Opera Omnia Luigi Einaudi

Il processo dell’imperialismo greco

Tipologia: Paragrafo/Articolo – Data pubblicazione: 01/12/1921

Il processo dell’imperialismo greco

«Minerva», 1 dicembre 1921, pp. 705-707

 

 

 

Ora che i greci, a quanto dicono i giornali, battono in ritirata dinnanzi alle forze dei turchi kemalisti e non vi è più pericolo di essere giudicati per convertiti della vittoria e per adoratori della forza contro il diritto, pare sia giunto il momento di dire le ragioni per le quali la causa greca non era e non è così imperialistica come i più asseverano in Italia, né oltraggiosa verso le ragioni del diritto di nazionalità. Non certamente mi sento di poter proferire una sentenza tra i due popoli contendenti; ma la giustizia di tenere aperto il processo mi sembra chiara ed imperativa.

 

 

L’opinione comune formatasi in Italia giudica imperialisti i greci, perché desiderosi di conquistare immensi territori dell’Asia minore col pretesto che qua e là in mezzo al mare turco sormontano piccole colonie greche, concentrate sovratutto nelle città della costa. I turchi, che in Europa ci apparvero gli oppressori delle nazionalità serbe, bulgare, greche, e di cui salutavamo con compiacimento la quasi compiuta cacciata dal nostro continente, nell’Asia minore prendono la figura di indigeni, e lo smembramento dell’Asia minore ci sembra il prodotto dello spirito di conquista e di oppressione.

 

 

In realtà, bisogna ricordare che il dominio dei turchi in Costantinopoli non risale ancora a 500 anni (1453) e che di poco anteriore è l’assoggettamento dell’Asia minore alla medesima razza dominante. Dicesi «assoggettamento» e non «popolamento», perché gli assertori del diritto dei turchi al dominio dell’Asia minore in base al principio di nazionalità, si troverebbero dinnanzi ad una ben ardua impresa se dovessero dimostrare il fondo turco della popolazione di quelle terre. Prima della conquista normanna, con lo stesso fondamento si sarebbe potuta dir araba la Sicilia; ed in certi secoli del medio evo, un viaggiatore che avesse avuto dimestichezza soltanto con gli uomini liberi, con i nobili e con l’alto clero, avrebbe potuto credere germaniche certe zone della Italia settentrionale, alcuni Ducati longobardi del sud, e tutta la Francia nord- occidentale.

 

 

Verso il 1200 l’Inghilterra appariva ai trovatori ed ai mercanti un paese di lingua francese, e pochi prestavano attenzione al dialetto informe inglese parlato dalla classe servile. Voleva ciò forse dire che l’Inghilterra fosse popolata dai discendenti dei 60 mila normanni compagni di Guglielmo il Conquistatore? Prima di affermare che l’Asia minore è turca bisognerebbe sapere dove siano andati a finire i figli dei popoli che vi abitarono innanzi alla conquista turca. Potrebbe darsi che nel centro dell’Asia minore fossero, più dei turchi, numerosi persino i discendenti delle popolazioni celtiche, le quali avevano coperto così gran parte dell’Europa e che formano ancora il fondo delle genti dell’Alta Italia.

 

 

I turchi, avanzando, non distrussero tutti questi popoli, come non li distrussero i germani all’epoca delle invasioni barbariche. I germani furono una sottile crosta che giunse sino al mezzogiorno d’Italia ed ai Pirenei, come, ascendendo dall’Africa, gli arabi erano giunti fino alla Sicilia ed alla Spagna; una crosta tanto più sottile quanto più ci allontanavamo dalle Alpi e dal Reno. Un po’ per volta, attraverso i secoli, i popoli di civiltà latina frantumarono la crosta sottile, la assimilarono, respingendo verso il nord ed il sud gli elementi non assimilabili; ed oggi, con le colonie africane e sotto la tripartita costituzione dell’Italia, della Francia e della Spagna, l’antico impero romano d’occidente, dopo millecinquecento anni dalla sua scomparsa, si è riaffermato entro gli antichi confini contro le genti germaniche e arabe che per un momento parve l’avessero sommerso definitivamente.

 

 

I turchi diedero, colla religione, una tinta più profonda alla conquista; ma ciò non significa che essi si siano sostituiti alle popolazioni antiche. Fu sempre usanza degli eserciti maomettani di proporre alle città assediate, ai territori invasi la scelta fra: la conversione al maomettanismo, nel qual caso i popoli conquistati venivano accolti come fratelli, e partecipavano di tutti i diritti e le franchigie, fra cui essenziale l’immunità dai tributi personali, della razza conquistatrice; la sudditanza, grazie a cui i vinti conservavano l’antica religione e le istituzioni nazionali, ma venivano assoggettati a tributo; la resistenza, nel qual caso venivano passati a fil di spada. Solo i martiri sceglievano la terza offerta ma per lo più i vinti optavano or per la prima ed or per la seconda alternativa, a seconda del minore o maggiore grado proprio di civiltà.

 

 

Anche ieri, sotto il dominio turco, l’esarcato bulgaro ed il patriarcato greco, baluardi delle vinte nazionalità, rendevano testimonianza della relativa tolleranza dei turchi in materia di religione e di nazionalità. Col tempo, tuttavia, nelle classi meno colte e più lontane dai centri cittadini, lo spirito di imitazione, la stanchezza di pagar tributi, il desiderio di partecipare ai privilegi della classe dominante spinsero molti a convertirsi. Oggi il fondo della popolazione dell’Asia minore appare turco, perché è maomettano e perché la religione maomettana è fornita di qualità singolari di proselitismo e di assimilazione. Ma potrebbe anche darsi che la gente turca sia una crosta sottile, paragonabile a quella formata in Inghilterra dalla invasione normanna ed in Sicilia da quella araba.

