Opera Omnia Luigi Einaudi

Il programma economico del partito liberale

Tipologia: Paragrafo/Articolo – Data pubblicazione: 12/10/1899

«La Stampa», 12 ottobre 1899

Cronache economiche e politiche di un trentennio (1893-1925), Vol. I, Einaudi, Torino, 1959, pp. 159-163

Il programma di un partito francamente liberale dovrebbe consistere nell’elevare le sorti delle varie classi sociali, provvedendo efficacemente, più che non i restringimenti della libertà od i moti rivoluzionari, al benessere di quegli umili ai quali è rivolta tanta parte delle cure e dei pensieri dei governi moderni.

Il partito liberale per attuare un programma economico favorevole alla prosperità nazionale, e sovratutto al bene delle classi lavoratrici, non ha bisogno se non di volere, e volere fortemente, l’attuazione, graduale bensì, ma risoluta di quei principii di libertà e di tutela, che ne informarono l’esistenza fin da quando il partito si formò nel nostro paese.

Principii vecchi, ma dalla cui violazione da parte di molti partiti ed anche, è doveroso riconoscerlo, degli stessi liberali, derivarono molti fra i malanni che ora affliggono l’Italia contemporanea.

Per accrescere il benessere delle classi lavoratrici non vi è altro mezzo se non accrescere la quantità di ricchezza prodotta nel nostro paese. Se la produzione annuale dell’Italia aumenterà, aumenteranno non solo i profitti e gli interessi dei direttori delle industrie e dei commerci, ma si accresceranno altresì, per la maggior richiesta, i salari dei lavoratori.

Ora la principale condizione affinché la ricchezza possa aumentare è la mancanza di ostacoli e di impedimenti posti dallo stato a questo sviluppo ed a questo incremento. In Italia lo stato è uno dei più efficaci strumenti per comprimere lo slancio dell’iniziativa individuale sotto il peso di imposte irrazionali e vessatorie e per divergere gli scarsi capitali dalle industrie che sarebbero naturalmente feconde, per avviarli alle industrie che diventano produttive grazie soltanto ai premi, ai dazi protettori, alle estorsioni esercitate in guise svariate a danno dei contribuenti. Il partito liberale dovrebbe prendere una posizione nettamente contraria a tutte queste ingerenze dello stato nel campo riservato alla iniziativa individuale.

Vi è una questione la quale può esercitare una decisiva influenza sull’avvenire del nostro paese: la rinnovazione dei trattati di commercio.

Noi abbiamo ripetutamente discusso la quistione su queste stesse colonne ed abbiamo concluso che l’interesse del nostro paese richiede imperiosamente il passaggio dalla politica protezionistica durata in Italia dal 1878, ad una politica doganale liberistica, la quale dia modo alle industrie agrarie di svilupparsi liberamente, e tolga quella protezione doganale che gli industriali stessi confessano oramai inutile e il cui unico effetto si è di taglieggiare le masse dei contribuenti, facendo pagare più cari di quanto altrimenti non sarebbero il pane, i vestiti, i prodotti delle grandi industrie metallurgiche e tessili, ecc.

Lo slancio che l’adozione della politica doganale liberistica imprimerebbe a pro delle industrie naturalmente produttive, crescerebbe la quantità di ricchezza annualmente prodotta; aumenterebbero i salari e questi avrebbero una maggiore potenza d’acquisto.

Il partito liberale dovrebbe adottare come piattaforma la riforma doganale in senso liberista. In ciò esso non farebbe se non rivendicare i principii che sono sempre stati suoi peculiari e che ora altri partiti cercano di far passare come proprii.

In Italia una politica doganale siffatta vanta l’adesione del nostro più grande uomo di stato, Camillo Cavour, il quale osò, e con felice risultato, inaugurare in condizioni ben più difficili delle presenti un programma di libertà. Poiché l’azione in questo senso deve essere pronta e rapida, il partito liberale deve essere favorevole ad una diminuzione dei premi alla marina mercantile e della protezione doganale all’industria degli zuccheri.

In questi due problemi si annida uno dei più grandi pericoli, non solo alla solidità dell’erario pubblico, ma anche alla prosperità nazionale.

I premi non sono mai bastati a creare una grande marina mercantile, mentre sono un aggravio minaccioso e crescente per le nostre finanze ed un’ingiusta sottrazione di milioni alle borse dei contribuenti, i quali hanno diritto di adoperare i proprii quattrini per accrescere il proprio benessere e non il benessere di pochi costruttori.

