Opera Omnia Luigi Einaudi

Einaudi e i libri

di Maria Teresa Pandolfi

 

1. Luigi Einaudi e i libri: un rapporto lungo una vita

Einaudi e i libri, un binomio che rimanda subito, e pour cause, alla strepitosa raccolta, frutto di una passione precoce, quanto intensa e tale rimasta per tutta la vita. Sfogliare il monumentale catalogo, redatto con intelligenza e insuperata perizia da Dora Spinazzola Franceschi, è un “naufragar dolce” per chiunque sia anche in forma lieve affetto dal mal di libri.

D’altra parte a chi abbia qualche volta scorso i cataloghi di una libreria antiquaria, soprattutto di quelle più blasonate, non sarà sfuggito il riferimento ricorrente alla raccolta einaudiana posto di seguito all’indicazione dell’opera: la presenza a sottolinearne l’importanza nella storia delle discipline economiche e storico-politiche; l’assenza a esaltarne la rarità.

Nei cataloghi di un mitico libraio antiquario, il londinese Quaritch, ma anche in quelli dell’olandese Gerrits, dei nostri Il Polifilo e Pregliasco, e in tempi più recenti in “reti” come Abebooks, la notazione “not in Einaudi” al pari di “not in Kress”, consacra il valore (anche commerciale) di un volume.

Eppure il tema “Einaudi e i libri” è un campo dal perimetro assai più ampio. Un campo che riserva all’Einaudi bibliofilo uno spazio privilegiato, di meritata fama e di indiscusso interesse, ma dove “l’amor di libro“ non esaurisce il racconto di un rapporto lungo quanto la sua stessa vita. E che questo non sia solo un modo di dire ce lo conferma la testimonianza commossa di Antonio d’Aroma, che di Einaudi fu collaboratore devoto, nel ricordare le «fruste coperture protettive di letture che lo accompagnarono fino alle soglie dell’infinito: gli Essais di Montaigne, le Affinità elettive di Goethe, L’Ancien régime di Aléxis Tocqueville, un volume di Romans et nouvelles di Stendhal, uno di Goldoni, uno di Leopardi».

In relazione al libro, attraverso i libri (letti, scritti, da scrivere o solo progettati, consultati, recensiti, consigliati e sconsigliati, acquistati, scambiati, restaurati) è possibile descrivere, e si sarebbe tentati di aggiungere ‘compiutamente’ se l’avverbio non inducesse un sospetto di presunzione, la personalità di Luigi Einaudi, per il quale, al pari del diletto Montaigne, i libri furono «la meilleure munition que j’aye trouvé à cet humain voyage». L’eclettismo di Einaudi e il suo profilo di «scienziato, statista, banchiere, uomo politico, economista, maestro, professore, educatore» emergono con singolare nitidezza ove si volga lo sguardo al carattere esclusivo del rapporto che egli ebbe con i libri: nutrimento dell’intelletto e godimento dello spirito. Libri: «le cose stampate che agitarono la mente, sollecitarono l’interesse, stimolarono l’inquieta curiosità, appagarono la fame acuta, mossero la passione di lui» nel corso della vita; libri, “oggetti” strettamente intrecciati con la sua vicenda esistenziale da essere, non raramente, assunti a termine di riferimento temporale o di contesto di fatti e di eventi narrati, ricordati, rievocati.

Queste note non hanno altro scopo se non quello di invitare il lettore ad addentrarsi in un luogo carico di suggestioni e di sollecitazioni, dove non si può escludere di essere colti da sindrome bulimica, tanta è la ricchezza, la varietà, la raffinatezza di pensiero offerta. È un rischio che vale la pena correre per il fascino del paesaggio culturale che si schiude al lettore-viandante; per la fertilità delle terre che si ha la ventura di attraversare, dove a salite intellettualmente ardue succedono distese pianeggianti, illuminate dalla chiarezza cristallina dell’argomentare e dalla limpidezza dello stile einaudiano, in un’alternanza di registro e di passo, dove ciascuno trova la “dimensione” di lettura più confacente alla propria curiosità, al proprio interesse. È quasi impossibile non restarne conquistati.

