Opera Omnia Luigi Einaudi

Relazione letta dal prof. Luigi Einaudi, direttore presidente del Consiglio direttivo, alla LXI Consulta generaledella Società di istruzione, educazione, mutuo soccorso e beneficenza fra gli insegnanti dello statoin tornata antimeridiana del 10 settembre 1910 [sic, ma: 1913] nella sala Vincenzo Troya in Torino

Tipologia: Paragrafo/Articolo – Data pubblicazione: 01/01/1914

Relazione letta dal prof. Luigi Einaudi, direttore presidente del Consiglio direttivo, alla LXI Consulta generaledella Società di istruzione, educazione, mutuo soccorso e beneficenza fra gli insegnanti dello statoin tornata antimeridiana del 10 settembre 1910 [sic, ma: 1913] nella sala Vincenzo Troya in Torino

Torino,Stab.tip. naz., 1914, pp. 15-32

 

 

 

Signori Delegati,

 

 

In questa prima occasione, che ho di indirizzarmi a Voi, mi sia consentito di rivolgere il pensiero all’uomo insigne, di cui l’anno scorso lamentammo insieme la perdita. Come de’ suoi predecessori, così del compianto comm. Pietro Rossi, fu eseguito il ritratto, da conservarsi nella sala delle adunanze del Consiglio direttivo, ed oggi Voi potete rimirare la sua paterna immagine, insieme con quella di uno tra i fondatori ed il maggior benefattore della Società nostra, il prof. mons. Giovanni Scavia. E mentre il nostro pensiero va a queste nobili figure di scomparsi, io debbo, innanzi di intrattenervi sulle cose sociali, adempiere il dovere di ringraziare pubblicamente i Colleghi tutti del Consiglio direttivo ed in ispecial maniera il Consigliere Delegato prof. Franchi per la collaborazione preziosa e continua, la quale mi rese meno grave il carico della Direzione della Società nostra; nédebbo trascurare di segnalare all’attenzione vostra l’opera zelante degli impiegati, i quali, sotto la guida del nostro benemerito Cassiere prof. Mossi, attesero all’amministrazione ed alla contabilità degli uffici con piena soddisfazione mia e del Consiglio. Al chiarissimo prof. Bonferroni, regio Ispettore scolastico ed insieme al Prefetto della Provincia ed al Provveditore agli studi vadano anche i ringraziamenti nostri per l’onore che ci vollero fare ornando di loro presenza e rappresentanza questa nostra 61ma Consulta.

 

 

Seguendo l’antica consuetudine nostra, il Consiglio, per mezzo mio, ha l’onore di invitarvi alla funzione, che in suffragio dei Soci defunti, avrà luogo domani alle 7 e 30 nella chiesa di S. Secondo.

 

 

Il Resoconto finanziario e le relazioni della Commissione di Sindacato, che vi furono distribuite, vi hanno chiarite quali furono nell’anno scorso le variazioni intervenute nel patrimonio sociale; e le quali si riassumono in una diminuzione complessiva da L. 2.989.763,54 alla fine del 1911 a L. 2.906.969,82 alla fine del 1912. La quale diminuzione di circa 83 mila lire è però in gran parte nominale e dipende dall’essere stata pagata l’ultima rata di 60 mila lire sul prezzo di acquisto della casa, che prima si conteggiava fra le «cose di terzi». Della restante diminuzione dovremmo impensierirci solo ove ad essa non corrispondesse una diminuzione dei nostri impegni verso i Soci, intorno al qual punto mi intratterrò fra breve, discorrendo del Bilancio Tecnico.

 

 

Ossequente alle vostre deliberazioni chiesi la conversione al portatore di mezzo milione di rendita 3,5%; ma poiché i titoli liberati si ebbero soltanto nel marzo del corrente anno, fu impossibile provvedere ad un impiego sicuro e proficuo di essi; talché soprassedetti alla vendita di 400 su 500 mila lire di essi, del qual ritardo non ci dobbiamo dolere, essendosi nel frattempo i corsi della rendita riassodati; onde quei titoli, depositati frattanto presso il Credito Italiano, oggi si potrebbero alienare a buone condizioni. Il ricavo delle 100 mila lire nominali vendute, e la somma ricevuta per rimborso di 150 mila lire del mutuo Luzi, furono investiti nel primo semestre del 1913 in parte in due mutui di 20 e 12 mila lire a privati con prima ipoteca ed al 5%, in parte nel mutuo già deliberato al 4,75% di 50 mila lire al comune di S.Stefano Belbo, e per il rimanente nell’acquisto di 100 mila lire di Buoni del Tesoro quinquennali 4%, che ebbimo al corso di 99, onde il frutto risulta leggermente superiore al 4,20% annuo. Allo scopo inoltre di ridurre al minimo le disponibilità di cassa e le giacenze presso le banche, acquistai un Buono del Tesoro ordinario, a scadenza il 21 giugno 1914, il quale ci frutta il 4% in ragione d’anno.

 

 

Per quant’è all’impiego dei Fondi sociali, io non avrei altre proposte da farvi, se non rinnovare e confermare la deliberazione dell’anno scorso, con alcune poche variazioni formali e così aggiungerei ai Comuni ed ai privati anche gli Enti morali, potendo darsi che si possano fare convenientemente mutui garantiti anche a questi; dichiarerei che tra i titoli di debito garantiti dello Stato si debbano noverare anche quelli per cui la garanzia dello Stato, pure non essendo dichiarata nel titolo stesso, risulti da leggi o dichiarazioni ufficiali governative, e rinnoverei l’autorizzazione, in passato assai volte data, di fare acquisti di cartelle di credito fondiario. Non posso nascondervi però, che, essendoci di fatto precluso dalle vigenti leggi e regolamenti l’acquisto di una seconda casa; ed avendo seguito finora il Consiglio direttivo la regola di non concedere mutui ipotecari a privati quando essi, tuttoché solidissimi, esercitino il commercio, è difficile utilizzare, quanto da altri si potrebbe, la tendenza odierna al rialzo nel tasso dell’interesse. Poiché chi ha piùsoventi bisogno di denaro, sono appunto gli imprenditori, gli industriali ed i commercianti; onde il Consiglio ha già ripetutamente discusso, se, in casi particolarissimi di solidità finanziaria universalmente riconosciuta, non convenga concedere mutui, sempre con prima ipoteca, anche a costoro; senza però venire ad una concreta deliberazione in proposito.

 

 

Quanto agli impieghi già compiuti, l’unica circostanza degna di menzione è la deliberazione presa dal Consiglio, su mia proposta, ed approvata dai Sindaci, di ridurre il frutto netto della casa di nostra proprietà ad un massimo del 4,50%. Il che non vuol dire che noi non si abbia a godere il maggior frutto, quando vi sia; bensì che questo maggior frutto dovrà essere in avvenire accantonato in un Fondo speciale. Una attenta visita alla casa sociale mi persuase invero che, per conservarne il pregio e non veder questo deteriorare coll’andare degli anni, era d’uopo eseguire talune grosse riparazioni, che troppo aspramente ridurrebbero il reddito dell’anno, in cui venissero a cadere d’un tratto. Onde l’opportunità di un Fondo per grosse riparazioni, il quale tuttavia dovrà essere speso solo quando necessità e convenienza lo consiglino. La somma che a tal fine non sarà spesa, prudenza vuole sia impiegata ad ammortizzare le spese di acquisto della casa, le quali oggi vanno ad ingrossare il valore d’inventario di essa. Questo invero ammonta a 400.000 lire, di cui 375.000 all’incirca sono il prezzo d’acquisto e 25.000 le spese di rogito, tasse, ecc. Le buone norme contabili consigliano di ammortizzare a poco a poco sul reddito queste ultime 25 mila lire, sicché dopo un certo periodo di tempo il costo della casa venga a risultare sui nostri libri di 375.000 lire sole, quante furono da noi pagate all’antico proprietario. Ciò non muta in nulla il valore venale della casa, il quale rimane quello che il mercato vuole sia; ma parmi sia nostro dovere di evitare ogni rischio di averla stimata troppo cara. A compiere il Fondo necessario sia per le grosse riparazioni che per l’ammortamento del prezzo d’acquisto dovran passare molti anni; onde vieppiù urgeva di iniziare subito l’accantonamento.

