Opera Omnia Luigi Einaudi

La revisione dell’imponibile dei fabbricati

Tipologia: Paragrafo/Articolo – Data pubblicazione: 02/08/1923

La revisione dell’imponibile dei fabbricati

«Corriere della Sera», 2 agosto 1923

Cronache economiche e politiche di un trentennio (1893-1925), vol.VII, Einaudi, Torino, 1963, pp. 315-318

 

 

 

Due punti sono fermi nel problema della revisione dell’imposta sui fabbricati: che la revisione deve aver luogo e che, in occasione di essa, l’aliquota complessiva dell’imposta deve essere ridotta ad altezze tollerabili. Illustro oggi il primo punto: la revisione deve aver luogo. Oggi vi è una gran massa di fabbricati, il cui accertamento risale al 1890; e sono tutti i fabbricati antichi, che esistevano già all’epoca dell’ultima revisione generale avvenuta appunto in quell’anno e che non furono in seguito più toccati. Accanto a quella massa, vi sono altri gruppi di fabbricati: quelli pure antichi, i quali però subirono revisioni parziali e quelli costruiti fra il 1890 e il 1919, i quali furono accertati a varie epoche, secondo i fitti correnti in ciascuna di quelle epoche.

 

 

La differenza nell’epoca di accertamento vuol dire sperequazione: a parità di reddito 100, v’ha chi paga su 30, chi su 50, chi su 70 e taluni, quelli costrutti o revisionati in momenti di alto fitto, anche su 100. Le sperequazioni sono inasprite dalla circostanza che nel frattempo, tra il 1890 ed il 1923, alcune case decaddero ed altre migliorarono, alcune città e quartieri andarono su ed altri andarono giù. Sicché i ruoli dei fabbricati sono una veste di arlecchino. La soluzione razionale sarebbe che nel 1924 si procedesse ad una revisione generale; che il reddito effettivo di tutti i fabbricati fosse accertato alla data del primo gennaio 1924, ad esempio, e che l’imposta fosse riscossa in seguito su quella base. Ma due ostacoli si ergono contro la soluzione razionale:

 

 

1)    I fitti o redditi al primo gennaio 1924 saranno fitti in lire carta, ossia fitti in una moneta soggetta a variazioni imprevedibili nell’avvenire. Se la lira per virtù naturale lentamente migliorerà, come tutti auguriamo, i contribuenti saranno terribilmente danneggiati, perché dovranno pagare l’imposta come se avessero molte lire di reddito, mentre i fitti pagati in lire più buone saranno diminuiti. Nel caso inverso sarà danneggiato lo stato. Quindi converrebbe seguire la regola tenuta oggi per la revisione dell’estimo dei terreni, ossia stimare i redditi in lire oro, salvo, ogni anno, applicare un coefficiente variabile di moltiplicazione per ridurre le lire oro in lire carta, a seconda del disaggio medio della carta nell’anno precedente.

 

 

2)    Ma il sistema incontra per i fabbricati una obbiezione che non esiste per i terreni. Per questi, i calmieri sono scomparsi ed i redditi variano liberamente, su e giù, a norma delle variazioni dei prezzi delle derrate agrarie e dei costi di lavorazione, quindi i redditi in lire oro hanno un censo, perché ogni anno si può ritenere che i proprietari abbiano un reddito in lire carta uguale a quello che essi avrebbero avuto in lire oro moltiplicato per il coefficiente di svalutazione. Invece i redditi dei fabbricati sono ancora parzialmente vincolati. Essi sono talvolta più, talvolta meno alti dei fitti corrispondenti in lire oro. Il proprietario che ha avuto le mani libere, ha moltiplicato i fitti dell’ante guerra per 4, per 5, per 6. Coloro i quali caddero sotto le commissioni arbitrali, e sono la maggior parte, si dovettero contentare di un moltiplicatore  o 3. Quindi, se tutti fossero chiamati a pagare su lire oro, taluni pagherebbero meno e taluni più del dovuto. La norma vigente, secondo cui le revisioni si fanno astraendo dai vincoli, ma avendo riguardo ai fitti che si stabilirebbero in assenza di questi, è una regola che sostanzialmente equivale a quella delle lire oro e presta il fianco alle medesime obiezioni.