Lo stesso si dica della protezione all’industria degli zuccheri. La costruzione affrettata di numerose fabbriche di zucchero negli ultimi anni è gravida di pericoli per il paese, attirando capitali verso una industria la cui unica ragione di esistenza è il divario fra la tassa sugli zuccheri prodotti all’interno ed il dazio sugli zuccheri esteri.

Il partito liberale combattendo i sistemi coi quali si cerca di dar vita ad industrie artificiose, tutelerà da una parte le ragioni del pubblico erario e dall’altra farà sì che i capitali si rivolgano a quei campi dove la loro applicazione è più feconda di utili.

In tal modo il partito liberale avrà spianata la via all’attuazione della seconda parte del suo programma: la riforma tributaria.

Questa è anch’essa un’opera di libertà ed è resa agevole da una politica economica che accresca la ricchezza sociale, aumentando le fonti di reddito da cui il finanziere può trarre le entrate occorrenti per lo stato.

La riforma tributaria voluta dal partito liberale si ispira a due concetti sommi: diminuire il fabbisogno, il che si ottiene falcidiando, come sopra si disse, nelle spese di premi e di aiuti alle industrie private, e dando incremento alla prosperità nazionale, il che renderà possibile una non lontana conversione del debito pubblico.

Il partito liberale potrà, pur diminuendo le spese, dotare più convenientemente alcuni servizi pubblici, sovratutto civili, i quali ora non possono compiere il loro ufficio, perché lo stato si interessa di ciò di cui non dovrebbe occuparsi, e fa male quelle cose che sono la sua funzione specifica.

Ridotte le spese, il partito liberale, giovandosi del momento presente in cui una nuova onda di prosperità sembra percorrere l’Italia e giovandosi delle sue stesse riforme rivolte all’aumento della ricchezza sociale, potrà senza timore intraprendere un’opera simile a quella che è stata compiuta dal partito liberale inglese nella prima metà del presente secolo: la riduzione delle aliquote tributarie e la trasformazione graduale delle imposte.

Il partito liberale inglese ha compiuto tutte le sue grandi riforme in questo modo: 1) diminuire, in un momento naturalmente favorevole per l’economia nazionale, i dazi e le aliquote delle imposte dirette cominciando da quelli più gravosi per l’economia nazionale; 2) giovarsi dell’impulso che le sue stesse riforme davano alla prosperità economica del paese per risarcire le perdite del suo erario, con un maggior provento dei dazi e delle aliquote ridotte, e per procedere innanzi in questa via di alleggerimento delle sorti dei contribuenti.

Questa medesima politica deve proporsi il partito liberale italiano, inspirandosi al concetto fondamentale che ha costituito la ragione principale della sua formazione e della sua esistenza: ridurre l’ingerenza dello stato a quelle funzioni a cui la natura sua specifica lo chiama, e lasciando libero il campo allo sviluppo della iniziativa individuale nelle industrie e nei commerci.

Informato a questi principii di libertà, il partito liberale italiano potrà combattere e vincere. La sua vittoria sarà sovratutto la vittoria degli umili, ai quali sarà assicurata una mercede più abbondante e dotata di maggior potenza d’acquisto che non al presente.

Quando la gente minuta starà bene, cesseranno le lagnanze, ed i partiti socialisti più non potranno far credere al popolo che la salute stia nel regolamentare ogni cosa, nel fare intervenire lo stato in ogni minimo atto della vita privata a tutela dei deboli.

I deboli e gli umili saranno diventati forti e grandi e sapranno fare da sé.

Del resto il partito liberale non si rifiuta (e lo conforta anche in ciò l’esempio classico dell’Inghilterra) ad adottare quelle norme di legislazione sociale le quali siano imperiosamente richieste da motivi di igiene, di moralità e di tutela della razza contro la degenerazione fisica conseguente all’eccessivo lavoro di notte e di giorno, alle fatiche durate in locali malsani, ecc.

Il partito liberale si vanta anzi di volere con una adatta legislazione sociale prevenire il sorgere di condizioni che in qualunque modo impediscono all’individuo di svolgere liberamente tutte le sue facoltà.

Combattendo per questo programma i liberali sanno di dover lottare contro ostacoli numerosi, contro tutte le forze organizzate alla difesa del privilegio e del vincolismo; ma sono disposti a superare ogni fatica, perché sono sicuri di combattere per la causa della civiltà.

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