Opera Omnia Luigi Einaudi

Commento al programma

Tipologia: Paragrafo/Articolo – Data pubblicazione: 06/05/1944

Commento al programma

«L’Italia e il secondo Risorgimento», 6 maggio 1944

Paolo Soddu (a cura di), Riflessioni di un liberale sulla democrazia 1943-1947, Firenze, Olschki, 2001, pp. 48-51

 

 

 

 

Un programma è una esposizione di principii e di applicazioni. Esso non può tuttavia vivere senza dichiarazioni, dimostrazioni, prove, senza un commentario continuo fatto di contraddizioni e di repliche, senza un ritorno continuo su se stesso al contatto con altri programmi e con altre correnti ideali.

 

 

Vi è un punto, nei lineamenti pubblicati su questa pagina nella scorsa settimana, il quale richiede una chiarificazione. Sta bene la lotta contro i monopoli, contro i privilegi, contro i dazi, contro i vincoli, contro l’autarchia. Ma potranno gli italiani condurre questa lotta da soli? Chi scrive è convinto di sì; e che spalancare le porte alle voci estere, illimitatamente, senza alcun cosiddetto compenso da parte altrui, senza che alcuno stato straniero riduca i dazi, i vincoli, le proibizioni contro le nostre esportazioni, sarebbe sempre un ottimo affare per noi. Ma si deve anche confessare che un’opinione siffatta rassomiglia troppo al detto di Cristo «ed a chi vi ha offeso porgete l’altra guancia» per poter essere accolto senza difficoltà.

 

 

È vero che il paragone non sta affatto; è vero che se gli stranieri sono tanto ostinati da volere continuare a recar danni a noi coi loro dazi contro le nostre esportazioni, non è una buona logica risposta raddoppiare il danno coll’aggravare noi stessi coi nostri dazi d’entrata il prezzo delle merci che intendiamo acquistare. Tutto ciò è vero; ma è vero anche che sarebbe ancor meglio godere di tutti e due i vantaggi, del comperare a buon mercato, col non mettere noi stessi dazi contro le merci straniere, e del vendere le nostre merci nazionali agli stranieri disposti a pagarcele meglio, se questi non istituissero dazi contro di noi.

 

 

La Carta Atlantica, le ripetute dichiarazioni degli uomini di stato alleati hanno promesso al mondo maggior facilità di scambi internazionali. Ma la medesima promessa era nel programma e nei propositi della Società delle nazioni; ed accadde il contrario. Il mondo non vide mai barriere doganali così alte, mai tanti vincoli, mai tante restrizioni monetarie come dopo la fondazione della Società delle nazioni.

 

 

Egli è che questa Società era nata morta, sotto questo come sotto altri aspetti della sua azione. Chi scrive qui oggi indicò il vizio fin dall’origine, quando della costituzione della società ancora si discuteva; e l’esperienza ha dimostrato come le critiche e le precisioni negative fossero bene ragionate. Esse erano del resto fondate sulla esperienza millenaria, tante volte ripetuta, di tutte le consimili unioni di stati tentate nella storia.

 

 

Che cosa era la Società delle Nazioni dal punto di vista economico? Nient’altro che una associazione di stati «sovrani», i quali si obbligarono semplicemente a riunirsi, periodicamente e quante altre volte fosse giudicato conveniente dai dirigenti, per discutere degli affari di comune interesse.

 

 

Radunarsi, in materia economica – e si potrà vedere altra volta come la stessa cosa accada negli altri campi – vuol dire nove volte su dieci non mettersi d’accordo, ma litigare. Ponete attorno ad un tavolo verde venti, trenta o più rappresentanti di stati «sovrani», per decidere se e quali dazi occorre ridurre per facilitare gli scambi internazionali. Ognuno verrà alla adunanza munito di istruzioni precise da parte del proprio governo: non concedere nessuna riduzione se non si ottiene in compenso un’equivalente riduzione di dazi da parte degli altri stati. Il pensiero e il linguaggio adoperato nelle istruzioni e nelle discussioni è stravagante e fuori realtà.

 

 

Cosa vuol dire «concedere», quando quel che si dà, una riduzione di dazi d’entrata sulle merci straniere, è rivolta massimamente a «nostro» vantaggio. È un concedere il dare il permesso a me medesimo di non autoschiaffeggiarmi?

 

 

Eppure, il linguaggio diplomatico nelle trattative commerciali è tutto composto di simili immagini fuor di posto e prive di senso comune.