 

 

Perciò tra le associazioni dei proprietari di case e forse nelle medesime sfere ministeriali è attentamente studiato un sistema transitorio. Per qualche anno, sino a che la lira non si sia stabilizzata e i vincoli siano completamente scomparsi, suppongasi fino al 1930, si conservino i redditi imponibili attuali, aumentati però in una proporzione variabile a seconda dell’anno di accertamento. I metodi proposti sono diversi e taluni assai complicati. Riducendoli alla formula riassuntiva più semplice, si potrebbe dire così, a pura ragion d’esempio: i redditi imponibili attuali dei fabbricati non revisionati dopo il 1890 siano aumentati 3 volte e mezza; quelli dei fabbricati revisionati o assoggettati per la prima volta all’imposta nel 1891-1900 siano moltiplicati solo per 3, trattandosi di fitti più recenti e più vicini agli odierni; quelli dal 1901-1910 per 2,75; quelli dal 1911-1917 per 2,50; quelli dal 1917-1920 per 1,50 e finalmente quelli revisionati o per la prima volta accertati dopo il 1920 siano lasciati quali sono. Sui redditi così aumentati dovrebbe essere applicata l’aliquota ridotta, non superiore nel suo complesso, a parer mio, al 25% del reddito.

 

 

Il sistema si presenta di facile applicazione. Temo assai che esso non dia luogo a sperequazioni imponenti tra caso e caso. Chi ci assicura che dappertutto i fitti siano cresciuti, dopo il 1920, con la regolare progressione indicata? Chi ci assicura che in talune città nel 1890 non si fossero toccate altezze non raggiunte poi? E non è questa precisamente la realtà di zone non piccole? Come non tener conto dei casi particolari di decadenza o di miglioria fisica od economica della casa?

 

 

Concludendo:

 

 

  • gli estimi attuali devono essere modificati;
  • il momento di un estimo definitivo in lire oro o in lire carta stabilizzate, in mercato libero, non sembra giunto;
  • il sistema degli aumenti automatici è spicciativo; ma forse darà luogo a nuove sperequazioni.
  • le revisioni parziali che ora si vanno facendo, a spizzico, qua e là, in lire carta di epoca incerta, in mercato vincolato, devono essere abbandonate, perché fonte di altre indicibili sperequazioni.

 

 

Azzardo un’idea: dovendo la revisione forzatamente essere provvisoria, perché non potrebbe l’amministrazione fissare i principii generali di essa; aumenti automatici a seconda dell’epoca in cui fu fissato l’imponibile attuale, con facoltà di stare al disotto o andare al disopra per tener conto di circostanze particolari che rendessero inapplicabile la regola generale automatica? Naturalmente, le eccezioni dovrebbero essere giustificate né potrebbero lasciarsi all’arbitrio di nessuna delle due parti. Un piccolo comitato scelto in seno alle attuali commissioni mandamentali delle imposte dirette e composto del presidente della commissione, dei due membri tecnici già in funzione per i fabbricati, con l’assistenza dell’agente delle imposte e di un rappresentante dei proprietari di casa, proposto dalle associazioni di questi, potrebbe sbrigare rapidamente il lavoro. Trattandosi di cosa necessariamente provvisoria, non occorre la perfezione; basta che il ministro chiaramente indichi le ragioni per cui la moltiplicazione per 3,50, per 3, per 2,75, per 2,50, per 1,50 e per 1 deve essere seguita come regola, ma deve essere corretta ogni qual volta essa conduca ad iniquità peggiori di quelle a cui si vuole rimediare.

 

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