È probabile che anche chi abbia consuetudine con il mondo einaudiano possa ancora sorprendersi di fronte alla instancabile, tenace, costante vocazione pedagogica di Einaudi; «del suo ardore di morale educazione sempre saggiamente bilanciato, a volte tristemente frenato da un certo atavico scetticismo». Non solo, perciò, la pedagogia civile delle Prediche inutili, del Buongoverno, di quella silloge di saggezza pubblica che sono le Cronache, ma anche la ininterrotta lezione che si dispiega pagina dopo pagina in tante e diverse occasioni, sedi, circostanze.

A partire da un «Come si deve» o da un «Come non si deve» Einaudi spiega, illustra, costruisce e demolisce, di talché può offrire anche al lettore di oggi, disorientato dalla complessità della realtà contemporanea e frastornato dal gigantismo che affligge la produzione di informazioni, fuorviato spesso da rozze e strumentali semplificazioni, qualche non effimero elemento di riflessione. La vis polemica, sovente tagliente, non fa velo alla lucidità del ragionamento einaudiano; non ne altera la sostanziale pacatezza; ignora toni e accenti oltraggiosi; confida unicamente nella forza della ragione e nella persuasività della conoscenza.

La immersione nella bibliografia einaudiana, per chi non se ne lasci scoraggiare dalla dimensione, rappresenta di per sé una vera e propria avventura intellettuale e culturale: colpiscono, nello scorrere i titoli, la vastità e la ricchezza d’interessi, l’eccezionale capacità di lavoro che quello sterminato elenco “documenta”. Spigolando a caso, mai avrà motivo di restare deluso il lettore, per il quale quei titoli, mantenendo ciò che promettono, spalancano orizzonti bensì diversi per finalità, per ampiezza, per approfondimento; identici per lucidità di analisi, per rigore metodologico; per onestà intellettuale, ovunque praticata con scrupoloso puntiglio.

L’articolazione in paragrafi di queste note risponde a una esigenza meramente funzionale ai “tempi” del lettore; si tratta però di una forzatura, poiché i libri sono il dato costante della biografia einaudiana tout court: una realtà che sottende e fa da sfondo all’opera sua e, non meno, alla sua vita.

Approfondimento:

 

2. La “filiera” del libro: dalla carta alla rarità bibliografica

A Einaudi bibliofilo hanno dedicato pagine importanti personaggi che condivisero con lui la medesima passione e che in virtù della loro frequentazione – seppure con differente intensità – recano il valore della testimonianza diretta. Innanzitutto uno studioso illustre, Luigi Firpo, la cui biblioteca trova collocazione nello stesso edificio – Palazzo D’Azeglio a Torino – in cui ha sede la biblioteca Einaudi. L’una e l’altra, felicemente vicine, sono istituzioni culturali fondamentali per gli studiosi delle scienze politiche ed economiche.

Alberto Vigevani, straordinaria figura di libraio antiquario, uomo di raffinata cultura, “fornitore”, “corrispondente”, interlocutore “librario” di Luigi Einaudi, il quale nella libreria milanese di via Borgonuovo trascorse molte ore a sfogliare cataloghi, a discorrere di libri, di edizioni, di prezzi; a proporre scambi di “doppioni”. Antonio d’Aroma, legato a Einaudi da sentimenti quasi filiali, oltre che da un rapporto risalente ai tempi della Banca d’Italia, un rapporto propiziato e cementato anche da “memorie di famiglia”.

