Un’inchiesta sulla municipalizzazione
Tipologia: Paragrafo/Articolo – Data pubblicazione: 01/02/1903
Un’inchiesta sulla municipalizzazione
«Corriere della Sera», 1 febbraio 1903
Cronache economiche e politiche di un trentennio (1893-1925), vol. II, Einaudi, Torino, 1959, pp. 17-20
Uno dei punti più controversi del problema della municipalizzazione sta nel significato spesso incerto e contradditorio delle statistiche le quali dovrebbero riassumere i risultati delle esperienze che si sono già fatte al riguardo. È noto come le statistiche e le inchieste americane ed inglesi – che sono quelle che più frequentemente vengono citate – siano state interpretate a proprio favore sia dagli avversari, come dagli amici della municipalizzazione. In Italia le «notizie statistiche» annesse al progetto di legge Giolitti, per quanto costituissero un tentativo lodevole di indagine, erano troppo scarne e, riferendosi solo al capitale impiegato, alle entrate ed alle spese annue ed ai profitti e perdite, lasciavano nell’ombra troppi punti, senza dei quali era malagevole, per non dire impossibile, formarsi una chiara idea dei risultati effettivi delle intraprese municipali.
Abbiamo sott’occhio le bozze di uno studio che viene pubblicato nel fascicolo di gennaio di «La riforma sociale» di Torino e che costituisce una vera e propria inchiesta sulla municipalizzazione dei pubblici servizi in Italia. Il prof. Riccardo Bachi che, per incarico della rivista torinese, ha compiuto quell’inchiesta, aveva inviato un minutissimo questionario a tutti i municipi che esercitano in Italia la fornitura del gas illuminante, dell’acqua potabile, le officine elettriche, i bagni popolari, la manutenzione delle vie, lo sgombro della neve e la nettezza e l’inaffiamento delle vie. Sarebbe troppo lungo ricordare, sia pure sommariamente, le risposte che i municipi interrogati inviarono al questionario. Ma la impressione generica è questa che, se le «notizie statistiche» del progetto Giolitti non potevano fornire argomenti a favore dell’una o dell’altra tesi, l’inchiesta de «La riforma sociale» dimostra che i municipi italiani sono ben lungi dal gerire le imprese municipalizzate con quei criteri contabili che soli possono permettere di istituire confronti e di ricavare conclusioni attendibili. Pochissime fra le imprese municipalizzate sono ordinate a forma di aziende autonome. Le officine elettriche e gli acquedotti anche nei maggiori comuni sono quasi sempre amministrati dalla giunta senza che sia istituita una speciale commissione; spesso – specialmente per gli acquedotti – non esiste uno speciale direttore e le imprese sono dirette dall’ufficio tecnico comunale. In alcuni casi, molto notevoli, si è abbandonato il metodo di affidare la gestione delle imprese ad una commissione e si è preferito dare più larghi poteri ad un direttore dipendente direttamente dalla giunta. Così a Padova, secondo un regolamento del 1896, l’amministrazione del gasometro era affidata ad un consiglio, composto di sette membri nominati dal consiglio comunale, che si radunava almeno due volte al mese e in seno al quale il direttore aveva solo voto consultivo; un regolamento dell’1 aprile 1899 conservò per il gasometro una amministrazione separata, ma la fece dipendere direttamente dalla giunta; infine un regolamento del 1901 riunì i servizi municipalizzati del gas e dell’acqua sotto un solo direttore dipendente dalla giunta. Così pure a Vicenza si abbandonò il metodo della commissione per porre tanto l’acquedotto, quanto il gasometro alla dipendenza della giunta come sezioni dell’ufficio tecnico municipale.
Potrebbe anche darsi che questa dipendenza diretta delle imprese municipali dalla giunta non sia sbagliata; ma intanto, sia per questo o sia per altri motivi, è difficile raccapezzarsi nei conti delle aziende municipalizzate. Citiamo a caso. Il gasometro municipale di Padova indica un guadagno netto di 106.445 lire nel 1902; ma l’ammortamento del debito non è caricato al conto dell’impresa. A Firenze vi è un’officina elettrica che costò 88.477 lire d’impianto e che è destinata a provvedere solo alla pubblica illuminazione. Ma è impossibile calcolare la spesa vera annua; perché nel costo di produzione di lire 18.903 nel 1901 non sono comprese le spese per il personale amministrativo e l’alto personale tecnico, essendo il servizio direttamente dipendente dall’ufficio tecnico del comune; e non sono da computarsi spese per il servizio di prestiti essendo il capitale impiegato stato provvisto coi mezzi ordinari del bilancio. A Monte Marciano l’acquedotto municipale accusa una perdita di lire 7.508; ma non si tiene conto del consumo pubblico. Viceversa a Potenza la perdita è di lire 42.797, malgrado non si sia tenuto conto della quota dello stipendio dell’ingegnere municipale, imputabile al servizio dell’acquedotto. A Spezia l’acquedotto denunciò un profitto netto di lire 6.934; ma non si tiene conto del deperimento; cosicché, se invece dell’annualità pagata pel servizio del prestito si computa l’interesse del 5% sul capitale d’impianto e il deperimento in ragione di lire 12.000, si ha un deficit di lire 3048,70. A Padova, tenendo conto della quota di deperimento del capitale di impianto in lire 25.000, il disavanzo dell’acquedotto sarebbe presunto in lire 37.907,65; tenendo invece conto della somma da pagarsi effettivamente per rimborso del mutuo (lire 35.592,54), il disavanzo salirebbe a lire 48.500,19. Non è però valutato e compreso fra le entrate il consumo pubblico.
Date queste imperfezioni e divergenze contabili, non è possibile assolutamente trarre conclusioni generali e dire che i casi di perdite siano in numero inferiore o superiore ai casi di guadagno. Perdite e guadagni si alternano e rappresentano spesso realtà diverse dall’apparenza.
Tanto meno è facile il dire se i servizi, dopo la municipalizzazione, procedano meglio o peggio di prima. Per il gas sembrano certi un aumento di consumo ed una diminuzione di prezzi; per l’illuminazione elettrica un servizio migliore a costo cresciuto. Talvolta i comuni medesimi, per difendere la municipalizzazione, fanno dei confronti grotteschi. Così in dodici comuni, che direttamente attendono al servizio della manutenzione delle vie, si dice che il servizio diretto riesce meno costoso dell’appalto. Però il dato non ha un significato assoluto, perché talora l’assunzione ha avuto luogo da molti anni e le condizioni edilizie sono notevolmente mutate. In alcuni casi il sindaco od il segretario hanno risposto che il servizio riesce meno costoso, mentre che nella scheda stessa è affermato che l’esercizio diretto risale a tempo immemorabile!
Non è meraviglia che con simili risposte sia difficile dare un giudizio ponderato sulla municipalizzazione in genere; e che quindi il problema debba essere studiato caso per caso senza troppo badare a quel che altrove si è già fatto. Tanto più che le statistiche straniere paiono inquinate dalle stesse incongruenze delle nostre. Il disegno di legge che ora il senato dovrà discutere permetterà che per l’avvenire il giudizio possa essere più sicuro? Speriamolo.