 

 

Ad un altro dei vostri desideri io posi mente durante l’anno decorso; e si riferisce alle spese di stampa del Bollettino sociale. Purtroppo, in conseguenza del nuovo accordo con le maestranze, dovetti consentire ad un aumento del 5% sulle tariffe antiche. A temperare le conseguenze del qual crescere continuo di spese vi faccio una proposta. Oggi le puntate del nostro Bollettino sono ridotte a 5; e sarebbe impossibile ridurne ancora il numero, data la natura delle comunicazioni che la direzione deve fare ai Soci ed ai Delegati. Un esame attento però del contenuto di ogni puntata, mi persuase che esso si può dividere in due parti: una che si indirizza a tutti i Soci e l’altra che interessa unicamente i Delegati mandamentali o circondariali. Spedendosi ogni puntata a tutti i Soci è impossibile evitare talune ripetizioni di materia. A me parrebbe possibile raggruppare in un fascicolo unico tutto ciò che interessa i Soci, atti della Consulta, bilanci, rendiconto morale, elenco dei pensionati, convocazioni dei Soci per le elezioni dei Delegati mandamentali.

 

 

Questo fascicolo potrebbe essere cucito a guisa di un libro: e sarebbe come l’annuario della Società, che ogni Socio potrebbe tenere sullo scrittoio, consultare e far leggere agli amici. Mentre oggi ho grave sospetto che i nostri bollettini, i quali arrivano scuciti ed intonsi ai Soci, rimangano per la più intonsi e vadano presto dispersi, il nostro bollettino-annuario, giungendo in un piccolo volumetto compatto e rifilato potrebbe essere meglio conservato e giovare come ricordo ai Soci e richiamo per i loro amici. La tiratura delle altre puntate o di almeno tre delle altre quattro puntate, verrebbe limitata al numero dei Delegati mandamentali e circondariali; onde un risparmio nelle spese di carta e di spedizione. Non presumo con ciò di raggiungere grandi economie; ma basterebbe già controbilanciare l’effetto del continuo aumento delle spese tipografiche e nel tempo stesso far cosa che indubbiamente riuscirebbe più gradevole ai Soci.

 

 

E vengo a discorrere del Bilancio Tecnico, che è l’argomento precipuo, sebbene punto piacevole, che io presento alla vostra meditazione. Duolmi di dovervi fare un discorso, che a taluno parrà alquanto pessimista; ma poiché le cifre non mentono, io crederei di venir meno al mio dovere non palesandovi, subito questa prima volta che ho l’onore di intrattenervi, a scanso di mia responsabilità, l’intimo significato di esse. Ed esse dicono che, a parte anche l’errore del doppio relativo al Fondo Utili, ben noto e sapientemente riparato dalle Consulte passate, noi in passato abbiamo distribuito troppi utili, che utili non erano.

 

 

E valga il vero. Un Bilancio Tecnico ha per iscopo di chiarire se i fondi che una Società, come la nostra, possiede, sono sufficienti a far fronte agli impegni che essa ha assunto. Per fare questo calcolo noi abbiamo bisogno di calcolare da un lato il prezzo delle attività costituenti il patrimonio sociale e dall’altra il valore attuale degli impegni. Il primo dato risulta dai nostri bilanci, nei quali le attività sociali furono sempre calcolate al valore d’acquisto, il quale, se in alcune parti è superiore al prezzo corrente, per lo più vi sta al disotto. Prudenza vuole che si tenga fermi al criterio del prezzo d’acquisto, nessuno essendo in grado di prevedere le variazioni future dei prezzi di alcune nostre attività (rendita e casa) ed essendo opportuno avere un certo margine o riserva latente di sicurezza al riguardo.

 

 

Più difficile è la valutazione degli impegni. Questi in parte sono già noti nella loro somma precisa e sono le pensioni già liquidate; in parte debbono essere valutati, a norma dello Statuto sociale, e sono le pensioni ancora da liquidare. Siccome però le pensioni constano di somme le quali vanno a scadere in futuro, lungo un periodo il quale va dal momento in cui si fa il Bilancio Tecnico (31 dicembre 1911) fino alla morte dell’ultimo Socio vivente al 31 dicembre stesso, fa d’uopo calcolare quale sia il valore attuale di quelle somme dovute in futuro. Quanto, cioè, si dovrebbe avere in cassa al 31 dicembre 1911 per essere sicuri di far fronte al pagamento delle pensioni sino alla loro definitiva estinzione? Per rispondere alla quale domanda bisogna fare due ipotesi: l’una relativa alla mortalità dei Soci e l’altra al frutto sperabile in avvenire dai capitali sociali. È chiaro che se tra i Soci spesseggiano i morti, alla Società fa d’uopo di avere minori fondi in cassa in confronto a quelli necessari se invece i Soci sono longevi. E si comprende altresì che se al capitale si suppone di poter far rendere il 5% è necessario avere minori fondi che se il frutto è del 4%. Per essere in grado di pagare 100 lire fra 15 anni basta avere 48 lire oggi, se le 48 lire si impiegano al 5%; ed occorre averne 55 se le 55 si possono impiegare solo al 4 per cento.

 

 

L’ultimo Bilancio Tecnico al 31 dicembre 1911 fu eseguito supponendo che la mortalità tra i nostri Soci si verificasse secondo la legge della mortalità generale italiana risultante dal censimento del 1901, e che il tasso d’interesse possibile a lucrare in avvenire fosse del 4 per cento.

 

 

Ecco i risultati del Bilancio Tecnico con queste ipotesi:

 

 

 

Riserva matematica o fondo occorrente

 

Fondo esistente in base al prezzo d’acquisto

 

 

Avanzo (+)

o disavanzo (-)

 

Fondo per il minimum A

L. 2.982.942,62

2.372.017,20

– 610.925,42

Fondo per il minimum B

8.818,55

20.240,55

+ 11.422 —

Fondo utili per aumenti al minimum delle pensioni

334.641,33

348.156,43

+ 13.515,10

Fondo socie assicurate A

42.949,75

39.108,34

– 3.841,41

Fondo socie assicurate B

124,65

127,33

+ 2,68

Fondo per gli aumenti immediati: I.

2.020,–

493,43

– 1.526,57

II.

10.662,65

14.519,65

+ 3.857,–

III.

4.117,45

7.668,40

+ 3.550,95

IV.

21.266,–

39.243,15

+ 17.977,15

Totale

L. 3.407.543,–

2.841.574,48

– 565.968,52

Deficienza complessiva

300.184,45

 

3.148.942,39

 

 

Pur tenendo conto del Fondo di riserva di L. 48.468,98 non compreso nei calcoli precedenti, e per abbondanza, delle L. 16.646,36 del Fondo del Comitato dei premi, nonché di L. 240.000 circa di riserva latente derivante dal maggior prezzo corrente dei titoli sociali in confronto al prezzo d’acquisto, il deficit non poteva ritenersi inferiore ad un 300 mila lire circa al minimo. Mancherebbero cioè 300 mila lire ai nostri Fondi per poter far fronte agli impegni sociali.