Luigi Einaudi nel suo rapporto con i libri è una figura pressoché unica. Accanito “cacciatore” di libri, di un’opera inseguiva una edizione piuttosto che un’altra; di alcune, con scrupolo di filologo, ne metteva insieme tutte quelle che nel tempo si erano succedute. Entrava in corrispondenza con i soggetti più vari e non di rado sconosciuti se da qualche indizio risaliva a essi come a probabili possessori o potenziali venditori di un libro desiderato. Ciononostante Einaudi fu agli antipodi della figura del “bibliofilo puro”, il quale appartiene piuttosto, avrebbe detto Raffaele Mattioli, alla categoria dei “filatelici”, che raccolgono, ma non usano i francobolli.

«Come l’avaro, questo tipo di bibliofilo» rincara Luigi Firpo «… cova gelosamente i suoi tesori, si compiace della bellezza incontaminata degli esemplari, gongola della rarità e del prezzo, non usa scaffali ma casseforti, e gode giorno per giorno una sua sterile libido per ogni ardua tessera aggiunta al suo mosaico paziente, destinato a non essere mai completato, campasse egli mill’anni […] Esiste però, per fortuna un’altra bibliofilia illuminata e costruttiva, che non indulge alle venustà esteriori e bada al contenuto, che insegue il raro non per la sua rarità, ma per attingervi nozioni peregrine, che tende al sistematico per supplire con l’industre competenza del raccoglitore al carattere occasionale, disarticolato, velleitariamente onnicomprensivo delle collezioni pubbliche, che ad ogni trovamento e acquisizione infittisce un tessuto organico e ne fa strumento insostituibile di lavoro per sé e per le generazioni venture».

È il ritratto del bibliofilo Einaudi quello tracciato da Firpo. Alberto Vigevani vi aggiunge ancora una pennellata:

«unì all’amore per i libri il minuzioso puntiglio – quasi la mania – di apprezzarli anche fisicamente (nella carta, nelle legature, nelle qualità e nei difetti), di schedarli scandagliandone ogni riposto pregio e provenienza, oltre che il contenuto, con in più la caparbia volontà di ottenerli alle migliori condizioni . . . un comportamento . . . che unisce insieme passione, cultura e accortezza economica, caratteristico, ancora, del vero libraio antiquario».

Einaudi amava i libri «come li ama lo studioso, per usarli»; è lo stesso atteggiamento che egli attribuiva ad Adam Smith e che tuttavia non lo tratteneva dall’inarcare il sopracciglio nello scorrere il catalogo della biblioteca di Alfred Marshall:

«Il catalogo Marshall – scrive – è di gran lunga inferiore ai precedenti (Morellet, Smith, Mc Culloch. Papadopoli ndr), tutti compilati da chi amò non solo il contenuto ma anche la veste del libro . . . Marshall considerava i libri come meri strumenti di lavoro, non cercava di fare collezioni compiute su qualche argomento; e, se occorreva, strapazzava il materiale posseduto. Poiché le riviste ingombravano la sua stanza, egli le faceva a pezzi, ne estraeva gli articoli che lo interessavano e buttava il resto».

Cacciatore paziente, attento a cogliere il minimo stormir di fronda che lasciasse presagirne la disponibilità, rincorreva un libro per i suoi studi, per le sue letture erudite; per ricostruire il percorso intellettuale e storico di un autore, di un indirizzo di pensiero, di cui avendone afferrato il bandolo cercava conferma, per poi seguirne, eventualmente le diverse ramificazioni. Ad Einaudi, lo attesta Firpo, non facevano difetto «una vigilanza indefettibile e una pazienza lunga, certosina, testarda, (con cui) spogliare mese per mese centinaia di cataloghi d’ogni nazione; coprirsi di polvere in oscure botteghe, frugare bancherottoli e robivecchi, ricordare uno per uno le migliaia di libri che già s’hanno per scansare i doppioni, commisurare opportunità e convenienze».

