnuole ed a proibire l’esportazione dell’oro e dell’argento fuor del reame, sotto pena di confisca delle monete e dei ben tutti dei trasgressori e loro favoreggiatori. Il re era siffattamente adirato che «en fit…. tout haut, étant a table, tant de serments de n’exempter de cette rigueur qui que ce pust estre, que chacun apprehendoit d’estre suspris en cette faute». Ma «comme l’avarice et l’avidité du profit sont celles de toutes les passions de l’homme qui gardent moins de made ration» il traffico continuò; ed il Sully racconta della sorpresa di un carico di trentottomila scudi in scudi d’oro del sole, pistolets, pistole e quadruple che nessuno mai osò reclamare. Della somma sequestrata i denunciatori ebbero 25 mila lire; del sovrappiù in 119 mila lire il re tenne per sé 24 mila scudi per pagare certi debiti di giuoco non osati prima confessare al Sully, rimanendo il resto in 47 mila lire a questi, insieme con la promessa di ricevere tutto il frutto dei sequestri futuri, i quali però non ebbero luogo per il timore dei contrabbandieri di avventurarsi nuovamente nella pericolosa impresa (ivi, pag. 19). Nel quale racconta, astrazion fatta da ciò che gli scudi, a voler far tornare il conto, dovevano essere 48 e non 38 mila, importa notare l’uso contemporaneo del conto in lire e del conto in scudi, persistente anche dopo la riforma del 1577, la quale avrebbe dovuto bandire il primo; altra prova della scarso contenuto sostanziale e della scarsissima efficacia di essa.

[35] Veron De Forbonnais, Recherches et considérations sur les finances de France depuis, l’année 1595 jusqu’à l’année 1721. Basle, 1758, ed. in quarto, Tome primo, pag. 52.

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