Opera Omnia Luigi Einaudi

Prefazione – M. Amoruso, Case e città operaie

Tipologia: Paragrafo/Articolo – Data pubblicazione: 01/01/1903

Prefazione – M. Amoruso, Case e città operaie

Mauro Amoruso, Case e città operaie. Studio tecnico economico, Torino, Roux e Viarengo, 1903, pp. IX-XII

 

 

 

Gli Editori della «Piccola Biblioteca Tecnica» hanno voluto affidare a me – non tecnico – l’incarico di presentare ai lettori il volume che l’ing. Mauro Amoruso ha consacrato nella loro serie alla questione così viva e palpitante delle case operaie. Essi hanno voluto con ciò significare che il libro non si dirige soltanto agli ingegneri ed ai costruttori, ma a tutta quella più grande massa di persone che dei problemi sociali si interessa e discute. Costoro troveranno nel libro dell’Amoruso – cresciuto nel Laboratorio di Economia politica S. Cognetti De Martiis allo studio spassionato e diligente della realtà – non delle divagazioni inutili su un qualche metodo, non mai prima scoperto, di dare una casetta ed un orto a tutti quelli che sfortunatamente ne sono privi; ma un’ampia messe di fatti, accuratamente ordinati ed esposti intorno ai tentativi che all’estero ed in Italia si sono fatti per risolvere questo tormentoso problema delle abitazioni delle classi lavoratrici. Perciò io ho letto il libro dell’Amoruso con interesse e con profitto. I fatti insegnano sempre ad essere modesti ed a diffidare delle dottrine sempliciste le quali vogliono rigenerare il mondo con una sola, meravigliosa ed infallibile ricetta. In un tempo in cui molti si illudono di aver trovato la ricetta per la malattia del caro dei fitti o nella municipalizzazione delle case, o nella cooperazione o nella filantropia; quando accesa è la battaglia tra i fautori esclusivisti delle caserme e delle casette isolate; è bene che venga un libro a dire quante siano le vie diverse che gli uomini seguono per andare alla conquista dell’ideale del benessere sociale, e quanti siano i fattori – tecnici, economici, morali, locali – di cui si deve tener conto nella soluzione di così arduo quesito.

 

 

Il problema delle case operaie nasce da uno squilibrio temporaneo tra la domanda e la offerta di case. Quando la popolazione in un luogo aumenta improvvisamente per il sorgere di nuove industrie, per il fiorire delle industrie antiche, per l’intensificarsi del traffico, per i variabili capricci della moda, comincia la fame di case; e non potrà essere soddisfatta se non quando il tempo – questo importantissimo tra i coefficienti delle variazioni della vita economica – non abbia, nel suo lento trascorrere, consentito a tutti gli altri fattori di adattarsi alle mutazioni improvvise di un solo di essi e di trovare una nuova posizione di equilibrio. Spesso l’intervento della filantropia o dell’autorità pubblica non sarà nemmeno necessario. Basterà l’interesse illuminato degli industriali che vedono affollarsi attorno ai loro fumanti opifici torme di operai senza tetto e senza stabilità morale e materiale e che si persuadono della convenienza di avvincere stabilmente la maestranza alla fabbrica con i legami morali derivanti dal possesso di un home e dallo stabilirsi delle famiglie. Basterà altrove l’interesse degli imprenditori-costruttori di case desiderosi di trovare un proficuo impiego per la loro opera e per i loro capitali.

 

 

L’autorità pubblica può senza danno limitarsi spesso ad una funzione di tutela delle norme fondamentali di igiene e di sicurezza pubblica; può con adatte prescrizioni regolamentari impedire che si possa vivere in condizioni non umane di abitazioni, ed, a costo magari di sofferenze momentanee, educare così lentamente a poco a poco le masse a meritare i più alti salari che sono richiesti per abitare in case migliori e più costose.

 

 

È una pura illusione pensare che col mettere un numero maggiore di case sul mercato si sia risoluta la questione delle abitazioni operaie. In questo modo si agisce su uno solo dei punti del problema e si lascia insoluto l’altro problema, non meno importante: come farà l’operaio a pagare i più alti fitti delle case migliori? e quando i fitti siano lasciati immutati, chi pagherà la differenza fra il costo delle abitazioni ed i fitti? Non saranno spesso le classi operaie medesime le quali in massa vedranno crescere il costo della vita nello scopo di poter fornire delle case al disotto del costo ad alcuni piccoli nuclei di privilegiati? E non è assurdo concedere dei sussidi, gravosi ai contribuenti, per la costruzione delle case operaie, mentre non si pensa a frenare in nessun modo con un’imposta – che a molti pare di sicuro e benefico effetto – il vertiginoso aumento di valore delle case edilizie?

 

 

Questi ed altri problemi ancora pone dinanzi ai lettori il bel libro dell’Amoruso; né io voglio ridire male ed affrettatamente ciò che egli ha esposto largamente, con ricchezza di dati copiosi e con lucidità di dettato.

 

 

L’Amoruso non si è limitato a ricordare l’esperienza passata; e nell’ultima parte ha fatto convergere le sparse fila della sua esposizione ad una chiara ed ordinata disamina delle principali norme tecniche ed igieniche per la costruzione delle case operaie. Qui si vede l’ingegnere disposarsi allo studioso di cose economiche, in guisa che il libro riesce veramente utile e pratico.

 

 

Perciò io ho fiducia che il breve e leggiadro volume dell’Amoruso sarà largamente letto. L’ora propizia agli uomini di buona volontà è suonata; e l’opera complessa e grandiosa urge.

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