E tuttavia non disdegnava alcune più modeste “prove d’autore”, vale a dire che teneva in conto come indispensabile fonte di documentazione e di conoscenza una certa pubblicistica e la produzione editoriale corrente, perché

«il libro di un ministro o di un uomo politico noto, di un industriale, di un agricoltore non si acquista per l’apporto alla costruzione della scienza, che per lo più è nullo: Quel libro è un’azione ed interessa per l’influenza che può esercitare, a ragione od a torto, sulle azioni altrui. La storia dei movimenti sociali e dei provvedimenti economici si ricostruisce in notevole parte sulla base di libri, opuscoli e fogli stampati, i quali, ove non siano raccolti subito, è difficilissimo radunare dopo».

Se il rapporto intercorso tra Einaudi e i libri è riconducibile, come è ovvio che sia, in prima istanza al suo “lavoro” di intellettuale che usa i libri come materia prima, è l’ampiezza stessa dei confini dell’attività svolta, il profilo frastagliato dei suoi interessi a rendere poco significativo il tentativo di identificare in un unico corpus disciplinare la chiave di lettura del legame di Einaudi con i libri, che costituivano «il tessuto connettivo della vita di studioso».

Un rapporto che è un distillato della sua personalità; esso si estrinseca attraverso il meticoloso scandaglio di ogni più remoto recesso in qualche modo apparentato con il libro e la sua funzione. Libro, opera dell’ingegno e manufatto, strumento di conoscenza e “merce”. Di fronte al libro è, di volta in volta, lo studioso, specialista delle materie economiche, il filologo rigoroso, curatore della Collezione di scritti inediti o rari di economisti, il critico severo di iniziative similari non ugualmente scrupolose nel rispetto dell'”originale”; l’interprete delle esigenze della «persona colta che si proponga di acquisire [su determinati argomenti] le nozioni […] necessarie a spiegare i fatti che di giorno in giorno si verificano, e per dare un giudizio sulle quistioni che numerose gli si presentano nella vita quotidiana»; il recensore acuto di novità editoriali pieno di discernimento e di saggezza, che patendo personalmente di una produzione già allora ipertrofica, con argomentazioni articolate e puntuali orienta studiosi e potenziali lettori.

Per l’economista, per lo studioso della storia del pensiero economico la raccolta delle recensioni scritte per La Riforma sociale costituisce quasi un’opera a se stante: un giacimento per gli specialisti della materia, in cui trovare ancora notizie inedite o da tempo trascurate; per autori, redattori, curatori di libri, un compendio – straordinario manuale di editing – da tenere a portata di mano oltre che di mente, onde evitare «sconcezze», come quelle «accadute nel ristampar Ferrara».

Einaudi è allo stesso tempo un po’ entomologo e un po’ segugio: disseziona, classifica, insegue tracce; ricava indizi da una pluralità di fonti. Ma il motore che fa muovere la macchina è una curiosità intellettuale mai del tutto appagata; che non si pone traguardi, ma solo le tappe del percorso: un percorso lungo quanto la sua stessa vita.

È ancora d’Aroma a cogliere l’essenza dello spirito einaudiano:

«L’informazione accurata, l’episodio erudito, il riferimento storico preciso, la narrazione ambientata di fatti concreti sono altrettante carte di libera circolazione nel mondo spirituale del vecchio statista, mai stanco di incasellare nuove cognizioni, sempre incline a denunciare la propria ignoranza pur di eliminare lacune e fugare incertezze».

Una curiosità, quella di Einaudi – e non è difficile verificarlo – rivolta con uguale passione alle grandi questioni così come ai dettagli minuti, e non fa differenza che vesta i panni del bibliofilo, dell’economista o dell’agricoltore. Solo per esemplificare: al cavalier Pio Amori, artigiano restauratore di libri, inviando il volume La Venaria reale, precisa che «non c’è nulla da fare all’interno […] le sole riparazioni da fare sono quelle che si riferiscono al dorso della legatura. Nessuna modificazione ma un rafforzamento della parte superiore . . . sul piatto posteriore vi è anche un’unghiata, veda lei se si possa fare qualche cosa in merito» (lettera, 21 novembre 1951).