 

 

Sennonché gravi dubbi sorsero subito sulla convenienza di compilare il Bilancio Tecnico nel modo suindicato, dei quali dubbi si fece eco il nostro benemerito comm. Ratti, che con tanto amore ed acume da anni riferisce sulla ripartizione dei Fondi sociali.

 

 

Già le cifre che ho avuto l’onore di riferirvi dimostrano che la causa del deficit sta tutta nel vecchio e più vistoso Fondo, detto Fondo per il minimum A, per cui il disavanzo era calcolato a ben 610 mila lire, e che è destinato a provvedere le pensioni ai Soci iscritti prima del 1908. Gli altri Fondi o presentano dei disavanzi irrilevanti – e sono anch’essi Fondi antichi – o sono in avanzo; il che dimostra che per i nuovi Soci si seguono già le norme prudenziali atte a dare ogni affidamento intorno alla possibilità di mantenere gli impegni assunti. Nessuna necessità dunque di mutare lo Statuto sociale per i nuovi Soci; ma necessità di prendere dei provvedimenti per rafforzare il vecchio Fondo dei Soci antichi.

 

 

Ma quali dovevano essere questi provvedimenti? Qui si brancolava nel buio, poiché non si sapeva a qual causa attribuire il grosso disavanzo nel Fondo minimum A, se alla mortalità dei Soci più lenta del previsto ovvero all’interesse troppo forte (5%) in base a cui si erano calcolate le pensioni. Propose quindi il comm. Ratti l’anno scorso e la Consulta approvò, che si eseguisse un nuovo Bilancio Tecnico, alla stessa data del 31 dicembre 1911, ma sulle basi statutarie: mortalità Deparcieux e tasso d’interesse 5 per cento. Siccome, egli ragionava, noi potemmo sempre attribuire in passato il 5% a questo Fondo, e vi è una certa probabilità di poterlo attribuire per l’avvenire, visto che gli ultimi Bilanci ci danno un margine di utile di 20 mila lire circa, oltre l’attribuzione dell’interesse statutario a tutti i Fondi sociali, così noi dobbiamo eseguire il bilancio al 5%; anche perché, in caso di liquidazione della Società, sarebbe il 5% l’interesse che dovrebbe essere preso a base di ogni calcolo per la liquidazione degli impegni verso i Soci antichi. Ed a me parve utile eseguire il Bilancio Tecnico in tal guisa, perché saremmo finalmente riusciti a scoprire l’andamento della longevità tra i nostri Soci, e sapere se essa era uguale, maggiore o minore della prevista. Infatti, siccome dall’origine della Società ad oggi sempre fu attribuito il 5% a questo Fondo, se esso è insufficiente, può esserlo solo, si supponeva allora, perché i nostri Soci vivono più a lungo di quanto non sia previsto nelle tabelle Deparcieux; onde la necessità di mutarle e di adottarne altre più esatte. Ad altri motivi di assumere il 5% a base dei vostri calcoli bisogna aggiungere questo: che la esenzione dall’imposta di ricchezza mobile a ragion veduta concessa dal legislatore al nostro Sodalizio come agli altri di mutuo soccorso ha appunto per iscopo di consentirci il godimento di un tasso di interesse più elevato di quello corrente sul mercato; ché laddove ai privati capitalisti i mutuanti pagano il 4,25 od il 4,50% più il rimborso dell’imposta, a noi pagano volentieri il 5%, perché sanno di non essere soggetti al gravame della imposta di ricchezza mobile. E tale vantaggio fu alle Società di mutuo soccorso largito dal legislatore appunto perché men meschini riuscissero i sussidi e le pensioni attribuite ai Soci nell’infermità o nella vecchiaia.

 

 

Fu eseguito dunque su queste basi, del 5% e della mortalità Deparcieux, il nuovo Bilancio Tecnico per il Fondo minimum A; e diede un risultato che ai più parrà inaspettato e sa certo d’amaro:

 

 

Fondo occorrente L. 2.661.628,89
Fondo esistente L. 2.372.017,20
Disavanzo L. 289.611,69

 

 

Il disavanzo è minore di quello constatato l’anno scorso, di 610 mila lire, e si capisce, essendosi supposto di poter attribuire in avvenire sempre il 5% di interesse invece che il 4%; ma è ancora rilevantissimo. A primo aspetto esso vuol dire che i nostri Soci in passato sono vissuti assai più a lungo di quanto non fosse previsto ed hanno consumato parte del Fondo che doveva servire alle pensioni future. Se questa fosse la spiegazione del disavanzo, ci farebbe pensare assai, perché la maggior longevità, come si ebbe in passato, a maggior ragione dovrebbe continuare in avvenire, producendo effetti simili ai passati e lasciando una non lieta eredità di vuoto di cassa per gli ultimi sopravviventi.

 

 

La spiegazione però del disavanzo delle 289 mila lire può fondatamente supporsi sia in gran parte diversa. Le ricerche opportune non furono potute compiere intieramente, trattandosi di valutare dati risalenti ad anni oramai remoti. Ma questi elementi furono chiariti:

 

 

1)    che in parte il disavanzo attuale origina dal fatto di avere stornato dal Fondo minimum e passato al Fondo Utili nel 1886 lire 10.000 e nel 1889 lire 8.000. Pare che in quegli anni si reputasse, non si sa perché, esuberante il Fondo minimum, onde si credette di potere accrescere di quelle 18 mila lire gli Utili. Se quegli storni non si fossero avverati, oggi, cogli interessi statutari al 5%, quelle 18 mila lire sarebbero diventate 54.932,77 lire e di altrettanto sarebbe maggiore il Fondo per il minimum.

 

2)    per un’altra parte il disavanzo provenne dalla circostanza che dal 1886 a tutto il 1903 si pagavano le pensioni a semestri, dividendo senz’altro per due le pensioni annue. In tal modo la Società, la quale aveva nelle sue tabelle calcolato le pensioni supponendo di doverle pagare a fine d’anno, anticipava per un semestre metà della pensione perdendo gli interessi relativi.

 

 

Nel 1904 siffatto errore fu tolto, riducendosi le pensioni opportunamente, così da metterle in armonia con le basi statutarie. Ma intanto il cumulo dei soli interessi perduti dalla Società dal 1866 al 1903 ammonta a L. 59.397,22, le quali, cogli interessi per gli anni seguenti fino al 31 dicembre 1911, giungerebbero a L. 87.758,84, che sarebbero andati ad aumento del Fondo minimum, mentre andarono a favore dei Soci.

 

 

Con questi due capi di 55 mila l’uno e di 88 mila circa l’altro ed in tutto di quasi 143 mila lire, noi abbiamo spiegato metà del disavanzo di L. 289 mila, che oggi ci angustia.

 

 

È probabile, sebbene non certo, per la mancanza di dati precisi, che le restanti 146 mila lire si spieghino con le altre due seguenti ragioni.

 

 

3)    Nella prima ripartizione dei Fondi sociali fatta nel 1861, dopo le prime riforme dello Statuto, si dimenticò di includere nel Fondo per il minimum delle pensioni le quote versate dai Soci defunti dal 1853 al 1860 ed anzi nel 1862 si detrassero da tale Fondo le quote di tal genere e si ripartirono come Utili dell’anno.