 

 

La riscossa greca contro l’invasione turca è venuta rapida e fortunata. Non dimentichiamo che mentre l’impero romano d’occidente rovinò nel quinto secolo dopo Cristo e le tre nazionalità sorte sulle sue rovine sono giunte appena ora a ristabilire all’incirca gli antichi confini, l’impero romano d’oriente durò dieci secoli di più, ed appena 380 anni dopo la sua scomparsa la Grecia risorgeva a vita indipendente. I dieci secoli di sopravvivenza dell’impero romano d’oriente sono calunniati nell’opinione comune dalle poche frasi intorno a Bisanzio ed alle dispute teologiche, con le quali si inizia e si conclude la cultura storica bizantina nei testi di storia medievale correnti per le scuole. E gli italiani hanno particolarmente in sospetto i greci, perché dai libri di testo si ha l’impressione che con Narsete i greci avessero invasa l’Italia da stranieri per distruggere il primo tentativo di costituzione di uno Stato italico sotto Teodorico ed i suoi successori, il quale avrebbe altrimenti potuto essere fortunato, così come lo fu quello dei franchi nelle Gallie.

 

 

Ma i greci i quali vennero in Italia alla riscossa contro gli ostrogoti non erano stranieri. Era l’esercito romano, dell’unico impero romano il quale veniva a ristabilire lo Stato in occidente. I due imperi, d’oriente e d’occidente, non erano due Stati diversi. L’impero era uno solo, sebbene amministrativamente diviso in due parti, sotto due imperatori; né i contemporanei romani sentirono la riscossa greca come un’invasione di stranieri.

 

 

L’impero reagiva contro i suoi invasori. Era la parte sana e libera dello Stato, che aiutava l’altra nella difesa contro i barbari. Purtroppo, l’impero romano d’oriente non poté proseguire nella lotta contro i barbari della parte d’occidente, essendo stato occupato per dieci secoli a difendersi contro i barbari slavi e gli invasori d’oriente. E furono dieci secoli di gloria e di lotte asprissime. Talvolta, accanto alle luci si vede qualche ombra. Vi sono uomini inetti e crudeli, in mezzo a dinastie forti e magnifiche; talvolta i confini dell’impero debbono restringersi singolarmente; con quante stupende riprese, dovute ad una organizzazione per quei tempi meravigliosa!

 

 

Sovra ogni altra cosa non dimentichiamo che l’ultimo imperatore morto sulla breccia nel 1453 difendendo Costantinopoli contro i turchi si chiamava ed era non imperatore greco, ma imperatore romano e portò con sé nella tomba, a maggior diritto degli imperatori romani d’occidente di razza germanica, il sogno dantesco dell’unità del mondo sotto un solo governo. E per tutti quei dieci secoli, Costantinopoli fu la capitale di uno Stato organizzato alla foggia dell’impero romano e degli Stati moderni, fu il solo Stato civile che sopravvivesse in un mare di feudalismo e di barbarie. «Barbari» ci chiamavano i greci nel medio evo, con lo stesso diritto con cui noi oggi reputiamo che i turchi, gli arabi, gli indiani si trovino in uno stadio inferiore di organizzazione civile e sociale. I viaggiatori europei stupivano nel visitare Costantinopoli; e ciò che li colpiva non erano le dispute sottili teologiche; erano la civiltà, la letteratura, la cultura, le forme regolari di governo, l’organizzazione perfetta dell’esercito e della burocrazia.

 

 

Questo unico Stato moderno del medio evo salvò per lunghi secoli l’Europa dall’invasione araba e poi da quella turca; e se fu alla fine sommerso, ciò non fu per manco di sua vitalità di fronte al turco. Si fu perché i barbari d’Europa, veleggiando verso la Terrasanta per la difesa del Santo Sepolcro, erano stati attirati dalla cupidigia di impadronirsi dei tesori accumulati nella capitale d’oriente in tanti secoli di civiltà raffinata. L’amico e collega prof. Andreades dell’Università di Atene ha dimostrato in un dotto studio pubblicato su una rivista italiana (il Metron diretto dal prof. Corrado Gini dell’Università di Padova) che la rovina di Costantinopoli data dall’invasione latina. Da quella data infausta comincia la vera decadenza dell’impero romano d’oriente; né dopo d’allora i greci, anche restituiti da Trebisonda a Costantinopoli, poterono riaversi. Ad impedirlo contribuirono, fa d’uopo riconoscerlo, con le loro rivalità, genovesi e veneziani, bramosi più di crescere essi in potenza che di lasciar prosperare il paese, da cui pur traevano ragione di traffici e di ricchezze. L’antemurale millenario contro la barbarie turca cadde sotto i colpi di coloro che da Costantinopoli erano stati difesi e da Costantinopoli ricevettero, ultimo dono, il retaggio dei monumenti letterari della civiltà antica.

 

 

Oggi che i greci nuovamente muovono al ricupero dei paesi su cui non è molto – che cosa sono cinque o sei secoli nella storia della umanità? – si espandeva splendida la loro civiltà; oggi che essi tentano di respingere verso le contrade d’origine l’ultima ondata barbara che si era abbattuta sull’impero romano, non è, mi sembra, una pretesa troppo forte da parte loro chiedere che il problema dell’Asia minore sia studiato nella sua realtà storica, nei suoi precedenti spirituali, nel suo grandioso significato. Se il processo si chiuderà con la sentenza che l’Asia minore è turca, sia. È necessario però che la nazionalità turca dell’Asia minore sia considerata non come un assioma, ma come una tesi da dimostrare.

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