Alla classe dirigente di una Italia stremata da quattro anni di guerra, segnala il modo di fare fronte alla temporanea “mancanza di spago”, che sta determinando «un problema urgentissimo [il ritardo della mietitura] di cui forse la gravità non è compiutamente sentita dall’opinione pubblica», da cui «dipende la resistenza del paese alla guerra».

Una curiosità, infine, che muove dal rifiuto di ogni forma di conformismo intellettuale, da una strutturale avversione al pensiero dominante.

È lui stesso a spiegare il suo «vagabondare, mosso dalla curiosità di leggere i testi originali della gente etichettata…».

Approfondimento:

 

3. «Egli indaga la sapienza di tutti gli antichi»

A questo versetto del Siracide Einaudi sembra aver conformato il suo stile intellettuale; il principio al quale ha improntato la sua condotta di vita. In ogni sede e in circostanze diverse non manca l’occasione di affermare in modo più o meno esplicito la indispensabilità di un metodo di ricerca, di studio, di divulgazione scientifica e culturale che risalga “alla fonte”, che ricerchi “le origini”, per sventare il pericolo di «affastellare fatti importanti e notiziole senza sugo» o di fornire quelle «spiegazioni […] che per il momento erano più di moda». Più che una convinzione è un credo, questo, professato da Einaudi sotto varie forme (esso “sguscia” tra le righe, lo si coglie, magari in un inciso, in contesti che nulla hanno a che vedere) con la tenacia di chi sa che non si danno scorciatoie quale che sia il percorso che lo studioso, il ricercatore, l’autore si propongono di affrontare. Non fa differenza, allora, che si tratti di “pensare” un manuale di economia politica o a come debbano scriversi un libro di storia per le scuole o un libro di sociologia; di progettare una ristampa di classici o di studiare le finanze di Torino durante l’assedio del 1706.

Approfondimento:

 

4. In “viaggio” con i libri

Oltre alla passione che lo originava, Einaudi fu “costretto” a viaggiare in compagnia dei libri; un viaggio necessitato, concretamente necessitato, dalla sua attività multiforme e dalle condizioni storico-ambientali in cui questa si svolse.

Lo studioso di oggi, che ha tra i suoi strumenti di lavoro Internet, che può collegarsi con banche dati, con i cataloghi di biblioteche; che in misura crescente può attingere alle risorse delle biblioteche digitali, ha difficoltà a immedesimarsi nella condizione e nelle esigenze di un suo collega nato e formatosi nel diciannovesimo secolo.

Alla fine dell’Ottocento le Università e i centri di ricerca erano numericamente ridotti; le biblioteche pubbliche pressoché inesistenti o scarsamente dotate. Per lo studioso la formazione di una propria biblioteca diveniva indispensabile, proprio perché le raccolte delle biblioteche pubbliche venivano su «per donazioni, per confische, per acquisti fatti da bibliotecari periti in biblioteconomia, ma non […] nell’oggetto delle scienze comprese nel territorio proprio della biblioteca»; molto spesso, quindi, esse finivano per essere «ricchissime per talune discipline, poverissime per altre».

Per essere stati anche strettamente funzionali alle diverse esigenze del loro proprietario, i libri raccolti da Einaudi, al di là del valore intrinseco delle collezioni, testimoniano la completezza e la profondità delle analisi e degli studi sottostanti alla sua vasta, feconda attività di professore, di saggista, di giornalista, di polemista civile.

Certamente la ricchezza di quella biblioteca discende dal primigenio culto del libro, quale strumento di diffusione di idee, di cultura, di civiltà. Un culto del quale Einaudi fu sacerdote fedele; officiante pieno di zelo. Ma la vastità degli interessi e degli argomenti che in quelle raccolte vi sono rappresentati attesta anche quale fosse allora la concezione di “classe dirigente”, il valore civile che essa stessa attribuiva alla propria formazione culturale, intellettuale, professionale. Chi era chiamato a reggere la cosa pubblica, chi era investito del compito di decidere nell’interesse della collettività ne “sentiva” il dovere morale.