 

4)    Dal 1861 ad oggi si detrassero pure dal Fondo minimum e si passarono al Fondo Utili le quote pagate dai Soci deceduti o dimissionari aumentato degli interessi composti, mentre, per prudenza, una parte avrebbe dovuto restare al Fondo minimum, non potendosi sempre accertare se la decadenza di alcuni fra i Soci non sia dovuta alla loro morte, della quale non fu dato avviso alla Società e dovendosi pur tener conto che questi Soci corsero, durante il loro periodo di appartenenza alla Società, rischio di morte ed, in proporzione a tale rischio corso, le loro quote avrebbero dovuto rimanere nel Fondo minimum. Il Consocio comm. Ratti calcolò diligentemente che le quote in totale sottratte dal 1861 al 1911 al Fondo minimum e passate al Fondo Utili, ammontano, cogli interessi composti al 5%, a ben 557 mila lire. Non tutte avrebbero dovuto rimanere nel Fondo minimum, né sappiamo la parte ad esso spettante. Sembra però ipotesi non infondata che queste due ultime ragioni di sottrazione al Fondo minimum possano spiegare il residuo delle 146 mila lire non ancora rintracciate nelle loro cause.

 

 

Dall’esame fin qui condotto due conclusioni possiamo ricavare. La prima si è che la longevità dei Soci non pare sia stata sensibilmente superiore a quella prevista nelle vecchie tabelle Deparcieux. Sia caso od altro motivo, quelle tabelle hanno servito abbastanza bene ai nostri fini; e noi non ci dobbiamo allarmare oltre misura per ulteriori disavanzi che potrebbero in avvenire originare da questa causa. Sebbene convenga star sempre vigilanti, rifacendo continuamente ogni anno il Bilancio Tecnico. L’egregia compilatrice dell’ultimo Bilancio, dott. Franchi, ha impiantato uno schedario dei Soci siffatto che, coll’uso di opportune tabelle, è possibile, senza eccessivo dispendio, ogni anno rifare il Bilancio Tecnico.

 

 

Perciò la prima proposta che ho l’onore di farvi è che, ottemperando del resto a desideri ripetutamente manifestati in questa Consulta, ogni anno venga aggiornato il Bilancio Tecnico, ripartitamente per ogni Fondo sulle basi sociali, in guisa che si possa ogni anno vedere il progresso od il regresso del rapporto tra i fondi posseduti e quelli occorrenti a mantenere gli impegni sociali.

 

 

Nell’occasione del nuovo Bilancio Tecnico, che si riferirà al 31 dicembre 1913, per essere sottoposto al vostro esame nella Consulta dell’anno venturo, io propongo altresì che la Consulta autorizzi la Direzione a rielaborare il Fondo Utili, dividendolo in due parti: Fondo A, a cui si dovranno attribuire gli interessi al 5% e Fondo B a cui si dovranno attribuire solo gli interessi al 3%, così come si fa per il Fondo minimum. Per ragioni tecniche che qui sarebbero troppo lunghe a spiegarsi, per potere operare tale divisione, occorrerà ricalcolare ex novo tutti gli elementi del Fondo Utili; e da questo nuovo calcolo si dovrà assumere il punto di partenza per la ripartizione dei Fondi sociali negli anni avvenire. La seconda conclusione si è che l’odierno disavanzo proviene da eccessive assegnazioni al Fondo Utili. Del che non c’è da far colpa ad alcuno; poiché trattasi di errori tecnici inevitabili lungo la vita di ogni società di mutuo soccorso, errori di cui la nostra Società commise una quantità minore di quelli commessi nella grande maggioranza delle altre Società, errori infine che andarono – per merito della Consulta passata e della Direzione trascorsa coadiuvata dai suoi funzionari – correggendosi già in parte in passato, come accadde per il grande errore del duplo conteggio degli utili e per il piccolo del calcolo delle pensioni a semestri invece che ad anni. Trattasi di differenze piccolissime all’inizio e che paiono trascurabili, finché, pel gioco degli interessi composti, producono, col trascorrere di molti anni, effetti grandissimi.

 

 

Poiché il riandare le cose passate deve servire solo ad insegnarci a far meglio in avvenire, il problema che si presenta è: Come porre rimedio al disavanzo, accertato oramai in cifra certissima?

 

 

La risposta più semplice sarebbe: poiché tutto il male provenne dall’avere distribuito troppi cosidetti utili, che utili non erano, ai Soci, si prelevino 300 mila lire dal Fondo Utili e si riduca la parte della pensione spettante sugli utili ai Soci già pensionati e da pensionare in proporzione alla riduzione così operata nel Fondo Utili.

 

 

Sennonché a questa maniera di porre riparo al disavanzo si oppongono spontanee varie obbiezioni:

 

 

1)    non sarebbe questa riduzione rispondente a stretta giustizia; perché come si potrebbero fare rimborsare gli utili riscossi di troppo in passato ai Soci già defunti ed anche, praticamente, non volendosi toccare la parte delle pensioni garantita come minimum, ai Soci pensionati viventi?

 

2)    non pare conveniente, dopo la falcidia passata, tornare a ridurre la parte di pensione gravante sugli utili per i Soci pensionati. Ciò produrrebbe sfiducia e malcontento nei Soci ed alla lunga nuocerebbe, più che giovare alla Società.

 

3)    si aggiunga, finalmente, che le Autorità superiori non possono ritenere necessario di obbligarci a ricorrere all’uso di questi mezzi violenti, poiché essi devono tener conto che noi possediamo, oltre una riserva palese di 48 mila lire, una riserva latente nella plusvalenza dei titoli di rendita, la quale ai prezzi odierni si può calcolare di circa 240 mila lire. Ove, quindi, si dovesse addivenire ad una liquidazione immediata della Società nostra, noi potremmo far fronte compiutamente ai nostri impegni.

 

 

Dovendo dunque provvedere al disavanzo attuale con norme che non tocchino le pensioni già in passato liquidate, parecchie sono le proposte che ho l’onore di presentarvi:

 

 

1)    Esistendo in primo luogo un Fondo di Riserva che al 31 dicembre 1912 ammontava a L. 48.968,81, è naturale proporvi che la massima parte di esso sia trasportata al Fondo per il minimum. Lo scopo del Fondo di Riserva è appunto di provvedere alle deficienze degli altri Fondi; onde la Consulta può con sicuro animo approvare il trasporto della maggior parte di esso al Fondo per il minimum, lasciando alla Riserva solo quella piccola somma che occorre per far fronte ai tenui deficit che via via si andranno manifestando nei Fondi speciali per gli aumenti immediati alle pensioni. Quale sia questa somma si dirà subito. Intanto si noti che negli anni venturi medesimamente sarà opportuno consiglio deliberare che ogni somma la quale vada ad incremento del Fondo di Riserva, ad es. per realizzo della plusvalenza dei titoli, sia fatta trapassare al Fondo per il minimum.

 

2)    Gli utili netti del 1912 ammontano a L. 20.811,37. Noi sappiamo ora, per le risultanze dell’ultimo Bilancio Tecnico, che questi utili non sono veramente tali, poiché dovendo il Fondo per il minimum essere integrato di 289 mila lire circa al 31 dicembre 1911, si sarebbero dovuti a giusta ragione attribuire 14.500 lire di maggiori interessi al 5% a tale Fondo; onde gli utili veri ammontano a sole L. 6.300 circa. E nemmeno questi sono veri utili, perché, come rilevai sopra, e come osserva il comm. Ratti nella sua relazione, al Fondo Utili si attribuisce l’interesse del 3%, mentre alla maggior parte di esso attribuire si dovrebbe il 5 per cento. Ma lasciando a parte ciò, a cui si provvederà col bilancio al 31 dicembre 1913, certa cosa è che non si può ragionare di utili quando uno dei Fondi sociali presenta, pur calcolandolo secondo le ottimiste basi statutarie, un deficit di 289 mila lire. Disavanzo patrimoniale ed utili di bilancio sono due termini che apertamente si contraddicono.