 

 

È già difficile, su questa base, mettersi d’accordo tra due stati sovrani, come si faceva al buon tempo antico dei trattati di commercio muniti di clausola della nazione più favorita; ed è praticamente impossibile tra i tanti stati sovrani di una società delle nazioni. Il risultato sono pie vuote enunciazioni di principii e nel tempo stesso inasprimenti di dazi e guerre doganali.

 

 

L’esperienza lacrimevole posteriore alla società delle nazioni è notissima; ma tra il 1776 ed il 1787 le 13 colonie nord americane, appena appena liberate dal dominio britannico, non fecero altro se non abbaruffarsi tra di loro in materia doganale; e sarebbero ben presto venute alle mani e cioè alla guerra – e gli eserciti già si apprestavano all’uopo – se Washington ed i suoi amici non fossero riusciti, con uno sforzo supremo, a persuadere i cittadini delle ex colonie ad accogliere l’unica soluzione possibile, quella da cui nacquero veramente gli Stati Uniti d’oggi; ossia la lega doganale.

 

 

Nessuna altra soluzione è possibile dare al problema dei rapporti economici fra gli stati sovrani se non «la rinuncia completa assoluta alla propria sovranità in materia doganale». Per 60 anni, dal principio del 1800 all’unificazione, si discusse in Italia della necessità di abolire o di abbassare le infauste barriere le quali rendevano i piemontesi nemici e sospettosi dei lombardi, i lombardi dei toscani e tutti dei meridionali: ma per risolvere il problema si dovette venire alla forma più radicale di lega nazionale che è la unificazione.

 

 

Anche in Germania si continuò a discutere; e fu vanto di List di avere propagandato i popoli e costretto i governi ad attuare l’idea della lega doganale, che fu l’inizio della unificazione tedesca. Ma lega doganale non vuol dire necessariamente unificazione assoluta centralizzata. Noi abbiamo sotto gli occhi l’esempio meraviglioso della Svizzera in cui tre, anzi quattro popoli, compresi i ladini dei Grigioni e 22 cantoni vivono non divisi e non fatti nemici da 22 barriere doganali interne, anzi affratellati dalla libertà interna dei traffici.

 

 

Non esiste nessuna ragione plausibile perché ad una vera e propria unione doganale non si debba e non si possa venire anche tra gli stati europei. Non esiste neppure alcuna ragione perché ad una vera federazione non si debba venire anche in altri campi, come ad esempio quello militare; e di ciò si potrà discutere altra volta alla luce della dottrina liberale. Ma intanto si cominci ad affermare la tesi che il problema dei rapporti commerciali tra gli stati europei non è assolutamente solubile senza una vera e propria lega doganale, in virtù della quale gli stati, federati all’uopo, rinuncino interamente, fin dall’inizio e per sempre alla propria sovranità doganale e trasferiscano alla lega il potere di stabilire dazi e comunque di regolare il traffico delle merci fra stato e stato.

 

 

Abolizione delle dogane interstatali e di qualunque altro impedimento al trasporto ed al pagamento delle merci tra stato e stato, questo deve essere il programma minimo dell’Europa alla fine della guerra. Una delle maggiori colpe del Trattato di Versailles, fu di avere aumentato invece di diminuire il numero degli stati sovrani e di avere sostituito alla monarchia austro ungarica, la quale per lo meno era una lega doganale entro se stessa, un mosaico variopinto di piccoli stati, gli uni contro gli altri economicamente armati e nemici, inasprendo sino al parossismo le questioni di nazionalità, già per se stesse tanto aggrovigliate e difficili a risolversi. Ma le questioni medesime dei confini nazionali perderebbero gran parte se non fossero complicate dagli interessi industriali e commerciali.

 

 

Come accade nella Svizzera, verrebbe meno quasi tutta la ragione dell’accanirsi e dell’odiarsi tra i popoli nelle regioni e confini linguisticamente e nazionalisticamente frastagliati e bizzarri, se la frontiera non avesse più importanza economica; se ci si potesse trasferire liberamente, beni e persone, da uno stato all’altro. Gli stati si potrebbero persino moltiplicare, senza danno per la pace.

 

 

Per ora tuttavia basti avere affermato il principio: non essere possibile pace economica e quindi pace vera, non essere possibile scrollare il dominio dei monopolisti, dei privilegiati, dei plutocrati, i quali crescono e vigoreggiano all’ombra dei dazi e dei vincoli se non si aboliscono dazi e vincoli senza speranza di ritorno: e ciò non si può ottenere senza la lega doganale. O ci riuscirà ora nell’intento: o fra un quarto di secolo un’altra guerra distruggerà definitivamente la civiltà europea.

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