Esemplare ed eloquente in proposito è la riluttanza manifestata da Einaudi a partecipare con un suo scritto alla raccolta da offrire a Benedetto Croce per il suo ottantesimo compleanno. Einaudi in seguito supererà l’iniziale riserva, tuttavia avverte il bisogno di far precedere il saggio destinato all’opera celebrativa da una breve nota, in cui precisa: «riluttai per molte ragioni di cui ricordo solo una: dal principio del 1945 ho perso il contatto con quelli che furono sempre, insieme agli amici veri e pochi, i maggiori amici miei, i libri. Invece di sfogliare e leggere libri, leggo carte e memoriali».

Approfondimento:

 

5. Tra biblioteche e cataloghi: modelli diversi per un solo fine, conoscere

I cataloghi, fossero quelli delle raccolte di bibliofili illustri, di grandi economisti, di biblioteche importanti, di librai antiquari o di modesti venditori di libri usati sono stati oggetto costante dell’attenzione di Luigi Einaudi.

Analogamente al Viaggio tra i suoi libri, Einaudi ne intraprese altri, attraverso collezioni illustri, i cui cataloghi furono da lui studiati e vagliati con attenzione. Letture che si prestavano a compiere riscontri, effettuare valutazioni, stabilire confronti. Sotto il suo sguardo competente e puntiglioso il catalogo si trova a vivere una sua vita propria, non più un mero elenco di autori e di titoli, ma un repertorio annotato, corredato di rimandi e rinvii, quasi un ulteriore “pezzo” della collezione libraria in esso descritta, che l’aggiunta delle sagaci osservazioni einaudiane “impreziosisce”. Non sorprende, allora, il suo rammarico per la scarsa «dovizia di cataloghi a stampa di libri appartenuti ad economisti».

Rammarico qualche volta compensato da alcune lodevoli iniziative che offrono agli studiosi strumenti bibliografici che consentano loro di “localizzare” i libri. «Il volume che qui si annuncia è cosa stupenda», accoglie così la pubblicazione del catalogo della Kress Library, del quale, a beneficio della comunità scientifica, fornisce un resoconto filtrato attraverso la sua erudizione e il consueto rigore analitico.

Ma i cataloghi, va da sé, anche per Einaudi non erano tutti eguali, accanto a quelli delle grandi collezioni, ci sono i più modesti elenchi degli editori, dei librai e quelli compilati da bibliotecari di varia, talora non eccelsa competenza, alla cui lettura egli si sottoponeva per dovere d’ufficio: «sfogliare cataloghi di libri nuovi e vecchi è l’occupazione poco geniale di coloro che per ragione dei loro studi, debbono tenersi al corrente sia di ciò che si viene pubblicando di giorno in giorno, sia dei libri esauriti …; o vogliono compiere delle ricerche su un dato argomento, ed hanno bisogno a tale uopo di formarsi prima la così detta bibliografia».

Se questa attività di ricognizione risulta pesante a chi legge per mestiere, tanto più lo è per «il pubblico grande che, infatti non sfoglia i cataloghi, non li adopera», e tuttavia vorrebbe leggere per «accrescere il patrimonio delle sue cognizioni intellettuali». Lodevole proposito, ma «occorre leggere bene ed ordinatamente»; per questo servono «metodo e ordine», i medesimi criteri a cui dovrebbero ispirarsi i cataloghi delle biblioteche destinate al grande pubblico.

Cataloghi, quindi, come guida per orientare il cittadino che aspira a crescere culturalmente. Senza trascurare il fatto che poiché «la quantità dei libri mediocri allaga; bisogna andar cauti nell’acquistarli». Monito che noi suoi posteri dovremmo raccogliere!