 

 

Perciò io vi propongo che i cosidetti utili del 1912 non si ripartiscano più tra i Soci, come si usava fare per il passato, ma si mandino al Fondo di Riserva. Tutti, meno le 4 lire di dividendo che la Consulta del 1911 deliberò di garantire ai nuovi Soci iscritti dall’1 gennaio 1908 in poi. Trattandosi di promesse impegnative della Consulta e tenuto conto che l’iscrizione dei nuovi Soci è utile alla Società e che noi possiamo fare affidamento sicuro di poter adempiere agli impegni contratti verso di essi, anche del dividendo di L. 4, ritengo doveroso mantenere la promessa. Trattandosi di 240 soci, a 4 lire l’uno, sono 960 lire che debbono essere portate al Fondo Utili, rimanendo 19.851,37 lire da collocare nel Fondo di Riserva, il quale cresce perciò da 48.968,81 a 68.820,18 lire. Delle quali, 65 mila vi propongo di trasportare al Fondo per il minimum, rimanendo L. 3.820,18 nel Fondo di Riserva, per far fronte, come si disse, all’eventualità di disavanzo nei piccoli Fondi diversi.

 

 

Anche a proposito degli utili annui, si deve ripetere l’osservazione già fatta a proposito del Fondo di Riserva in genere. Salvò l’attribuzione delle 4 lire di dividendo promesse ai Soci nuovi iscritti dal 1908 in poi, tutti gli utili annui dovranno essere mandati a riserva e di qui trasportati al Fondo per il minimum, finché il disavanzo lamentato non sia onninamente scomparso. Perché sino a quel momento sarà assurdo parlare di utili. Nési immagini che tutti questi trasporti di somme da un Fondo all’altro siano un ozioso gioco di contabilità. Oltre a non lasciarci immaginare di essere più ricchi di quanto in realtà non siamo, l’integrazione del Fondo minimum A ha lo scopo di mettere in evidenza che noi dobbiamo attribuire ogni anno gli interessi 5% a tutto il Fondo integrato e non solo a quello minore del vero attualmente esistente. Onde vi propongo altresì che nella ripartizione dei Fondi sociali al 31 dicembre 1913 si attribuiscano gli interessi, secondo le norme statutarie, al Fondo minimum A, quale dovrebbe risultare secondo il Bilancio Tecnico che sarà formato a quella data, e non al Fondo quale attualmente sarà.

 

 

3)    Le proposte ora fatte a stretto rigore non sono ancora sufficienti. Con esse, all’incirca, si può opinare che al 31 dicembre 1912 il disavanzo sia diminuito da circa 289 a forse 240 mila lire, somma approssimativamente coperta dalla plusvalenza dei titoli, plusvalenza però che prudenza consiglia a non tenere in gran calcolo sia per far fronte alle oscillazioni di valore del patrimonio sociale, sia per non trascurare la circostanza del non essere noi sicuri di poter attribuire in seguito il 5% statutario ai vecchi fondi.

 

 

Volendo mantenere intatto il Fondo di Riserva latente in guisa che esso possa coprire gli anzidetti due rischi, e cioè:

 

a) il rischio della diminuzione di valore di qualche partita del patrimonio sociale;

 

b) il rischio che il frutto dal patrimonio sociale scemi in guisa da non poter più attribuire ai vecchi Fondi il 5% ed ai nuovi rispettivamente il 4 e 50, 4 e 3%; noi dovremmo provvedere a colmare il disavanzo di L. 240 mila esistente nel Fondo minimum A. Disavanzo, come Voi avete ben compreso, il quale non è oggi effettivo – data l’esistenza di un Fondo di riserva latente di ugual somma – ma potrebbe diventar tale domani, se si verificassero i due rischi sovra accennati.

 

 

A questo punto, la Consulta del 1913 può forse aver ragione di volere lasciar risolvere il problema della Consulta dell’anno prossimo. Se Voi approverete invero le mie proposte, avrete:

 

 

1)    diminuito il disavanzo da 289 a 240 mila lire;

 

2)    provveduto a che esso in avvenire non cresca, deliberando che sia assegnato il 5% di interesse non al Fondo attuale esistente, ma al Fondo tecnico necessario;

 

3)    deliberato di rinunciare per l’avvenire ad ogni nuova ripartizione di utili ai Soci, devolvendo gli utili stessi ad ammortizzo del disavanzo accertato coll’ultimo Bilancio Tecnico;

 

4)    insistito affinché si tenga dietro ogni anno alle variazioni dei nostri impegni, mercé l’aggiornamento del Bilancio Tecnico al 31 dicembre del 1913 e degli anni successivi.

 

 

Per potere prendere ulteriori deliberazioni – le quali oggi non appaiono urgenti, poiché dovrebbero avere per intento di provvedere al pericolo di rischi non peranco verificatisi, sebbene siano consigliate dalla prudenza – sarebbe d’uopo aver sott’occhio la situazione esatta di tutti i Fondi e principalmente del Fondo per l’aumento al minimum. Questa situazione sarà posta dinanzi alla Consulta del 1914; sicché vegga la Consulta odierna se non convenga far invito alla Direzione di studiare, sulla base del Bilancio Tecnico al 31 dicembre 1913, i provvedimenti adeguati a far fronte alle esigenze dei Fondi sociali.

 

 

Innanzi di chiudere questa mia relazione, che spero non dovervi più ripetere di tanta lunghezza, debbo ancora notificarvi un’altra mia preoccupazione, sempre relativa al Fondo degli utili raccolti nell’anno. Già vedemmo sopra come l’utile di 20.811 lire sia solo apparente, perché necessario a pagare i maggiori interessi realmente dovuti ai due Fondi per il minimum A ed Utili A. Se dunque il conto dell’esercizio non ci da una somma di utili di circa 20.000 lire noi corriamo il pericolo di aumentare il disavanzo odierno.

 

 

Ma da che risultano quei cosidetti utili? Da una differenza tra il passivo, che sono le spese di amministrazione, le imposte, i sussidi e premi ai Soci e l’attivo, il quale è composto di prelievi sulle quote pagate dai Soci non pensionati, del contributo governativo, delle somme spettanti ai Soci decaduti o dimessi e degli interessi percepiti oltre quelli assegnati ai singoli Fondi.

 

 

Facendo astrazione dal contributo governativo, che non è in poter nostro di aumentare e degli interessi dei capitali sociali, che si cercherà di tenere alti più che si possa compatibilmente con la sicurezza, io vedo due elementi che determineranno in futuro l’andamento di questo conto: le spese d’amministrazione e gli incassi per prelievi sulle quote dei Soci.