Approfondimento:

 

6. Luigi Einaudi “editore”: l’apprendistato di Giulio?

Nel riprendere in mano l’imprescindibile lavoro di Riccardo Faucci, l’attenzione punta al capitolo dedicato a «Giulio Einaudi Editore» per congetturare, a proposito di libri, su una iniziazione, un mestiere appreso alla bottega paterna. Perché non immaginare che l’attività di “fattorino”, della quale Giulio era incaricato dal padre, che lo mandava alla posta a ritirare i libri inviati da Laterza per la recensione, sia stata la prima pagina di quella storia in gran parte coincidente con la storia della cultura italiana del Novecento. Il ragazzo ha talento, ha occhio «aiuta il padre nel lavoro redazionale» per la Riforma Sociale; suggerisce qualche cambiamento della “veste tipografica”. Il 15 novembre 1933 la casa editrice Giulio Einaudi viene registrata alla Camera di commercio e diventa l’editore della Riforma sociale.

Fra il 1933 e il 1944 – la fonte è ancora Faucci – uscirono ventinove titoli (nella collana Problemi contemporanei), tutti in pratica scelti da Luigi Einaudi. Altra collana che risentì della sua mano fu la Collezione di opere scientifiche di economia e finanza . . . Anch’essa ispirata dal padre dell’editore fu la Collezione di scritti inediti o rari di economia; (Einaudi padre) probabilmente consigliò la pubblicazione . . . di uno dei libri di maggior successo pubblicati da Giulio prima della guerra: La crisi della civiltà di Johan Huizinga.

Successivamente, si sa, il rapporto di Luigi Einaudi con la casa editrice si allentò; ma per Giulio l’“apprendistato” era ormai terminato; aveva completato il tirocinio con un maestro d’eccezione.

Al padre, tuttavia, Giulio continuò a rivolgersi, sollecitandone il consiglio e il parere, soprattutto con riferimento alla situazione finanziaria della casa editrice che assai presto dovette misurarsi con la scarsità di mezzi patrimoniali, mentre crescevano affermazione e prestigio nel mondo della cultura. Nel 1946, a una lettera di Giulio che gli esponeva le difficoltà finanziarie della casa editrice, il padre, da attento gestore non solo della cosa pubblica, ma anche di quelle private, risponde «non bisogna superare una certa proporzione tra debiti e patrimonio! . . La sola soluzione sicura è ricorrere a capitale nuovo non preso a prestito, capitale che non richiede interessi, provvigioni». Giulio si affidò alle mani sagge di Raffaele Mattioli, tra i pochi a credere «in questa impresa avventurata».

Approfondimento:

 

7. “Saggia prudenza” nell’acquistar libri

Procurarsi i libri desiderati rappresentò per Einaudi un impulso potente all’acquisto e tuttavia neanche questa pulsione ha mai incrinato il suo senso innato della misura; quella morigeratezza di costumi, di abitudini, di stile di vita, intorno a cui è fiorita una ricca aneddotica, per tutti l’abusata citazione dell’episodio “della pera divisa”.

Figura assai diversa da quei «collezionisti [che nei primi decenni del novecento] frugavano con l’abilità di segugi gli antiquariati di mezza Europa, si indebitavano allegramente lasciando senza cibo né vesti la famiglia» come Foxwell «sorpreso dalla morte con un modulo di telegramma in mano, forse uno dei pochi tentativi falliti di battere in velocità un concorrente lanciato alla conquista di un pezzo raro». Alla “dissennatezza” di Foxwell siamo, tuttavia, debitori della Goldsmiths-Kress Library.

Sono rare le pagine in cui Einaudi parli di libri senza fare cenno al prezzo, e non solo quando si tratta di volumi rari e ricercati; dei suoi acquisti e delle quotazioni di libri famosi. Anche le sue recensioni terminano spesso con l’indicazione del prezzo, che segue quella del tipo di legatura e del numero di pagine, quasi a completare il resoconto con l’informazione sul rapporto prezzo–qualità.

Negli acquisti mostra una oculatezza, una severità di giudizio che non sorprendono ove si consideri che è la stessa persona alla quale si deve l’articolo 81 della Costituzione; la valutazione della congruità del prezzo di un libro, della “sostenibilità” della spesa per il suo bilancio sono criteri che richiamano il rigore a cui improntò l’azione di ministro.