 

 

Purtroppo le spese di amministrazione hanno una tendenza a crescere. Per ragioni obbiettive la Società nostra, composta, come è, di insegnanti che hanno ottenuto notevoli recenti miglioramenti di stipendio, non può volere da un lato scemare le antiche remunerazioni ai suoi impiegati, come neppure può rifiutarsi ad iscrivere in bilancio quegli aumenti periodici che ad essi furono promessi. D’altro canto, quanto più una Società di M. S. invecchia, tanto più cresce il numero delle operazioni e scritturazioni di segreteria o di cassa. In un primo periodo di vita della società le operazioni sono in minor numero, perchési incassa e non si eroga; a mano a mano che cresce il numero dei Soci pensionati, cresce il numero delle scritturazioni, dei pagamenti, degli invii di vaglia bancari e postali. Tutto ciò – insieme con la crescente complicazione della tenuta dei registri, bilanci tecnici, liquidazioni di pensioni – implica un numero fatalmente crescente di manipolazioni scritturali, le quali sono costose. D’altro canto, mentre aumentano le spese, diminuiscono, in ogni Società del tipo della nostra, proporzionatamente gli introiti. Poiché, mentre prima i Soci erano tutti contribuenti e tutti rilasciavano sulle 15 o 20 lire pagate L. 3 o 4 od 1 per le spese di amministrazione, a poco a poco scema in proporzione il numero dei Soci contribuenti e cresce il numero dei Soci pensionati o passivi, che nulla pagano. Se si suppone, per ipotesi estrema, che nessun Socio nuovo si aggiunga e tutti diventino pensionati, come potrebbe la Società far fronte alle spese di gestione?

 

 

Di qui due riflessioni che io sottopongo al vostro consiglio:

 

 

  • in primo luogo la necessità di fare ognuno nel campo delle proprie conoscenze, la propaganda più attiva per il reclutamento di Soci nuovi, i quali furono 108 nel 1912 e sono stati 81 nel 1913 sino a tutt’oggi. Il numero dei Soci nuovi è insufficiente, poiché non bastò a controbilanciare il numero dei morti, che fu di 116 e dei decaduti o dimissionari che fu di 21. Solo l’accrescersi continuo delle nostre falangi può far guardare con occhio tranquillo allo svolgersi futuro dei conti d’esercizio; ed io ho avuto occasione di dimostrarvi sul Bollettino sociale che, pur con le nuove tabelle al 3%, i cui impegni siamo sicuri di poter mantenere, gli Insegnanti italiani hanno altrettanto e spesso maggior convenienza di accedere alla nostra Società che a qualunque altro istituto congenere;

 

 

  • in secondo luogo se l’incremento dei Soci fosse inferiore alle nostre speranze, converrà pure che i Soci pensionati consentano ad un qualche, sia pure mitissimo, contributo per far fronte alle spese vive che il pagamento delle pensioni necessita. Consentivano in passato quasi tutti i Soci pensionati ad abbandonare alla cassa sociale i rotti di lire, a sollievo del Fondo di beneficenza. La lodevole abitudine non s’è persa; ma sarebbe augurabile che i molti si tramutassero in tutti. Sarà compito del resto della Consulta avvenire provvedere, visti i risultati dell’esperienza, ad attenuare il danno, che vi ho già descritto, dal crescere della importanza relativa dei Soci passivi, per nulla contribuenti al raggiungimento dei fini sociali.

 

 

Ed ho finito il mio discorso, che per necessità di cose non fu breve. Io vi prego di compatirmi se forse troppo a lungo mi sono indugiato nell’analizzarvi i pericoli che si nascondono nelle pieghe dei nostri bilanci. Ma a ciò mi indusse la persuasione che ai mali sia possibile porre riparo quando il rimedio giunga tempestivo e che nulla giovi tanto, nella ricerca dei rimedi, come la conoscenza esatta della verità. Ed a parlarvi con rude franchezza mi spinse la convinzione che la Società nostra, la quale compì altissima opera benefica in passato, saprà in avvenire, col consiglio vostro, aggiungere nuovi allori agli antichi.

 

 

Signori Delegati,

 

 

Anche questa volta, indirizzandomi a Voi, debbo dare inizio al mio discorso col ricordo di una perdita dolorosa subita dalla Società nostra. Monsignor Brielli, prefetto della Basilica di Superga, era tra i più anziani Consoci e Consiglieri; assiduo alle sedute del Consiglio, la sua parola era ascoltata con ossequio, come quella che si inspirava ad una esperienza sicura ed a grande amore per le cose della Società. Vada a lui il nostro devoto e riconoscente saluto; come pure vada il nostro riverente saluto ai prof. cav. Colombero e Cavezzali, Delegati di Saluzzo e di Parma, che non vediamo più con dolore ai posti consueti, tenuti da loro con amore e diligenza.

 

 

Il prof. Salomone, mosso dalle condizioni cagionevoli della sua salute, presentò, mesi or sono, le dimissioni da Consigliere; e, nonostante che il Consiglio, desideroso di serbare il vantaggio del suo prezioso intervento, le respingesse, augurandogli ogni bene e concedendogli giustificata venia per le temporanee ed involontarie assenze, torna ad insistere nel desiderio di essere sollevato dal carico, a cui ritiene di non potere più adempiere. Sicché, ove la Consulta deliberi di accettare le dimissioni del benemerito Collega, due sono i posti di Consigliere a cui in via straordinaria dovrete provvedere, oltre a quelli, i cui titolari regolarmente sono venuti a scadere.

 

 

A nome del Consiglio debbo inviare un vivo ringraziamento al Prefetto della Provincia, il quale ha voluto farsi rappresentare dal cav. A. Roccavilla ed al Provveditore agli studi, il quale seguendo una antica ed a noi graditissima consuetudine, volle farsi rappresentare a questa seduta inaugurale dal chiaro prof. Bonferroni, regio Ispettore scolastico e nome caro all’intera classe magistrale. Ed a me personalmente sia consentito porgere azioni di grazie ai Colleghi del Consiglio direttivo ed in ispecie al Consigliere Delegato prof. Franchi per l’aiuto portomi nell’amministrazione delle cose sociali, alla Commissione di Sindacato per l’opera sua benemerita di sorveglianza ed agli impiegati tutti, i quali, sotto la guida del prof. cav. Mossi, soddisfecero con zelo e soddisfazione mia e del Consiglio al compimento del lavoro consueto degli uffici. Seguendo l’antica consuetudine nostra, il Consiglio, per mezzo mio, ha l’onore di invitarvi alla funzione che, in suffragio dei Soci defunti, avrà luogo domani alle 7,30 nella chiesa di San Secondo.

 

 

Dallo specchio annesso in calce al Resoconto dell’Esercizio, Voi avrete potuto rilevare che il numero dei Soci, il quale era di 4553 all’1 gennaio 1913, diminuì bensì durante l’anno decorso di 87 morti e 16 decaduti, ma si accrebbe di 124 nuovi iscritti, aumentando così nel complesso di 21 Soci e cioè al totale di 4574 all’1 gennaio 1914. L’aumento è lieve; ma è confortante, come quello che sussegue ad una serie di piccole diminuzioni, le quali potevano far supporre una minore fiducia della classe magistrale nel nostro Sodalizio. Poiché l’aggiunta continua di nuovi Soci contribuisce, oltreché alla consecuzione dei suoi fini morali e mutui, anche alla buona gestione finanziaria della Società, e poiché gli impegni che questa assume verso di loro sono calcolati su basi sicure, parmi che dalle cifre sovra esposte sia dimostrata la opportunità di riconfermare le provvidenze, deliberate dalle passate Consulte, rispetto all’ammissione di nuovi Soci, provvidenze le quali non importano del resto alcun sacrificio sostanziale all’erario nostro.

 

 

A crescere la fiducia dei vecchi Soci verso la Società, il Consiglio direttivo e la Commissione di Sindacato, che volli consultare in proposito, si dimostrarono, con pienezza di consensi, favorevoli alla modificazione degli articoli 52 e 53 del Regolamento organico, e mi incaricarono di esporvi il concetto informatore di queste modificazioni che, trattandosi di Regolamento e non di Statuto, è in poter vostro di approvare. Dicono questi due articoli che i Soci pensionati potranno costituirsi, con pagamenti anche fatti in una volta sola, aumenti immediati, subordinatamente a queste condizioni:

 

 

1)    che il versamento del capitale venga fatto entro il mese di gennaio che precede quello da cui decorrerà il relativo aumento di pensione;

 

2)    che l’aumento sia pagato a semestri maturati;

 

3)    che l’aumento sia approvato dalla Consulta.

 

 

Il combinato disposto di queste precisazioni porta alla conseguenza che il Socio pensionato debba versare il capitale nel gennaio, ad es., del 1914, per ricevere la prima semestralità di pensione nel giugno del 1915, circa un anno e mezzo dopo. L’impressione generale dei Soci pensionati si è che essi debbono perdere un’annata di frutto del loro capitale; circostanza questa che ha distolto parecchi dal costituirsi un aumento immediato. Si aggiunge che l’obbligo di fare i versamenti nel solo mese di gennaio fa sì che coloro i quali avrebbero l’intenzione di costituirsi l’aumento immediato in un altro mese dell’anno, possono essere e spesso sono sviati dal porre in atto codesta lodevole intenzione, perché, nei mesi, intervenienti, mutarono le circostanze, si offrirono altre occasioni di impiego e si ebbero, sovratutto, offerte di vitalizi da parte di altri istituti con rendimento immediato.

 

 

Da queste considerazioni deriva la proposta che oggi presentiamo alla Consulta: di rendere possibile la costituzione di rendite immediate in qualunque epoca dell’anno, con decorrenza dal primo del mese o del trimestre immediatamente successivo. Poiché i detti aumenti dovranno essere liquidati dal Consiglio direttivo esclusivamente secondo la tabella del Regolamento, approvata dalla Consulta, e poiché le liquidazioni compiute dovranno essere presentate, per la opportuna approvazione, alla Consulta successiva, così nulla sostanzialmente si muta alla procedura attuale, salvo per quanto tocca alla decorrenza. Se si riflette che i fondi per gli aumenti immediati presentano un confortevole e cospicuo avanzo, potendosi anzi dire che essi siano quelli che si trovano nella migliore condizione tra tutti i fondi sociali, io sono convinto che Voi, approvando la piccola modificazione regolamentare propostavi, farete cosa assai utile alla Società ed ai Soci nel tempo stesso.

 

 

Altre modificazioni alle norme le quali ci reggono non ho quest’anno da proporvi. Ho seguito, nell’impiego dei capitali, l’indirizzo segnato dalla passata Consulta, alienando, durante il 1914, altre 300 mila lire delle 500 mila di rendita 3,50% di cui s’era ottenuto la conversione nel 1913. Dal mio Rendiconto voi potete rilevare il modo in cui il ricavo della rendita venduta e dei rimborsi avuti fu reimpiegato in seguito a favorevole parere della Commissione di Sindacato: tre mutui a privati, su prima ipoteca, al 5% con larghezza di margine, per l’ammontare di lire 382 mila, due rate di 12.500 lire l’una del mutuo da tempo deliberato al Comune di S. Stefano Belbo al 4,75%; e per il resto Buoni del Tesoro quinquennali al prezzo di 99 ed un buono ordinario annuo al 4 per cento. Rimanevano, alla fine dell’anno, invendute 100 lire di rendita 3,50%; a cui si aggiunsero nell’aprile del 1914 altre 500 mila lire per nuova conversione al portatore chiesta, entro i limiti della metà del capitale posseduto, come da vostra deliberazione. In tutto 600 mila lire, di cui furono alienate 280 mila lire e rimangono da alienare 320 mila lire nominali. Il ricavo delle 280 mila lire alienate fu, come si leggerà nel Rendiconto dell’anno venturo, in parte impiegato nel pagamento di altra rata di 12.500 lire al Comune di Santo Stefano Belbo, in un mutuo di 120 mila lire al Comune di Mortara al 4,75% per 70 mila ed al 5% per 50 mila, per cui vi è impegno di ulteriore prestito al 5%; e nell’acquisto di 500 obbligazioni 3% della Società delle Ferrovie Meridionali e di 20 cartelle fondiarie 5% del Monte dei Paschi di Siena. Si attendeva propizia occasione per l’alienazione e la vendita delle restanti 320 mila lire nominali di rendita, oggi depositate presso il Credito Italiano; ma lo scoppio improvviso della guerra europea ha rinviato forzatamente ogni provvedimento al riguardo ad epoca che sarebbe arduo oggi prevedere quale potrà essere.

 

 

Ad un’altra nostra deliberazione posi mente e fu quella relativa al Bollettino sociale. La nuova forma data al Bollettino parmi abbia soddisfatto le esigenze dei Soci, consentendo loro di avere radunate in un fascicolo maneggevole tutte le notizie relative all’andamento della Società. Quest’anno la modificazione apportata non ha ancora prodotto vantaggio finanziario alla Società, il che si spiega, per essere stati stampati nel modo consueto i primi fascicoli dell’anno. In seguito, ho fiducia che, se non altro, il metodo oggi seguito varrà a porre argine al crescere continuo delle spese tipografiche.

 

 

E vengo al Bilancio Tecnico, che fu l’anno scorso, è quest’anno, e sarà per anni parecchi il tema più delicato delle nostre discussioni. Ricorderete che, secondo i risultati del Bilancio Tecnico compiuto sulla base statutaria delle tabelle Deparcieux e del tasso d’interesse 5% al 31 dicembre 1911, esisteva una deficienza di L. 289.611,69 per il solo Fondo minimum A. Risultanza grave, la quale ci indusse a prendere subito il provvedimento di non ripartire utili a partire dall’Esercizio 1912 e di aggiornare il Bilancio Tecnico, per tutti i Fondi, sulle basi statutarie, al 31 dicembre 1913 ed alla fine di tutti gli anni successivi. Altri provvedimenti non parve possibile di prendere perdurando le incertezze intorno alle cause della deficienza e sembrando probabile, per vari motivi che furono allora esposti, che essa dovesse ascriversi non a cagioni insite nelle basi tecniche statutarie, ma a cagioni accidentali e non riproducibili in avvenire.

 

 

Se la deficienza di L. 289.611,69 non fosse rimasta stazionaria nei due anni decorsi tra la fine del 1911 e la fine del 1913, a quale cifra approssimativamente avrebbe dovuto ridursi? Ricordando che il Fondo per il minimum A da un lato si arricchì di 65 mila lire trasportate a suo beneficio dal Fondo di Riserva e dall’altro si impoverì per la mancata attribuzione di due annate di interessi al 5% sulle residue lire 225 mila mancanti e cioè di circa 22-23 mila lire in complesso, si può dire che la deficienza avrebbe dovuto al 31 dicembre 1913 ridursi a:

 

 

290 mila – 65 mila + 23 mila

 

 

ossia a 248 mila lire circa. Tutto ciò nell’ipotesi che la deficienza non fosse cresciuta nei due anni intercorsi tra i due Bilanci Tecnici. Se essa fosse rimasta entro questi limiti, Voi non avreste avuto ragione di impensierirvi oltremisura. Poiché una deficienza costante è un po’ come una malattia localizzata, in cui focolai non si estendono. È sempre un guaio, ma colla pazienza e con buone cure si può sperare di venirne a capo. Quali sieno stati invece i risultati ottenuti dal nuovo Bilancio alla data del 31 dicembre 1913, ve lo dirò colle cifre comunicatemi dalla signorina dott. Franchi, la quale attese alla sua compilazione con l’usata diligenza ed alla quale è dover mio tributare un ringraziamento a nome della Società.