Ricorda Alberto Vigevani che nel 1960, «non più presidente, mi alletta descrivendomi un armadio di dodici metri lineari, pieno di doppioni acquistati ‘per errore di memoria’, e mettendoli a mia disposizione per eventuali cambi». D’altra parte era per lui motivo di soddisfazione il constatare che gli acquisti fatti nel tempo avevano richiesto spese non sconsiderate ed equo era stato il prezzo pagato. A Vigevani confidò non senza compiacimento: «Ogni volta che ricevo il suo catalogo mi sembra di essere arricchito». In verità questo era una sorta di divertito prolungamento della polemica che amabilmente opponeva i due sui prezzi praticati dalla libreria di Vigevani.

Nelle stanze di uno dei famosi librai di Great Russell Street, George Wheeler, Luigi Einaudi, non più Presidente della Repubblica trascorre ore di intenso piacere, mentre «avvolge in un solo sguardo rapidissimo e malinconico le pareti fitte di libri, le cataste non ancora ordinate, le vecchie librerie sconnesse ove, con paziente metodicità e con la prontezza dell’indagatore, assistito da una prodigiosa memoria, sarebbe sicuro di snidare raffinate curiosità bibliografiche, solo che avesse modo di passare in rassegna i polverosi tesori piantando le tende per una settimana». Si accontenta di estrarre dalla tasca «un catalogo minutamente annotato e […] sfogliare […] il mucchietto delle novità rivolgendo al librario imbarazzanti quesiti, costringendolo a ricorrere senza tregua ai dotti controlli del Palgrave Dictionary of Political Economy».

È un’occasione, per lui, per rievocare, «tecnico fra i tecnici i primi acquisti della fine dell’ottocento, le fortunate successive scoperte, accalorandosi in calcoli comparativi di prezzi e di cambi».

Con finalità “analitiche”, seguiva nel tempo i prezzi indicati nei cataloghi dei librai antiquari. Nel 1948, per il centenario della libreria Bourlot, di cui era cliente e lettore assiduo dei cataloghi da oltre cinquant’anni, scrive un breve ricordo in cui tra l’altro si rammarica di non ritrovarne la serie completa dei 270 fino ad allora pubblicati, tanto che si ripromette «di far eseguire non pochi scavi in mezzo alla suppellettile libraria rimasta ammucchiata negli scantinati di via Lamarmora a Torino».

Il materiale essendo destinato nei suoi intendimenti a una ricerca da affidare a qualche giovane studioso, «che indaghi la storia delle variazioni dei prezzi dei libri caduti nel commercio antiquario negli ultimi cento anni […] sarebbe un contributo importante per la storia dei prezzi di una merce non ordinaria, indice delle mutazioni delle correnti di cultura, dei gusti, delle possibilità economiche dei ceti sociali amanti dei libri».

E siamo ritornati da dove si era partiti: l’amore per i libri. Si è tentato di circumnavigare il continente einaudiano lungo la rotta segnata dai libri, nell’intento, di offrire soprattutto ai più giovani alcune tessere per comporre il ritratto di un grande italiano.

L’Italia, la comunità degli studiosi, dei bibliofili devono all’amore di Luigi Einaudi per i libri – alla passione per la cultura in essi racchiusa e per la storia della civiltà che in essi si narra – un patrimonio il cui valore, immenso, è quello che il vecchio Wheeler, in un lontano sabato di agosto del 1955, manifestava a un sorridente e soddisfatto Einaudi:

«la sua biblioteca economica Signor Presidente è oggi la più completa raccolta privata del mondo, lo dico io come fornitore di innumerevoli pezzi rari che sarei ben lieto di riacquistare al doppio del prezzo di vendita, lo dicono i miei clienti americani che hanno avuto la fortuna di visitare la sua casa di Dogliani».

Approfondimento:

Torna su