 

 

Premetto che, in conformità alle vostre deliberazioni, il Bilancio Tecnico che alla data del 31 dicembre 1911 per mancanza di tempo si era dovuto limitare al Fondo minimum A, fu esteso alla data del 31 dicembre 1913 a tutti i Fondi sociali, così da poter avere un quadro compiuto della situazione finanziaria nostra.

 

 

Fatta questa premessa, ecco i risultati del Bilancio:

 

 

 

Riserva matematica necessaria

capitali esistenti al valore di costo

Differenze

+

Fondo minimum

A 5%

2.698.205,00

2.381.137,53

317.067,47

B 3%

38.573,52

44.189,36

5.615,84

Fondo Utili

A 5%

304.949,78

288.716,84

17.601,25

B 3%

1.368,31

Fondo Socie assicurate

A 5%

40.958,98

38.662,99

2.295,99

B 3%

243,46

293,44

49,98

Fondo Aumenti immediati

A 5%

32,38

32,38

B 4,50%

8.172,92

10.583,56

2.410,64

C 4%

3.714,55

6.913,47

3.198,92

D 3%

52.723,49

78.260,75

25.537,26

Totale

3.148.942,39

2.848.757,94

36.780,26

336.964,71

Deficienza complessiva

300.184,45

3.148.942,39

 

 

Il calcolo ora fatto si riferisce ai capitali assunti al prezzo di acquisto. Credo superfluo intrattenervi nel momento presente delle risultanze diverse che si potrebbero ottenere facendo il calcolo sulla base dei prezzi correnti al 31 dicembre 1913. Quei prezzi hanno oramai, in tanto tumulto di guerra, un valore puramente storico; mentre i valori calcolati al prezzo di acquisto hanno forse una maggiore somiglianza ai prezzi attuali, che del resto noi non conosciamo, mentre è impossibile prevedere i prezzi futuri. Parecchie osservazioni si possono fare intorno ai risultati sovra riassunti: alcune liete, ma le più tali da indurci a grave meditazione. Discorrendo delle prime, notiamo che in avanzo si trovano soltanto i Fondi ai quali promettemmo di pagare meno del 5% di interesse; e così il Fondo minimum B per i Soci posteriori all’1 gennaio 1908, il Fondo B delle Socie assicurate ed i tre Fondi B, C e D per gli aumenti immediati al 4,50, 4 e 3 per cento. Il che vi spiega la ragione per la quale sovra ho insistito nella proposta di agevolare ai nostri Soci la costituzione di aumenti immediati. Facendo opera utile a se stessi, poiché ottengono in tal modo vitalizi che nessun altro Istituto concede, essi contribuiscono a crescere la forza della Società nostra, la quale può così ripartire i suoi rischi fra una massa maggiore di capitali. Non direi che gli avanzi constatati per i Fondi minimum B ci debbano indurre a non darci alcun pensiero del loro rafforzamento. Poiché è vero che noi promettemmo ai nuovi Soci solo il 3%; ma è altresì vero che noi assegniamo ai relativi Fondi anche solo il 3%; laonde non si vede in che maniera essi possano ragionevolmente fornirci un vero avanzo. Converrà, in avvenire, se e quando si potrà, innanzi di ripigliare la consuetudine della ripartizione degli utili, costituire un Fondo di Riserva atto a sostenere l’urto della minore mortalità effettiva in confronto a quella prevista dalle tabelle Deparcieux. Per ora quest’urto non si sente ancora; ma col tempo non potrà non diventare sensibile. Passando alle note dolorose e trascurando per la loro poca entità, le deficienze del Fondo A degli aumenti immediati e del Fondo pure A delle Socie assicurate, due deficienze attraggono la nostra attenzione: l’una di lire 17.605,25 del Fondo Utili e l’altra di lire 317.067,47 nel Fondo minimum A.

 

 

La prima è una novità. Od, almeno, noi non sappiamo se esistesse anche al 31 dicembre 1911, non avendo noi formato a quell’epoca un Bilancio sulle stesse basi. Il Bilancio sulla base dell’interesse del 4% e mortalità italiana ci dava un avanzo di lire 13.515,10. La situazione, sebbene per la eterogeneità dei dati non si possa dire di quanto, è quindi certamente peggiorata. La verità che ebbi già ad enunciarvi lo scorso anno: essersi in passato distribuiti troppi utili immaginari, risalta più evidente ancora dalle cifre odierne. La seconda e più grossa deficienza, di lire 317.067,16, si riferisce al Fondo minimum A. Essa era già nota; ma ciò che prima non sapevamo per la mancanza di dati omogenei di confronto, viene ora messo in luce. Dissi sopra che, se la deficienza constatata alla fine del 1911 fosse rimasta stazionaria, avrebbe dovuto la sua cifra al 31 dicembre 1913 battere sulle 248 mila lire. Poiché invece la deficienza è di 317 mila, il sovrappiù di lire 69 mila è il peggioramento verificatosi in questi due ultimi anni. È inutile dissimularci la gravità del fatto; mentre d’altro canto debbo confessarvi che qualche dubbio esiste ancora intorno alle cause di esso. Trattasi di un fatto normale, che sia destinato a verificarsi ogni anno ovvero di un fatto accidentale, dovuto agli scarti che in un senso od in un altro possono verificarsi in confronto alla tavola prevista di mortalità? L’aumento della deficienza raffigura un fatto reale, ossia la maggiore longevità dei Soci in confronto alla prevista, ovvero è la conseguenza del progredire nell’età di tutti i Soci e del loro ingresso in schiere crescenti in una zona di anni per cui le tabelle Deparcieux prevedono una longevità maggiore di quella che effettivamente si verifica tra i nostri Soci? Per quanto augurabile, questa seconda ipotesi, affacciata dall’egregio comm. Ratti nelle adunanze della Commissione di Sindacato, forse non è atta ad ispirarci troppa fiducia. Ma poiché escluderla a priori non si può, occorre perseverare nell’iniziato aggiornamento annuo del Bilancio Tecnico, così da possedere lumi sempre migliori al riguardo. A questi due problemi, uno piccolo relativo al Fondo Utili, l’altro grosso riguardante il Fondo minimum A, un altro si aggiunge che la Società nostra deve improrogabilmente risolvere: quello delle spese di gestione. Già l’anno scorso ebbi l’occasione di intrattenervi sulla instabilità delle entrate, le quali confluiscono nel Fondo cosidetto Utili e che meglio si chiamerebbe di gestione annua, instabilità la quale contrasta col crescere lento od almeno colla irreducibilità delle spese di gestione. Ulteriori osservazioni che ho avuto campo di compiere sulla struttura del Fondo Utili e che mi riservo di esporre lungo il corso dei vostri dibattiti, mi hanno

persuaso che questo argomento deve attrarre la vostra più urgente

attenzione.

 

 

Con un augurio dunque io pongo termine al mio discorso: con l’augurio, anzi con la fiducia sicura che, grazie all’opera vostra oculata, la situazione finanziaria della Società nostra sia definitivamente sistemata e la parola «deficienza del Bilancio Tecnico» sia definitivamente cancellata dai nostri Rendiconti.

 

 

Luigi Einaudi, Direttore

 

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